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Fermo amministrativo, Decreto Bersani e questioni di legittimità costituzionale: la giurisdizione non spetta sempre al Giudice Tributario

1. Riparto di Giurisdizione;

2. Giurisdizione e competenza per i crediti non tributari.

Dall’entrata in vigore del Decreto Bersani (D.L. 223/2006, convertito con L. 248/2006), si sono freneticamente succedute entusiastiche dichiarazioni secondo le quali sarebbe stata risolta, proprio in virtù delle norme contenute nel Decreto, la dibattuta questione della competenza giurisdizionale in materia di fermo amministrativo. Segnatamente – si è detto – poiché l’art. 35, co. 26 quinquies, della legge di conversione del Decreto Bersani modifica l’art. 19 del D.Lgs. 546/92, introducendo il “fermo amministrativo” tra gli atti che possono essere impugnati dinanzi al Giudice Tributario, si sarebbe in tal modo definitivamente chiarito, ope legislatoris, quale debba essere il giudice dinanzi al quale impugnare i fermi amministrativi asseritamente illegittimi.

Una recente sentenza del Giudice di Pace di Bari (sent. n. 1825/07, pubblicata il 26.2.2007) ha giustamente messo nuovamente in discussione tutto, rilevando che le norme di detto Decreto in realtà non sono innovative come si crede.

Riparto di giurisdizione La sentenza esamina puntualmente la nuova disciplina quale innovata dalle modifiche apportate dal Decreto Bersani e “scopre” che, diversamente da quanto affermato sin dai primi giorni di entrata in vigore del Decreto, la giurisdizione in materia di fermo amministrativo va ripartita nella seguente maniera: se il credito per il quale viene disposto il fermo ha natura tributaria, la Giurisdizione spetterà al Giudice Tributario; ove, invece, il credito non abbia natura tributaria, la Giurisdizione spetterà al Giudice ordinario.

A tale conclusione il Giudice di Bari perviene attraverso una ineccepibile argomentazione: poiché il fermo amministrativo è un provvedimento avente natura cautelare (e non è dunque atto dell’esecuzione), l’art. 2 del D.Lgs. 546/1992, laddove dispone (…e tale norma è in vigore già dal 1992!) che “restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento”, in realtà già prescrive (e prescriveva) che il fermo amministrativo (appunto quale atto “non dell’esecuzione) debba  (e già dovesse) rientrare nella giurisdizione tributaria.

La modifica apportata all’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 ad opera del citato Decreto, con la quale si è inserito espressamente il fermo amministrativo tra gli atti che possono formare oggetto di impugnazione dinanzi al G. Trib., in verità dunque nulla di nuovo ha disposto, avendo solo esplicitato l’impugnabilità di un atto che già ai sensi dell’art. 2 poteva/doveva essere oggetto d’impugnazione dinanzi al Giudice tributario.

Né, peraltro, potrebbe adottarsi un’interpretazione “espansiva” dell’art. 19 cit..

E’ infatti certamente da escludere che tale disposizione abbia inteso estendere la giurisdizione tributaria (in materia di fermo) a tutti i fermi amministrativi, per qualunque credito disposti: infatti, così come rilevato dal Giudice nella citata sentenza, se si leggono in combinato disposto gli artt. 2 e 19 del D.Lgs. 546/1992, risulta evidente che il Legislatore ha inteso attribuire al Giudice Tributario la competenza giurisdizionale soltanto sulla materia tributaria.

Con il D.Lgs. del 1992, infatti, sono state attribuite al Giudice Tributario tutte le controversie tributarie, che vengono cioè attratte per “comparto di materia”: è pertanto evidente che, allorquando l’art. 19 D.Lgs. 546/1992 richiama i fermi amministrativi, esso non può essere letto indipendentemente dall’art. 2 (che individua la materia nella quale il fermo è stato disposto). Conseguentemente, ne deriva che l’art. 19, espressamente richiamando il fermo amministrativo, ha implicitamente (implicito non è considerato che è sufficiente una lettura organica con altra disposizione della medesima legge, art. 2) limitato la sua portata ai fermi che siano stati pur sempre disposti nell’ambito della materia attribuita alla competenza del Giudice Tributario, ossia quella tributaria.

