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Idoneità dei controlli. Una proposta centrale

da "Regione Emilia-Romagna", rivista bimestrale del Consiglio regionale, marzo-giugno 1986.

Vorrei trattare specificatamente (lascio agli altri, ovviamente, il discorso generale) un problema che mi sta abbastanza a cuore che riguarda appunto l’idoneità del controllo. In ordine a questo problema ho fatto una relazione al convegno del 1984 della Regione Toscana e quindi la riprenderò aggiornandola ovviamente con gli ulteriori sviluppi legislativi.

L’esperienza ultra-decennale ha evidenziato i limiti dell’attuale sistema del controllo e quindi l’esigenza di profondi aggiustamenti che superino l’assetto dettato dalla legge n. 62 del 1953, quest’ultima, con una soluzione a prima vista semplice e lineare ha attuato l’art. 130 della Costituzione attribuendo sostanzialmente al nuovo Comitato e alle sue sezioni, il controllo di legittimità prima attribuito al Prefetto ed il controllo di merito in precedenza esercitato dalla Giunta provinciale e amministrativa, se non che il controllo prima svolto da organi dello Stato non era in funzione di garanzia, ma in funzione di indennizzo e di tutela. Ed infatti, il controllo di merito importava una co-determinazione delle decisioni maggiormente significative con un organo dello Stato, mentre il controllo di legittimità si è venuto articolando, quanto meno in funzione di termini, cioè del riscontro che l’attività fosse conforme non a parametri astratti di legittimità, ma all’adesione politico-amministrativa del controllante (qui cito il Merusi e Cheli), cioè dello Stato. Il controllo di legittimità rimane perciò tuttora ancorato alla funzione di vigilanza e di indirizzo, in netto contrasto con le potenzialità racchiuse, ma ancora inespresse, nella norma costituzionale. Tende perciò a manifestarsi con quotidiana frequenza una contraddizione tra natura dell’organo regionale di controllo e funzioni ereditate. Una contraddizione che non si supera con un rapporto formalmente democratico, ma sostanzialmente paternalistico tra controllato e controllante. Anche perché vi è il rischio che le conseguenze dell’inadeguato quadro legislativo nazionale si scarichino nel rapporto tra Regione, organi di controllo ed Enti locali svilendo al livello di un estenuante querelle priva di sbocchi riformatori di carattere generale.

Il controllo di legittimità

Valga una succinta digressione storica. Il controllo di legittimità veniva esercitato dal Prefetto (ex art. 97-1948) senza limitazione di oggetto, sulla premessa che ogni atto deliberativo dell’Ente potesse essere annullato dal Prefetto, in modo che, per tenere sotto tutela l’attività dell’Ente, oscillava tra due poli: invio di circolari agli Enti controllati, che di per sé non vincolanti ma vincolanti nella sostanza perché anticipatrici di parametri di giudizio del controllante e la preventiva ricerca del consenso del controllante da parte del controllato e viceversa nell’ipotesi in cui, la soluzione da adottare apparisse problematica. Il Comitato regionale di controllo titolare in astratto (ex art. 130 della Costituzione) della funzione di garanzia di riscontro oggettivo alla legge vigente ma sfornito, giustamente, di supremazia, è portato invece ad operare un controllo di tipo oggettivo sui singoli atti amministrativi tendenzialmente simile a quello posto in essere dalla Corte dei Conti rispetto agli atti dell’Amministrazione statale. Stretto in questa contraddizione, non superata dalle varie leggi regionali sui controlli, il Comitato di controllo è ogni giorno costretto, a causa delle norme che lo disciplinano, a riscoprire leggi ormai desuete per applicare nuove norme spesso poco comprensibili, pressato da ridottissimi tempi di esame imposti dalla legge, purtroppo anche dalla legge regionale, ed è finito molte volte, come è noto, per pestare il fianco d’accusa di essere più legalista e fiscale del Prefetto e delle Giunte provinciali amministrative.

