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La natura giuridica della prelazione artistica

Abstract

In via preliminare, in vista del successivo esame delle caratteristiche precipue della prelazione artistica, è opportuno definire la nozione generale di prelazione, per poi “immetterla” nel contesto dell’omonimo istituto positivamente regolamentato nell’ambito della disciplina dei beni culturali. A tal proposito, appare utile ricordare che la prelazione si configura come un pactum de contrahendo, cioè come un accordo con cui il concedente si obbliga, a parità di condizioni, a stipulare con il solo prelazionario; in altri termini, tale patto, in tutto assimilabile ad un preliminare, o ad un atto unilaterale o ad una promessa di vendita, consiste in una condizione potestativa che attribuisce al soggetto beneficiario il diritto di essere preferito a parità di condizioni. Il presente studio, cercando di ricostruire la natura giuridica della prelazione artistica, mette in evidenza le peculiarità del suo regime giuridico dimostrando che essa costituisce un vero e proprio tertium genus di prelazione, tale quindi da essere tenuta nettamente distinta da ogni altra forma di prelazione, tanto di natura convenzionale, quanto di tipo legale di diritto comune. In tale ottica, è bene ricordare che il soggetto passivo della prelazione non è affatto costretto a concludere il negozio ad essa assoggettato, poiché dispone comunque della massima libertà di scelta, non dovendo sottostare ad alcuna forma di pressione da parte del c.d. prelazionario. Ciò detto, ricostruire la natura giuridica della prelazione artistica non è facile.

Tanto in dottrina quanto in giurisprudenza da sempre si discute sulla specifica natura giuridica della prelazione artistica.

Una parte della dottrina (Carboni; Furgiuele; Berardini) ritiene che la prelazione artistica sia configurabile come una particolare tipologia di prelazione legale; un’altra parte (Cantucci; Grisolia; Assini-Cordini; Coppola-Spena; Cozzuto-Quadri; Casu; A.M.Sandulli; Piva; Moscarini; Cass., sez. III, 21 agosto 1962, n. 2613; Cass., sez. un., 1° luglio 1992, n. 8079) invece ritiene che essa rappresenti una sorta di tertium genus di prelazione assoggettato ad un autonomo regime giuridico, stante lo specifico interesse giuspubblicistico posto a suo fondamento in vista della tutela, conservazione e valorizzazione dei beni culturali.

Appare senz’altro preferibile questa seconda impostazione, peraltro sostenuta dalla migliore dottrina intervenuta in materia e da numerose pronunce giurisprudenziali, giacché, a ben vedere, la prelazione artistica, pur avvicinandosi allo schema della prelazione legale, se ne discosta sensibilmente per una serie di caratteristiche sue peculiari.

Una prima specificità è anzitutto rappresentata dal fatto che il soggetto beneficiario della prelazione artistica non è costituito da un quisque de populo (come nei casi di prelazione convenzionale o legale, di stampo privatistico), bensì dallo stesso Stato (in prima battuta) o, qualora quest’ultimo non intenda avvalersene, dalla Regione o dagli altri minori enti territoriali eventualmente interessati. Al riguardo il Codice Urbani (art. 60) dispone che «Il Ministero o, nel caso previsto dall’articolo 62, comma 3, la regione o l’altro ente pubblico territoriale interessato, hanno facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso o conferiti in società, rispettivamente, al medesimo prezzo stabilito nell’atto di alienazione o al medesimo valore attribuito nell’atto di conferimento».

Mentre infatti nelle forme comuni di prelazione legale il titolo d’acquisto del diritto da parte del prelazionario è pur sempre costituito dall’originario negozio di alienazione inter partes, nella prelazione artistica il titolo di acquisto è invece costituito da un provvedimento amministrativo (quindi da un atto autoritativo, di regola unilaterale, della pubblica amministrazione) sottoposto a regime giuspubblicistico, dal quale discende inevitabilmente l’assoggettamento alla disciplina del procedimento amministrativo. Tale regime giuspubblicistico emerge altresì dal complesso della normativa di settore dettata, a tutela dei beni culturali, dal Codice Urbani. La prelazione artistica, pur essendo anch’essa prevista dalla legge, si distingue dalle prelazioni legali di diritto comune per un’ulteriore, e non secondaria, ragione: mentre infatti la comune prelazione legale presuppone un negozio soltanto programmato e non concluso, la prelazione artistica presuppone invece un contratto già concluso e destinato a produrre effetti immediatamente. In altri termini, la disciplina della prelazione artistica prevede espressamente che lo Stato eserciti la prelazione soltanto a partire dal momento dell’avvenuta conclusione del negozio traslativo tra i privati.

