Multiproprietà: natura giuridica e disciplina
NOZIONE
La multiproprietà è un diritto reale, perfetto, perpetuo e turnario. Reale perché dà diritto al godimento e alla disposizione del bene; perfetto, perché può essere trasferito sia inter vivos, sia mortis causa; perpetuo perché non è temporale e non è un diritto a termine; turnario, perché si acquisisce il diritto di godimento sul bene immobile in determinati periodi dell’anno (notaio PASTORE).
NATURA GIURIDICA
La natura giuridica di questo diritto è estremamente controversa. Alcuni (Messineo) sostengono che essa sia espressione di una proprietà temporanea, nel senso che l’ordinamento attribuirebbe all’autonomia negoziale la creazione di un diritto reale atipico caratterizzato dalla coesistenza sullo stesso bene di più proprietà temporanee, posto che, argomenta tale dottrina, già esistono nel nostro ordinamento altre forme di limitazione della proprietà, quali usufrutto e enfiteusi.
Gazzoni, singolarmente, discute di diritto di godimento individuale limitato ad un determinato periodo dell’anno; la dottrina maggioritaria, avallata anche dalla giurisprudenza (Capozzi, Santoro-Passarelli, Branca), critica la concezione della proprietà temporanea, poiché vorrebbe dire ammettere un nuovo diritto reale, e quindi una consequenziale lesione del principio della loro tipicità, pertanto si sostiene che la multiproprietà è un diritto perpetuo, ancorchè ciclico e turnario, per cui la sua natura giuridica è di comproprietà a cui si associa un regolamento di uso turnario.
Alla base di tale tesi vi è infatti l’assunto che il regolamento di uso turnario che si danno le parti non è di certo produttivo di effetti traslativi, ecco allora che non è concepibile l’esistenza di tanti diritti di proprietà temporanei.
Posto quindi di voler aderire alla tesi della contitolarità, bisogna però capire come conciliare l’istituto della multiproprietà con quello inerente la disciplina della comunione, ed in particolare le problematiche relative al vincolo di indivisibilità perpetua del bene, il regime di amministrazione del bene comune e gli effetti della rinunzia del diritto da parte di uno dei contitolari.
Dal combinato disposto degli articoli 1111 e 1112 del codice civile si ricava che è sempre possibile chiedere lo scioglimento della comunione….ma che non possa richiedersi lo scioglimento della comunione quando si tratta di cose che se divise cesserebbero di servire all’uso comune a cui sono destinate.
A tal proposito nei regolamenti d’uso della multiproprietà si fa spesso riferimento all’obbligo dell’acquirente di rispettare la condizione di indivisibilità del bene facendo riferimento esplicito all’art. 1112 c.c., nel senso che se quell’immobile fosse diviso da uno dei proprietari (facoltà che in astratto compete ad ogni proprietario di immobile), allora ciò precluderebbe agli altri di servirsene.
Ecco quindi giustificato il richiamo all’art. 1112 c.c. Per quanto concerne il regime di amministrazione delle cosa comune, e quindi dell’immobile in multiproprietà, va detto che le esigenze della multiproprietà sono diverse rispetto a quelle della comunione. Infatti nelle multiproprietà bisogna tener conto che spesso i multiproprietari risiedono in zone molte lontane, e quindi è spesso diffiicile organizzare un’assemblea, ecco che quindi spesso, ai sensi dell’art. 1106 comma 2 c.c., si delega l’attività amministrativa ad un proprietario o ad un estraneo.
Per quanto concerne la possibilità di costituire diritti reali minori (usufrutto, superficie, ipoteca, servitù), o di locarlo, va detto che come ogni proprietario, anche il multiproprietario può costituirli, ma solo limitatamente alla sua possibilità di disposizione, e quindi solo rispetto al suo periodo di godimento, non potendo ad esempio un usufrutto costituito da uno dei multiproprietari gravare anche sugli altri, a meno che non si raggiunga l’unanimità dei consensi.
