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I Consorzi di Bonifica ed il beneficio fondiario specifico e diretto quale fondamento dell’imposizione contributiva consortile

1. BREVI CENNI SULLE FUNZIONI DEI CONSORZI DI BONIFICA

I Consorzi di Bonifica sono enti di diritto pubblico preposti dal R.D. 13 febbraio 1933 n.215 - Nuove norme per la bonifica integrale – e successive modifiche ed integrazioni, alla realizzazione ed alla manutenzione di opere di bonifica idraulica, di reti di distribuzione irrigua, di risanamento igienico - ambientale (ad es. attraverso la bonifica di paludi, la costruzione di reti di scolo etc.), di miglioramento fondiario (ad es. sotto il profilo della fertilità e produttività in agricoltura), di prevenzione del rischio idrogeologico (causato da esondazioni, smottamenti alluvionali, erosione etc.), di sistemazione dei corsi d’acqua (ad es. attraverso la pulizia degli alvei e la manutenzione degli argini etc).

Questi enti, che operano su tutto il territorio nazionale secondo una ripartizione di competenze definite a livello regionale, svolgono la loro attività entro i limiti consentiti dalle leggi (statali e regionali) e dal loro statuto.

Per l’adempimento dei propri fini istituzionali i Consorzi necessitano di notevoli risorse economiche, cosicché gli stessi, oltre a godere di sussidi statali e regionali, hanno il potere di imporre contributi alle proprietà consorziate.

Tali contributi sono oneri aventi natura reale in quanto gravano sui fondi ricompresi all’interno del comprensorio di bonifica di competenza del singolo Consorzio .

L’ambito operativo di competenza dei Consorzi coincide, in genere, con determinate aree geografiche (spesso corrispondenti con quelle di una provincia), cosicché all’interno di ciascun comprensorio sono inseriti tutti gli immobili che si trovano geograficamente ubicati in una data area territoriale.

La ripartizione della quota di spesa tra i proprietari dei fondi deve (o come si vedrà in appresso dovrebbe essere) fatta in ragione dei benefici specifici e diretti conseguiti dai singoli immobili per effetto delle opere di bonifica realizzate e mantenute in efficienza dal Consorzio.

Ciò emerge chiaramente dal sistema di disposizioni normative dettate a livello nazionale dal citato R.D. n.215/1933, nonché dalle specifiche leggi regionali attuative, che attribuiscono ai Consorzi il potere di imporre contributi esclusivamente in presenza di opere di bonifica effettivamente funzionanti e produttive di benefici specifici e diretti sui fondi ricompresi nel proprio ambito di competenza istituzionale.

Tuttavia, non è difficile riscontrare che i Consorzi impongono, frequentemente ed in modo illegittimo, il loro potere impositivo per il mero fatto dell’ubicazione geografica degli immobili all’interno del comprensorio di appartenenza.

Come si dirà in appresso, il sistema normativo e l’interpretazione di quest’ultimo offerta da un consolidato orientamento giurisprudenziale evidenziano, invece, che tale potere può esplicarsi esclusivamente in presenza di un’opera di bonifica dalla quale scaturisce una utilitas specifica per il fondo facente parte del comprensorio.

2. L’IRRILEVANZA DEI BENEFICI FONDIARI INDIRETTI

Per giustificare il loro potere impositivo, non di rado i Consorzi assumono, nei confronti dei contribuenti, di aver realizzato delle opere dalle quali deriverebbe, indistintamente a favore di tutti gli immobili siti all’interno del comprensorio di appartenenza, un imprecisato “beneficio di carattere generale”. In particolare, i Consorzi, non riuscendo ad individuare il concreto beneficio specifico e diretto che ciascun fondo dovrebbe trarre dall’attività di bonifica, si limitano a vantare di aver migliorato con le loro opere la salubrità dell’aria, l’igiene ambientale, l’assetto territoriale oppure si spingono oltre fino ad affermare che il mero fatto di aver progettato il miglioramento fondiario sia di per sè un’opera sufficiente a legittimare l’esazione dei contributi. Tuttavia, così facendo i Consorzi non fanno altro che ammettere l’infondatezza della loro pretesa impositiva, essendo assente il beneficio specifico e diretto, richiesto ex lege, a favore degli immobili facenti parte del loro comprensorio.

Ciò è confermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale la prova dell’esistenza di un beneficio generico risulta irrilevante quale giustificazione della pretesa contributiva consortile (C. Cass. n.8960/96).