La prelazione artistica si distingue, poi, dalle prelazioni legali di diritto comune anche perché, mentre queste ultime contemplano, come è noto, l’istituto del retratto, ossia il potere conferito al detraente (cioè al prelazionario ingiustamente impedito di esercitare la prelazione) di “inserirsi” nel contratto in procinto di essere concluso a suo danno, detto istituto è invece assente nella prelazione artistica: in questo caso, infatti, lo Stato ha sempre il potere di esercitare, ancorché oltre i termini della denuncia, quando quest’ultima manchi o sia incompleta, il diritto di prelazione, sovrapponendosi autoritariamente ad entrambe le parti.

Sicché, una volta esercitata la prelazione, lo Stato non assume mai la veste di parte del contratto (come accade nel caso in cui alla denuntiatio faccia seguito l’accettazione del prelazionario ex lege), né si surroga nella posizione del privato acquirente, ma opera il suo acquisto autonomamente in virtù dell’esercizio di poteri pubblicistici discrezionali insiti nella stessa prelazione artistica. Quest’ultima viene esercitata dallo Stato attraverso l’adozione di un vero e proprio provvedimento amministrativo di natura abbastanza affine a quelli di tipo ablatorio. Di qui le ulteriori conseguenze. Anzitutto, mentre nella prelazione legale il prelazionario acquista la proprietà alle medesime condizioni originariamente proposte al terzo acquirente, nel caso della prelazione artistica lo Stato non è affatto vincolato dalle clausole contrattuali.

In secondo luogo, se — in caso di prelazione legale — il terzo acquirente avesse nel tempo usucapito il bene acquistato, il prelazionario non potrebbe assumere alcuna iniziativa utile, avendo egli irrimediabilmente perduto il proprio diritto di prelazione sul bene; al contrario, il Codice, all’art. 167, attribuisce in ogni caso allo Stato il potere di disporre atti ablatori (in primis l’espropriazione) sul bene culturale senza limiti temporali e, soprattutto, senza vedersi mai eccepita l’avvenuta usucapione a favore del terzo.

Quale ulteriore sostegno alla tesi qui accolta, può citarsi il pregevole insegnamento offerto dalla Cassazione in due risalenti pronunce (Cass., sez. III, 21 agosto 1962, n. 2613; Cass., sez. un., 1° luglio 1992, n. 8079), nelle quali si statuisce che «il diritto di prelazione dello Stato nelle alienazioni a titolo oneroso di cose di interesse artistico e storico ha una propria configurazione giuridica che si differenzia nettamente dalla prelazione legale, prevista e disciplinata dalle norme di diritto comune».

Mentre infatti nella prelazione legale in senso proprio il soggetto attivo, esercitando il suo diritto, si pone in un rapporto contrattuale rispetto al soggetto passivo, surrogandosi all’acquirente originario, nella prelazione di cui alla legge 1089/1939 (oggi Codice Urbani) lo Stato agisce mediante l’esplicazione di un potere di supremazia e per il conseguimento di un interesse pubblico, quale la conservazione e il pubblico godimento di determinati beni, il cui trasferimento viene pertanto imposto al privato.

Si tratta, quindi, di una forma di acquisto che si realizza non già attraverso un rapporto negoziale, ma per effetto di una manifestazione della potestà di imperio dello Stato.

Questi due istituti vanno dunque tenuti nettamente distinti tra loro perché, mentre la prelazione legale raffigura una tipica espressione di diritto privato, atteso che trattasi di trasferimento realizzato attraverso un negozio giuridico espresso, la prelazione artistica costituisce invece una chiara manifestazione di potestà pubblica, giacché trae origine e forza da un vero e proprio provvedimento “unilaterale” della pubblica amministrazione.

