I marchi denominativi costituiti da vocaboli stranieri
[The European Court of Justice rules again on descriptive foreign word trademarks]
1. Premessa
A pochi mesi di distanza dalla sentenza caso Matrazen C-412, la Corte di Giustizia Europea si è nuovamente pronunziata in materia di marchi denominativi costituiti da vocaboli stranieri, affrontando, nel caso di specie, la questione con specifico riferimento agli Stati membri multilingue.
2. Il principio dettato dalla Corte nel procedimento C-108/05
Con sentenza datata 7 settembre 2006, la Corte di Giustizia Europea ha stabilito il principio che l’articolo 3 della Direttiva sui marchi (Direttiva del Consiglio del 21 dicembre 1988, n. 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa) deve essere interpretato nel senso che: “la registrazione di un marchio può essere ammessa sulla base di questa disposizione solo se si dimostra che tale marchio ha acquisito in seguito all’uso un carattere distintivo in tutta la parte del territorio dello Stato membro o, nel caso del Benelux, in tutta la parte del territorio di quest’ultimo in cui esiste un impedimento alla registrazione”. Inoltre, “per quanto riguarda un marchio che consiste in una o più parole di una lingua ufficiale di uno Stato membro o del Benelux, se l’impedimento alla registrazione esiste solo in una delle zone linguistiche dello Stato membro o, nel caso del Benelux, in una delle zone linguistiche di quest’ultimo, si deve dimostrare che il marchio ha acquisito in seguito all’uso un carattere distintivo in tutta questa zona linguistica. Nella zona linguistica così definita, occorre valutare se gli ambienti interessati, o quantomeno una frazione significativa di questi ultimi, identifichino grazie al marchio il prodotto come proveniente da un’impresa determinata”.
3. L’esame della sentenza nel procedimento C-108/05
La sentenza in rassegna trae spunto da una controversia sorta nel maggio 1997 tra la società Bovemij Verzekeringen NV (in prosieguo: Bovemij) ed il Benelux-Merkenbureau (Ufficio dei marchi Benelux; in prosieguo UMB) relativamente al rifiuto da parte di quest’ultimo di registrare come marchio il segno EUROPOLIS.
L’UMB del Benelux aveva rigettato la domanda di registrazione del marchio denominativo EUROPOLIS per una serie di servizi appartenenti alle classi 36 (assicurazioni, affari finanziari, affari monetari, affari immobiliari) e 39 (trasporto, imballaggio e deposito di merci, organizzazione di viaggi), fornendo la motivazione che il marchio richiesto era composto dal prefisso corrente EURO (per Europa) e del termine generico POLIS, parola impiegata abitualmente in lingua olandese - che è una delle lingue utilizzate nel Benelux - per designare un contratto di assicurazione.
La società Bovemij aveva quindi presentato ricorso avanti la Corte d’Appello dell’Aja, sostenendo, in via principale, che il segno EUROPOLIS aveva carattere distintivo in se stesso e, in subordine, che detto segno aveva comunque acquisito capacità distintiva tramite il suo uso prima della data della domanda; ciò, ai sensi dell’articolo 3, n. 3 della Direttiva sui marchi, il quale prevede che gli impedimenti assoluti alla registrazioni previsti dalla stessa Direttiva non si applicano se il marchio richiesto ha acquisito un carattere distintivo prima della domanda di registrazione, a seguito dell’uso che ne è stato fatto.
Per quanto concerne l’argomento dedotto dalla società Bovemij, in via principale, la Corte d’Appello dell’Aja aveva constatato che il segno depositato consisteva nella combinazione della parola POLIS e del prefisso EURO. [Il termine olandese polis designa abitualmente un contratto di assicurazione. Si tratta di un termine generico che ricopre tipi diversi di assicurazione. EURO è invece il nome (già conosciuto al momento della domanda) dell’unità monetaria che ha attualmente corso nei paesi del Benelux e costituisce anche un’abbreviazione corrente dei termini Europa o Europeo].