3. LA NECESSITA’ DEL BENEFICIO FONDIARIO SPECIFICO E DIRETTO

Può anche accadere che il Consorzio, in sede di contenzioso tributario, tenti di sostenere la legittimità della propria esazione contributiva, fondandola non sul beneficio specifico e diretto previsto ex lege, ma sulla mera ubicazione degli immobili all’interno del proprio comprensorio, argomentando che dalla natura tributaria del contributo consortile discende il proprio diritto di imposizione.

Anche in questo caso, l’argomentazione non può ritenersi corretta.

Infatti, la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale (Sez. Un. n. 1501/1988; C. Cass. Sez. Un. n. 1396/1993; Sez. I n. 7754/1997; Sez. Un. n. 9493/1998 C. Cass. n.4337/2002), pur ammettendo la natura tributaria dei contributi, escludono del tutto la loro equiparabilità alle imposte (Corte Cost. n.26/1998). Secondo la citata giurisprudenza, il fondamento dei contributi consortili non è insito nella generica capacità contributiva dei cittadini, costituente invece la base del prelievo fiscale a sostegno della spesa pubblica, ma scaturisce esclusivamente dal concreto beneficio conseguito dagli immobili in forza del servizio erogato dal Consorzio. Pertanto, ai fini della soggezione contributiva, non è sufficiente l’ubicazione degli immobili nel perimetro di contribuenza, ma occorre che gli stessi abbiano o possano potenzialmente conseguire un beneficio particolare dall’esecuzione delle opere di bonifica (C. Cass. n. 7511/1993). Con la sentenza n. 9857/1996, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha definito il principio secondo cui, ai fini della contribuenza, gli immobili devono conseguire un vantaggio fondiario ossia un incremento di valore direttamente riconducibile alle opere di bonifica ed alla loro manutenzione che si traduce in una qualità del fondo (Comm. Trib. Reg. Umbria n. 12/2005, n.67/2005, Comm. Trib. Reg. Campania n.71/2005, Comm. Trib. Reg. Toscana n.51/2005). Il vantaggio fondiario (C. Cass. n.4144/1996) può essere anche di tipo generale, quando riguarda un insieme rilevante di immobili ciascuno dei quali ricava un beneficio dall’opera consortile, ma non può essere generico, altrimenti si perderebbe l’inerenza al fondo beneficato, la quale è assicurata soltanto dal carattere particolare (anche se ripetuto per una pluralità di fondi) del vantaggio stesso. Secondo la giurisprudenza dominante, ai fini della legittima imposizione contributiva, non assume rilevanza il beneficio complessivo derivato dall’esecuzione di tutte le opere di bonifica, né il miglioramento complessivo dell’igiene e dell’assetto territoriale. Mentre, assume rilevanza la sussistenza di un rapporto causale tra le opere di bonifica e l’incremento di valore dell’immobile in relazione al quale il Consorzio pretende il contributo.

4. LA NATURA PARA-COMMUTATIVA DEL CONTRIBUTO CONSORTILE

Il principio, che spesso emerge dalle pronunce giurisprudenziali, secondo cui la sussistenza del beneficio fondiario specifico e diretto deve essere accertata, quale imprescindibile presupposto impositivo, non deve essere letto (come spesso viene sostenuto da qualche Consorzio) quale affermazione di un rapporto sinallagmatico tra il Consorzio ed i proprietari dei fondi. E’, ormai, noto ed indiscusso il fatto che il contributo consortile ha natura non sinallagmatica, in quanto non sussiste alcun rapporto contrattuale tra le parti in forza del quale ciascuna possa pretendere dall’altra una prestazione avente carattere di corrispettivo. La natura del contributo è invece para – commutativa. Ciò comporta che, il contributo può essere legittimamente imposto soltanto quando, in forza dell’opera di bonifica, si sia prodotto quel particolare beneficio specifico e diretto, richiesto ex lege, che migliora la qualità ed incrementa il valore del terreno inserito nel comprensorio consortile (Comm. Trib. Prov. Matera n.304/2003).

5. LE CONSEGUENZE DELLA MANCANZA DI PROVA DEL BENEFICIO FONDIARIO SPECIFICO E DIRETTO

Non di rado, qualche Consorzio, sempre in sede di contenzioso, sostiene di essere esonerato dall’onere della prova circa la effettiva sussistenza del vantaggio che a ciascun terreno del comprensorio deriva dall’attività consortile.

