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Il diritto all’istruzione del diversamente abile e il vincolo di bilancio

Il diritto all’istruzione del diversamente abile e il vincolo di bilancio
Il diritto all’istruzione del diversamente abile e il vincolo di bilancio

Sommario

1. Il fatto storico origine della pronuncia costituzionale

2. Le norme internazionali e nazionali sul diritto all’istruzione del diversamente abile

3. La sentenza n.275/16 della Corte costituzionale

4. Conclusioni

 

1. Il fatto storico origine della pronuncia costituzionale

La sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 6, comma 2-bis, della legge reg. Abruzzo n. 78 del 1978, limitatamente all’inciso: ”nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa”, offre un interessante spunto per la disamina del diritto di istruzione dei soggetti con disabilità anche alla luce di limiti di spesa.

Tale statuizione, infatti, interviene nuovamente sulla questione dell’equo contemperamento tra diritti fondamentali e vincolo di bilancio e che, a tutt’oggi, data anche la crisi finanziaria degli ultimi anni, è tema attualissimo.

La questione sollevata dal Tar Abruzzo era sorta in quanto tale giudice riteneva che la normativa sul diritto di studio si ponesse in palese violazione dei canoni fondamentali previsti sia dalla Carta dei diritti fondamentali, sia dei principi fondamentali della Costituzione.

Il TAR dell’Abruzzo, sollevando la questione della legittimità costituzionale dell’articolo 6 comma 2 bis della legge regionale n. 78 del 1978 sul diritto allo studio, aveva infatti ritenuto un contrasto di tale disposizione nella parte in cui prevedeva il condizionamento dell’erogazione del contributo alle disponibilità finanziarie, di volta in volta determinate dalla legge di bilancio. Tutto ciò, a parere del giudice remittente, trasformava l’onere della Regione “in una posta aleatoria e incerta, totalmente rimessa alle scelte finanziarie dell’ente, con il rischio che esse divengano arbitrarie, in difetto di limiti predeterminati dalla legge, risolvendosi nella illegittima compressione del diritto allo studio del disabile, la cui effettività non potrebbe essere finanziariamente condizionata”.

2. La normativa sovranazionale e nazionale di riferimento

La normativa regionale oggetto del sindacato di costituzionalità, a parere del giudice remittente, contrastava con la normativa sovranazionale e nazionale. Con riferimento alla prima veniva leso il principio alla base dell’articolo 24 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

La disposizione internazionale richiamata disciplina minuziosamente il diritto di istruzione delle persone con disabilità, istruzione da intendersi in senso ampio e quindi esso va oltre quello che è l’educazione scolastica, bensì mira a garantire un diritto di istruzione con cui tanto singolarmente quanto in gruppo tali soggetti raggiungano in concreto una vera e concreta preparazione.

Sotto il profilo del diritto interno, invece, la norma regionale di cui all’articolo 6 bis legge reg n. 78/1978 confliggeva con l’articolo 38 della Costituzione commi 3 e 4, nei quali si stabilisce che gli inabili e i minorati debbono avere garantito il diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Tali diritti devono essere resi possibile mediante una serie di misure concrete e specifiche affinché si realizzi quell’eguaglianza sostanziale di cui all’articolo 3 comma 2 della Carta Costituzionale.

Ciò posto, emerge una sorta di “zoccolo duro” dei diritti del diversamente abile, e in tale caso il diritto all’istruzione che va assicurato con tutti gli strumenti di cui il legislatore abbia disponibilità.

3. La sentenza n. 275/16 della Corte costituzionale

La legge regionale richiamata sull’accesso al sistema scolastico delle persone con disabilità era da intendersi illegittima in quanto operava senza giustificazione un limite all’osservanza delle norme richiamate. In primis la Corte osserva una illegittimità della norma regionale laddove limita un diritto fondamentale che trova copertura in fonti sia interne che internazionali di rango superiore.

Sempre la Corte osserva quanto vi sia un’incoerenza di fondo nello stessa normativa regionale di cui si discute. Infatti è la stessa legge regionale n. 78 del 1978 s.m.i che prevede dapprima un livello minimo delle prestazioni dovute e dalla quali non si può prescindere e contestualmente li limita ad interventi e politiche nonché alla gestione del bilancio dell’ente.

Sotto il profilo contenutistico, la norma in esame si presta alle medesime critiche come lo stesso giudice costituzionale rileva : “Nella specie il legislatore regionale si è assunto l’onere di concorrere, al fine di garantire l’attuazione del diritto, alla relativa spesa, ma una previsione che lasci incerta nell’an e nel quantum la misura della contribuzione, la rende aleatoria, traducendosi negativamente sulla possibilità di programmare il servizio e di garantirne l’effettività, in base alle esigenze presenti sul territorio”.

In sostanza la Consulta ritiene legittimo da parte del legislatore regionale parametrare l’attuazione dei diritti del disabile all’effettiva capacità di spesa di sua competenza, ma questo non deve dare adito a manovre che rendono indeterminato e insufficiente il contributo della regione, e quindi per tale via tale da violare la tutela del diversamente abile.

4. Conclusioni

La sentenza del giudice costituzionale non nega che il legislatore goda di discrezionalità nell’individuazione delle misure per la tutela dei diritti delle persone disabili, ma rileva che tale potere discrezionale trova un limite invalicabile nella necessità di coerenza intrinseca della stessa legge regionale contenente la disposizione impugnata, con la quale viene specificato il nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati.