La Corte d’Appello dell’Aja, aveva quindi valutato che si trattava di un termine il cui uso è talmente frequente tale da negare ad esso qualsiasi carattere distintivo autonomo. Secondo detta Corte, EURO poteva, inoltre, designare, nel linguaggio corrente, una caratteristica essenziale di servizi, ossia, la qualità, la provenienza o la destinazione europea di detti servizi.
La Corte d’Appello dell’Aja aveva altresì ritenuto che il segno EUROPOLIS consisteva esclusivamente in segni ed indicazioni che possono servire nel commercio per indicare caratteristiche del prodotto e che questo segno era privo in sé stesso di carattere distintivo.
Per quanto riguarda, invece, l’argomento dedotto in subordine, secondo il quale il segno EUROPOLIS aveva acquisito un carattere distintivo in seguito all’uso, la società Bovemij aveva eccepito in giudizio che, affinché un segno acquisisca carattere distintivo è sufficiente – ammesso che siano soddisfatte le altre condizioni – che questo segno sia percepito come un marchio in una parte considerevole del territorio del Benelux, la quale poteva essere costituita solo dai Paesi Bassi.
L’UMB aveva, per contro, sostenuto che il radicamento in seguito all’uso richiede che, a causa dell’uso, il segno venga percepito come un marchio nell’intero territorio del Benelux, ossia il Regno del Belgio, il Regno dei Paesi Bassi e il Granducato di Lussemburgo.
Poiché la Corte d’Appello dell’Aja aveva constatato che la tra le parti non vi era accordo sul territorio che occorreva prendere in considerazione al fine di stabilire il radicamento in seguito all’uso del segno, la stessa aveva sospeso il procedimento sottoponendo alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
“1) Se l’articolo 3, n.3, della direttiva debba essere interpretato nel senso che per l’acquisizione di un carattere distintivo (nella fattispecie mediante un marchio Benelux) a seguito dell’uso, come indicato in tale paragrafo, è necessario che il segno sia percepito, prima della data del deposito, dal pubblico di riferimento come un marchio nell’intero territorio Benelux, e quindi in Belgio, nel Lussemburgo e nei Paesi Bassi.
In caso di soluzione negativa della questione sub 1):
2) Se la condizione posta dall’articolo 3, n.3, della direttiva per la registrazione, come indicato in tale paragrafo, sia soddisfatta qualora il segno, in seguito all’uso che ne è stato fatto, venga percepito dal pubblico di riferimento come un marchio in una parte rilevante del territorio Benelux e se questa parte rilevante possa essere costituita, ad esempio, anche solo dai Paesi Bassi.
3) a) Se, per valutare il carattere distintivo derivante dall’uso, come menzionato nell’articolo 3, n.3, della direttiva, di un segno – consistente in una o più parole di una lingua ufficiale del territorio di uno Stato membro (o, come nella fattispecie, del territorio del Benelux) – si debba tener conto delle zone linguistiche esistenti in questo territorio.
b) Se, per registrarlo come marchio, nel caso in cui le altre condizioni per la registrazione siano soddisfatte, sia sufficiente richiedere che il segno sia percepito dal pubblico di riferimento come un marchio in una parte rilevante della zona linguistica dello Stato membro (o, come nella fattispecie, del territorio del Benelux) in cui questa lingua è parlata ufficialmente”.
4. Le soluzioni della Corte di Giustizia
Con le due prime questioni il giudice dell’Aja chiedeva, in sostanza, quale territorio la stessa avrebbe dovuto prendere in considerazione per valutare se un segno abbia acquisito un carattere distintivo in seguito all’uso, ai sensi dell’articolo 3, n.3, della direttiva, in uno Stato membro o in un gruppo di Stati membri che possiedono una normativa comune sui marchi, quale il Benelux. [Occorre anzitutto ricordare che, per quanto riguarda i marchi registrati presso l’UMB, il territorio del Benelux deve essere assimilato al territorio di uno Stato membro, in quanto l’articolo 1 della direttiva assimila tali marchi a quelli registrati in uno Stato membro - Sentenza della Corte 14 settembre 1999, causa C?375/97, General Motors, Racc. pag. I?5421, punto 29].
