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Diritto sportivo: illecito disciplinare

In un paese in cui esistono milioni di appassionati di calcio era inevitabile che il c.d. scandalo intercettazioni suscitasse l’interesse anche di molti non addetti ai lavori. Lasciando ai competenti organi il difficile discernimento tra condotte rilevanti rispettivamente sul piano penale, sul piano sportivo o soltanto su quello morale, il presente contributo si pone il modesto obbiettivo di valutare le possibile conseguenze dal punto di vista sortivo una volta ravvisata la sussistenza di un illecito.

Indicare i confini di tale fattispecie non è un compito agevole dal momento che il diritto sportivo, pur essendo ormai una materia dotata di una propria dignità scientifica, presenta, indubbiamente, una connotazione trasversale ai diversi rami del diritto penale, civile e amministrativo. A ciò va aggiunta, inoltre, la redazione generica e, a volte, approssimativa di molte norme sportive che non brillano per chiarezza. In tal senso triste prova ne sono i ben noti casi Catania e Genoa in cui, ad appena 2 anni di distanza, la medesima norma invocata (art 17 Codice di Giustizia sportiva F.I.G.C.) ha creato le stesse ambasce interpretative (vedi caso Martinelli e Ghomsi) nonostante la chiarezza della ratio normativa e l’avvento della Legge n. 280/2003.

In questi giorni convulsi, peraltro, è frequente l’affermazione che giustizia ordinaria e giustizia sportiva viaggino su percorsi paralleli destinati, dunque, a perseguire obbiettivi non coincidenti. Il citato postulato, tuttavia, vale nella misura in cui non si trascuri la circostanza che il diritto sportivo richiama ad esempio nozioni proprie del diritto penale come la responsabilità a titolo di dolo, colpa o la responsabilità oggettiva come risulta indicato in diversi articoli del Codice di Giustizia Sportiva. Da un lato se la giustizia penale può incidere su beni di rilevanza costituzionale quali la libertà personale dall’altro la giustizia sportiva non può che emanare tutta una gamma di sanzioni che al massimo grado possono comportare l’espulsione dal consesso sportivo di riferimento. Le regole sportive, ovviamente, vincolano solo coloro per i quali attraverso il tesseramento o l’affiliazione ad una delle Federazioni riconosciute entrano a far parte dell’ordinamento sportivo vincolandosi al rispetto delle prescrizioni da queste poste (il tipico esempio in merito è costituito dalla c.d clausola compromissoria o vincolo i giustizia che impone ai tesserati di risolvere eventuali controversie ricorrendo ai competenti organi di giustizia sportiva).

Questo per spiegare come nel caso di società di capitali come sono quelle calcistiche (La legge n. 96/1981 ha introdotto l’obbligo per le società di calcio appartenenti alla Serie A, B, C/1 e C/2 di dotarsi come forma societaria almeno di quella della s.r.l.) si possa assistere ad una dissociazione tra le cariche sul piano sportivo e su quello civile.

Ne discende di conseguenza che colui il quale riveste una carica sul piano civile, se estraneo all’ordinamento sportivo, non ne subirà le eventuali sanzioni. Secondo una ricostruzione, ormai datata, la dottrina più autorevole distingue varie classi di potenziali controversie nell’ambito sportivo relative a: 1) giustizia di tipo tecnico 2) di tipo disciplinare 3) di tipo economico 4) di tipo amministrativo.

Generalmente per i primi due tipi di controversie si è sempre ritenuto, ancor prima della legge n. 280/2003, che esse rappresentassero il paradigma dell’autonomia del diritto sportivo. L’assunto, in verità, non sembra, almeno sul piano teorico, così pacifico poiché la stessa legge citata fa salvo all’art 2 il riferimento alla tutela di situazione soggettive giuridicamente rilevanti per l’ordinamento statale. Viene da chiedersi allora se il tesserato che esercita professionalmente la propria attività in caso di gravi sanzioni sia titolare o meno di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante anche fuori dai confini sportivi. Le violazioni che vengono contestate in questi giorni si riferiscono all’art 1. 1° comma Codice di Giustizia sportiva che così recita “Coloro i quali sono tenuti all’osservanza delle norme federali devono comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e proibità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”. Per quanto concerne, invece, la nozione di illecito sportivo l’art 6 del codice così dispone "Il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o assicurare a chiunque un vantaggio in classifica un vantaggio n classifica, costituisce illecito sportivo".