A sostegno di tale asserzione, spesso vengono richiamate alcune sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciali in forza delle quali si è affermata la legittimità dell’imposizione di contributi consortili alle proprietà ricadenti all’interno di uno specifico territorio. Ma tale citazione viene fatta in modo acritico senza tenere in considerazione il fatto che in particolari regioni (quali ad es. il Veneto e l’Emilia Romagna), caratterizzate da specifiche morfologie territoriali e gravi problemi idrogeologici (esondazioni, allagamenti, ristagno delle acque, smottamenti etc.) per prevenire i quali, o per porvi rimedio, si sono dovuti realizzare rilevanti e dispendiosi interventi di bonifica, in assenza dei quali ogni immobile ubicato nel comprensorio sarebbe stato esposto ad un rischio ambientale imminente ed irreparabile.

Ciò non dimostra l’esistenza di un principio secondo cui l’ubicazione di un immobile all’interno del comprensorio legittima il Consorzio all’imposizione del contributo senza che da quest’ultimo venga fornita alcuna prova dell’esistenza del beneficio fondiario specifico e diretto.

Partendo da una semplice osservazione geografica del territorio nazionale è possibile riscontrare la presenza di innumerevoli conformazioni territoriali, ne discende che non è immaginabile che tutti i territori (a livello nazionale, regionale o provinciale) richiedano i medesimi interventi di bonifica per prevenire ad esempio le esondazioni e gli smottamenti, oppure che tutti gli immobili facenti parte di un qualsiasi comprensorio consortile necessitino di interventi di risanamento ambientale. Né è possibile affermare che tutti gli immobili facenti parte di un qualsiasi comprensorio siano forniti di reti di distribuzione irrigua.

La semplice ubicazione di un immobile all’interno di un comprensorio non costituisce la prova del fatto che lo stesso risulta migliorato, sotto l’aspetto fondiario, in forza delle opere di bonifica.

Cosicché, risulta inopportuno limitarsi a leggere la singola massima giurisprudenziale che afferma la legittimità dell’imposizione contributiva, senza comprendere in quale contesto territoriale si trova l’immobile che la sentenza ha dichiarato essere soggetto al contributo consortile.

A ben guardare, infatti, esistono sentenze come quella emessa dalla Comm. Trib. Reg. Emilia Romagna n.72/2007 secondo cui, anche in particolari regioni ove l’intervento di bonifica è stato imponente, i Consorzi debbono, comunque, fornire la prova dell’utilità conseguita dai fondi per effetto dell’attività di bonifica, perché se è vero che alcuni di essi ne hanno tratto beneficio, può essere altrettanto vero che altri, per via della loro particolare ubicazione, non ne abbiano avuto beneficio alcuno.

Il dominante ed ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione conferma pienamente l’interpretazione prevalente delle corti di merito. Infatti, sin dall’anno 1984, la Suprema Corte con la sentenza n.877 pronunciata a Sezioni Unite, ha affermato la necessità della prova del vantaggio in derivazione causale con l’opera di bonifica e che non è sufficiente la mera inclusione di un immobile nel territorio appartenente al comprensorio perché si possa presumere il beneficio in favore del contribuente, richiesto dall’art. 860 c.c. e dall’art. 10 del R.D.13.02.33, n. 215 (cfr. inoltre C. Cass. n.2990/79, n.19509/2004 e n.18415/2005, Comm. Trib. Reg. Lazio n. 57/2005). La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n.66/1992, nel riferirsi proprio alla Regione Emilia Romagna, ha affermato che “la classificazione dell’intero territorio regionale come area di bonifica non comporta di per sé una generalizzata sottoposizione del predetto territorio ai vincoli di bonifica e, inoltre, non pregiudica affatto il principio che tali vincoli siano imposti soltanto in dipendenza di un bisogno effettivo di riassetto del territorio considerato e che i contributi siano richiesti ai privati soltanto in ragione dei benefici da essi conseguiti per effetto delle opere di bonifica”.

Alla luce di quanto sopra, la pretesa impositiva del Consorzio diviene illegittima (e pertanto contestabile dal contribuente nanti la Commissione Tributaria Provinciale competente con ricorso tributario ex art.18 e ss. del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n.546) nel momento in cui quest’ultimo non riesca ad assolvere il proprio onere probatorio, consistente nella dimostrazione dell’esistenza del beneficio fondiario specifico e diretto in favore delle proprietà consorziate e della sua derivazione causale dall’attività consortile.