La prelazione artistica è dunque espressione — per usare le medesime parole della Cassazione — « di un potere di supremazia che nasce dalla necessità di difendere un interesse pubblico, quale la conservazione ed il pubblico godimento di determinati beni ».

Anzi, come si è accennato, non è mancata l’opinione, diffusa soprattutto in giurisprudenza amministrativa, secondo la quale sarebbe possibile spingersi oltre, sino cioè a configurare il nostro istituto come una patente manifestazione del potere di acquisizione coattiva dei beni culturali di proprietà privata, esercitato in occasione della conclusione dei negozi di trasferimento, tanto da ascrivere il provvedimento c.d. prelazionario, a pieno titolo, nel novero degli atti amministrativi ablatori, con conseguente obbligo di adeguata motivazione, attesa la sua incidenza in peius nella sfera giuridica dei contraenti originari.

Pur nella consapevolezza dei limiti di questo contributo, non può non ricordarsi l’apporto offerto in subjecta materia dalla migliore dottrina, la quale acutamente osserva che l’istituto della prelazione artistica non può essere semplicisticamente liquidato come una mera variante allo schema privatistico della prelazione legale di diritto comune, né, d’altro canto, può essere ricondotto sic et simpliciter nello schema della procedura espropriativa diretta a realizzare una particolare forma di acquisto coattivo.

Orbene, è certamente consentito affermare che attraverso l’esercizio della prelazione artistica emerga la potestà d’imperio dello Stato (o dell’ente pubblico territoriale interessato) diretta ad assicurare al bene culturale un’adeguata protezione e conservazione, facendo così affiorare una capacità “invasiva” assai più penetrante rispetto alle comuni fattispecie di prelazione legale.

Ma oltre a ciò non è consentito andare: pare infatti eccessivo, giungere a sostenere che l’esercizio di questa potestà pubblica sia addirittura espressione di una procedura espropriativa in quanto finalizzata a realizzare l’acquisto coattivo della proprietà.

A ben vedere, a monte di questa complessa fattispecie, pur in presenza di un provvedimento autoritativo della pubblica Amministrazione (generalmente assunto sotto forma di decreto), rimane purtuttavia sempre il negozio traslativo della proprietà liberamente concluso tra parti private, cioè tra il proprietario alienante e l’originario terzo acquirente: nessuno insomma costringe il proprietario a dismettere il proprio diritto. Sicché, l’esercizio del potere autoritativo da parte dell’ente prelazionario viene rigorosamente condizionato dall’esistenza del negozio traslativo tra le parti (trattasi, secondo l’opinione qui condivisa, di condicio juris), dal quale l’Amministrazione non può evidentemente prescindere.

D’altro canto, poi, il provvedimento di esercizio della prelazione artistica, costituendo un tipico istituto di diritto pubblico, non può essere “forzato” sino a consentire la realizzazione dell’originaria integrale volontà delle parti — materializzatasi nello specifico regolamento di interessi in concreto perseguito e che costituisce lo scopo diretto ed immediato del negozio — perché in questo caso l’Amministrazione agisce avendo a cuore la cura degli interessi generali e non quelli meramente individuali (ed egoistici) degli originari contraenti. Ciò porta quindi ad intendere pienamente il significato del principio in forza del quale l’esercizio della prelazione implica necessariamente la caducazione di tale negozio (art. 61, comma 5, C.U).

A questo punto è dunque possibile prendere posizione: la prelazione, pur manifestandosi attraverso l’adozione di un vero e proprio provvedimento autoritativo in funzione sostanzialmente ablatoria rispetto agli interessi inizialmente regolamentati tra le parti, non è tuttavia sollecitata in via esclusiva dall’attività di impulso della pubblica amministrazione, ma, al contrario, viene rigorosamente condizionata a monte da un’espressa volontà dismissiva del proprietario alienante.