Oltre che alle canoniche forme di responsabilità a titolo di dolo o di colpa l’ordinamento sportivo si caratterizza anche per l’enucleazione delle forme della responsabilità oggettiva, ipotesi meno grave, ed infine della responsabilità diretta, ipotesi più grave.

Nel primo caso l’art 13 prevede la penalizzazione di punti in classifica (da stabilirsi in quale annata scontare) nel secondo le lettere g), h), i) prevedono: 1) retrocessione all’ultimo posto nella classifica del campionato e di conseguenza 2) esclusione dal campionato di competenza con assegnazione ad un campionato inferiore 3) non assegnazione o revoca del titolo vinto.

Le sanzioni secondo la gravità dei fatti possono essere applicate in via cumulativa in piena discrezionalità da parte dell’organo giudicante. A differenza del diritto penale dove vige il principio nullum crimen sine lege nel diritto sportivo una volta commesso l’illecito il presunto colpevole non sa a quale sanzione andrà incontro vista l’estrema varietà delle stesse. Tale stato di cose, inevitabilmente, lascia spazio all’arbitrio della Commissione disciplinare o in seconda battuta della Corte di Appello Federale con il forte e concreto rischio di sentenze “politiche”.

Come si può agevolmente vedere le norme richiamate si caratterizzano per la loro forte genericità che le porta ad essere riempite dei contenuti più vari. Prendendo in esame il tentativo (ipotesi che in sede disciplinare trova sempre pene più leggere) di illecito che richiama la nozione del diritto penale si parla di atti diretti senza fare riferimento al requisito dell’idoneità degli stessi. Va da sé che sul piano astratto possono esistere atti diretti a commettere un fatto ma non idonei e che la costruzione della norma sia più simile ai c.d delitti di attentato o di pericolo di cui è piena la parte speciale del nostro codice penale.

E’ chiaro che un’opzione interpretativa in tal senso, sulla scorta dei principi generali, dovrebbe far propendere per l’inapplicabilità della fattispecie tentata. Non meno dubbi, del resto, suscita anche l’art. 6. 7° comma che prevede un obbligo di denuncia, a carico di tesserati che siano a conoscenza della presunta sussistenza di illeciti sportivi, senza sanzione nel caso di inosservanza di detto obbligo “I dirigenti, i soci di associazione ed i tesserati che abbiano posto o stiano per porre in essere taluno degli atti indicati ai commi precedenti, ovvero che siano venuti a conoscenza in qualunque modo che società o persone abbiano posto o stiano per porre in essere taluno di detti atti, hanno il dovere di informare, senza indugio la Lega od il Comitato competente ovvero direttamente l’Ufficio Indagini della F.I.G.C”. La norma comunque ha rilevanza dal momento che almeno sul piano prettamente sportivo, tende a escludere come tesi difensiva quella della c.d. legittima difesa scriminante, peraltro, non menzionata all’interno dell’ordinamento di settore. S

ottolineato come le società, in ogni caso, rispondano a titolo oggettivo degli atti compiuti dai propri tesserati o dirigenti (la ratio facilmente intuibile e condivisibile tende ad evitare esoneri di responsabilità) non si può non rilevare come tutta la materia dell’illecito sia ricostruita sulla base dell’ipotesi dell’azione delittuosa dei singoli tesserati o della singola società. Il mutuare nozioni o istituti dal diritto penale, avrebbe dovuto suggerire la considerazione anche della fattispecie concorsuale capace di meglio comprendere i casi di patologia di un intero sistema.