Il controllo su una legislazione dilatata

C’è da aggiungere che nel contempo, rispetto al controllo esercitato dal Prefetto, è mutato totalmente il quadro dell’attività soggetta al controllo con l’espandersi delle funzioni attribuite agli Enti locali e con il dilatarsi della legislazione che tali funzioni determina e regolamenta. In effetti antecedentemente l’attività degli Enti locali era sostanzialmente libera e discrezionale e non vincolata da particolari procedure di legge (salvo ovviamente il controllo sui bilanci, sulle opere pubbliche e urbanistiche). I limiti erano in sostanza determinati dalla disponibilità finanziaria. A partire dal 1977 viene mutuato il sistema finanziario degli Enti locali, introducendo nella legge finanziaria annuale tutta la disciplina del personale. Si sono poi dilatate, e ovviamente regolamentate le funzioni degli Enti locali (si pensi al D.P.R. 616, alla legge sul commercio e tutto il resto). In tal modo si è verificato un aumento notevole degli atti soggetti al controllo rispetto a quello ereditati dal sistema prefettizio. Si è allora posto il problema dello snellimento del medesimo ed è così intervenuta la legislazione regionale per alleggerire il controllo. Tra le prime proprio la regione Emilia-Romagna, che con l’art.26 ultimo comma del progetto di legge sul funzionamento dell’organo di controllo pubblicato sul Bollettino Ufficiale n. 62 del 1973. Il tentativo però non andò a buon fine perché tale norma fu giudicata dal Commissario del Governo in contrasto con la legge 62 del 1953. Essa fu raccolta da altre regioni che riuscirono a portarla a termine, e finalmente 6 anni dopo nel 1979 (lo citava l’Assessore) approvato anche dall’Emilia-Romagna. Tale processo innovativo è stato recentemente portato a termine dalla nostra regione con la legge 28 del 1985 per i cui aspetti innovativi più salienti (istituzione del coordinamento regionale per gli organi di controllo, perentorietà del termine in tema di procedimento di controllo, relazioni ed elementi informativi, qualificazione e specificazione di soggetti cui si applica il controllo, limitazione del potere di annullamento circoscritto ai motivi della richiesta di chiarimenti) si rinvia alla relazione introduttiva del Professor Vandelli ed alle tavole di raffronto redatte da Domiziano Battaglia.

Procedure sempre più complesse

Ci preme in questa sede soffermarci sull’intervento più innovativo in materia di estensione del controllo, con l’ampliamento ulteriore del controllo eventuale su richiesta in base ad elenchi. A nostro avviso, e qui devo dire sono di contrario avviso rispetto a quello che diceva l’Assessore Albertini, anche questo snellimento pur considerevole non è ancora in grado di risollevare il problema perché dal punto di vista della sostanza gli atti si sono incrementati ed è soprattutto aumentata la complessità delle procedure. In tal modo il controllo si è sempre più sviluppato come controllo sulle procedure, quindi controllo in senso formalistico anche se è sempre più complesso perché deve tener contro della legislazione statale e regionale. A tale condizione, determinata dalle regioni obiettive sovraesposte, si devono aggiungere anche i fattori di natura soggettiva inerenti cioè alla composizione del Comitato regionale che discende la nomina attribuita ad organi esterni (Tar, Commissario del Governo, Ministero del Tesoro) o derivanti da scelte partitiche sulla base di intese politiche. Il modello di controllo in atto risulta pertanto superato, limitandosi a una verifica formale degli atti da esercitare in via preventiva, mentre altrove, in specie nei paesi anglosassoni, i controlli sono ormai sostituiti da appositi riscontri di costi e benefici, tanto (e qui cito anch’io il Giannini come ha citato l’Assessore), il Giannini ha definito i nostri controlli inutili, controproducenti e al limite stupidi.

