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Brevi osservazioni sulla disposizione del Decreto sviluppo che estende alle Poste Italiane il commercio di oro

Credits: Tommaso Pecchioli via unsplash
Credits: Tommaso Pecchioli via unsplash

La Commissione Industria del Senato ha recentemente approvato un emendamento che è stato interamente recepito nel nuovo testo del Decreto sviluppo e mira ad estendere anche a Poste Italiane la possibilità di esercitare in via professionale il commercio di oro.

Questa norma senz’altro merita una riflessione sia sul piano normativo sia con riguardo all’impatto sul mercato.

La normativa attuale prevede al co. 3 dell’art. 1 della l. 17 gennaio 2000, n. 7 che l’esercizio in via professionale del commercio di oro (la cui definizione è contenuta nello stesso art. 1 della legge) sia riservato in via esclusiva alle Banche e agli Operatori professionali iscritti presso la Banca d’Italia. La disposizione in questione amplierebbe la medesima operatività alla società Poste Italiane Spa.

Per commercio di oro deve intendersi quello definito dalla l. 7/2000, pertanto:

a) l’oro da investimento, intendendo per tale l’oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell’oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli; le monete d’oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera dell’80 per cento il valore sul mercato libero dell’oro in esse contenuto, incluse nell’elenco predisposto dalla Commissione delle Comunità europee ed annualmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, serie C, nonché le monete aventi le medesime caratteristiche, anche se non ricomprese nel suddetto elenco; con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sono stabilite le modalità di trasmissione alla Commissione delle Comunità europee delle informazioni in merito alle monete negoziate nello Stato italiano che soddisfano i suddetti criteri;

b) il materiale d’oro diverso da quello di cui alla lettera a), ad uso prevalentemente industriale, sia in forma di semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, sia in qualunque altra forma e purezza.

Da ciò si deve escludere, secondo la definizione della Banca d’Italia (maggio 2010) «quanto rimasto fuori dal campo di applicazione della Legge n. 7/2000, ossia, ad esempio:

– il c.d. “oro da gioielleria” ad uso ornamentale (ad es., i gioielli e i monili);

– l’oro per la componentistica elettronica (ad es., il materiale aureo di rivestimento delle superfici);

– l’oro per scopi medici e diagnostici (ad es. il materiale aureo per la realizzazione di otturazioni e ponti in odontoiatria).

Si è dell’avviso che debba essere ricompreso in questo novero non solo l’oro in condizioni di nuovo o di usato da lavorare e/o riparare, ma anche quello in condizioni di “rottame” o “rifiuto”, da destinare a fusione per ricavarne altro oro di tipo diverso da quello di cui ai precedenti nn. 1) e 2) (ad es., altro “oro da gioielleria ad uso ornamentale”)».

Per il commercio di queste forme di oro è invece necessario il rilascio della licenza da parte della questura competente per territorio ai sensi degli artt. 127-128 TULPS (Regio decreto 18 giugno 1931 n. 773).

Il testo di legge in realtà non specifica infatti quale debba essere la funzione cui avranno accesso le Poste Italiane, o meglio non ne circostanzia l’operatività: seguendo il tenore letterale dell’emendamento parrebbe intendersi che le Poste debbano affiancarsi al commercio di oro da investimento e di oro ad uso prevalentemente industriale. Sembra dunque più plausibile il pensiero per cui le Poste svolgeranno commercio di oro da investimento in coerenza con il processo evolutivo che ha condotto negli ultimi anni ad una progressiva finanziarizzazione dei prodotti negoziati da Poste Italiane spa.

A supportare questa tesi anche la relazione illustrativa all’emendamento, nella quale si afferma come la modifica legislativa sia atta a «valorizzare gli investimenti realizzati negli ultimi anni da Poste Italiane in personale, conoscenze specialistiche e tecnoogiche (…), in una logica di valorizzazione degli asset dell’Azienda e di perseguimento di un percorso di crescita equilibrata tramite l’arricchimento delle opportunità di mercato (…) consentendo, per questo verso, consistenti ritorni in termini economici-finanziari per l’azionista». L’obiettivo dichiarato sarebbe quello di «offrire sia alla clientela attuale sia ai potenziali nuovi clienti la possibilità di scegliere di diversificare la propria asset allocation investendo in un “bene rifugio” da sempre considerato una valida alternativa in situazioni di mercati finanziari caratterizzati da incertezze e instabilità». Inoltre, «i ricavi attesi per Poste Italiane, sulla base di una valutazione prudenziale, sono stimati pari ad almeno 10 mln. di euro l’anno».