Senza entrare nella polemica se le regole vadano cambiate o meno, viene da pensare che non sarebbe, forse, cattiva opera applicare in via analogica alle società di calcio uno schema come quello che prevede il Decreto Legislativo n. 231/2001 a carico delle società commerciali. Ferma restando la dissociazione tra cariche sportive e cariche civili la predisposizione di obbligatori meccanismi di controllo (i c.d. reati oggetto naturalmente sarebbero quelli considerati dalle norme sportive) potrebbe evitare in futuro, con maggior successo, il ripetersi dei fenomeni a cui stiamo assistendo in questi giorni.

Sotto il profilo del divieto di scommesse per i tesserati l’art 5 del codice è molto chiaro nell’indicare che rientrano nel campo di applicazione del divieto tutte le manifestazioni organizzate dalla F.I.G.C. (sono escluse dunque le scommesse, ovviamente presso raccoglitori autorizzate di gare di campionati esteri o di altri sport).

Dal punto di vista procedurale, premesso che il provvedimento disciplinare può essere avviato d’ufficio o su istanza di parte indipendente dall’avvio di analoga azione da parte della magistratura ordinaria, non si può essere molto ottimisti sui tempi di definizione.

Il codice, infatti, pone come termine l’inizio della stagione successiva ma solo per il completamento delle indagini da parte dell’ufficio. La decisione (vedi caso Genoa a proposito della penalizzazione dei 3 punti) in teoria potrebbe slittare e di molto.

Schematicamente possiamo così riassumere i vari passaggi: l’ufficio indagini completata la propria attività rimette gli atti al Procuratore Federale con la notifica delle contestazioni che deve essere effettuata ai diretti interessati almeno 10 gg liberi prima del processo innanzi alla Commissione Disciplinare. In tale sede gli imputati possono presentare prove a loro discarico o presentare lista testi. Esaurito il processo di 1° grado è possibile ricorrere al giudizio della Corte di Appello Federale che ha potere di riformare il precedente giudicato.

I dubbi sulla celerità dei tempi nascono ove si consideri la possibilità che, esauriti i gradi della giustizia sportiva, gli interessati possano ricorrere, secondo quanto prevede la Legge n. 280/2003, al T.A.R del Lazio ed al Consiglio di Stato (anche se va ricordato che la stessa legge indica come le controversie relative a provvedimenti di carattere disciplinare o tecnico siano riservate alla giurisdizione del giudice sportivo). A ciò si aggiunga il possibile intervento in giudizio, previsto dall’art 29 del Codice, dei terzi portatori di interessi indiretti, compreso l’interesse in classifica. Vi è da chiedersi, giunti a questo punto, se con riferimento al torneo 2004-2005 società attualmente militanti in serie B o in serie A possano ritenersi legittimate ad intervenire in giudizio sia sotto il profilo dei presupposti processuali della legittimazione che dell’interesse ad agire. Per quanto concerne la prescrizione l’art 18 del Codice stabilisce un termine di 4 stagioni (successive al termine di quella incriminata) in caso di sanzioni a carico di tesserati o di 2 stagioni per sanzioni a carico di società, termini che in caso di apertura di indagini sono interrotti ma che comunque non possono essere prolungati in nessun caso oltre la metà (in altre parole possono essere discussi, nel nostro caso specifico, solo i campionati a partire dalla stagione 2003-2004 compresa).

In conclusione, sulla base delle premesse sin qui svolte, non è semplice fare una previsione certa in ordine alla tempistica di risoluzione dell’intera vicenda che, però, rappresenta una buona occasione per la riorganizzazione di una normativa sotto molti aspetti lacunosa e di difficile interpretazione.

Per coloro i quali volessero ulteriormente approfondire in temi in oggetto indichiamo i seguenti riferimenti legislativi:

1) Codice di Giustizia sportiva F.I.G.C.

2) Legge n. 280/2003

3) Deliberazione 22 ottobre 203 n. 1250 del Consiglio nazionale dl C.O.N.I

4) Statuto del C.O.I adottatodal Consiglio nazionale del Coni il 23 marzo 2004 aprovato con D.M. 23 giugno 2004

5) D.LGS 23 luglio 1999 riordino del Coni.