A tal riguardo, la Corte di Giustizia ha precisato che l’articolo 3, n. 3, della Direttiva non prevede un diritto autonomo alla registrazione di un marchio. Esso contiene un’eccezione agli impedimenti alla registrazione stabiliti all’articolo 3, n.1, lett. b)?d) di tale direttiva. La sua portata deve quindi essere interpretata in funzione di questi impedimenti alla registrazione.
Per valutare se i detti impedimenti alla registrazione debbano essere esclusi a causa dell’acquisizione di un carattere distintivo in seguito all’uso, in forza dell’articolo 3, n. 3, della Direttiva, secondo la Corte di Giustizia è pertinente solo la situazione che prevale nella parte del territorio dello Stato membro interessato (o, eventualmente, nella parte del territorio del Benelux) in cui gli impedimenti alla registrazione sono stati constatati [vedi in tal senso l’articolo 7, n. 3 del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994 n. 11, pag. 1), disposizione che in sostanza è identica all’articolo 3, n. 3, della Direttiva, sentenza 22 giugno 2006, causa C?25/05P, Storck/UAMI, Racc. pag.I?0000, punto 83].
Di conseguenza, ad avviso della Corte di Giustizia, l’articolo 3, n. 3, della Direttiva deve essere interpretato nel senso che la registrazione di un marchio comunitario può essere ammessa sulla base di questa disposizione solo se si dimostra che tale marchio ha acquisito in seguito all’uso un carattere distintivo in tutta la parte del territorio dello Stato membro o, nel caso del Benelux, in tutta la parte del territorio di quest’ultimo in cui esiste un impedimento alla registrazione.
Con la terza questione, il giudice dell’Aja chiedeva, in sostanza, in quale misura si dovesse tener conto delle zone linguistiche esistenti in uno Stato membro, nel caso di specie il Benelux, per valutare l’acquisizione di un carattere distintivo in seguito all’uso nel caso di un marchio che consiste in una o più parole di una lingua ufficiale di uno Stato membro o del Benelux.
In considerazione della soluzione fornita dalla Corte alle prime due questioni, la stessa ha statuito che, per valutare se un tale marchio abbia acquisito un carattere distintivo in seguito all’uso che giustifica l’esclusione di questi impedimenti alla registrazione in forza dell’articolo 3, n. 3, della direttiva, occorre tener conto della parte del Benelux in cui si parla l’olandese.
Nella zona linguistica così definita, si tratta secondo la Corte di Giustizia, di valutare se gli ambienti interessati, o quanto meno una frazione significativa di questi, identifichino grazie al marchio il prodotto come proveniente da un’impresa determinata [in tal senso, sentenze 4 maggio 1999, cause riunite C 108/97 e C 109/97, Windsurfing Chiemsee, Racc. pag. I 2779, punto 52, e 18 giugno 2002, causa C 299/99, Philips, Racc. pag. I 5475, punto 61].
Di conseguenza, la Corte di Giustizia ha ritenuto che, per quanto riguarda un marchio consistente in uno o più parole di una lingua ufficiale di uno Stato membro, se l’impedimento alla registrazione esiste solo in una delle zone linguistiche dello Stato membro o, nel caso del Benelux, in una delle zone linguistiche di quest’ultimo, si deve dimostrare che il marchio ha acquisito in seguito all’uso un carattere distintivo in tutta questa zona linguistica.
Nella zona linguistica così definita, prosegue la Corte di Giustizia, occorre valutare se gli ambienti interessati, o quantomeno una frazione significativa di questi, identifichino grazie al marchio il prodotto o il servizio di cui trattasi come provenienti da un’impresa determinata.
