x

x

Danno Biologico e Danno Esistenziale: breve rassegna giurisprudenziale

Danno Biologico e Danno Esistenziale: breve rassegna giurisprudenziale
Danno Biologico e Danno Esistenziale: breve rassegna giurisprudenziale

La categoria del danno biologico nasce nell’ambito della scienza medico-legale e viene per la prima volta recepita dalla giurisprudenza del Tribunale di Genova con una Sentenza del 25/05/1974, la quale individua le fonti giuridiche del danno biologico nell’articolo 2043 del codice civile che, quale clausola generale, garantisce il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.

Mentre in una prima fase la Suprema Corte non prende posizione in ordine all’inquadramento della categoria dell’articolo 2059 del codice civile o nell’articolo 2043 del codice civile, nel 2003 il panorama giurisprudenziale tradizionale muta con le Sentenze della Corte di Cassazione nn. 8827 e 8828, e la Sentenza n. 7281, 7282, 7283 tutte del maggio 2003, ritenendo di dover riconoscere l’estensione della nozione di danno non patrimoniale come danno da lesione di valori inerenti alla persona. La Cassazione ha dunque incluso nell’area del danno non patrimoniale ex articolo 2059 del codice civile anche il danno esistenziale da lesione di beni fondamentali della persona e il danno biologico.

Si può, dunque, ritenere ormai acquisito dall’ordinamento positivo il riconoscimento della lata estensione della nozione di “danno non patrimoniale”, inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona, e non più solo come “danno morale soggettivo”. Le due categorie di danno (patrimoniale e non patrimoniale) individuate dalle sentenze del 2003 vengono incluse nell’articolo 2059 del codice civile, secondo una lettura costituzionalmente orientata. Nell’ambito del danno non patrimoniale, oltre al tradizionale danno morale e al suddetto danno biologico, dottrina e giurisprudenza maggioritaria ricomprendono, altresì, la categoria del cosiddetto Danno esistenziale.

Ciò che il danno esistenziale tutela, in forma risarcitoria, è l’alterazione della qualità della vita del soggetto leso conseguente al fatto illecito.

La posizione della giurisprudenza riguardo al riconoscimento della categoria del danno esistenziale come categoria autonoma è stata nel corso degli anni altalenante, in quanto controbilanciata da varie tesi giurisprudenziali contrarie a tale forma autonoma di categoria di danno.

Ed infatti, mentre un primo profilo giurisprudenziale qualifica il danno esistenziale quale autonoma voce risarcitoria, provvedendo, altresì, a darne una definizione dogmatica, così come affermato dalle Sezioni Unite n. 6572 del 24/03/2006 (avallate dalla pronuncia del 12/06/2006, Cassazione Civile n. 13546; Cassazione Civile, Sentenza del 06/02/2007, n. 2546), pronunce più recenti hanno, invece, opinato in senso contrario all’autonomia della categoria de qua.

Tali pronunce orientate alla negazione della autonomia della categoria del danno esistenziale sono caratterizzate dall’esigenza di garantire la tipicità della norma di cui all’articolo 2059 del codice civile.

In quest’ottica si pronuncia, dunque, la Cassazione n. 14488 del 29/07/2004 la quale ha sostenuto che non esiste la categoria del cosiddetto Danno esistenziale essendo, invece, risarcibili le lesioni di specifici valori costituzionalmente protetti.

L’itinerario giurisprudenziale è stato di recente implementato da varie pronunce della Cassazione Civile, n. 23918 del 09/11/2006, Cassazione Civile del 20/04/2007 nn. 9510 e 9514; Cassazione Civile del 27/06/2007, n. 14846.

Su tale quadro normativo sono successivamente intervenute le Sezioni Unite della Corte Cassazione con la Sentenza 11/11/2008, n. 26972 che ha escluso un autonomo rilievo alla categoria del danno de quo, opinando chiaramente di non poter farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata “danno esistenziale”, perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità.

Tuttavia, la pronuncia delle Sezioni Unite non ha definitivamente sopito l’utilizzo della categoria del danno esistenziale; ed infatti, sono le stesse Sezioni Unite che con una pronuncia del 15/01/2009, n. 794, hanno riconosciuto come legittimo il risarcimento del danno che un giudice di pace aveva qualificato come esistenziale ed afferente alle conseguenze della pubblicità ingannevole (simile per impostazione Cassazione Civile, Sentenza 25/02/2009, n. 4493).