In un paese in cui esistono milioni di appassionati di calcio era inevitabile che il c.d. scandalo intercettazioni suscitasse l’interesse anche di molti non addetti ai lavori. Lasciando ai competenti organi il difficile discernimento tra condotte rilevanti rispettivamente sul piano penale, sul piano sportivo o soltanto su quello morale, il presente contributo si pone il modesto obbiettivo di valutare le possibile conseguenze dal punto di vista sortivo una volta ravvisata la sussistenza di un illecito.

Indicare i confini di tale fattispecie non è un compito agevole dal momento che il diritto sportivo, pur essendo ormai una materia dotata di una propria dignità scientifica, presenta, indubbiamente, una connotazione trasversale ai diversi rami del diritto penale, civile e amministrativo. A ciò va aggiunta, inoltre, la redazione generica e, a volte, approssimativa di molte norme sportive che non brillano per chiarezza. In tal senso triste prova ne sono i ben noti casi Catania e Genoa in cui, ad appena 2 anni di distanza, la medesima norma invocata (art 17 Codice di Giustizia sportiva F.I.G.C.) ha creato le stesse ambasce interpretative (vedi caso Martinelli e Ghomsi) nonostante la chiarezza della ratio normativa e l’avvento della Legge n. 280/2003.

In questi giorni convulsi, peraltro, è frequente l’affermazione che giustizia ordinaria e giustizia sportiva viaggino su percorsi paralleli destinati, dunque, a perseguire obbiettivi non coincidenti. Il citato postulato, tuttavia, vale nella misura in cui non si trascuri la circostanza che il diritto sportivo richiama ad esempio nozioni proprie del diritto penale come la responsabilità a titolo di dolo, colpa o la responsabilità oggettiva come risulta indicato in diversi articoli del Codice di Giustizia Sportiva. Da un lato se la giustizia penale può incidere su beni di rilevanza costituzionale quali la libertà personale dall’altro la giustizia sportiva non può che emanare tutta una gamma di sanzioni che al massimo grado possono comportare l’espulsione dal consesso sportivo di riferimento. Le regole sportive, ovviamente, vincolano solo coloro per i quali attraverso il tesseramento o l’affiliazione ad una delle Federazioni riconosciute entrano a far parte dell’ordinamento sportivo vincolandosi al rispetto delle prescrizioni da queste poste (il tipico esempio in merito è costituito dalla c.d clausola compromissoria o vincolo i giustizia che impone ai tesserati di risolvere eventuali controversie ricorrendo ai competenti organi di giustizia sportiva).

Questo per spiegare come nel caso di società di capitali come sono quelle calcistiche (La legge n. 96/1981 ha introdotto l’obbligo per le società di calcio appartenenti alla Serie A, B, C/1 e C/2 di dotarsi come forma societaria almeno di quella della s.r.l.) si possa assistere ad una dissociazione tra le cariche sul piano sportivo e su quello civile.

Ne discende di conseguenza che colui il quale riveste una carica sul piano civile, se estraneo all’ordinamento sportivo, non ne subirà le eventuali sanzioni. Secondo una ricostruzione, ormai datata, la dottrina più autorevole distingue varie classi di potenziali controversie nell’ambito sportivo relative a: 1) giustizia di tipo tecnico 2) di tipo disciplinare 3) di tipo economico 4) di tipo amministrativo.

Generalmente per i primi due tipi di controversie si è sempre ritenuto, ancor prima della legge n. 280/2003, che esse rappresentassero il paradigma dell’autonomia del diritto sportivo. L’assunto, in verità, non sembra, almeno sul piano teorico, così pacifico poiché la stessa legge citata fa salvo all’art 2 il riferimento alla tutela di situazione soggettive giuridicamente rilevanti per l’ordinamento statale. Viene da chiedersi allora se il tesserato che esercita professionalmente la propria attività in caso di gravi sanzioni sia titolare o meno di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante anche fuori dai confini sportivi. Le violazioni che vengono contestate in questi giorni si riferiscono all’art 1. 1° comma Codice di Giustizia sportiva che così recita “Coloro i quali sono tenuti all’osservanza delle norme federali devono comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e proibità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”. Per quanto concerne, invece, la nozione di illecito sportivo l’art 6 del codice così dispone "Il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o assicurare a chiunque un vantaggio in classifica un vantaggio n classifica, costituisce illecito sportivo".