Quanto all’ipoteca, poi, si è precisato che sebbene l’art. 2825 c.c. permette di costituire ipoteca anche sulla quota del singolo partecipante alla comunione, subordinandone l’efficacia all’intervento della divisione, tale norma non può trovare applicazione nella multiproprietà, poiché essa presuppone sempre la permanenza unitaria del bene e quindi la sua indivisibilità; pertanto anche per l’ipoteca, vale quanto detto in precedenza e cioè che essa, al pari degli altri diritti reali su cosa altrui, è ipotizzabile solo limitatamente al diritto turnario del singolo.
Una particolare attenzione va posta a questa garanzia ipotecaria, perché esistono studi sull’ipotecabilità o meno del diritto di multiproprietà. Per gran parte della dottrina (Santoro Passarelli) questo diritto non sarebbe ipotecabile; per altra parte della dottrina, questo diritto, invece, potrebbe costituire oggetto di ipoteca.
Vediamo perché per qualcuno tale diritto è ipotecabile e perché per altri no (notaio GERBO). La quota è ipotecabile, la quota “ideale”, cioè la quota di comproprietà di un diritto reale. Quando avviene la surrogazione, cioè quando la quota si trasforma in diritto su un oggetto determinato in sede di divisione, l’ipoteca automaticamente si trasferisce. L’oggetto della surrogazione si considera ipotecato ab origine in luogo della quota. Questo appunto è il problema fondamentale nell’ipotecabilità della quota di multiproprietà. Questo, infatti, è un diritto indivisibile, quindi non consente al singolo multiproprietario di addivenire allo scioglimento della divisione. Perciò quello che desta più problemi è proprio il problema della surrogazione (Notaio PASTORE).
Quanto alla rinuncia al proprio diritto da parte del multiproprietario, la dottrina si è divisa, nel senso che per alcuni la quota si accresce agli altri, i quali ne possono però anche disporre alienandola a terzi, per altra dottrina invece non sarebbe configurabile un accrescimento a favore degli altri multiproprietari; a ben vedere l’adesione ad una tesi o all’altra dipende dalla tesi a cui si aderisce circa la natura giuridica.
Se si aderisce alla tesi della proprietà temporanea, per cui vi sarebbero tante proprietà temporanee ognuna diversa dalle altre, allora non potrebbe ipotizzarsi alcun accrescimento, e quindi la rinunzia di uno dei multiproprietari darebbe luogo all’applicazione dell’art. 827 c.c, e quindi alla poco attendibile conseguenza che andrebbe il bene attribuito allo Stato.
Se invece si aderisce alla tesi maggioritaria per cui essa è espressione comunque di contitolarità di più soggetti su di un bene, allora si giunge ad ammettere che la conseguenza della rinunzia di uno dei multiproprietari determina l’accrescimento a favore degli altri.
DISCIPLINA
La disciplina della multiproprietà ha un’origine comunitaria, la direttiva 94/97 alla quale si è data attuazione con il Decreto Legislativo n. 427/98 e dal Codice del Consumo. In particolare, il Codice del Consumo varato con Decreto Legislativo n. 206 del 6 settembre 2005 (pubblicato sulla G.U. n. 235 dell’8/10/2005 ed entrato in vigore il 23 ottobre 2005):
- ha abrogato il Decreto Legislativo 427/1998 (emanato sulla base della Direttiva Comunitaria 94/47 del 26/10/1994) che ha disciplinato tale istituto dal 1998 al 2005;
- ha confermato la nozione di multiproprietà;
- ha disciplinato i relativi contratti in modo più dettagliato specie in ordine ai tre PILASTRI (Documento informativo, Diritto di recesso e Garanzia fidejussoria);
- ha reso più chiare ed incisive le sanzioni a carico del PROFESSIONISTA che violi le norme del Codice ed ha rafforzato la TUTELA DEL CONSUMATORE di fronte a clausole o comportamenti aventi la caratteristica della “VESSATORIETA’.
Le norme attualmente vigenti sono quelle previste dagli articoli 69 e seguenti di detto Codice del Consumo.
E’ opportuno partire dalle definizioni contenute nella legge per scoprire qual è l’ambito applicativo della legge sulla multiproprietà e cominciare ad accedere alle nozioni fondamentali così come trasmesse dal legislatore, e così come poi la dottrina ha finito per interpretarle.