1. BREVI CENNI SULLE FUNZIONI DEI CONSORZI DI BONIFICA

I Consorzi di Bonifica sono enti di diritto pubblico preposti dal R.D. 13 febbraio 1933 n.215 - Nuove norme per la bonifica integrale – e successive modifiche ed integrazioni, alla realizzazione ed alla manutenzione di opere di bonifica idraulica, di reti di distribuzione irrigua, di risanamento igienico - ambientale (ad es. attraverso la bonifica di paludi, la costruzione di reti di scolo etc.), di miglioramento fondiario (ad es. sotto il profilo della fertilità e produttività in agricoltura), di prevenzione del rischio idrogeologico (causato da esondazioni, smottamenti alluvionali, erosione etc.), di sistemazione dei corsi d’acqua (ad es. attraverso la pulizia degli alvei e la manutenzione degli argini etc).

Questi enti, che operano su tutto il territorio nazionale secondo una ripartizione di competenze definite a livello regionale, svolgono la loro attività entro i limiti consentiti dalle leggi (statali e regionali) e dal loro statuto.

Per l’adempimento dei propri fini istituzionali i Consorzi necessitano di notevoli risorse economiche, cosicché gli stessi, oltre a godere di sussidi statali e regionali, hanno il potere di imporre contributi alle proprietà consorziate.

Tali contributi sono oneri aventi natura reale in quanto gravano sui fondi ricompresi all’interno del comprensorio di bonifica di competenza del singolo Consorzio .

L’ambito operativo di competenza dei Consorzi coincide, in genere, con determinate aree geografiche (spesso corrispondenti con quelle di una provincia), cosicché all’interno di ciascun comprensorio sono inseriti tutti gli immobili che si trovano geograficamente ubicati in una data area territoriale.

La ripartizione della quota di spesa tra i proprietari dei fondi deve (o come si vedrà in appresso dovrebbe essere) fatta in ragione dei benefici specifici e diretti conseguiti dai singoli immobili per effetto delle opere di bonifica realizzate e mantenute in efficienza dal Consorzio.

Ciò emerge chiaramente dal sistema di disposizioni normative dettate a livello nazionale dal citato R.D. n.215/1933, nonché dalle specifiche leggi regionali attuative, che attribuiscono ai Consorzi il potere di imporre contributi esclusivamente in presenza di opere di bonifica effettivamente funzionanti e produttive di benefici specifici e diretti sui fondi ricompresi nel proprio ambito di competenza istituzionale.

Tuttavia, non è difficile riscontrare che i Consorzi impongono, frequentemente ed in modo illegittimo, il loro potere impositivo per il mero fatto dell’ubicazione geografica degli immobili all’interno del comprensorio di appartenenza.

Come si dirà in appresso, il sistema normativo e l’interpretazione di quest’ultimo offerta da un consolidato orientamento giurisprudenziale evidenziano, invece, che tale potere può esplicarsi esclusivamente in presenza di un’opera di bonifica dalla quale scaturisce una utilitas specifica per il fondo facente parte del comprensorio.

2. L’IRRILEVANZA DEI BENEFICI FONDIARI INDIRETTI

Per giustificare il loro potere impositivo, non di rado i Consorzi assumono, nei confronti dei contribuenti, di aver realizzato delle opere dalle quali deriverebbe, indistintamente a favore di tutti gli immobili siti all’interno del comprensorio di appartenenza, un imprecisato “beneficio di carattere generale”. In particolare, i Consorzi, non riuscendo ad individuare il concreto beneficio specifico e diretto che ciascun fondo dovrebbe trarre dall’attività di bonifica, si limitano a vantare di aver migliorato con le loro opere la salubrità dell’aria, l’igiene ambientale, l’assetto territoriale oppure si spingono oltre fino ad affermare che il mero fatto di aver progettato il miglioramento fondiario sia di per sè un’opera sufficiente a legittimare l’esazione dei contributi. Tuttavia, così facendo i Consorzi non fanno altro che ammettere l’infondatezza della loro pretesa impositiva, essendo assente il beneficio specifico e diretto, richiesto ex lege, a favore degli immobili facenti parte del loro comprensorio.

Ciò è confermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale la prova dell’esistenza di un beneficio generico risulta irrilevante quale giustificazione della pretesa contributiva consortile (C. Cass. n.8960/96).