Oltre che alle canoniche forme di responsabilità a titolo di dolo o di colpa l’ordinamento sportivo si caratterizza anche per l’enucleazione delle forme della responsabilità oggettiva, ipotesi meno grave, ed infine della responsabilità diretta, ipotesi più grave.

Nel primo caso l’art 13 prevede la penalizzazione di punti in classifica (da stabilirsi in quale annata scontare) nel secondo le lettere g), h), i) prevedono: 1) retrocessione all’ultimo posto nella classifica del campionato e di conseguenza 2) esclusione dal campionato di competenza con assegnazione ad un campionato inferiore 3) non assegnazione o revoca del titolo vinto.

Le sanzioni secondo la gravità dei fatti possono essere applicate in via cumulativa in piena discrezionalità da parte dell’organo giudicante. A differenza del diritto penale dove vige il principio nullum crimen sine lege nel diritto sportivo una volta commesso l’illecito il presunto colpevole non sa a quale sanzione andrà incontro vista l’estrema varietà delle stesse. Tale stato di cose, inevitabilmente, lascia spazio all’arbitrio della Commissione disciplinare o in seconda battuta della Corte di Appello Federale con il forte e concreto rischio di sentenze “politiche”.

Come si può agevolmente vedere le norme richiamate si caratterizzano per la loro forte genericità che le porta ad essere riempite dei contenuti più vari. Prendendo in esame il tentativo (ipotesi che in sede disciplinare trova sempre pene più leggere) di illecito che richiama la nozione del diritto penale si parla di atti diretti senza fare riferimento al requisito dell’idoneità degli stessi. Va da sé che sul piano astratto possono esistere atti diretti a commettere un fatto ma non idonei e che la costruzione della norma sia più simile ai c.d delitti di attentato o di pericolo di cui è piena la parte speciale del nostro codice penale.

E’ chiaro che un’opzione interpretativa in tal senso, sulla scorta dei principi generali, dovrebbe far propendere per l’inapplicabilità della fattispecie tentata. Non meno dubbi, del resto, suscita anche l’art. 6. 7° comma che prevede un obbligo di denuncia, a carico di tesserati che siano a conoscenza della presunta sussistenza di illeciti sportivi, senza sanzione nel caso di inosservanza di detto obbligo “I dirigenti, i soci di associazione ed i tesserati che abbiano posto o stiano per porre in essere taluno degli atti indicati ai commi precedenti, ovvero che siano venuti a conoscenza in qualunque modo che società o persone abbiano posto o stiano per porre in essere taluno di detti atti, hanno il dovere di informare, senza indugio la Lega od il Comitato competente ovvero direttamente l’Ufficio Indagini della F.I.G.C”. La norma comunque ha rilevanza dal momento che almeno sul piano prettamente sportivo, tende a escludere come tesi difensiva quella della c.d. legittima difesa scriminante, peraltro, non menzionata all’interno dell’ordinamento di settore. S

ottolineato come le società, in ogni caso, rispondano a titolo oggettivo degli atti compiuti dai propri tesserati o dirigenti (la ratio facilmente intuibile e condivisibile tende ad evitare esoneri di responsabilità) non si può non rilevare come tutta la materia dell’illecito sia ricostruita sulla base dell’ipotesi dell’azione delittuosa dei singoli tesserati o della singola società. Il mutuare nozioni o istituti dal diritto penale, avrebbe dovuto suggerire la considerazione anche della fattispecie concorsuale capace di meglio comprendere i casi di patologia di un intero sistema.