L’art. 69 del d.lgs. 206/2005 stabilisce quattro distinte nozioni di cui bisogna tener conto ai fini dell’applicazione della norma e probabilmente ai fini dell’applicazione dei concetti fondamentali della multiproprietà; stabilisce che le norme si applicano ai contratti che durano almeno tre anni, con i quali, verso il corrispettivo di un prezzo globale, viene costituito o trasferito – o più semplicemente, si promette di costituire o trasferire – direttamente o indirettamente un diritto reale o un altro diritto, che consiste essenzialmente nel godimento di uno o più beni immobili, per un periodo determinato o determinabile dell’anno, comunque non inferiore ad una settimana.
La singolarità di questa disposizione normativa si coglie immediatamente, infatti la normativa cui facciamo riferimento si applica non solo ai contratti ad efficacia reale, ma anche a quei contratti che hanno efficacia obbligatoria, purchè abbiamo ad oggetto la promessa di trasferire il godimento diretto o indiretto, su di uno o più beni immobili, per un periodo non inferiore ad una settimana. Evidentemente l’inserimento della normativa in questione nell’ambito della tutela del consumatore travalica i confini squisitamente civilistici della distinzione tra diritti reali e diritti di credito. Vengono, immediatamente dopo, qualificati i soggetti protagonisti: venditore e acquirente.
L’“acquirente” deve essere un consumatore (si intende per consumatore la persona fisica che non agisce nell’esercizio di una attività professionale relativa alla materia de qua): dunque deve essere un soggetto – persona fisica – che non svolga attività d’impresa in materia di attività immobiliare.
Il “venditore”, per questa normativa, deve essere, invece, una persona, fisica o giuridica, che nell’ambito dell’attività professionale costituisca, trasferisca, o prometta di costituire o trasferire, diritti oggetto del contratto. Quindi deve essere una impresa individuale o una società che svolga una attività immobiliare. In punto soggettivo, l’indicazione persona fisica o giuridica lascia dei margini di interpretazione, perché ci si dovrebbe immediatamente chiedere se le società di persone – che non sono persone fisiche e ovviamente non sono persone giuridiche nel senso comune del termine, ossia non sono dotate di personalità giuridica – vi rientrino o meno. Al riguardo la normativa de quo va interpretata nel modo più favorevole al consumatore, ossia poiché questo è un complesso di norme che avvantaggiano il consumatore, è evidente che, occorre nei limiti del possibile, come in questo caso, interpretare analogicamente l’estensione della normativa, nella misura in cui non vi sono ragioni per non ritenere applicabile a soggetti che presentano tratti di totale integrità. Quindi, la nozione di “venditore” può essere ampliata al di là del dato squisitamente letterale…“persona fisica o giuridica”, non esclude, insomma, che le società di persone, che svolgano attività professionale immobiliare, si sottraggano, per ciò stesso – ossia per il non essere persone giuridiche – alla applicazione della normativa del codice di consumo (e sul punto, la dottrina che si è occupata del problema è pacifica).
Da ultimo, la norma chiarisce che il bene oggetto dell’intervento legislativo deve essere un bene immobile (attenzione: deve essere un immobile), anche con destinazione alberghiera, una parte di immobile che deve essere per uso abitativo o per uso alberghiero o per uso turistico-ricettivo. Da questa definizione emerge con chiarezza la circostanza che la legge ritiene che la multiproprietà – che abbia riferimento ad un immobile – è caratterizzata in re ipsa da una vicenda ontologica innegabile: l’immobile deve avere una destinazione turistico-ricettiva, però lascia un margine di incertezza dove la legge recita: “per uso abitazione o per uso alberghiero”. E’ necessario sgomberare al riguardo ogni equivoco: non c’è autore in letteratura che non abbia precisato che il vincolo di destinazione che deve “affliggere” l’immobile deve essere un vincolo di destinazione turistico-ricettivo, ossia la destinazione che rileva per la multiproprietà non è una destinazione a carattere abitativo. Non c’è multiproprietà o, per meglio dire, non c’è multiproprietà disciplinata dal d.lgs. 206/2005 (già d.lgs. 427/98), se non vi è destinazione per uso turistico-ricettivo e, quindi, l’abitazione sia in funzione dell’uso turistico-ricettivo.
