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Diritto all’immagine: quando richiede il consenso

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Ph. Riccardo Radi / nel blu

La Corte di Cassazione (Sezione Prima Civile n. 4477/2021) ha ricostruito e chiarito il piano normativo concernente il diritto all’immagine, alla riservatezza e alla reputazione prestando parallelamente particolare attenzione al bilanciamento che si rende necessario ogniqualvolta tali diritti entrano in collisione con quello di cronaca e perciò vanno misurandosi col consequenziale interesse pubblico ad essere correttamente informati.

 

Il caso: la pubblicazione di immagini senza consenso

Il caso in esame muove dalla richiesta di risarcimento dei danni avanzata da una coppia coniugata, in proprio nonché quali soggetti esercenti la potestà genitoriale sulla figlia minore, a causa dell’uso abusivo delle proprie immagini diffuse a loro totale insaputa da alcune testate giornalistiche, senza cioè il loro espresso consenso.

Nello specifico, i ricorrenti avevano invitato un noto calciatore a fare visita alla figlia – ricoverata presso un istituto di cura e di riabilitazione – con la speranza che l’incontro potesse provocarle una qualche sorta di reazione positiva. In tale occasione, essi si facevano fotografare dal personale medico affianco al calciatore e alla figlia e pubblicavano nella loro pagina facebook il relativo scatto. Nei giorni successivi però, appreso che tale materiale fotografico era stato indebitamente diffuso, gli attori citavano in giudizio i relativi quotidiani al fine di vederli condannare al risarcimento del danno per avere leso il loro diritto alla riservatezza, all’immagine e alla reputazione.

I giudici di prime cure tuttavia rigettavano la richiesta di risarcimento affermando che la pubblicazione delle immagini da parte dei convenuti fosse avvenuta per finalità giornalistiche e che fosse consentita dalla legge non solo perché non era necessario l’espresso consenso degli attori ma anche perché il consenso stesso si doveva ritenere comunque come prestato implicitamente in considerazione proprio del contesto in cui le fotografie erano state scattate. Aggiungevano i giudicanti come le immagini pubblicate non fossero poi lesive né dell’onore e né della reputazione delle parti, e parimenti non fosse lesiva del diritto alla riservatezza la pubblicazione delle generalità complete della minore dal momento che i genitori stessi avevano in passato creato una pagina facebook corredata proprio dai dati anagrafici della minore e della sua tragica condizione clinica.

Avverso tale decisione, le parti attrici proponevano ricorso per Cassazione ex articolo 360 co. 1, n. 3 per violazione e falsa applicazione degli articoli 96 e 97 della Legge sul diritto d’autore, dell’articolo 137 del Codice della Privacy, dell’articolo 10 Codice Civile nonché dell’articolo 21 della Costituzione.

Lamentavano le parti cioè che il tribunale avesse completamente confuso l’interesse pubblico che giustifica la pubblicazione della notizia sul giornale, escludendo così la violazione del diritto alla riservatezza, e quello che legittima la pubblicazione dell’immagine della persona. Ma non solo. Il tribunale – secondo i ricorrenti – aveva oltremodo confuso il consenso implicitamente prestato alla diffusione della notizia e quello alla diffusione delle foto, fermo restando che a monte aveva erroneamente individuato altresì non solo l’interesse pubblico legittimante la circolazione dell’immagine ma anche il complesso delle circostanze che avrebbe dovuto far emergere il consenso degli interessati stessi. 

 

I motivi della decisione: diritto di cronaca e limiti alla pubblicazione di immagini

La controversia prospettata alla Corte investe il problema dei limiti alla lecita utilizzazione dell’immagine di una persona simultaneamente alla pubblicazione, questa sì attività autorizzata dalle parti attrici.

La Suprema Corte ha rammentato ancora una volta come il diritto all’immagine per quanto non sia espressamente contemplato dalla Costituzione trova il suo fondamento all’articolo 2 della stessa Carta laddove riconosce e tutela i diritti inviolabili ed inalienabili della persona, che rappresenta il centro dell’ordinamento giuridico nostrano. Tale disposizione, nel sancire la primazia del principio personalista, rappresenta un c.d. “contenitore aperto in grado di raccogliere tutte le situazioni giuridiche soggettive che consentono il pieno sviluppo della persona umana, ancorché non previsti nel novero “tradizionale” dei diritti della personalità.