Devono pertanto necessariamente rigettarsi le prospettate questioni di legittimità costituzionale della disposizione (art. 35, co. 26 quinquies) contenuta nella legge di conversione del Decreto Bersani: i sostenitori di tale incostituzionalità, infatti, muovono dall’errato presupposto secondo cui l’art. 19 attrarrebbe sotto la giurisdizione delle commissioni tributarie anche quei giudizi aventi ad oggetto fermi amministrativi disposti ad es. per crediti da circolazione stradale, crediti di lavoro o previdenziali, così operando – si incalza – una illegittima, arbitraria ed illogica attribuzione “di una moltitudine di situazioni diverse ad un medesimo Giudice”.

Invero, come detto, tale denunziata illegittimità costituzionale non può affatto profilarsi, non sussistendo affatto il presupposto dal quale essa muove: un esame logico della disciplina e – soprattutto – del testo di legge, consente infatti pacificamente di negare la generalizzata attribuzione alle commissioni tributarie delle giurisdizione in materia di fermo amministrativo, essendo al contrario queste giurisdicenti soltanto ove il credito per il quale il fermo è disposto abbia natura tributaria.

La sentenza del Giudice di Pace in commento rivela pertanto una straordinaria lucidità proprio perché, muovendo dall’analisi delle disposizioni “vecchie e nuove”, giunge all’individuazione di un semplice e corretto criterio per il riparto della giurisdizione in materia di fermo amministrativo e, stante l’interpretazione fornita, fuga ogni dubbio di legittimità costituzionale dell’attuale assetto normativo.

 

Giurisdizione e competenza per i crediti non tributari – Di assoluto rilievo è anche la questione relativa alla giurisdizione ed alla competenza per il fermo amministrativo che sia stato disposto per crediti non tributari (es. sanzioni amministrative).

La sentenza in esame, come detto, muove da un preciso presupposto: la natura cautelare del fermo amministrativo.

Da tale preliminare qualificazione essa fa discendere due naturali conseguenze:

1) la giurisdizione ordinaria (in luogo di quella amministrativa);

2) la competenza del giudice ordinario (in luogo di quella del giudice dell’esecuzione).

In altri termini, se è vero (come presupposto dal Giudice) che il fermo amministrativo di cui all’art. 86 D.P.R. 603/1972 non è un provvedimento amministrativo, ma, al contrario, è un atto posto in essere dal creditore (Amministrazione) in quanto tale ed ha natura sostanzialmente cautelare, essendo diretto alla conservazione dei cespiti patrimoniali del debitore, sul piano pratico ne discende ovviamente che la giurisdizione spetterà al Giudice ordinario e che, d’altro canto, non configurandosi alcuna “esecuzione”, la competenza non potrà mai spettare al giudice dell’esecuzione.

Tali affermazioni sono di fondamentale rilievo poiché consentono di individuare, non solo il giudice giurisdizionalmente competente in materia di opposizione al fermo amministrativo che sia stato eventualmente disposto per crediti non tributari (e dunque sottratto all’ambito di applicazione dell’art. 19 D.Lgs. 546/1992), ma anche l’ufficio giudiziario, all’interno della G.O., dinanzi al quale promuovere tale opposizione.

Orbene, se è vero che la qualificazione del fermo amministrativo in termini di atto sostanzialmente cautelare comporta le conseguenze ora vedute, conviene allora verificare proprio l’esattezza di tale premessa, essendo evidente che, laddove si accerti tale natura cautelare, sarà inevitabile assoggettare le relative controversie alla giurisdizione ordinaria, con attribuzione della competenza ad un giudice che certamente non potrà essere quello dell’esecuzione.

Senza alcuna pretesa di completezza, può sinteticamente dirsi che le tesi sino ad oggi propugnate si sono sostanzialmente attestate su tre diverse posizioni: da un lato chi ha sostenuto che il fermo amministrativo fosse, propriamente, un atto amministrativo (cfr. T.A.R. Puglia, nn. 4135, 4104, 4061, 3829 del 16 settembre 2004; T.A.R. Piemonte, n. 3594 del 15 dicembre 2004; T.A.R. Abruzzo, n. 704 del 19 luglio 2004; Tribunale di Ivrea, 4 aprile 2005); dall’altro chi ha asserito trattarsi di un atto cautelare in senso stretto, assolvendo esso ad una funzione di conservazione del cespite patrimoniale del debitore, in vista della espropriazione forzata  (cfr. Consiglio di Stato, n. 421 del 3 febbraio 2006; n. 4689 del 13 settembre 2005; n. 4356 del 27 settembre 2004; T.A.R. Emilia-Romagna, n. 72 del 19 febbraio 2004; T.A.R. Campania, n. 12025 del 16 settembre 2004; T.A.R. Emilia Romagna, n. 2516 del 25 novembre 2003; T.A.R. Calabria, n. 2110 del 20 giugno 2003; T.A.R. Lombardia, n. 1140 del 5 maggio 2003; T.A.R. Veneto, n. 886 del 30 gennaio 2003; Tribunale di Novara, 9 maggio 2003); dall’altro, ancora, chi ha affermato che il fermo sarebbe atto pre-esecutivo, come tale di competenza (ratione materiae) del giudice dell’opposizione all’esecuzione (Cass. Civ. S.U., n. 2053 del 31 gennaio 2006).