L’attuale contingenza economica, unitamente al target medio del cliente-tipo che usufruisce di prodotti postali, spingerebbe a pensare che difficilmente Poste Italiane possa essere interessata ad un ramo di mercato così marcatamente finanziarizzato, soprattutto alla luce dell’evidenza che il commercio di oro da investimento interessa principalmente il mercato internazionale: recenti dati elaborati dall’Ass. Nazionale degli Operatori Professionali in Oro (ANOPO) hanno evidenziato come il flusso di oro riveniente dai cd. compro oro, trasformato poi in lingotti (quindi in oro da investimento), nella maggior parte dei casi termina nei mercati d’oltralpe, con particolare riferimento alla Svizzera oltre che in quelli emergenti di India, Russia e Cina. Nulla osta che Poste Italiane possa essere interessata a tali forme di investimento, ma è più plausibile immaginare che la disposizione de quo abbia una finalità differente.

Si pensi poi che la l. 7/2000 era stata concepita dall’allora legislatore, oltre che per adeguare la normativa nostrana alle disposizioni europee con la progressiva abolizione del monopolio dello Stato sul commercio di oro, anche come forma di finanziamento del comparto orafo-gioielliero. Non è un caso che uno dei più grande fornitori di oro da investimento rivenduto alle aziende orafe dei distretti di Arezzo (ma anche Marcianise, Valenza Po, etc) poi per produrre gioielli fosse un gruppo bancario operante principalmente nel centro-Italia (Banca Etruria).

Ad oggi, la crisi dei consumi e il progressivo calo della produzione aurifera hanno di fatto modificato il panorama commerciale; questa constatazione fa immaginare come anche la funzione di finanziamento del prodotto manufatturiero stia venendo meno e difficilmente ad oggi Poste Italiane potrà essere interessata a finanziare forme di produzione industriale legate al settore aurifero.

L’unica tra le più plausibili delle soluzioni appare quella di consentire a Poste Italiane spa di svolgere, tra le varie funzioni anche quella di compro oro da privati. Ciò comporta una serie di riflessioni. La prima riguarda il mercato.

In Italia sono presenti circa 14 mila uffici postali (dati reperibili sul sito poste.it), una diffusione capillare che consente di penetrare con forza il territorio nazionale da nord a sud senza esclusione alcuna; se a ciò si aggiunge come sul territorio siano già presenti tra i 20 e i 30 mila esercizi compro oro (secondo stime non ufficiali), è facile immaginare come il settore ne risentirebbe in maniera consistente.

Vale la pena ricordare come per svolgere tale attività è necessario il rilascio della licenza da parte delle questure: la l. 7/2000 prevede una forma di esclusione per la Banca d’Italia, l’Ufficio Italiano dei Cambi (ora UIF) e le banche, ai sensi dell’art. 1 co. 11 della stessa legge. Pertanto affinché anche le Poste siano escluse dall’obbligo di rilascio di licenza, la legge deve farne esplicita menzione. Attualmente la norma nulla chiarisce al riguardo.

Senza considerare poi le ricadute in termini di operatività ed i rischi che la criminalità possa indebitamente sfruttarne le opportunità.

S’immagini ad esempio cosa succederebbe se le Poste fossero autorizzate all’acquisto di preziosi usati da privati: di fatto si concederebbe un indebito vantaggio in danno dei concorrenti già presenti sul mercato nazionale e che lecitamente svolgono tale commercio. Ciò appare evidente con maggior forza alla luce dei numeri che solo nel luglio 2012 vedevano le Poste Italiane “tagliare” circa 1500 uffici postali perché non produttivi o “antieconomici”: in tal modo si avrebbe la possibilità di rifinanziare gli uffici meno produttivi riconvertendone l’attività principale a quella di “compro oro”.