Ci si potrebbe domandare, in generale, se fuori di questa norma possa esistere un concetto di multiproprietà per uso abitativo. In linea pratica è faticoso capire come l’esigenza abitativa si possa soddisfare con un godimento che sia turnario (visto che comunque, finito il turno, cesserebbe il diritto del “comproprietario” – chiamiamolo genericamente così per il momento – a questa sua abitazione). Pertanto una abitazione di tipo residenziale non può essere oggetto di multiproprietà di cui al Codice del Consumo. Ecco perchè la legge e la dottrina, correttamente, interpretano questa destinazione come destinazione turistico-ricettiva, che la parola “abitazione” sia in funzione di questa particolare destinazione; cioè non abitazione sic et simpliciter – ossia residenziale – ma in funzione del soddisfacimento dell’esigenza connessa allo scopo ricettivo e così via. Allora, bisogna immediatamente comprendere che la multiproprietà di cui stiamo analizzando la disciplina, ma non la natura giuridica, è disciplina riferita ai rapporti tra il soggetto professionale da un lato ed il soggetto consumatore dall’altro; però il concetto di multiproprietà vale anche fuori da questa ipotesi, con la conseguenza che non si applicherà fuori da questa ipotesi la disciplina del d.lgs. 206/2005, ma avremo lo stesso multiproprietà.
Oggetto del contratto è:
un diritto reale di proprietà;
un diritto reale limitato di godimento;
un diritto personale di godimento.
Nella figura, quindi, rientrano tutte le possibili ipotesi di GODIMENTO TURNARIO di un immobile (normalmente per trascorrervi una vacanza) caratterizzate dal pagamento di un prezzo GLOBALE per tutta la durata del contratto, della durata minima di tre anni per il contratto e di una settimana per il turno di godimento.
NOZIONE
La multiproprietà è un diritto reale, perfetto, perpetuo e turnario. Reale perché dà diritto al godimento e alla disposizione del bene; perfetto, perché può essere trasferito sia inter vivos, sia mortis causa; perpetuo perché non è temporale e non è un diritto a termine; turnario, perché si acquisisce il diritto di godimento sul bene immobile in determinati periodi dell’anno (notaio PASTORE).
NATURA GIURIDICA
La natura giuridica di questo diritto è estremamente controversa. Alcuni (Messineo) sostengono che essa sia espressione di una proprietà temporanea, nel senso che l’ordinamento attribuirebbe all’autonomia negoziale la creazione di un diritto reale atipico caratterizzato dalla coesistenza sullo stesso bene di più proprietà temporanee, posto che, argomenta tale dottrina, già esistono nel nostro ordinamento altre forme di limitazione della proprietà, quali usufrutto e enfiteusi.
Gazzoni, singolarmente, discute di diritto di godimento individuale limitato ad un determinato periodo dell’anno; la dottrina maggioritaria, avallata anche dalla giurisprudenza (Capozzi, Santoro-Passarelli, Branca), critica la concezione della proprietà temporanea, poiché vorrebbe dire ammettere un nuovo diritto reale, e quindi una consequenziale lesione del principio della loro tipicità, pertanto si sostiene che la multiproprietà è un diritto perpetuo, ancorchè ciclico e turnario, per cui la sua natura giuridica è di comproprietà a cui si associa un regolamento di uso turnario.
Alla base di tale tesi vi è infatti l’assunto che il regolamento di uso turnario che si danno le parti non è di certo produttivo di effetti traslativi, ecco allora che non è concepibile l’esistenza di tanti diritti di proprietà temporanei.
Posto quindi di voler aderire alla tesi della contitolarità, bisogna però capire come conciliare l’istituto della multiproprietà con quello inerente la disciplina della comunione, ed in particolare le problematiche relative al vincolo di indivisibilità perpetua del bene, il regime di amministrazione del bene comune e gli effetti della rinunzia del diritto da parte di uno dei contitolari.