Questa ricostruzione è da tempo accolta dalla stessa Corte costituzionale, la quale in una nota decisione (Corte Cost. 20 giugno 1995 n. 269) pronunciata sull’argomento, ha sostenuto che « la prelazione storico- artistica, pur manifestando - quanto meno nel caso contemplato dal secondo comma dell’art. 61 - una sostanza ablativa, è istituto ben distinto dagli ordinari provvedimenti di natura espropriativa. Basti solo considerare che, a differenza di quanto accade nelle ordinarie procedure espropriative, la prelazione viene a collegarsi ad una iniziativa (trasferimento a titolo oneroso) che non è attivata dalla parte pubblica, bensì dalla parte privata, titolare del bene: e questo nonostante che la stessa prelazione, ove sia esercitata in conseguenza della violazione di un preciso obbligo imposto al privato (denuncia del trasferimento), venga chiaramente a configurarsi come istituto in cui prevale, sul profilo negoziale, il profilo autoritativo».

La medesima Corte precisa altresì che «lo speciale regime della prelazione artistica trova nell’art. 9 Cost. il suo fondamento, e si giustifica nella sua specificità in relazione al fine di salvaguardare beni cui sono connessi interessi primari per la vita culturale del bene».

A ben vedere, la differenziazione tra la prelazione artistica, da un lato, e le forme di acquisto coattivo di beni culturali ( in primis l’espropriazione), dall’altro, si evince anche da ulteriori significative difformità di disciplina. Anzitutto, nel caso della prelazione artistica la legge impone che l’alienazione del bene sia preceduta dalla notificazione, cioè l’atto con cui l’amministrazione riconosce, portandone a conoscenza il proprietario, il valore dello stesso a tutti i fini giuridici, compreso l’esercizio del diritto in questione; nel caso invece dell’espropriazione artistica questo elemento non assume alcuna rilevanza, atteso che è possibile procedere all’espropriazione anche di beni non precedentemente notificati. In secondo luogo, si riscontrerebbe un ulteriore elemento di differenziazione nel regime dell’obbligo di motivazione, il quale, assai puntuale nell’espropriazione (artistica) — dovendo quest’ultima accertare, tra l’altro, la migliore conservazione del bene — apparirebbe, al contrario, assai meno stringente nella prelazione (artistica), in base all’assunto che questa sarebbe di regola incentrata ad incrementare il patrimonio culturale dello Stato.

La differenziazione tra i due istituti si evince da un ulteriore dato positivo: ove infatti il negozio concluso tra le parti dovesse essere viziato (ad es., da dolo, violenza o errore) o concluso in stato di incapacità legale o naturale di una delle parti, l’invalidità che lo inficia travolgerebbe anche l’esercizio del potere di prelazione da parte dell’autorità competente, essendo fondato su un invalido regolamento degli interessi tra le originarie parti negoziali.

Ancora qualche osservazione.

In primo luogo, si ricorda che dottrina e giurisprudenza qualificano il provvedimento di esercizio della prelazione come un atto amministrativo di natura recettizia, attesa la sua idoneità ad acquistare piena efficacia a partire non già dal momento della sua emanazione ma solo successivamente, ossia una volta perfezionatosi con la sua comunicazione (rectius: notificazione) alle originarie parti private.

La prelazione artistica costituirebbe pertanto una fattispecie complessa che nel tradizionale lessico giuridico dovrebbe qualificarsi come “fattispecie a formazione progressiva”, in quanto si articola in due momenti successivi nel tempo: l’adozione del provvedimento e la sua notificazione alle parti originarie (questo secondo atto assume natura di vero e proprio elemento costitutivo della fattispecie e non di mero atto con funzioni dichiarative o di pubblicità-notizia).

In secondo luogo, sempre assistiti dalla dottrina più accreditata (Casu), oltre che dalla giurisprudenza (Cass. Sez. I, 26 giugno 1956 n.2291), la fattispecie in esame può ricondursi nell’alveo dei c.d. provvedimenti amministrativi di carattere negoziale, giacché il trasferimento “coattivo” del diritto di proprietà in favore dello Stato produce almeno due ulteriori fondamentali conseguenze: la caducazione del negozio di alienazione intercorso con il terzo eventuale acquirente e l’insorgenza di un nuovo rapporto obbligatorio vincolante il proprietario-dante causa e lo Stato, a carico dei quali derivano, rispettivamente, l’obbligo di consegna del bene e l’obbligo di corresponsione del prezzo pattuito.