Senza voler contare i costi che l’Ente dovrebbe sostenere sia nel formare i propri dipendenti con corsi di gemmologia, riconoscimento e trattamento dell’oro, sia in termini di danno economico derivante dall’acquisto di oggetti in oro falso, tra le pratiche più diffuse nel mercato dei compro oro. Oltre a ciò si deve tener presente il rischio di rapina cui le Poste già di per sé sono soggette e che immancabilmente si vedrebbe accresciuto per la detenzione di quantitativi di oro. Nulla è chiarito poi in merito al grado di responsabilità o di diligenza richiesta al singolo dipendente (di fatto pubblico) che svolga funzione di compro oro in caso di errore.

L’indebito vantaggio sarebbe poi accordato in funzione dell’operatività pregressa (o tipica) delle Poste stesse: si pensi agli anziani che sono soliti rivolgersi allo sportello postale per incassare le pensioni, o per la tenuta dei libretti di risparmio e conti postali. Gli stessi sono quelli che si rivolgono in maggior misura ai compro oro per cedere i propri preziosi al fine di coadiuvare le finanze domestiche aggredite con forza dalla crisi. Senza contare il paradosso per cui spesso gli anziani (ma anche giovani, disoccupati, famiglie, imprenditori, professionisti) cedono preziosi per far fronte ad obblighi fiscali imposti dallo Stato, che in questo caso si vedrebbe nella doppia veste di riscossore e finanziatore.

Le Poste sarebbero così proiettate ex lege in una posizione dominante sul mercato, sia sul piano numerico, sia per il rapporto fiduciario che normalmente lega le stesse al cliente-tipo del compro oro. Le tre società leader che attualmente occupano una fetta rilevante del mercato sono presenti con circa 800 sedi sul territorio nazionale: dall’emanazione della legge, Poste Italiane si ritroverebbe sul mercato (di diritto) con 14.000 punti dediti al commercio di oro, senza peraltro dover affrontare questioni burocratiche legate al rilascio della licenza da parte delle singole questure o i costi inerenti lo start up e la formazione.

La disposizione, come evidente, appare paradossale soprattutto alla luce delle politiche di liberalizzazione che hanno caratterizzato gli ultimi anni nel nostro Paese in settori strategici dell’economia; senza contare che una previsione di questo genere violerebbe principi europei espressi dalla l. 7/2000 che, come detto, aveva abolito il monopolio dello Stato sul commercio di oro. In sostanza si riporterebbe il Paese indietro di oltre dodici anni tornando ad una presenza illiberale in un settore che attualmente produce un indotto di circa 10 mld di euro annui.

Infine, da non sottovalutare le prospettive criminali che una tale norma potrebbe aprire. Si pensi solo alle disposizioni antiriciclaggio sul limite al contante, per cui ad oggi un compro oro non (potrebbe) pagare in contanti importi superiori ai mille euro. Qualora invece le Poste Italiane potessero svolgere tale attività non avrebbero questo problema: questo – oltre ad essere l’ennesimo indebito vantaggio che proietta le Poste in posizione dominante rispetto al mercato – comporta che un qualsiasi cliente che intenda rivolgersi loro per cedere preziosi potrebbe ricevere il pagamento tracciato (es. assegno, bonifico), contestualmente versarlo nel libretto/conto postale o sulla carta prepagata appositamente predisposta, per poi ritirare immediatamente la cifra per qualsiasi importo essa sia.

Quid iuris se a fare l’operazione non fosse l’anziana pensionata ma il ricettatore che dietro mentite spoglie consegna il bottino di un furto o una rapina e che in questo modo si vede “certificare” il riciclaggio direttamente da Poste Italiane?

In conclusione ed in sintesi, è necessario – ad avviso di chi scrive – un intervento urgente che sia chiarificatore da parte del legislatore al fine di valutare le problematiche evidenziate, coinvolgenti un settore assai delicato nella merceologia dell’economia del nostro Paese.