Varie identità dei controlli

Ciò premesso, occorre ricercare e capire, ripensando anche a quanto è risultato dai lavori del convegno di Parma ed in particolare dalle conclusioni del professor Nigro in ordine alla purezza del controllo, quale sia l’identità della funzione del controllo. Nel Comitato regionale di controllo si miscelano: la funzione di tutela rappresentata dal membro nominato del Governo. la funzione giurisdizionale rappresentata dal membro nominato dal TAR, il controllo contabile rappresentato attualmente dal membro nominato dal Tesoro e dalle sempre più massicce interferenze della Corte dei Conti che trovano riscontro nella previsione da parte dell’art. 59 del disegno di legge di produzione governativa, della presenza di un magistrato della Corte dei Conti, ed infine il controllo più propriamente politico rappresentato dagli esperti nominati dalla Regione. Questa composizione dimostra a mio avviso il passaggio tra le varie identità in cui è dovuto riconoscersi la funzione del controllo, e cioè da organo di controllo, a organo di tutela, scusate il C.P.A., a organo paragiurisdizionale (quale quello attuale) di controllo delle procedure, ed infine ad organo di controllo nel sistema della spesa pubblica quale viene a delinearsi nei vari disegni di legge, e qui il mio giudizio collima in toto con quello che ha detto l’Assessore Albertini. Occorre invece individuare l’identità della funzione giurisdizionale che invece compete agli organi di giustizia amministrativa (e qui anch’io sono contrario alla giurisdizionalizzazione del controllo come prevede l’ultimo progetto di

legge). A ben vedere non è neppure quella di mero organo di controllo della spesa pubblica posto che tale funzione è già riservata alla Corte dei Conti che ha una sua precisa identità stabilita anche dalla riforma della contabilità pubblica. Qual’è allora l’identità della funzione del controllo ex art. 130 della Costituzione? A nostro avviso, atteso che trattasi di attività strumentale alla funzione di amministrazione estiva (secondo quanto anche sostenuto dal Piga e dai lavori della sua commissione, qui cito l’intervento di Piga al convegno di Parma), occorre prendere le mosse dall’art. 2 del D.P.R. 616 e dall’art. 1 della legge 131 del 1983 che cominciano a dare vigore al problema della programmazione e a quello dell’efficacia e produttività della spesa pubblica. Ora, l’attività di controllo dovrebbe essere a mio avviso ripensata e vista anzitutto come momento di effettivo coordinamento nell’ambito della spesa pubblica, in tal modo si potrebbero evitare interventi di Enti locali non coordinati a livello regionale. Se di legittimità si vorrà parlare, dovrà parlarsi allora di legittimità in senso forte, in senso sostanziale e non meramente formale. Si pensi, ad esempio, ai consorzi, alle aziende municipalizzate, a tutte le aziende pubbliche in genere che sfuggono totalmente ad un controllo sostanziale ma sono soggette solo ad un controllo formalistico (anche con l’ultima legge regionale).

Il controllo su efficacia e produttività di spesa

Per altro verso, poi, il controllo dovrà riguardare l’efficacia e la produttività della spesa pubblica, dovrebbe in sostanza essere clemente qualificante di un sistema di controllo di efficienza come suggerito dal ben noto rapporto Giannini. Esso dovrebbe andare di pari passo alla semplificazione del procedimento amministrativo ed esserne parte integrante. In tale quadro è opportuno che si dedichi una straordinaria attenzione agli apparati amministrativi dei Comitati regionali di controllo, ed in particolare al potenziamento tecnologico dei mezzi e degli strumenti di rielaborazione dei dati, a rilievo esterno che l’attività istruttoria dei comitati non può non assumere, per conoscere davvero in via preventiva, le motivazioni dei vari procedimenti amministrativi che si inseriscono, e si devono inserire, nell’iter procedimentale della funzione pubblica. In tal modo, il Coreco si potrebbe collocare non più come organo paragiurisdizionale di controllo formalistico, ma anche come banca dati del sistema delle autonomie, accentrando il suo controllo in senso sostanziale ed efficiente, recando quindi un significativo contributo alla qualificazione complessiva della Pubblica Amministrazione locale.

da "Regione Emilia-Romagna", rivista bimestrale del Consiglio regionale, marzo-giugno 1986.