[The European Court of Justice rules again on descriptive foreign word trademarks]
1. Premessa
A pochi mesi di distanza dalla sentenza caso Matrazen C-412, la Corte di Giustizia Europea si è nuovamente pronunziata in materia di marchi denominativi costituiti da vocaboli stranieri, affrontando, nel caso di specie, la questione con specifico riferimento agli Stati membri multilingue.
2. Il principio dettato dalla Corte nel procedimento C-108/05
Con sentenza datata 7 settembre 2006, la Corte di Giustizia Europea ha stabilito il principio che l’articolo 3 della Direttiva sui marchi (Direttiva del Consiglio del 21 dicembre 1988, n. 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa) deve essere interpretato nel senso che: “la registrazione di un marchio può essere ammessa sulla base di questa disposizione solo se si dimostra che tale marchio ha acquisito in seguito all’uso un carattere distintivo in tutta la parte del territorio dello Stato membro o, nel caso del Benelux, in tutta la parte del territorio di quest’ultimo in cui esiste un impedimento alla registrazione”. Inoltre, “per quanto riguarda un marchio che consiste in una o più parole di una lingua ufficiale di uno Stato membro o del Benelux, se l’impedimento alla registrazione esiste solo in una delle zone linguistiche dello Stato membro o, nel caso del Benelux, in una delle zone linguistiche di quest’ultimo, si deve dimostrare che il marchio ha acquisito in seguito all’uso un carattere distintivo in tutta questa zona linguistica. Nella zona linguistica così definita, occorre valutare se gli ambienti interessati, o quantomeno una frazione significativa di questi ultimi, identifichino grazie al marchio il prodotto come proveniente da un’impresa determinata”.
3. L’esame della sentenza nel procedimento C-108/05
La sentenza in rassegna trae spunto da una controversia sorta nel maggio 1997 tra la società Bovemij Verzekeringen NV (in prosieguo: Bovemij) ed il Benelux-Merkenbureau (Ufficio dei marchi Benelux; in prosieguo UMB) relativamente al rifiuto da parte di quest’ultimo di registrare come marchio il segno EUROPOLIS.
L’UMB del Benelux aveva rigettato la domanda di registrazione del marchio denominativo EUROPOLIS per una serie di servizi appartenenti alle classi 36 (assicurazioni, affari finanziari, affari monetari, affari immobiliari) e 39 (trasporto, imballaggio e deposito di merci, organizzazione di viaggi), fornendo la motivazione che il marchio richiesto era composto dal prefisso corrente EURO (per Europa) e del termine generico POLIS, parola impiegata abitualmente in lingua olandese - che è una delle lingue utilizzate nel Benelux - per designare un contratto di assicurazione.
La società Bovemij aveva quindi presentato ricorso avanti la Corte d’Appello dell’Aja, sostenendo, in via principale, che il segno EUROPOLIS aveva carattere distintivo in se stesso e, in subordine, che detto segno aveva comunque acquisito capacità distintiva tramite il suo uso prima della data della domanda; ciò, ai sensi dell’articolo 3, n. 3 della Direttiva sui marchi, il quale prevede che gli impedimenti assoluti alla registrazioni previsti dalla stessa Direttiva non si applicano se il marchio richiesto ha acquisito un carattere distintivo prima della domanda di registrazione, a seguito dell’uso che ne è stato fatto.
Per quanto concerne l’argomento dedotto dalla società Bovemij, in via principale, la Corte d’Appello dell’Aja aveva constatato che il segno depositato consisteva nella combinazione della parola POLIS e del prefisso EURO. [Il termine olandese polis designa abitualmente un contratto di assicurazione. Si tratta di un termine generico che ricopre tipi diversi di assicurazione. EURO è invece il nome (già conosciuto al momento della domanda) dell’unità monetaria che ha attualmente corso nei paesi del Benelux e costituisce anche un’abbreviazione corrente dei termini Europa o Europeo].