L’immagine di una persona trova peraltro nel nostro ordinamento esplicita tutela non solo all’articolo 10 Codice Civile ma anche agli articoli 96 e 97 della legge sul del diritto d’autore. Tali norme debbono essere congiuntamente esaminate perché naturalmente collegate: l’articolo 10 Codice Civile rinvia, laddove richiama alla “legge”, proprio alle disposizioni contenute nella legge sul diritto d’autore, per quanto il legame tra loro sussistente non mini la natura squisitamente personale del diritto all’immagine il quale rappresenta un limite all’esercizio del diritto d’autore.

Il disposto dell’articolo 10 Codice Civile precisa difatti come l’esposizione o la pubblicazione o ogni altra forma di riproduzione/utilizzazione dell’immagine fuori dai casi consentiti dalla legge non possa essere esteriorizzata. Ed è qui che trovano rilievo fondante gli artt. 96 e 97 della legge sul diritto d’autore: il primo di questi articoli stabilisce infatti come il ritratto/immagine di una persona non possa essere riprodotto senza il consenso dell’effigiato, eccetto che nelle ipotesi tassativamente previste nel secondo articolo.

Dalla lettura di tali norme la Corte di Cassazione ribadisce come la legittima diffusione di un’immagine debba imprescindibilmente ancorarsi al consenso espresso da chi possa validamente disporre di tale diritto, da chi cioè sia capace di intendere e di volere o da chi, naturalmente, sia rappresentante legale di un soggetto incapace di agire, come nel caso in specie.  

Con più specifico riferimento al consenso prestato dal rappresentante legale affinché la immagine del minore possa essere diffusa, gli ermellini sottolineano come tale scelta debba comunque effettuarsi avuto riguardo all’esclusivo interesse dell’incapace in considerazione di quella particolare tutela che l’ordinamento offre ai soggetti più “deboli”.

Chiariscono i giudicanti come il consenso ben può essere configurato in forma tacita, implicita o per facta concludentia, ma rimane il fatto che occorre comunque essere innanzi ad una condotta che inequivocabilmente manifesta la volontà del soggetto ritratto di consentire alla diffusione della propria immagine. Aggiungono poi che laddove invece la circolazione della immagine possa determinare la lesione di beni personalissimi, quali l’onore e la reputazione, non è sufficiente una volontà desumibile implicitamente bensì occorre che il consenso sia esplicito.

Del consenso si potrà prescindere solo quando la riproduzione sia effettuata esclusivamente per esigenze pubbliche e sociali, vale a dire quando la pubblicazione e diffusione di una immagine sia giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico ricoperto dall’effigiato, da necessità di giustizia o polizia, da scopi didattici o culturali.

Con tali esimenti, previsti all’articolo 97 della legge sul diritto d’autore, emerge chiaramente come il Legislatore abbia voluto contemperare il “sacrificio del diritto del singolo e il preminente interesse della collettività a venire a conoscenza delle vicende di interesse pubblico, ivi comprese le diffusioni di immagini e o di altre tipologie di riproduzione.

La Corte di Cassazione sottolinea sì che la volontà di un soggetto alla divulgazione della propria immagine possa manifestarsi tacitamente ma che la stessa, ancorché tacita, abbisogna comunque di essere effettivamente desunta dalle circostanze nelle quali il soggetto effigiato si è fatto ritrarre, altrimenti la circolazione sarà da considerarsi illecita ed illegittima con consequenziale diritto della parte lesa al risarcimento dei danni patiti.

Gli ermellini approfondiscono inoltre la diffusione di immagini riguardanti minori e a tale proposito, esaustivamente, non solo richiamano le predette disposizioni del nostro ordinamento giuridico ma le leggono opportunatamente insieme alle norme contenute nella Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York del 1989 ricavandone il precipuo assunto secondo il quale in assenza di consenso al trattamento validamente prestato” la immagine del minore non possa essere utilizzata a meno che non sia “del tutto casuale e in nessun caso mirata a polarizzare l’attenzione sull’identità del medesimo”.