Dichiarando espressamente di condividere l’opinione che attribuisce al fermo amministrativo natura di atto cautelare (non essendo esso né atto amministrativo, né tantomeno atto dell’esecuzione o “pre-esecutivo”), possono in questa sede sinteticamente indicarsi le ragioni che, ad avviso dello scrivente, militano a favore di tale tesi.

Il fermo amministrativo:

1- non è atto dell’esecuzione (argomentazione di carattere storico): come riconosciuto da unanime dottrina e giurisprudenza, il fermo amministrativo nasce (nel 1923, R.D. n. 2440) come atto cautelare teso alla tutela delle ragioni di credito dell’Amministrazione.

Sino alla intervenuta modifica del 2001 (D.Lgs. n. 193/2001), esso poteva essere disposto soltanto ove non fosse stato possibile eseguire il pignoramento del bene ed assolveva, pertanto, alla medesima funzione del sequestro conservativo, cui era pacificamente assimilato. Fatta eccezione per gli anni 2001-2005 (nei quali il fermo, proprio a seguito del D.Lgs. 193/2001, è stato considerato già atto dell’esecuzione), il fermo torna ad acquistare natura cautelare con la Legge 248/2005: infatti, mediante interpretazione autentica, il Legislatore statuisce che, sino all’emanazione del nuovo Decreto, al fermo amministrativo deve applicarsi il D.M. di attuazione n. 503/1998 (tale Decreto all’art. 5, co. 3,  prevede che “il concessionario, entro 60 gg. dalla ricezione… deve procedere al pignoramento del mezzo”). Conseguentemente, se il fermo deve essere necessariamente seguito dal pignoramento del bene e se, per espressa disposizione di legge, “l’esecuzione inizia con il pignoramento” (art. 494 c.p.c.), è evidente che il fermo, precedendo il pignoramento, non è atto dell’esecuzione. La natura cautelare del fermo amministrativo, così, riviene dalla sua stessa storia ed è ulteriormente riprovata dalla L. 248/2005 che, richiamando l’art. 5 del D.M. 503/1998 e disponendo che il fermo amministrativo debba essere seguito dal pignoramento, ribadisce la natura cautelare del fermo medesimo, ancora una volta assimilabile al sequestro conservativo.

Sotto altro profilo, poi (argomentazione di carattere logico), la circostanza che il fermo non sia atto dell’esecuzione trova piena conferma anche in un ulteriore rilievo: infatti, la circostanza che l’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 inserisca il fermo amministrativo (disposto per i crediti tributari) tra gli atti che possono formare oggetto di impugnazione dinanzi alle commissioni tributarie, conferma senza alcuna possibilità di smentita che il fermo non è atto dell’esecuzione, poiché altrimenti, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 546/1992, sarebbe stato escluso dalla giurisdizione tributaria (l’art. 2, infatti, espressamente sottrae gli “atti dell’esecuzione”). Sì che, salvo ritenere che il fermo amministrativo abbia una diversa natura a seconda che sia disposto o meno per crediti tributari, è evidente che, anche quando sia eseguito per crediti non tributari, esso comunque non potrà mai essere considerato “atto dell’esecuzione”.