Vorrei trattare specificatamente (lascio agli altri, ovviamente, il discorso generale) un problema che mi sta abbastanza a cuore che riguarda appunto l’idoneità del controllo. In ordine a questo problema ho fatto una relazione al convegno del 1984 della Regione Toscana e quindi la riprenderò aggiornandola ovviamente con gli ulteriori sviluppi legislativi.

L’esperienza ultra-decennale ha evidenziato i limiti dell’attuale sistema del controllo e quindi l’esigenza di profondi aggiustamenti che superino l’assetto dettato dalla legge n. 62 del 1953, quest’ultima, con una soluzione a prima vista semplice e lineare ha attuato l’art. 130 della Costituzione attribuendo sostanzialmente al nuovo Comitato e alle sue sezioni, il controllo di legittimità prima attribuito al Prefetto ed il controllo di merito in precedenza esercitato dalla Giunta provinciale e amministrativa, se non che il controllo prima svolto da organi dello Stato non era in funzione di garanzia, ma in funzione di indennizzo e di tutela. Ed infatti, il controllo di merito importava una co-determinazione delle decisioni maggiormente significative con un organo dello Stato, mentre il controllo di legittimità si è venuto articolando, quanto meno in funzione di termini, cioè del riscontro che l’attività fosse conforme non a parametri astratti di legittimità, ma all’adesione politico-amministrativa del controllante (qui cito il Merusi e Cheli), cioè dello Stato. Il controllo di legittimità rimane perciò tuttora ancorato alla funzione di vigilanza e di indirizzo, in netto contrasto con le potenzialità racchiuse, ma ancora inespresse, nella norma costituzionale. Tende perciò a manifestarsi con quotidiana frequenza una contraddizione tra natura dell’organo regionale di controllo e funzioni ereditate. Una contraddizione che non si supera con un rapporto formalmente democratico, ma sostanzialmente paternalistico tra controllato e controllante. Anche perché vi è il rischio che le conseguenze dell’inadeguato quadro legislativo nazionale si scarichino nel rapporto tra Regione, organi di controllo ed Enti locali svilendo al livello di un estenuante querelle priva di sbocchi riformatori di carattere generale.

Il controllo di legittimità

Valga una succinta digressione storica. Il controllo di legittimità veniva esercitato dal Prefetto (ex art. 97-1948) senza limitazione di oggetto, sulla premessa che ogni atto deliberativo dell’Ente potesse essere annullato dal Prefetto, in modo che, per tenere sotto tutela l’attività dell’Ente, oscillava tra due poli: invio di circolari agli Enti controllati, che di per sé non vincolanti ma vincolanti nella sostanza perché anticipatrici di parametri di giudizio del controllante e la preventiva ricerca del consenso del controllante da parte del controllato e viceversa nell’ipotesi in cui, la soluzione da adottare apparisse problematica. Il Comitato regionale di controllo titolare in astratto (ex art. 130 della Costituzione) della funzione di garanzia di riscontro oggettivo alla legge vigente ma sfornito, giustamente, di supremazia, è portato invece ad operare un controllo di tipo oggettivo sui singoli atti amministrativi tendenzialmente simile a quello posto in essere dalla Corte dei Conti rispetto agli atti dell’Amministrazione statale. Stretto in questa contraddizione, non superata dalle varie leggi regionali sui controlli, il Comitato di controllo è ogni giorno costretto, a causa delle norme che lo disciplinano, a riscoprire leggi ormai desuete per applicare nuove norme spesso poco comprensibili, pressato da ridottissimi tempi di esame imposti dalla legge, purtroppo anche dalla legge regionale, ed è finito molte volte, come è noto, per pestare il fianco d’accusa di essere più legalista e fiscale del Prefetto e delle Giunte provinciali amministrative.