La sentenza, quindi, offre un chiaro criterio di orientamento per dirimere eventuali contrasti tra diritti fondamentali e esigenze di “far quadrare i conti” che ogni ente pubblico si pone.

Sommario

1. Il fatto storico origine della pronuncia costituzionale

2. Le norme internazionali e nazionali sul diritto all’istruzione del diversamente abile

3. La sentenza n.275/16 della Corte costituzionale

4. Conclusioni

 

1. Il fatto storico origine della pronuncia costituzionale

La sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 6, comma 2-bis, della legge reg. Abruzzo n. 78 del 1978, limitatamente all’inciso: ”nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa”, offre un interessante spunto per la disamina del diritto di istruzione dei soggetti con disabilità anche alla luce di limiti di spesa.

Tale statuizione, infatti, interviene nuovamente sulla questione dell’equo contemperamento tra diritti fondamentali e vincolo di bilancio e che, a tutt’oggi, data anche la crisi finanziaria degli ultimi anni, è tema attualissimo.

La questione sollevata dal Tar Abruzzo era sorta in quanto tale giudice riteneva che la normativa sul diritto di studio si ponesse in palese violazione dei canoni fondamentali previsti sia dalla Carta dei diritti fondamentali, sia dei principi fondamentali della Costituzione.

Il TAR dell’Abruzzo, sollevando la questione della legittimità costituzionale dell’articolo 6 comma 2 bis della legge regionale n. 78 del 1978 sul diritto allo studio, aveva infatti ritenuto un contrasto di tale disposizione nella parte in cui prevedeva il condizionamento dell’erogazione del contributo alle disponibilità finanziarie, di volta in volta determinate dalla legge di bilancio. Tutto ciò, a parere del giudice remittente, trasformava l’onere della Regione “in una posta aleatoria e incerta, totalmente rimessa alle scelte finanziarie dell’ente, con il rischio che esse divengano arbitrarie, in difetto di limiti predeterminati dalla legge, risolvendosi nella illegittima compressione del diritto allo studio del disabile, la cui effettività non potrebbe essere finanziariamente condizionata”.

2. La normativa sovranazionale e nazionale di riferimento

La normativa regionale oggetto del sindacato di costituzionalità, a parere del giudice remittente, contrastava con la normativa sovranazionale e nazionale. Con riferimento alla prima veniva leso il principio alla base dell’articolo 24 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

La disposizione internazionale richiamata disciplina minuziosamente il diritto di istruzione delle persone con disabilità, istruzione da intendersi in senso ampio e quindi esso va oltre quello che è l’educazione scolastica, bensì mira a garantire un diritto di istruzione con cui tanto singolarmente quanto in gruppo tali soggetti raggiungano in concreto una vera e concreta preparazione.

Sotto il profilo del diritto interno, invece, la norma regionale di cui all’articolo 6 bis legge reg n. 78/1978 confliggeva con l’articolo 38 della Costituzione commi 3 e 4, nei quali si stabilisce che gli inabili e i minorati debbono avere garantito il diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Tali diritti devono essere resi possibile mediante una serie di misure concrete e specifiche affinché si realizzi quell’eguaglianza sostanziale di cui all’articolo 3 comma 2 della Carta Costituzionale.

Ciò posto, emerge una sorta di “zoccolo duro” dei diritti del diversamente abile, e in tale caso il diritto all’istruzione che va assicurato con tutti gli strumenti di cui il legislatore abbia disponibilità.

3. La sentenza n. 275/16 della Corte costituzionale

La legge regionale richiamata sull’accesso al sistema scolastico delle persone con disabilità era da intendersi illegittima in quanto operava senza giustificazione un limite all’osservanza delle norme richiamate. In primis la Corte osserva una illegittimità della norma regionale laddove limita un diritto fondamentale che trova copertura in fonti sia interne che internazionali di rango superiore.

Sempre la Corte osserva quanto vi sia un’incoerenza di fondo nello stessa normativa regionale di cui si discute. Infatti è la stessa legge regionale n. 78 del 1978 s.m.i che prevede dapprima un livello minimo delle prestazioni dovute e dalla quali non si può prescindere e contestualmente li limita ad interventi e politiche nonché alla gestione del bilancio dell’ente.

Sotto il profilo contenutistico, la norma in esame si presta alle medesime critiche come lo stesso giudice costituzionale rileva : “Nella specie il legislatore regionale si è assunto l’onere di concorrere, al fine di garantire l’attuazione del diritto, alla relativa spesa, ma una previsione che lasci incerta nell’an e nel quantum la misura della contribuzione, la rende aleatoria, traducendosi negativamente sulla possibilità di programmare il servizio e di garantirne l’effettività, in base alle esigenze presenti sul territorio”.

In sostanza la Consulta ritiene legittimo da parte del legislatore regionale parametrare l’attuazione dei diritti del disabile all’effettiva capacità di spesa di sua competenza, ma questo non deve dare adito a manovre che rendono indeterminato e insufficiente il contributo della regione, e quindi per tale via tale da violare la tutela del diversamente abile.

4. Conclusioni

La sentenza del giudice costituzionale non nega che il legislatore goda di discrezionalità nell’individuazione delle misure per la tutela dei diritti delle persone disabili, ma rileva che tale potere discrezionale trova un limite invalicabile nella necessità di coerenza intrinseca della stessa legge regionale contenente la disposizione impugnata, con la quale viene specificato il nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati.

La sentenza, quindi, offre un chiaro criterio di orientamento per dirimere eventuali contrasti tra diritti fondamentali e esigenze di “far quadrare i conti” che ogni ente pubblico si pone.