La Cassazione, richiamando le ragioni che hanno portato il Tribunale a non accogliere la domanda delle parti ricorrenti, ha osservato come l’autorità giudiziaria predetta avesse ingiustamente omesso di accertare l’effettiva sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza delle immagine fatte circolare dalle testate giornalistiche e come tale verifica fosse da considerarsi non solo imprescindibile al fine di una giusta decisione ma anche ulteriore e diversa rispetto alla mera circolazione della notizia.

Non solo. La Cassazione precisa ulteriormente come la predetta omissione avesse altresì portato il giudice di prime cure a concepire un diritto all’immagine totalmente avulso dal contesto giuridico laddove non ha tenuto in considerazione come il diritto può sì subire delle restrizioni ma esclusivamente in casi eccezionali, tassativamente previsti appunto dalla legge sul diritto d’autore.

Il principio, infondatamente ignorato dal Tribunale, che sottende il diritto all’immagine consiste nel tutelare le sembianze della persona umana ogniqualvolta dovessero essere riprodotte o esposte “contro la sua volontà”.

Si tratta infatti di elementi fisiognomici descrittivi uno dei modi di essere della persona tra le più immediate che vengono percepiti nei rapporti con il mondo esterno. Per tale ragione, tale diritto comporta la facoltà dell’individuo di “mostrarsi agli altri solo quando si abbia interesse a farlo […] ed è tutelato dalla legge anche nel caso in cui la riproduzione o la diffusione non arrechino pregiudizio all’onore o alla reputazione dell’interessato”. Ed ecco allora che sotto questa prospettiva, il predetto diritto è “accostabile alla riservatezza, dalla quale però si distingue per la circostanza di non avere ad oggetto le vicende private del soggetto, ma un dato attinente all’identità personale” che proprio per tale ragione non deve essere fruibile da parte del mondo circostante esterno se non per scelta della persona effigiata stessa.

La Suprema Corte conclude allora che solo operando un concreto bilanciamento tra l’interesse individuale alla tutela di diritti della personalità, quale l’onore, la reputazione e la riservatezza, e la libera manifestazione del pensiero che si risolve nel diritto della collettività ad essere informata in ordine alle vicende di interesse pubblico, si può istruire e decidere casi come quello portato alla propria attenzione, propendendo a far prevalere il primo (quando la vicenda non è di interesse pubblico) o il secondo (quando, di contro, è necessaria la formazione di un convincimento da parte della collettività in ordine ad un accadimento di interesse pubblico).

E non è un caso allora che la Cassazione opera tale bilanciamento tenendo ben salde le considerazioni in punto di diritto – richiamando tutte le disposizioni come ricostruite – ma, sopra tutto, le circostanze fattuali interessanti la vicenda prospettatole giungendo all’accoglimento del ricorso avanzato poiché l’incontro ancorché con un personaggio noto aveva semplicemente ed essenzialmente natura privata. Essa aggiunge oltremodo come non poteva valere ad integrare il consenso implicito la circostanza che vedeva i diretti interessati rendere noti tramite facebook i propri dati personali, oltreché quelli della figlia minore, poiché essi ben potevano essere contrari ad una ulteriore e più ampia diffusione, quale quella avvenuta tramite le testate giornalistiche.

 

Principio di diritto in materia di pubblicazione di immagini

La Suprema Corte di Cassazione allora, nell’accogliere le doglianze delle parti attrici, afferma e ribadisce chiaramente come “l’interesse pubblico alla diffusione di una notizia legittimanti l’esercizio del diritto di cronaca, deve essere tenuto distinto da quello […] riguardante la legittimità della pubblicazione anche dell’immagine delle persone coinvolte la cui liceità postula […] il concreto accertamento di uno specifico ed autonomo interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze dei protagonisti oppure il consenso delle persone ritratte o l’esistenza di altre condizioni eccezionali giustificative previste dall’ordinamento”.