La Corte d’Appello dell’Aja, aveva quindi valutato che si trattava di un termine il cui uso è talmente frequente tale da negare ad esso qualsiasi carattere distintivo autonomo. Secondo detta Corte, EURO poteva, inoltre, designare, nel linguaggio corrente, una caratteristica essenziale di servizi, ossia, la qualità, la provenienza o la destinazione europea di detti servizi.
La Corte d’Appello dell’Aja aveva altresì ritenuto che il segno EUROPOLIS consisteva esclusivamente in segni ed indicazioni che possono servire nel commercio per indicare caratteristiche del prodotto e che questo segno era privo in sé stesso di carattere distintivo.
Per quanto riguarda, invece, l’argomento dedotto in subordine, secondo il quale il segno EUROPOLIS aveva acquisito un carattere distintivo in seguito all’uso, la società Bovemij aveva eccepito in giudizio che, affinché un segno acquisisca carattere distintivo è sufficiente – ammesso che siano soddisfatte le altre condizioni – che questo segno sia percepito come un marchio in una parte considerevole del territorio del Benelux, la quale poteva essere costituita solo dai Paesi Bassi.
L’UMB aveva, per contro, sostenuto che il radicamento in seguito all’uso richiede che, a causa dell’uso, il segno venga percepito come un marchio nell’intero territorio del Benelux, ossia il Regno del Belgio, il Regno dei Paesi Bassi e il Granducato di Lussemburgo.
Poiché la Corte d’Appello dell’Aja aveva constatato che la tra le parti non vi era accordo sul territorio che occorreva prendere in considerazione al fine di stabilire il radicamento in seguito all’uso del segno, la stessa aveva sospeso il procedimento sottoponendo alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
“1) Se l’articolo 3, n.3, della direttiva debba essere interpretato nel senso che per l’acquisizione di un carattere distintivo (nella fattispecie mediante un marchio Benelux) a seguito dell’uso, come indicato in tale paragrafo, è necessario che il segno sia percepito, prima della data del deposito, dal pubblico di riferimento come un marchio nell’intero territorio Benelux, e quindi in Belgio, nel Lussemburgo e nei Paesi Bassi.
In caso di soluzione negativa della questione sub 1):
2) Se la condizione posta dall’articolo 3, n.3, della direttiva per la registrazione, come indicato in tale paragrafo, sia soddisfatta qualora il segno, in seguito all’uso che ne è stato fatto, venga percepito dal pubblico di riferimento come un marchio in una parte rilevante del territorio Benelux e se questa parte rilevante possa essere costituita, ad esempio, anche solo dai Paesi Bassi.
3) a) Se, per valutare il carattere distintivo derivante dall’uso, come menzionato nell’articolo 3, n.3, della direttiva, di un segno – consistente in una o più parole di una lingua ufficiale del territorio di uno Stato membro (o, come nella fattispecie, del territorio del Benelux) – si debba tener conto delle zone linguistiche esistenti in questo territorio.
b) Se, per registrarlo come marchio, nel caso in cui le altre condizioni per la registrazione siano soddisfatte, sia sufficiente richiedere che il segno sia percepito dal pubblico di riferimento come un marchio in una parte rilevante della zona linguistica dello Stato membro (o, come nella fattispecie, del territorio del Benelux) in cui questa lingua è parlata ufficialmente”.
4. Le soluzioni della Corte di Giustizia
Con le due prime questioni il giudice dell’Aja chiedeva, in sostanza, quale territorio la stessa avrebbe dovuto prendere in considerazione per valutare se un segno abbia acquisito un carattere distintivo in seguito all’uso, ai sensi dell’articolo 3, n.3, della direttiva, in uno Stato membro o in un gruppo di Stati membri che possiedono una normativa comune sui marchi, quale il Benelux. [Occorre anzitutto ricordare che, per quanto riguarda i marchi registrati presso l’UMB, il territorio del Benelux deve essere assimilato al territorio di uno Stato membro, in quanto l’articolo 1 della direttiva assimila tali marchi a quelli registrati in uno Stato membro - Sentenza della Corte 14 settembre 1999, causa C?375/97, General Motors, Racc. pag. I?5421, punto 29].