Dal combinato disposto degli articoli 1111 e 1112 del codice civile si ricava che è sempre possibile chiedere lo scioglimento della comunione….ma che non possa richiedersi lo scioglimento della comunione quando si tratta di cose che se divise cesserebbero di servire all’uso comune a cui sono destinate.
A tal proposito nei regolamenti d’uso della multiproprietà si fa spesso riferimento all’obbligo dell’acquirente di rispettare la condizione di indivisibilità del bene facendo riferimento esplicito all’art. 1112 c.c., nel senso che se quell’immobile fosse diviso da uno dei proprietari (facoltà che in astratto compete ad ogni proprietario di immobile), allora ciò precluderebbe agli altri di servirsene.
Ecco quindi giustificato il richiamo all’art. 1112 c.c. Per quanto concerne il regime di amministrazione delle cosa comune, e quindi dell’immobile in multiproprietà, va detto che le esigenze della multiproprietà sono diverse rispetto a quelle della comunione. Infatti nelle multiproprietà bisogna tener conto che spesso i multiproprietari risiedono in zone molte lontane, e quindi è spesso diffiicile organizzare un’assemblea, ecco che quindi spesso, ai sensi dell’art. 1106 comma 2 c.c., si delega l’attività amministrativa ad un proprietario o ad un estraneo.
Per quanto concerne la possibilità di costituire diritti reali minori (usufrutto, superficie, ipoteca, servitù), o di locarlo, va detto che come ogni proprietario, anche il multiproprietario può costituirli, ma solo limitatamente alla sua possibilità di disposizione, e quindi solo rispetto al suo periodo di godimento, non potendo ad esempio un usufrutto costituito da uno dei multiproprietari gravare anche sugli altri, a meno che non si raggiunga l’unanimità dei consensi.
Quanto all’ipoteca, poi, si è precisato che sebbene l’art. 2825 c.c. permette di costituire ipoteca anche sulla quota del singolo partecipante alla comunione, subordinandone l’efficacia all’intervento della divisione, tale norma non può trovare applicazione nella multiproprietà, poiché essa presuppone sempre la permanenza unitaria del bene e quindi la sua indivisibilità; pertanto anche per l’ipoteca, vale quanto detto in precedenza e cioè che essa, al pari degli altri diritti reali su cosa altrui, è ipotizzabile solo limitatamente al diritto turnario del singolo.
Una particolare attenzione va posta a questa garanzia ipotecaria, perché esistono studi sull’ipotecabilità o meno del diritto di multiproprietà. Per gran parte della dottrina (Santoro Passarelli) questo diritto non sarebbe ipotecabile; per altra parte della dottrina, questo diritto, invece, potrebbe costituire oggetto di ipoteca.
Vediamo perché per qualcuno tale diritto è ipotecabile e perché per altri no (notaio GERBO). La quota è ipotecabile, la quota “ideale”, cioè la quota di comproprietà di un diritto reale. Quando avviene la surrogazione, cioè quando la quota si trasforma in diritto su un oggetto determinato in sede di divisione, l’ipoteca automaticamente si trasferisce. L’oggetto della surrogazione si considera ipotecato ab origine in luogo della quota. Questo appunto è il problema fondamentale nell’ipotecabilità della quota di multiproprietà. Questo, infatti, è un diritto indivisibile, quindi non consente al singolo multiproprietario di addivenire allo scioglimento della divisione. Perciò quello che desta più problemi è proprio il problema della surrogazione (Notaio PASTORE).
Quanto alla rinuncia al proprio diritto da parte del multiproprietario, la dottrina si è divisa, nel senso che per alcuni la quota si accresce agli altri, i quali ne possono però anche disporre alienandola a terzi, per altra dottrina invece non sarebbe configurabile un accrescimento a favore degli altri multiproprietari; a ben vedere l’adesione ad una tesi o all’altra dipende dalla tesi a cui si aderisce circa la natura giuridica.