2- non è un provvedimento amministrativo (argomentazione di carattere sistematico): non ha senso affermare che il fermo amministrativo andrebbe ascritto tra gli atti aventi natura provvedimentale “poiché – come si è sostenuto da parte di alcuni – nel normale rapporto creditore-debitore, il creditore mai potrebbe porre in essere atti di autotutela”. Ciò per due ragioni: anzitutto perché l’Amministrazione è certamente un creditore sui generis, per cui risponde ad una precisa scelta legislativa quella di predisporre in favore di tale creditore una normativa parzialmente speciale, che purtuttavia non snatura il rapporto di sostanziale parità tra Amministrazione-creditrice e cittadino-debitore; ed in secondo luogo perché anche nel paritario rapporto tra creditore e debitore “privati” esistono forme – certo eccezionali – di autotutela: si pensi al “diritto di ritenzione” riconosciuto es. al possessore, ex art. 1152 c.c. o al compratore con patto di riscatto, ex art. 1502 c.c.): sì che ricavare la natura provvedimentale del fermo dalla circostanza che i privati mai potrebbero porre in essere atti di autotutela è metodologicamente errato.

Né peraltro può sostenersi (come pure è stato fatto) che il potere di disporre il fermo sia riconosciuto all’Amministrazione “in vista della realizzazione di un interesse pubblico”: infatti, nessuno nega che l’Amministrazione agisca per la realizzazione di un interesse pubblico… vero è, però, che l’Amministrazione agisce sempre, per definizione, in vista della realizzazione dell’interesse pubblico. Per cui non si può trarre da questo argomento la convinzione che il fermo sia, già solo per questo, un provvedimento amministrativo. Così opinando, si dovrebbe affermare che, ad es., anche quando l’Amministrazione concluda un contratto, essa agisce nella veste di soggetto sovraordinato poiché atto teso, in ultimo, all’interesse pubblico. Ma è evidente che così non è.

E’ dunque pacifico che anche tali argomentazioni siano inidonee a fondare la natura provvedimentale del fermo amministrativo.

Concludendo, pertanto, va pienamente condivisa la premessa da cui ha preso le mosse il Giudice di Pace di Bari: il fermo amministrativo ha “natura di misura cautelare a tutela del credito, successiva alla notifica della cartella esattoriale ma anteriore alla esecuzione atteggiandosi, quindi, a rimedio alternativo rispetto al provvedimento esecutivo e non già ad una misura prodromica all’esecuzione”. In tale prospettiva, è inevitabile che la giurisdizione, per i fermi derivanti da crediti non tributari, spetti al giudice ordinario e che la competenza, lungi dal sussistere ratione materiae in capo al Giudice dell’Esecuzione, vada  invece ripartita secondo i normali criteri.

 

                                                                                                               

1. Riparto di Giurisdizione;

2. Giurisdizione e competenza per i crediti non tributari.

Dall’entrata in vigore del Decreto Bersani (D.L. 223/2006, convertito con L. 248/2006), si sono freneticamente succedute entusiastiche dichiarazioni secondo le quali sarebbe stata risolta, proprio in virtù delle norme contenute nel Decreto, la dibattuta questione della competenza giurisdizionale in materia di fermo amministrativo. Segnatamente – si è detto – poiché l’art. 35, co. 26 quinquies, della legge di conversione del Decreto Bersani modifica l’art. 19 del D.Lgs. 546/92, introducendo il “fermo amministrativo” tra gli atti che possono essere impugnati dinanzi al Giudice Tributario, si sarebbe in tal modo definitivamente chiarito, ope legislatoris, quale debba essere il giudice dinanzi al quale impugnare i fermi amministrativi asseritamente illegittimi.

Una recente sentenza del Giudice di Pace di Bari (sent. n. 1825/07, pubblicata il 26.2.2007) ha giustamente messo nuovamente in discussione tutto, rilevando che le norme di detto Decreto in realtà non sono innovative come si crede.

Riparto di giurisdizione La sentenza esamina puntualmente la nuova disciplina quale innovata dalle modifiche apportate dal Decreto Bersani e “scopre” che, diversamente da quanto affermato sin dai primi giorni di entrata in vigore del Decreto, la giurisdizione in materia di fermo amministrativo va ripartita nella seguente maniera: se il credito per il quale viene disposto il fermo ha natura tributaria, la Giurisdizione spetterà al Giudice Tributario; ove, invece, il credito non abbia natura tributaria, la Giurisdizione spetterà al Giudice ordinario.

A tale conclusione il Giudice di Bari perviene attraverso una ineccepibile argomentazione: poiché il fermo amministrativo è un provvedimento avente natura cautelare (e non è dunque atto dell’esecuzione), l’art. 2 del D.Lgs. 546/1992, laddove dispone (…e tale norma è in vigore già dal 1992!) che “restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento”, in realtà già prescrive (e prescriveva) che il fermo amministrativo (appunto quale atto “non dell’esecuzione) debba  (e già dovesse) rientrare nella giurisdizione tributaria.