Senza entrare nella polemica se le regole vadano cambiate o meno, viene da pensare che non sarebbe, forse, cattiva opera applicare in via analogica alle società di calcio uno schema come quello che prevede il Decreto Legislativo n. 231/2001 a carico delle società commerciali. Ferma restando la dissociazione tra cariche sportive e cariche civili la predisposizione di obbligatori meccanismi di controllo (i c.d. reati oggetto naturalmente sarebbero quelli considerati dalle norme sportive) potrebbe evitare in futuro, con maggior successo, il ripetersi dei fenomeni a cui stiamo assistendo in questi giorni.

Sotto il profilo del divieto di scommesse per i tesserati l’art 5 del codice è molto chiaro nell’indicare che rientrano nel campo di applicazione del divieto tutte le manifestazioni organizzate dalla F.I.G.C. (sono escluse dunque le scommesse, ovviamente presso raccoglitori autorizzate di gare di campionati esteri o di altri sport).

Dal punto di vista procedurale, premesso che il provvedimento disciplinare può essere avviato d’ufficio o su istanza di parte indipendente dall’avvio di analoga azione da parte della magistratura ordinaria, non si può essere molto ottimisti sui tempi di definizione.

Il codice, infatti, pone come termine l’inizio della stagione successiva ma solo per il completamento delle indagini da parte dell’ufficio. La decisione (vedi caso Genoa a proposito della penalizzazione dei 3 punti) in teoria potrebbe slittare e di molto.

Schematicamente possiamo così riassumere i vari passaggi: l’ufficio indagini completata la propria attività rimette gli atti al Procuratore Federale con la notifica delle contestazioni che deve essere effettuata ai diretti interessati almeno 10 gg liberi prima del processo innanzi alla Commissione Disciplinare. In tale sede gli imputati possono presentare prove a loro discarico o presentare lista testi. Esaurito il processo di 1° grado è possibile ricorrere al giudizio della Corte di Appello Federale che ha potere di riformare il precedente giudicato.

I dubbi sulla celerità dei tempi nascono ove si consideri la possibilità che, esauriti i gradi della giustizia sportiva, gli interessati possano ricorrere, secondo quanto prevede la Legge n. 280/2003, al T.A.R del Lazio ed al Consiglio di Stato (anche se va ricordato che la stessa legge indica come le controversie relative a provvedimenti di carattere disciplinare o tecnico siano riservate alla giurisdizione del giudice sportivo). A ciò si aggiunga il possibile intervento in giudizio, previsto dall’art 29 del Codice, dei terzi portatori di interessi indiretti, compreso l’interesse in classifica. Vi è da chiedersi, giunti a questo punto, se con riferimento al torneo 2004-2005 società attualmente militanti in serie B o in serie A possano ritenersi legittimate ad intervenire in giudizio sia sotto il profilo dei presupposti processuali della legittimazione che dell’interesse ad agire. Per quanto concerne la prescrizione l’art 18 del Codice stabilisce un termine di 4 stagioni (successive al termine di quella incriminata) in caso di sanzioni a carico di tesserati o di 2 stagioni per sanzioni a carico di società, termini che in caso di apertura di indagini sono interrotti ma che comunque non possono essere prolungati in nessun caso oltre la metà (in altre parole possono essere discussi, nel nostro caso specifico, solo i campionati a partire dalla stagione 2003-2004 compresa).

In conclusione, sulla base delle premesse sin qui svolte, non è semplice fare una previsione certa in ordine alla tempistica di risoluzione dell’intera vicenda che, però, rappresenta una buona occasione per la riorganizzazione di una normativa sotto molti aspetti lacunosa e di difficile interpretazione.

Per coloro i quali volessero ulteriormente approfondire in temi in oggetto indichiamo i seguenti riferimenti legislativi:

1) Codice di Giustizia sportiva F.I.G.C.

2) Legge n. 280/2003

3) Deliberazione 22 ottobre 203 n. 1250 del Consiglio nazionale dl C.O.N.I

4) Statuto del C.O.I adottatodal Consiglio nazionale del Coni il 23 marzo 2004 aprovato con D.M. 23 giugno 2004

5) D.LGS 23 luglio 1999 riordino del Coni.