Se si aderisce alla tesi della proprietà temporanea, per cui vi sarebbero tante proprietà temporanee ognuna diversa dalle altre, allora non potrebbe ipotizzarsi alcun accrescimento, e quindi la rinunzia di uno dei multiproprietari darebbe luogo all’applicazione dell’art. 827 c.c, e quindi alla poco attendibile conseguenza che andrebbe il bene attribuito allo Stato.
Se invece si aderisce alla tesi maggioritaria per cui essa è espressione comunque di contitolarità di più soggetti su di un bene, allora si giunge ad ammettere che la conseguenza della rinunzia di uno dei multiproprietari determina l’accrescimento a favore degli altri.
DISCIPLINA
La disciplina della multiproprietà ha un’origine comunitaria, la direttiva 94/97 alla quale si è data attuazione con il Decreto Legislativo n. 427/98 e dal Codice del Consumo. In particolare, il Codice del Consumo varato con Decreto Legislativo n. 206 del 6 settembre 2005 (pubblicato sulla G.U. n. 235 dell’8/10/2005 ed entrato in vigore il 23 ottobre 2005):
- ha abrogato il Decreto Legislativo 427/1998 (emanato sulla base della Direttiva Comunitaria 94/47 del 26/10/1994) che ha disciplinato tale istituto dal 1998 al 2005;
- ha confermato la nozione di multiproprietà;
- ha disciplinato i relativi contratti in modo più dettagliato specie in ordine ai tre PILASTRI (Documento informativo, Diritto di recesso e Garanzia fidejussoria);
- ha reso più chiare ed incisive le sanzioni a carico del PROFESSIONISTA che violi le norme del Codice ed ha rafforzato la TUTELA DEL CONSUMATORE di fronte a clausole o comportamenti aventi la caratteristica della “VESSATORIETA’.
Le norme attualmente vigenti sono quelle previste dagli articoli 69 e seguenti di detto Codice del Consumo.
E’ opportuno partire dalle definizioni contenute nella legge per scoprire qual è l’ambito applicativo della legge sulla multiproprietà e cominciare ad accedere alle nozioni fondamentali così come trasmesse dal legislatore, e così come poi la dottrina ha finito per interpretarle.
L’art. 69 del d.lgs. 206/2005 stabilisce quattro distinte nozioni di cui bisogna tener conto ai fini dell’applicazione della norma e probabilmente ai fini dell’applicazione dei concetti fondamentali della multiproprietà; stabilisce che le norme si applicano ai contratti che durano almeno tre anni, con i quali, verso il corrispettivo di un prezzo globale, viene costituito o trasferito – o più semplicemente, si promette di costituire o trasferire – direttamente o indirettamente un diritto reale o un altro diritto, che consiste essenzialmente nel godimento di uno o più beni immobili, per un periodo determinato o determinabile dell’anno, comunque non inferiore ad una settimana.
La singolarità di questa disposizione normativa si coglie immediatamente, infatti la normativa cui facciamo riferimento si applica non solo ai contratti ad efficacia reale, ma anche a quei contratti che hanno efficacia obbligatoria, purchè abbiamo ad oggetto la promessa di trasferire il godimento diretto o indiretto, su di uno o più beni immobili, per un periodo non inferiore ad una settimana. Evidentemente l’inserimento della normativa in questione nell’ambito della tutela del consumatore travalica i confini squisitamente civilistici della distinzione tra diritti reali e diritti di credito. Vengono, immediatamente dopo, qualificati i soggetti protagonisti: venditore e acquirente.
L’“acquirente” deve essere un consumatore (si intende per consumatore la persona fisica che non agisce nell’esercizio di una attività professionale relativa alla materia de qua): dunque deve essere un soggetto – persona fisica – che non svolga attività d’impresa in materia di attività immobiliare.