La modifica apportata all’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 ad opera del citato Decreto, con la quale si è inserito espressamente il fermo amministrativo tra gli atti che possono formare oggetto di impugnazione dinanzi al G. Trib., in verità dunque nulla di nuovo ha disposto, avendo solo esplicitato l’impugnabilità di un atto che già ai sensi dell’art. 2 poteva/doveva essere oggetto d’impugnazione dinanzi al Giudice tributario.

Né, peraltro, potrebbe adottarsi un’interpretazione “espansiva” dell’art. 19 cit..

E’ infatti certamente da escludere che tale disposizione abbia inteso estendere la giurisdizione tributaria (in materia di fermo) a tutti i fermi amministrativi, per qualunque credito disposti: infatti, così come rilevato dal Giudice nella citata sentenza, se si leggono in combinato disposto gli artt. 2 e 19 del D.Lgs. 546/1992, risulta evidente che il Legislatore ha inteso attribuire al Giudice Tributario la competenza giurisdizionale soltanto sulla materia tributaria.

Con il D.Lgs. del 1992, infatti, sono state attribuite al Giudice Tributario tutte le controversie tributarie, che vengono cioè attratte per “comparto di materia”: è pertanto evidente che, allorquando l’art. 19 D.Lgs. 546/1992 richiama i fermi amministrativi, esso non può essere letto indipendentemente dall’art. 2 (che individua la materia nella quale il fermo è stato disposto). Conseguentemente, ne deriva che l’art. 19, espressamente richiamando il fermo amministrativo, ha implicitamente (implicito non è considerato che è sufficiente una lettura organica con altra disposizione della medesima legge, art. 2) limitato la sua portata ai fermi che siano stati pur sempre disposti nell’ambito della materia attribuita alla competenza del Giudice Tributario, ossia quella tributaria.

Devono pertanto necessariamente rigettarsi le prospettate questioni di legittimità costituzionale della disposizione (art. 35, co. 26 quinquies) contenuta nella legge di conversione del Decreto Bersani: i sostenitori di tale incostituzionalità, infatti, muovono dall’errato presupposto secondo cui l’art. 19 attrarrebbe sotto la giurisdizione delle commissioni tributarie anche quei giudizi aventi ad oggetto fermi amministrativi disposti ad es. per crediti da circolazione stradale, crediti di lavoro o previdenziali, così operando – si incalza – una illegittima, arbitraria ed illogica attribuzione “di una moltitudine di situazioni diverse ad un medesimo Giudice”.

Invero, come detto, tale denunziata illegittimità costituzionale non può affatto profilarsi, non sussistendo affatto il presupposto dal quale essa muove: un esame logico della disciplina e – soprattutto – del testo di legge, consente infatti pacificamente di negare la generalizzata attribuzione alle commissioni tributarie delle giurisdizione in materia di fermo amministrativo, essendo al contrario queste giurisdicenti soltanto ove il credito per il quale il fermo è disposto abbia natura tributaria.

La sentenza del Giudice di Pace in commento rivela pertanto una straordinaria lucidità proprio perché, muovendo dall’analisi delle disposizioni “vecchie e nuove”, giunge all’individuazione di un semplice e corretto criterio per il riparto della giurisdizione in materia di fermo amministrativo e, stante l’interpretazione fornita, fuga ogni dubbio di legittimità costituzionale dell’attuale assetto normativo.

 

Giurisdizione e competenza per i crediti non tributari – Di assoluto rilievo è anche la questione relativa alla giurisdizione ed alla competenza per il fermo amministrativo che sia stato disposto per crediti non tributari (es. sanzioni amministrative).

La sentenza in esame, come detto, muove da un preciso presupposto: la natura cautelare del fermo amministrativo.

Da tale preliminare qualificazione essa fa discendere due naturali conseguenze:

1) la giurisdizione ordinaria (in luogo di quella amministrativa);

2) la competenza del giudice ordinario (in luogo di quella del giudice dell’esecuzione).