Di seguito il testo dell’emendamento al cd. Decreto sviluppo approvato dalla X Commissione Industria del Senato

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24.0.2

GHIGO, PICHETTO FRATIN, BUTTI, IZZO

 

«Art. 24-bis.(Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 2001, n. 144)

 

1. Al decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 2001, n. 144 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 1, dopo la lettera a) aggiungere la seguente: “a-bis) Patrimonio Bancoposta: il patrimonio destinato costituito da Poste Italiane ai sensi dell’articolo 2, commi da 17-octies a 17-undecies del decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, attraverso cui Poste esercita le attività di bancoposta come disciplinate dal presente decreto”; alla lettera c) dopo le parole: “decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”, inserire le seguenti: “e successive modificazioni e integrazioni;” e alla lettera g) dopo la parola: “modulo”, inserire le seguenti: “cartaceo o elettronico”;

b) all’articolo 2, al comma 1, sostituire la lettera c) con la seguente: “c) prestazione di servizi di pagamento, comprese l’emissione di moneta elettronica e di altri di mezzi di pagamento, di cui all’articolo 1, comma 2, lettera f), numeri 4) e 5), del testo unico bancario;”, dopo la lettera f) aggiungere le seguenti: “f-bis) servizio di riscossione di crediti; f-ter) esercizio in via professionale del commercio di oro, per conto proprio o per conto terzi, secondo quanto disciplinato dalla legge 17 gennaio 2000, n. 7”, dopo il comma 2, aggiungere il seguente: “2-bis. Poste può stabilire succursali negli altri Stati comunitari ed extracomunitari nonché esercitare le attività di bancoposta ammesse al mutuo riconoscimento in uno Stato comunitario senza stabilirvi succursali ed operare in uno Stato extracomunitario senza stabilirvi succursali.”, sostituire il comma 3 con il seguente: “3. In quanto compatibili, si applicano alle attività di cui al comma 1, gli articoli 5, 12, 15 commi 1, 2 e 5, 16 commi 1, 2 e 5, da 19 a 24, 26, da 50 a 54, da 56 a 58, da 65 a 68, 78, 114-bis, 114-ter, da 115 a 120-bis, da 121, comma 3, a 126, con esclusivo riferimento all’attività di intermediario di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e) del presente decreto, da 126-bis a 128-quater, 129, 140, 144 e 145 del testo unico bancario”; sostituire il comma 4 con il seguente: “4. Alla prestazione da parte di Poste di servizi e attività di investimento ed accessori si applicano, in quanto compatibili, i seguenti articoli del testo unico finanza: 5, 6, commi 2, 2-bis, 2-ter e 2-quater, 7, commi 1 e 2, 8, 10, da 21 a 23, 25, 25-bis, 30, 31, commi 1, 3 e 7, da 32 a 32-ter, 51, 59, 168, 190, commi 1, 3 e 4, 195”; al comma 6 dopo le parole: “30 luglio 1999, n. 284”, inserire le seguenti: “dal decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 6 ottobre 2004” e dopo il comma 9, aggiungere il seguente: “9-bis. Poste, nell’esercizio dell’attività di bancoposta, può svolgere attività di promozione e collocamento di prodotti e servizi bancari e finanziari fuori sede”.

c) all’articolo 3, sostituire il comma 2 con il seguente: “2. La comunicazione ai clienti delle unilaterali variazioni contrattuali sfavorevoli eventualmente apportate ai tassi di interesse, prezzi o altre condizioni previsti nei contratti a tempo indeterminato è effettuata con le modalità previste dagli articoli 118 e 126-sexies del testo unico bancario”;

d) all’articolo 4, sostituire il comma 1 con il seguente: “Per i versamenti su conto corrente postale effettuati presso gli uffici postali da soggetti diversi dal titolare del conto beneficiario sono impiegati appositi bollettini emessi in formato cartaceo o elettronico da Poste”. E sostituire il comma 4 con il seguente: “I bollettini di versamento devono essere presentati a Poste in formato cartaceo o in formato elettronico già compilati in ogni loro parte. L’indicazione della causale del versamento è obbligatoria quando trattasi di pagamenti a favore di Amministrazioni pubbliche”;

e) all’articolo 12 sostituire il comma 1 con il seguente: “1. Salvo quanto già previsto all’articolo 2, comma 1, Poste può svolgere nei confronti del pubblico i servizi e attività di investimento e i servizi accessori previsti, rispettivamente, dall’articolo 1, comma 5, lettere b), c), c-bis, e), f), e dall’articolo 1, comma 6, lettere a), b), d), e), f) e g) del testo unico finanza, nonché le attività connesse e strumentali ai servizi di investimento”».