Il “venditore”, per questa normativa, deve essere, invece, una persona, fisica o giuridica, che nell’ambito dell’attività professionale costituisca, trasferisca, o prometta di costituire o trasferire, diritti oggetto del contratto. Quindi deve essere una impresa individuale o una società che svolga una attività immobiliare. In punto soggettivo, l’indicazione persona fisica o giuridica lascia dei margini di interpretazione, perché ci si dovrebbe immediatamente chiedere se le società di persone – che non sono persone fisiche e ovviamente non sono persone giuridiche nel senso comune del termine, ossia non sono dotate di personalità giuridica – vi rientrino o meno. Al riguardo la normativa de quo va interpretata nel modo più favorevole al consumatore, ossia poiché questo è un complesso di norme che avvantaggiano il consumatore, è evidente che, occorre nei limiti del possibile, come in questo caso, interpretare analogicamente l’estensione della normativa, nella misura in cui non vi sono ragioni per non ritenere applicabile a soggetti che presentano tratti di totale integrità. Quindi, la nozione di “venditore” può essere ampliata al di là del dato squisitamente letterale…“persona fisica o giuridica”, non esclude, insomma, che le società di persone, che svolgano attività professionale immobiliare, si sottraggano, per ciò stesso – ossia per il non essere persone giuridiche – alla applicazione della normativa del codice di consumo (e sul punto, la dottrina che si è occupata del problema è pacifica).
Da ultimo, la norma chiarisce che il bene oggetto dell’intervento legislativo deve essere un bene immobile (attenzione: deve essere un immobile), anche con destinazione alberghiera, una parte di immobile che deve essere per uso abitativo o per uso alberghiero o per uso turistico-ricettivo. Da questa definizione emerge con chiarezza la circostanza che la legge ritiene che la multiproprietà – che abbia riferimento ad un immobile – è caratterizzata in re ipsa da una vicenda ontologica innegabile: l’immobile deve avere una destinazione turistico-ricettiva, però lascia un margine di incertezza dove la legge recita: “per uso abitazione o per uso alberghiero”. E’ necessario sgomberare al riguardo ogni equivoco: non c’è autore in letteratura che non abbia precisato che il vincolo di destinazione che deve “affliggere” l’immobile deve essere un vincolo di destinazione turistico-ricettivo, ossia la destinazione che rileva per la multiproprietà non è una destinazione a carattere abitativo. Non c’è multiproprietà o, per meglio dire, non c’è multiproprietà disciplinata dal d.lgs. 206/2005 (già d.lgs. 427/98), se non vi è destinazione per uso turistico-ricettivo e, quindi, l’abitazione sia in funzione dell’uso turistico-ricettivo.
Ci si potrebbe domandare, in generale, se fuori di questa norma possa esistere un concetto di multiproprietà per uso abitativo. In linea pratica è faticoso capire come l’esigenza abitativa si possa soddisfare con un godimento che sia turnario (visto che comunque, finito il turno, cesserebbe il diritto del “comproprietario” – chiamiamolo genericamente così per il momento – a questa sua abitazione). Pertanto una abitazione di tipo residenziale non può essere oggetto di multiproprietà di cui al Codice del Consumo. Ecco perchè la legge e la dottrina, correttamente, interpretano questa destinazione come destinazione turistico-ricettiva, che la parola “abitazione” sia in funzione di questa particolare destinazione; cioè non abitazione sic et simpliciter – ossia residenziale – ma in funzione del soddisfacimento dell’esigenza connessa allo scopo ricettivo e così via. Allora, bisogna immediatamente comprendere che la multiproprietà di cui stiamo analizzando la disciplina, ma non la natura giuridica, è disciplina riferita ai rapporti tra il soggetto professionale da un lato ed il soggetto consumatore dall’altro; però il concetto di multiproprietà vale anche fuori da questa ipotesi, con la conseguenza che non si applicherà fuori da questa ipotesi la disciplina del d.lgs. 206/2005, ma avremo lo stesso multiproprietà.
Oggetto del contratto è:
un diritto reale di proprietà;
un diritto reale limitato di godimento;
un diritto personale di godimento.
Nella figura, quindi, rientrano tutte le possibili ipotesi di GODIMENTO TURNARIO di un immobile (normalmente per trascorrervi una vacanza) caratterizzate dal pagamento di un prezzo GLOBALE per tutta la durata del contratto, della durata minima di tre anni per il contratto e di una settimana per il turno di godimento.