In altri termini, se è vero (come presupposto dal Giudice) che il fermo amministrativo di cui all’art. 86 D.P.R. 603/1972 non è un provvedimento amministrativo, ma, al contrario, è un atto posto in essere dal creditore (Amministrazione) in quanto tale ed ha natura sostanzialmente cautelare, essendo diretto alla conservazione dei cespiti patrimoniali del debitore, sul piano pratico ne discende ovviamente che la giurisdizione spetterà al Giudice ordinario e che, d’altro canto, non configurandosi alcuna “esecuzione”, la competenza non potrà mai spettare al giudice dell’esecuzione.

Tali affermazioni sono di fondamentale rilievo poiché consentono di individuare, non solo il giudice giurisdizionalmente competente in materia di opposizione al fermo amministrativo che sia stato eventualmente disposto per crediti non tributari (e dunque sottratto all’ambito di applicazione dell’art. 19 D.Lgs. 546/1992), ma anche l’ufficio giudiziario, all’interno della G.O., dinanzi al quale promuovere tale opposizione.

Orbene, se è vero che la qualificazione del fermo amministrativo in termini di atto sostanzialmente cautelare comporta le conseguenze ora vedute, conviene allora verificare proprio l’esattezza di tale premessa, essendo evidente che, laddove si accerti tale natura cautelare, sarà inevitabile assoggettare le relative controversie alla giurisdizione ordinaria, con attribuzione della competenza ad un giudice che certamente non potrà essere quello dell’esecuzione.

Senza alcuna pretesa di completezza, può sinteticamente dirsi che le tesi sino ad oggi propugnate si sono sostanzialmente attestate su tre diverse posizioni: da un lato chi ha sostenuto che il fermo amministrativo fosse, propriamente, un atto amministrativo (cfr. T.A.R. Puglia, nn. 4135, 4104, 4061, 3829 del 16 settembre 2004; T.A.R. Piemonte, n. 3594 del 15 dicembre 2004; T.A.R. Abruzzo, n. 704 del 19 luglio 2004; Tribunale di Ivrea, 4 aprile 2005); dall’altro chi ha asserito trattarsi di un atto cautelare in senso stretto, assolvendo esso ad una funzione di conservazione del cespite patrimoniale del debitore, in vista della espropriazione forzata  (cfr. Consiglio di Stato, n. 421 del 3 febbraio 2006; n. 4689 del 13 settembre 2005; n. 4356 del 27 settembre 2004; T.A.R. Emilia-Romagna, n. 72 del 19 febbraio 2004; T.A.R. Campania, n. 12025 del 16 settembre 2004; T.A.R. Emilia Romagna, n. 2516 del 25 novembre 2003; T.A.R. Calabria, n. 2110 del 20 giugno 2003; T.A.R. Lombardia, n. 1140 del 5 maggio 2003; T.A.R. Veneto, n. 886 del 30 gennaio 2003; Tribunale di Novara, 9 maggio 2003); dall’altro, ancora, chi ha affermato che il fermo sarebbe atto pre-esecutivo, come tale di competenza (ratione materiae) del giudice dell’opposizione all’esecuzione (Cass. Civ. S.U., n. 2053 del 31 gennaio 2006).

Dichiarando espressamente di condividere l’opinione che attribuisce al fermo amministrativo natura di atto cautelare (non essendo esso né atto amministrativo, né tantomeno atto dell’esecuzione o “pre-esecutivo”), possono in questa sede sinteticamente indicarsi le ragioni che, ad avviso dello scrivente, militano a favore di tale tesi.

Il fermo amministrativo:

1- non è atto dell’esecuzione (argomentazione di carattere storico): come riconosciuto da unanime dottrina e giurisprudenza, il fermo amministrativo nasce (nel 1923, R.D. n. 2440) come atto cautelare teso alla tutela delle ragioni di credito dell’Amministrazione.

Sino alla intervenuta modifica del 2001 (D.Lgs. n. 193/2001), esso poteva essere disposto soltanto ove non fosse stato possibile eseguire il pignoramento del bene ed assolveva, pertanto, alla medesima funzione del sequestro conservativo, cui era pacificamente assimilato. Fatta eccezione per gli anni 2001-2005 (nei quali il fermo, proprio a seguito del D.Lgs. 193/2001, è stato considerato già atto dell’esecuzione), il fermo torna ad acquistare natura cautelare con la Legge 248/2005: infatti, mediante interpretazione autentica, il Legislatore statuisce che, sino all’emanazione del nuovo Decreto, al fermo amministrativo deve applicarsi il D.M. di attuazione n. 503/1998 (tale Decreto all’art. 5, co. 3,  prevede che “il concessionario, entro 60 gg. dalla ricezione… deve procedere al pignoramento del mezzo”). Conseguentemente, se il fermo deve essere necessariamente seguito dal pignoramento del bene e se, per espressa disposizione di legge, “l’esecuzione inizia con il pignoramento” (art. 494 c.p.c.), è evidente che il fermo, precedendo il pignoramento, non è atto dell’esecuzione. La natura cautelare del fermo amministrativo, così, riviene dalla sua stessa storia ed è ulteriormente riprovata dalla L. 248/2005 che, richiamando l’art. 5 del D.M. 503/1998 e disponendo che il fermo amministrativo debba essere seguito dal pignoramento, ribadisce la natura cautelare del fermo medesimo, ancora una volta assimilabile al sequestro conservativo.