3. LA NECESSITA’ DEL BENEFICIO FONDIARIO SPECIFICO E DIRETTO

Può anche accadere che il Consorzio, in sede di contenzioso tributario, tenti di sostenere la legittimità della propria esazione contributiva, fondandola non sul beneficio specifico e diretto previsto ex lege, ma sulla mera ubicazione degli immobili all’interno del proprio comprensorio, argomentando che dalla natura tributaria del contributo consortile discende il proprio diritto di imposizione.

Anche in questo caso, l’argomentazione non può ritenersi corretta.

Infatti, la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale (Sez. Un. n. 1501/1988; C. Cass. Sez. Un. n. 1396/1993; Sez. I n. 7754/1997; Sez. Un. n. 9493/1998 C. Cass. n.4337/2002), pur ammettendo la natura tributaria dei contributi, escludono del tutto la loro equiparabilità alle imposte (Corte Cost. n.26/1998). Secondo la citata giurisprudenza, il fondamento dei contributi consortili non è insito nella generica capacità contributiva dei cittadini, costituente invece la base del prelievo fiscale a sostegno della spesa pubblica, ma scaturisce esclusivamente dal concreto beneficio conseguito dagli immobili in forza del servizio erogato dal Consorzio. Pertanto, ai fini della soggezione contributiva, non è sufficiente l’ubicazione degli immobili nel perimetro di contribuenza, ma occorre che gli stessi abbiano o possano potenzialmente conseguire un beneficio particolare dall’esecuzione delle opere di bonifica (C. Cass. n. 7511/1993). Con la sentenza n. 9857/1996, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha definito il principio secondo cui, ai fini della contribuenza, gli immobili devono conseguire un vantaggio fondiario ossia un incremento di valore direttamente riconducibile alle opere di bonifica ed alla loro manutenzione che si traduce in una qualità del fondo (Comm. Trib. Reg. Umbria n. 12/2005, n.67/2005, Comm. Trib. Reg. Campania n.71/2005, Comm. Trib. Reg. Toscana n.51/2005). Il vantaggio fondiario (C. Cass. n.4144/1996) può essere anche di tipo generale, quando riguarda un insieme rilevante di immobili ciascuno dei quali ricava un beneficio dall’opera consortile, ma non può essere generico, altrimenti si perderebbe l’inerenza al fondo beneficato, la quale è assicurata soltanto dal carattere particolare (anche se ripetuto per una pluralità di fondi) del vantaggio stesso. Secondo la giurisprudenza dominante, ai fini della legittima imposizione contributiva, non assume rilevanza il beneficio complessivo derivato dall’esecuzione di tutte le opere di bonifica, né il miglioramento complessivo dell’igiene e dell’assetto territoriale. Mentre, assume rilevanza la sussistenza di un rapporto causale tra le opere di bonifica e l’incremento di valore dell’immobile in relazione al quale il Consorzio pretende il contributo.

4. LA NATURA PARA-COMMUTATIVA DEL CONTRIBUTO CONSORTILE

Il principio, che spesso emerge dalle pronunce giurisprudenziali, secondo cui la sussistenza del beneficio fondiario specifico e diretto deve essere accertata, quale imprescindibile presupposto impositivo, non deve essere letto (come spesso viene sostenuto da qualche Consorzio) quale affermazione di un rapporto sinallagmatico tra il Consorzio ed i proprietari dei fondi. E’, ormai, noto ed indiscusso il fatto che il contributo consortile ha natura non sinallagmatica, in quanto non sussiste alcun rapporto contrattuale tra le parti in forza del quale ciascuna possa pretendere dall’altra una prestazione avente carattere di corrispettivo. La natura del contributo è invece para – commutativa. Ciò comporta che, il contributo può essere legittimamente imposto soltanto quando, in forza dell’opera di bonifica, si sia prodotto quel particolare beneficio specifico e diretto, richiesto ex lege, che migliora la qualità ed incrementa il valore del terreno inserito nel comprensorio consortile (Comm. Trib. Prov. Matera n.304/2003).

5. LE CONSEGUENZE DELLA MANCANZA DI PROVA DEL BENEFICIO FONDIARIO SPECIFICO E DIRETTO

Non di rado, qualche Consorzio, sempre in sede di contenzioso, sostiene di essere esonerato dall’onere della prova circa la effettiva sussistenza del vantaggio che a ciascun terreno del comprensorio deriva dall’attività consortile.