Si osserva inoltre che la prelazione artistica presuppone già compiuto il contratto di trasferimento e interviene successivamente, senza preoccuparsi di incidere sulla contrattazione privatistica e che la natura provvedimentale dell’atto di esercizio della prelazione comporta la duplice conseguenza dell’obbligo di motivazione e della sindacabilità dinnanzi al giudice amministrativo in caso di vizi di legittimità.

In conclusione, alla luce della presente ricostruzione teorica, si può affermare senza ombra di dubbio che la prelazione artistica costituisca un vero e proprio tertium genus di prelazione, tale quindi da essere tenuta nettamente distinta da ogni altra forma di prelazione, tanto di natura convenzionale, quanto di tipo legale di diritto comune.

Abstract

In via preliminare, in vista del successivo esame delle caratteristiche precipue della prelazione artistica, è opportuno definire la nozione generale di prelazione, per poi “immetterla” nel contesto dell’omonimo istituto positivamente regolamentato nell’ambito della disciplina dei beni culturali. A tal proposito, appare utile ricordare che la prelazione si configura come un pactum de contrahendo, cioè come un accordo con cui il concedente si obbliga, a parità di condizioni, a stipulare con il solo prelazionario; in altri termini, tale patto, in tutto assimilabile ad un preliminare, o ad un atto unilaterale o ad una promessa di vendita, consiste in una condizione potestativa che attribuisce al soggetto beneficiario il diritto di essere preferito a parità di condizioni. Il presente studio, cercando di ricostruire la natura giuridica della prelazione artistica, mette in evidenza le peculiarità del suo regime giuridico dimostrando che essa costituisce un vero e proprio tertium genus di prelazione, tale quindi da essere tenuta nettamente distinta da ogni altra forma di prelazione, tanto di natura convenzionale, quanto di tipo legale di diritto comune. In tale ottica, è bene ricordare che il soggetto passivo della prelazione non è affatto costretto a concludere il negozio ad essa assoggettato, poiché dispone comunque della massima libertà di scelta, non dovendo sottostare ad alcuna forma di pressione da parte del c.d. prelazionario. Ciò detto, ricostruire la natura giuridica della prelazione artistica non è facile.

Tanto in dottrina quanto in giurisprudenza da sempre si discute sulla specifica natura giuridica della prelazione artistica.

Una parte della dottrina (Carboni; Furgiuele; Berardini) ritiene che la prelazione artistica sia configurabile come una particolare tipologia di prelazione legale; un’altra parte (Cantucci; Grisolia; Assini-Cordini; Coppola-Spena; Cozzuto-Quadri; Casu; A.M.Sandulli; Piva; Moscarini; Cass., sez. III, 21 agosto 1962, n. 2613; Cass., sez. un., 1° luglio 1992, n. 8079) invece ritiene che essa rappresenti una sorta di tertium genus di prelazione assoggettato ad un autonomo regime giuridico, stante lo specifico interesse giuspubblicistico posto a suo fondamento in vista della tutela, conservazione e valorizzazione dei beni culturali.

Appare senz’altro preferibile questa seconda impostazione, peraltro sostenuta dalla migliore dottrina intervenuta in materia e da numerose pronunce giurisprudenziali, giacché, a ben vedere, la prelazione artistica, pur avvicinandosi allo schema della prelazione legale, se ne discosta sensibilmente per una serie di caratteristiche sue peculiari.

Una prima specificità è anzitutto rappresentata dal fatto che il soggetto beneficiario della prelazione artistica non è costituito da un quisque de populo (come nei casi di prelazione convenzionale o legale, di stampo privatistico), bensì dallo stesso Stato (in prima battuta) o, qualora quest’ultimo non intenda avvalersene, dalla Regione o dagli altri minori enti territoriali eventualmente interessati. Al riguardo il Codice Urbani (art. 60) dispone che «Il Ministero o, nel caso previsto dall’articolo 62, comma 3, la regione o l’altro ente pubblico territoriale interessato, hanno facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso o conferiti in società, rispettivamente, al medesimo prezzo stabilito nell’atto di alienazione o al medesimo valore attribuito nell’atto di conferimento».