Nonostante l’altalenanza della giurisprudenza circa l’autonomia della categoria del danno esistenziale, punto fermo dell’ordinamento continua ad essere il valore della persona in sé, tutelata attraverso il più ampio riconoscimento dei suoi diritti costituzionalmente tutelati.

Con particolare riferimento ai diritti del nascituro, varie sono le pronunce dei giudici che riconoscono lo stesso diritto già dal momento del concepimento.

Ed invero, la Cassazione, IV Sezione penale, n. 11625/2000,dopo un lungo excursus della giurisprudenza in materia di diritti del nascituro, ha stabilito che quest’ultimo, già concepito al momento del fatto illecito, e successivamente nato, è titolare del diritto al risarcimento dei danni, verificatisi in contemporanea alla nascita o posteriormente a questa. Pertanto, saranno risarcibili i danni che incidono concretamente sul nato, anche se conseguenti a fatti illeciti commessi nel periodo in cui il nascituro era già stato concepito.

Sulla base di tali presupposti, la Cassazione ha infatti legittimato la costituzione di parte civile del minore (concepito al tempo dell’illecito), poiché sussiste il suo diritto al risarcimento.

Sulla stessa linea decisionale si colloca la più recente sentenza della Suprema Corte Civile del 03/05/2011, n. 9700, con cui si ribadisce che anche il soggetto nato dopo la morte del padre naturale, verificatasi durante la gestazione per fatto illecito di un terzo, ha diritto, nei confronti del responsabile, al risarcimento del danno per la perdita del relativo rapporto e per i pregiudizi di natura non patrimoniale e patrimoniale che gli siano derivati.

Sulla scia di quest’ultima pronuncia è intervenuta la pronuncia della Cassazione Civile, n. 5509 del 10/03/2014 con cui la Suprema Corte ha affermato chiaramente il diritto al risarcimento del danno patrimoniale ed anche morale di colui che, al tempo del sinistro cagionato dal danneggiante, era stato semplicemente concepito, ma non ancora nato, in un certo senso anticipando la protezione giuridica di un soggetto che, a rigore, al tempo della condotta lesiva illecita, non poteva dirsi come esistente.

La categoria del danno biologico nasce nell’ambito della scienza medico-legale e viene per la prima volta recepita dalla giurisprudenza del Tribunale di Genova con una Sentenza del 25/05/1974, la quale individua le fonti giuridiche del danno biologico nell’articolo 2043 del codice civile che, quale clausola generale, garantisce il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.

Mentre in una prima fase la Suprema Corte non prende posizione in ordine all’inquadramento della categoria dell’articolo 2059 del codice civile o nell’articolo 2043 del codice civile, nel 2003 il panorama giurisprudenziale tradizionale muta con le Sentenze della Corte di Cassazione nn. 8827 e 8828, e la Sentenza n. 7281, 7282, 7283 tutte del maggio 2003, ritenendo di dover riconoscere l’estensione della nozione di danno non patrimoniale come danno da lesione di valori inerenti alla persona. La Cassazione ha dunque incluso nell’area del danno non patrimoniale ex articolo 2059 del codice civile anche il danno esistenziale da lesione di beni fondamentali della persona e il danno biologico.

Si può, dunque, ritenere ormai acquisito dall’ordinamento positivo il riconoscimento della lata estensione della nozione di “danno non patrimoniale”, inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona, e non più solo come “danno morale soggettivo”. Le due categorie di danno (patrimoniale e non patrimoniale) individuate dalle sentenze del 2003 vengono incluse nell’articolo 2059 del codice civile, secondo una lettura costituzionalmente orientata. Nell’ambito del danno non patrimoniale, oltre al tradizionale danno morale e al suddetto danno biologico, dottrina e giurisprudenza maggioritaria ricomprendono, altresì, la categoria del cosiddetto Danno esistenziale.

Ciò che il danno esistenziale tutela, in forma risarcitoria, è l’alterazione della qualità della vita del soggetto leso conseguente al fatto illecito.

La posizione della giurisprudenza riguardo al riconoscimento della categoria del danno esistenziale come categoria autonoma è stata nel corso degli anni altalenante, in quanto controbilanciata da varie tesi giurisprudenziali contrarie a tale forma autonoma di categoria di danno.