Il controllo su una legislazione dilatata

C’è da aggiungere che nel contempo, rispetto al controllo esercitato dal Prefetto, è mutato totalmente il quadro dell’attività soggetta al controllo con l’espandersi delle funzioni attribuite agli Enti locali e con il dilatarsi della legislazione che tali funzioni determina e regolamenta. In effetti antecedentemente l’attività degli Enti locali era sostanzialmente libera e discrezionale e non vincolata da particolari procedure di legge (salvo ovviamente il controllo sui bilanci, sulle opere pubbliche e urbanistiche). I limiti erano in sostanza determinati dalla disponibilità finanziaria. A partire dal 1977 viene mutuato il sistema finanziario degli Enti locali, introducendo nella legge finanziaria annuale tutta la disciplina del personale. Si sono poi dilatate, e ovviamente regolamentate le funzioni degli Enti locali (si pensi al D.P.R. 616, alla legge sul commercio e tutto il resto). In tal modo si è verificato un aumento notevole degli atti soggetti al controllo rispetto a quello ereditati dal sistema prefettizio. Si è allora posto il problema dello snellimento del medesimo ed è così intervenuta la legislazione regionale per alleggerire il controllo. Tra le prime proprio la regione Emilia-Romagna, che con l’art.26 ultimo comma del progetto di legge sul funzionamento dell’organo di controllo pubblicato sul Bollettino Ufficiale n. 62 del 1973. Il tentativo però non andò a buon fine perché tale norma fu giudicata dal Commissario del Governo in contrasto con la legge 62 del 1953. Essa fu raccolta da altre regioni che riuscirono a portarla a termine, e finalmente 6 anni dopo nel 1979 (lo citava l’Assessore) approvato anche dall’Emilia-Romagna. Tale processo innovativo è stato recentemente portato a termine dalla nostra regione con la legge 28 del 1985 per i cui aspetti innovativi più salienti (istituzione del coordinamento regionale per gli organi di controllo, perentorietà del termine in tema di procedimento di controllo, relazioni ed elementi informativi, qualificazione e specificazione di soggetti cui si applica il controllo, limitazione del potere di annullamento circoscritto ai motivi della richiesta di chiarimenti) si rinvia alla relazione introduttiva del Professor Vandelli ed alle tavole di raffronto redatte da Domiziano Battaglia.

Procedure sempre più complesse

Ci preme in questa sede soffermarci sull’intervento più innovativo in materia di estensione del controllo, con l’ampliamento ulteriore del controllo eventuale su richiesta in base ad elenchi. A nostro avviso, e qui devo dire sono di contrario avviso rispetto a quello che diceva l’Assessore Albertini, anche questo snellimento pur considerevole non è ancora in grado di risollevare il problema perché dal punto di vista della sostanza gli atti si sono incrementati ed è soprattutto aumentata la complessità delle procedure. In tal modo il controllo si è sempre più sviluppato come controllo sulle procedure, quindi controllo in senso formalistico anche se è sempre più complesso perché deve tener contro della legislazione statale e regionale. A tale condizione, determinata dalle regioni obiettive sovraesposte, si devono aggiungere anche i fattori di natura soggettiva inerenti cioè alla composizione del Comitato regionale che discende la nomina attribuita ad organi esterni (Tar, Commissario del Governo, Ministero del Tesoro) o derivanti da scelte partitiche sulla base di intese politiche. Il modello di controllo in atto risulta pertanto superato, limitandosi a una verifica formale degli atti da esercitare in via preventiva, mentre altrove, in specie nei paesi anglosassoni, i controlli sono ormai sostituiti da appositi riscontri di costi e benefici, tanto (e qui cito anch’io il Giannini come ha citato l’Assessore), il Giannini ha definito i nostri controlli inutili, controproducenti e al limite stupidi.