Mentre infatti nelle forme comuni di prelazione legale il titolo d’acquisto del diritto da parte del prelazionario è pur sempre costituito dall’originario negozio di alienazione inter partes, nella prelazione artistica il titolo di acquisto è invece costituito da un provvedimento amministrativo (quindi da un atto autoritativo, di regola unilaterale, della pubblica amministrazione) sottoposto a regime giuspubblicistico, dal quale discende inevitabilmente l’assoggettamento alla disciplina del procedimento amministrativo. Tale regime giuspubblicistico emerge altresì dal complesso della normativa di settore dettata, a tutela dei beni culturali, dal Codice Urbani. La prelazione artistica, pur essendo anch’essa prevista dalla legge, si distingue dalle prelazioni legali di diritto comune per un’ulteriore, e non secondaria, ragione: mentre infatti la comune prelazione legale presuppone un negozio soltanto programmato e non concluso, la prelazione artistica presuppone invece un contratto già concluso e destinato a produrre effetti immediatamente. In altri termini, la disciplina della prelazione artistica prevede espressamente che lo Stato eserciti la prelazione soltanto a partire dal momento dell’avvenuta conclusione del negozio traslativo tra i privati.

La prelazione artistica si distingue, poi, dalle prelazioni legali di diritto comune anche perché, mentre queste ultime contemplano, come è noto, l’istituto del retratto, ossia il potere conferito al detraente (cioè al prelazionario ingiustamente impedito di esercitare la prelazione) di “inserirsi” nel contratto in procinto di essere concluso a suo danno, detto istituto è invece assente nella prelazione artistica: in questo caso, infatti, lo Stato ha sempre il potere di esercitare, ancorché oltre i termini della denuncia, quando quest’ultima manchi o sia incompleta, il diritto di prelazione, sovrapponendosi autoritariamente ad entrambe le parti.

Sicché, una volta esercitata la prelazione, lo Stato non assume mai la veste di parte del contratto (come accade nel caso in cui alla denuntiatio faccia seguito l’accettazione del prelazionario ex lege), né si surroga nella posizione del privato acquirente, ma opera il suo acquisto autonomamente in virtù dell’esercizio di poteri pubblicistici discrezionali insiti nella stessa prelazione artistica. Quest’ultima viene esercitata dallo Stato attraverso l’adozione di un vero e proprio provvedimento amministrativo di natura abbastanza affine a quelli di tipo ablatorio. Di qui le ulteriori conseguenze. Anzitutto, mentre nella prelazione legale il prelazionario acquista la proprietà alle medesime condizioni originariamente proposte al terzo acquirente, nel caso della prelazione artistica lo Stato non è affatto vincolato dalle clausole contrattuali.

In secondo luogo, se — in caso di prelazione legale — il terzo acquirente avesse nel tempo usucapito il bene acquistato, il prelazionario non potrebbe assumere alcuna iniziativa utile, avendo egli irrimediabilmente perduto il proprio diritto di prelazione sul bene; al contrario, il Codice, all’art. 167, attribuisce in ogni caso allo Stato il potere di disporre atti ablatori (in primis l’espropriazione) sul bene culturale senza limiti temporali e, soprattutto, senza vedersi mai eccepita l’avvenuta usucapione a favore del terzo.

Quale ulteriore sostegno alla tesi qui accolta, può citarsi il pregevole insegnamento offerto dalla Cassazione in due risalenti pronunce (Cass., sez. III, 21 agosto 1962, n. 2613; Cass., sez. un., 1° luglio 1992, n. 8079), nelle quali si statuisce che «il diritto di prelazione dello Stato nelle alienazioni a titolo oneroso di cose di interesse artistico e storico ha una propria configurazione giuridica che si differenzia nettamente dalla prelazione legale, prevista e disciplinata dalle norme di diritto comune».