A tal riguardo, la Corte di Giustizia ha precisato che l’articolo 3, n. 3, della Direttiva non prevede un diritto autonomo alla registrazione di un marchio. Esso contiene un’eccezione agli impedimenti alla registrazione stabiliti all’articolo 3, n.1, lett. b)?d) di tale direttiva. La sua portata deve quindi essere interpretata in funzione di questi impedimenti alla registrazione.
Per valutare se i detti impedimenti alla registrazione debbano essere esclusi a causa dell’acquisizione di un carattere distintivo in seguito all’uso, in forza dell’articolo 3, n. 3, della Direttiva, secondo la Corte di Giustizia è pertinente solo la situazione che prevale nella parte del territorio dello Stato membro interessato (o, eventualmente, nella parte del territorio del Benelux) in cui gli impedimenti alla registrazione sono stati constatati [vedi in tal senso l’articolo 7, n. 3 del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994 n. 11, pag. 1), disposizione che in sostanza è identica all’articolo 3, n. 3, della Direttiva, sentenza 22 giugno 2006, causa C?25/05P, Storck/UAMI, Racc. pag.I?0000, punto 83].
Di conseguenza, ad avviso della Corte di Giustizia, l’articolo 3, n. 3, della Direttiva deve essere interpretato nel senso che la registrazione di un marchio comunitario può essere ammessa sulla base di questa disposizione solo se si dimostra che tale marchio ha acquisito in seguito all’uso un carattere distintivo in tutta la parte del territorio dello Stato membro o, nel caso del Benelux, in tutta la parte del territorio di quest’ultimo in cui esiste un impedimento alla registrazione.
Con la terza questione, il giudice dell’Aja chiedeva, in sostanza, in quale misura si dovesse tener conto delle zone linguistiche esistenti in uno Stato membro, nel caso di specie il Benelux, per valutare l’acquisizione di un carattere distintivo in seguito all’uso nel caso di un marchio che consiste in una o più parole di una lingua ufficiale di uno Stato membro o del Benelux.
In considerazione della soluzione fornita dalla Corte alle prime due questioni, la stessa ha statuito che, per valutare se un tale marchio abbia acquisito un carattere distintivo in seguito all’uso che giustifica l’esclusione di questi impedimenti alla registrazione in forza dell’articolo 3, n. 3, della direttiva, occorre tener conto della parte del Benelux in cui si parla l’olandese.
Nella zona linguistica così definita, si tratta secondo la Corte di Giustizia, di valutare se gli ambienti interessati, o quanto meno una frazione significativa di questi, identifichino grazie al marchio il prodotto come proveniente da un’impresa determinata [in tal senso, sentenze 4 maggio 1999, cause riunite C 108/97 e C 109/97, Windsurfing Chiemsee, Racc. pag. I 2779, punto 52, e 18 giugno 2002, causa C 299/99, Philips, Racc. pag. I 5475, punto 61].
Di conseguenza, la Corte di Giustizia ha ritenuto che, per quanto riguarda un marchio consistente in uno o più parole di una lingua ufficiale di uno Stato membro, se l’impedimento alla registrazione esiste solo in una delle zone linguistiche dello Stato membro o, nel caso del Benelux, in una delle zone linguistiche di quest’ultimo, si deve dimostrare che il marchio ha acquisito in seguito all’uso un carattere distintivo in tutta questa zona linguistica.
Nella zona linguistica così definita, prosegue la Corte di Giustizia, occorre valutare se gli ambienti interessati, o quantomeno una frazione significativa di questi, identifichino grazie al marchio il prodotto o il servizio di cui trattasi come provenienti da un’impresa determinata.