A sostegno di tale asserzione, spesso vengono richiamate alcune sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciali in forza delle quali si è affermata la legittimità dell’imposizione di contributi consortili alle proprietà ricadenti all’interno di uno specifico territorio. Ma tale citazione viene fatta in modo acritico senza tenere in considerazione il fatto che in particolari regioni (quali ad es. il Veneto e l’Emilia Romagna), caratterizzate da specifiche morfologie territoriali e gravi problemi idrogeologici (esondazioni, allagamenti, ristagno delle acque, smottamenti etc.) per prevenire i quali, o per porvi rimedio, si sono dovuti realizzare rilevanti e dispendiosi interventi di bonifica, in assenza dei quali ogni immobile ubicato nel comprensorio sarebbe stato esposto ad un rischio ambientale imminente ed irreparabile.

Ciò non dimostra l’esistenza di un principio secondo cui l’ubicazione di un immobile all’interno del comprensorio legittima il Consorzio all’imposizione del contributo senza che da quest’ultimo venga fornita alcuna prova dell’esistenza del beneficio fondiario specifico e diretto.

Partendo da una semplice osservazione geografica del territorio nazionale è possibile riscontrare la presenza di innumerevoli conformazioni territoriali, ne discende che non è immaginabile che tutti i territori (a livello nazionale, regionale o provinciale) richiedano i medesimi interventi di bonifica per prevenire ad esempio le esondazioni e gli smottamenti, oppure che tutti gli immobili facenti parte di un qualsiasi comprensorio consortile necessitino di interventi di risanamento ambientale. Né è possibile affermare che tutti gli immobili facenti parte di un qualsiasi comprensorio siano forniti di reti di distribuzione irrigua.

La semplice ubicazione di un immobile all’interno di un comprensorio non costituisce la prova del fatto che lo stesso risulta migliorato, sotto l’aspetto fondiario, in forza delle opere di bonifica.

Cosicché, risulta inopportuno limitarsi a leggere la singola massima giurisprudenziale che afferma la legittimità dell’imposizione contributiva, senza comprendere in quale contesto territoriale si trova l’immobile che la sentenza ha dichiarato essere soggetto al contributo consortile.

A ben guardare, infatti, esistono sentenze come quella emessa dalla Comm. Trib. Reg. Emilia Romagna n.72/2007 secondo cui, anche in particolari regioni ove l’intervento di bonifica è stato imponente, i Consorzi debbono, comunque, fornire la prova dell’utilità conseguita dai fondi per effetto dell’attività di bonifica, perché se è vero che alcuni di essi ne hanno tratto beneficio, può essere altrettanto vero che altri, per via della loro particolare ubicazione, non ne abbiano avuto beneficio alcuno.

Il dominante ed ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione conferma pienamente l’interpretazione prevalente delle corti di merito. Infatti, sin dall’anno 1984, la Suprema Corte con la sentenza n.877 pronunciata a Sezioni Unite, ha affermato la necessità della prova del vantaggio in derivazione causale con l’opera di bonifica e che non è sufficiente la mera inclusione di un immobile nel territorio appartenente al comprensorio perché si possa presumere il beneficio in favore del contribuente, richiesto dall’art. 860 c.c. e dall’art. 10 del R.D.13.02.33, n. 215 (cfr. inoltre C. Cass. n.2990/79, n.19509/2004 e n.18415/2005, Comm. Trib. Reg. Lazio n. 57/2005). La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n.66/1992, nel riferirsi proprio alla Regione Emilia Romagna, ha affermato che “la classificazione dell’intero territorio regionale come area di bonifica non comporta di per sé una generalizzata sottoposizione del predetto territorio ai vincoli di bonifica e, inoltre, non pregiudica affatto il principio che tali vincoli siano imposti soltanto in dipendenza di un bisogno effettivo di riassetto del territorio considerato e che i contributi siano richiesti ai privati soltanto in ragione dei benefici da essi conseguiti per effetto delle opere di bonifica”.

Alla luce di quanto sopra, la pretesa impositiva del Consorzio diviene illegittima (e pertanto contestabile dal contribuente nanti la Commissione Tributaria Provinciale competente con ricorso tributario ex art.18 e ss. del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n.546) nel momento in cui quest’ultimo non riesca ad assolvere il proprio onere probatorio, consistente nella dimostrazione dell’esistenza del beneficio fondiario specifico e diretto in favore delle proprietà consorziate e della sua derivazione causale dall’attività consortile.