Sotto altro profilo, poi (argomentazione di carattere logico), la circostanza che il fermo non sia atto dell’esecuzione trova piena conferma anche in un ulteriore rilievo: infatti, la circostanza che l’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 inserisca il fermo amministrativo (disposto per i crediti tributari) tra gli atti che possono formare oggetto di impugnazione dinanzi alle commissioni tributarie, conferma senza alcuna possibilità di smentita che il fermo non è atto dell’esecuzione, poiché altrimenti, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 546/1992, sarebbe stato escluso dalla giurisdizione tributaria (l’art. 2, infatti, espressamente sottrae gli “atti dell’esecuzione”). Sì che, salvo ritenere che il fermo amministrativo abbia una diversa natura a seconda che sia disposto o meno per crediti tributari, è evidente che, anche quando sia eseguito per crediti non tributari, esso comunque non potrà mai essere considerato “atto dell’esecuzione”.

2- non è un provvedimento amministrativo (argomentazione di carattere sistematico): non ha senso affermare che il fermo amministrativo andrebbe ascritto tra gli atti aventi natura provvedimentale “poiché – come si è sostenuto da parte di alcuni – nel normale rapporto creditore-debitore, il creditore mai potrebbe porre in essere atti di autotutela”. Ciò per due ragioni: anzitutto perché l’Amministrazione è certamente un creditore sui generis, per cui risponde ad una precisa scelta legislativa quella di predisporre in favore di tale creditore una normativa parzialmente speciale, che purtuttavia non snatura il rapporto di sostanziale parità tra Amministrazione-creditrice e cittadino-debitore; ed in secondo luogo perché anche nel paritario rapporto tra creditore e debitore “privati” esistono forme – certo eccezionali – di autotutela: si pensi al “diritto di ritenzione” riconosciuto es. al possessore, ex art. 1152 c.c. o al compratore con patto di riscatto, ex art. 1502 c.c.): sì che ricavare la natura provvedimentale del fermo dalla circostanza che i privati mai potrebbero porre in essere atti di autotutela è metodologicamente errato.

Né peraltro può sostenersi (come pure è stato fatto) che il potere di disporre il fermo sia riconosciuto all’Amministrazione “in vista della realizzazione di un interesse pubblico”: infatti, nessuno nega che l’Amministrazione agisca per la realizzazione di un interesse pubblico… vero è, però, che l’Amministrazione agisce sempre, per definizione, in vista della realizzazione dell’interesse pubblico. Per cui non si può trarre da questo argomento la convinzione che il fermo sia, già solo per questo, un provvedimento amministrativo. Così opinando, si dovrebbe affermare che, ad es., anche quando l’Amministrazione concluda un contratto, essa agisce nella veste di soggetto sovraordinato poiché atto teso, in ultimo, all’interesse pubblico. Ma è evidente che così non è.

E’ dunque pacifico che anche tali argomentazioni siano inidonee a fondare la natura provvedimentale del fermo amministrativo.

Concludendo, pertanto, va pienamente condivisa la premessa da cui ha preso le mosse il Giudice di Pace di Bari: il fermo amministrativo ha “natura di misura cautelare a tutela del credito, successiva alla notifica della cartella esattoriale ma anteriore alla esecuzione atteggiandosi, quindi, a rimedio alternativo rispetto al provvedimento esecutivo e non già ad una misura prodromica all’esecuzione”. In tale prospettiva, è inevitabile che la giurisdizione, per i fermi derivanti da crediti non tributari, spetti al giudice ordinario e che la competenza, lungi dal sussistere ratione materiae in capo al Giudice dell’Esecuzione, vada  invece ripartita secondo i normali criteri.