Ed infatti, mentre un primo profilo giurisprudenziale qualifica il danno esistenziale quale autonoma voce risarcitoria, provvedendo, altresì, a darne una definizione dogmatica, così come affermato dalle Sezioni Unite n. 6572 del 24/03/2006 (avallate dalla pronuncia del 12/06/2006, Cassazione Civile n. 13546; Cassazione Civile, Sentenza del 06/02/2007, n. 2546), pronunce più recenti hanno, invece, opinato in senso contrario all’autonomia della categoria de qua.

Tali pronunce orientate alla negazione della autonomia della categoria del danno esistenziale sono caratterizzate dall’esigenza di garantire la tipicità della norma di cui all’articolo 2059 del codice civile.

In quest’ottica si pronuncia, dunque, la Cassazione n. 14488 del 29/07/2004 la quale ha sostenuto che non esiste la categoria del cosiddetto Danno esistenziale essendo, invece, risarcibili le lesioni di specifici valori costituzionalmente protetti.

L’itinerario giurisprudenziale è stato di recente implementato da varie pronunce della Cassazione Civile, n. 23918 del 09/11/2006, Cassazione Civile del 20/04/2007 nn. 9510 e 9514; Cassazione Civile del 27/06/2007, n. 14846.

Su tale quadro normativo sono successivamente intervenute le Sezioni Unite della Corte Cassazione con la Sentenza 11/11/2008, n. 26972 che ha escluso un autonomo rilievo alla categoria del danno de quo, opinando chiaramente di non poter farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata “danno esistenziale”, perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità.

Tuttavia, la pronuncia delle Sezioni Unite non ha definitivamente sopito l’utilizzo della categoria del danno esistenziale; ed infatti, sono le stesse Sezioni Unite che con una pronuncia del 15/01/2009, n. 794, hanno riconosciuto come legittimo il risarcimento del danno che un giudice di pace aveva qualificato come esistenziale ed afferente alle conseguenze della pubblicità ingannevole (simile per impostazione Cassazione Civile, Sentenza 25/02/2009, n. 4493).

Nonostante l’altalenanza della giurisprudenza circa l’autonomia della categoria del danno esistenziale, punto fermo dell’ordinamento continua ad essere il valore della persona in sé, tutelata attraverso il più ampio riconoscimento dei suoi diritti costituzionalmente tutelati.

Con particolare riferimento ai diritti del nascituro, varie sono le pronunce dei giudici che riconoscono lo stesso diritto già dal momento del concepimento.

Ed invero, la Cassazione, IV Sezione penale, n. 11625/2000,dopo un lungo excursus della giurisprudenza in materia di diritti del nascituro, ha stabilito che quest’ultimo, già concepito al momento del fatto illecito, e successivamente nato, è titolare del diritto al risarcimento dei danni, verificatisi in contemporanea alla nascita o posteriormente a questa. Pertanto, saranno risarcibili i danni che incidono concretamente sul nato, anche se conseguenti a fatti illeciti commessi nel periodo in cui il nascituro era già stato concepito.

Sulla base di tali presupposti, la Cassazione ha infatti legittimato la costituzione di parte civile del minore (concepito al tempo dell’illecito), poiché sussiste il suo diritto al risarcimento.

Sulla stessa linea decisionale si colloca la più recente sentenza della Suprema Corte Civile del 03/05/2011, n. 9700, con cui si ribadisce che anche il soggetto nato dopo la morte del padre naturale, verificatasi durante la gestazione per fatto illecito di un terzo, ha diritto, nei confronti del responsabile, al risarcimento del danno per la perdita del relativo rapporto e per i pregiudizi di natura non patrimoniale e patrimoniale che gli siano derivati.

Sulla scia di quest’ultima pronuncia è intervenuta la pronuncia della Cassazione Civile, n. 5509 del 10/03/2014 con cui la Suprema Corte ha affermato chiaramente il diritto al risarcimento del danno patrimoniale ed anche morale di colui che, al tempo del sinistro cagionato dal danneggiante, era stato semplicemente concepito, ma non ancora nato, in un certo senso anticipando la protezione giuridica di un soggetto che, a rigore, al tempo della condotta lesiva illecita, non poteva dirsi come esistente.