Varie identità dei controlli

Ciò premesso, occorre ricercare e capire, ripensando anche a quanto è risultato dai lavori del convegno di Parma ed in particolare dalle conclusioni del professor Nigro in ordine alla purezza del controllo, quale sia l’identità della funzione del controllo. Nel Comitato regionale di controllo si miscelano: la funzione di tutela rappresentata dal membro nominato del Governo. la funzione giurisdizionale rappresentata dal membro nominato dal TAR, il controllo contabile rappresentato attualmente dal membro nominato dal Tesoro e dalle sempre più massicce interferenze della Corte dei Conti che trovano riscontro nella previsione da parte dell’art. 59 del disegno di legge di produzione governativa, della presenza di un magistrato della Corte dei Conti, ed infine il controllo più propriamente politico rappresentato dagli esperti nominati dalla Regione. Questa composizione dimostra a mio avviso il passaggio tra le varie identità in cui è dovuto riconoscersi la funzione del controllo, e cioè da organo di controllo, a organo di tutela, scusate il C.P.A., a organo paragiurisdizionale (quale quello attuale) di controllo delle procedure, ed infine ad organo di controllo nel sistema della spesa pubblica quale viene a delinearsi nei vari disegni di legge, e qui il mio giudizio collima in toto con quello che ha detto l’Assessore Albertini. Occorre invece individuare l’identità della funzione giurisdizionale che invece compete agli organi di giustizia amministrativa (e qui anch’io sono contrario alla giurisdizionalizzazione del controllo come prevede l’ultimo progetto di

legge). A ben vedere non è neppure quella di mero organo di controllo della spesa pubblica posto che tale funzione è già riservata alla Corte dei Conti che ha una sua precisa identità stabilita anche dalla riforma della contabilità pubblica. Qual’è allora l’identità della funzione del controllo ex art. 130 della Costituzione? A nostro avviso, atteso che trattasi di attività strumentale alla funzione di amministrazione estiva (secondo quanto anche sostenuto dal Piga e dai lavori della sua commissione, qui cito l’intervento di Piga al convegno di Parma), occorre prendere le mosse dall’art. 2 del D.P.R. 616 e dall’art. 1 della legge 131 del 1983 che cominciano a dare vigore al problema della programmazione e a quello dell’efficacia e produttività della spesa pubblica. Ora, l’attività di controllo dovrebbe essere a mio avviso ripensata e vista anzitutto come momento di effettivo coordinamento nell’ambito della spesa pubblica, in tal modo si potrebbero evitare interventi di Enti locali non coordinati a livello regionale. Se di legittimità si vorrà parlare, dovrà parlarsi allora di legittimità in senso forte, in senso sostanziale e non meramente formale. Si pensi, ad esempio, ai consorzi, alle aziende municipalizzate, a tutte le aziende pubbliche in genere che sfuggono totalmente ad un controllo sostanziale ma sono soggette solo ad un controllo formalistico (anche con l’ultima legge regionale).

Il controllo su efficacia e produttività di spesa

Per altro verso, poi, il controllo dovrà riguardare l’efficacia e la produttività della spesa pubblica, dovrebbe in sostanza essere clemente qualificante di un sistema di controllo di efficienza come suggerito dal ben noto rapporto Giannini. Esso dovrebbe andare di pari passo alla semplificazione del procedimento amministrativo ed esserne parte integrante. In tale quadro è opportuno che si dedichi una straordinaria attenzione agli apparati amministrativi dei Comitati regionali di controllo, ed in particolare al potenziamento tecnologico dei mezzi e degli strumenti di rielaborazione dei dati, a rilievo esterno che l’attività istruttoria dei comitati non può non assumere, per conoscere davvero in via preventiva, le motivazioni dei vari procedimenti amministrativi che si inseriscono, e si devono inserire, nell’iter procedimentale della funzione pubblica. In tal modo, il Coreco si potrebbe collocare non più come organo paragiurisdizionale di controllo formalistico, ma anche come banca dati del sistema delle autonomie, accentrando il suo controllo in senso sostanziale ed efficiente, recando quindi un significativo contributo alla qualificazione complessiva della Pubblica Amministrazione locale.