Mentre infatti nella prelazione legale in senso proprio il soggetto attivo, esercitando il suo diritto, si pone in un rapporto contrattuale rispetto al soggetto passivo, surrogandosi all’acquirente originario, nella prelazione di cui alla legge 1089/1939 (oggi Codice Urbani) lo Stato agisce mediante l’esplicazione di un potere di supremazia e per il conseguimento di un interesse pubblico, quale la conservazione e il pubblico godimento di determinati beni, il cui trasferimento viene pertanto imposto al privato.

Si tratta, quindi, di una forma di acquisto che si realizza non già attraverso un rapporto negoziale, ma per effetto di una manifestazione della potestà di imperio dello Stato.

Questi due istituti vanno dunque tenuti nettamente distinti tra loro perché, mentre la prelazione legale raffigura una tipica espressione di diritto privato, atteso che trattasi di trasferimento realizzato attraverso un negozio giuridico espresso, la prelazione artistica costituisce invece una chiara manifestazione di potestà pubblica, giacché trae origine e forza da un vero e proprio provvedimento “unilaterale” della pubblica amministrazione.

La prelazione artistica è dunque espressione — per usare le medesime parole della Cassazione — « di un potere di supremazia che nasce dalla necessità di difendere un interesse pubblico, quale la conservazione ed il pubblico godimento di determinati beni ».

Anzi, come si è accennato, non è mancata l’opinione, diffusa soprattutto in giurisprudenza amministrativa, secondo la quale sarebbe possibile spingersi oltre, sino cioè a configurare il nostro istituto come una patente manifestazione del potere di acquisizione coattiva dei beni culturali di proprietà privata, esercitato in occasione della conclusione dei negozi di trasferimento, tanto da ascrivere il provvedimento c.d. prelazionario, a pieno titolo, nel novero degli atti amministrativi ablatori, con conseguente obbligo di adeguata motivazione, attesa la sua incidenza in peius nella sfera giuridica dei contraenti originari.

Pur nella consapevolezza dei limiti di questo contributo, non può non ricordarsi l’apporto offerto in subjecta materia dalla migliore dottrina, la quale acutamente osserva che l’istituto della prelazione artistica non può essere semplicisticamente liquidato come una mera variante allo schema privatistico della prelazione legale di diritto comune, né, d’altro canto, può essere ricondotto sic et simpliciter nello schema della procedura espropriativa diretta a realizzare una particolare forma di acquisto coattivo.

Orbene, è certamente consentito affermare che attraverso l’esercizio della prelazione artistica emerga la potestà d’imperio dello Stato (o dell’ente pubblico territoriale interessato) diretta ad assicurare al bene culturale un’adeguata protezione e conservazione, facendo così affiorare una capacità “invasiva” assai più penetrante rispetto alle comuni fattispecie di prelazione legale.

Ma oltre a ciò non è consentito andare: pare infatti eccessivo, giungere a sostenere che l’esercizio di questa potestà pubblica sia addirittura espressione di una procedura espropriativa in quanto finalizzata a realizzare l’acquisto coattivo della proprietà.

A ben vedere, a monte di questa complessa fattispecie, pur in presenza di un provvedimento autoritativo della pubblica Amministrazione (generalmente assunto sotto forma di decreto), rimane purtuttavia sempre il negozio traslativo della proprietà liberamente concluso tra parti private, cioè tra il proprietario alienante e l’originario terzo acquirente: nessuno insomma costringe il proprietario a dismettere il proprio diritto. Sicché, l’esercizio del potere autoritativo da parte dell’ente prelazionario viene rigorosamente condizionato dall’esistenza del negozio traslativo tra le parti (trattasi, secondo l’opinione qui condivisa, di condicio juris), dal quale l’Amministrazione non può evidentemente prescindere.

D’altro canto, poi, il provvedimento di esercizio della prelazione artistica, costituendo un tipico istituto di diritto pubblico, non può essere “forzato” sino a consentire la realizzazione dell’originaria integrale volontà delle parti — materializzatasi nello specifico regolamento di interessi in concreto perseguito e che costituisce lo scopo diretto ed immediato del negozio — perché in questo caso l’Amministrazione agisce avendo a cuore la cura degli interessi generali e non quelli meramente individuali (ed egoistici) degli originari contraenti. Ciò porta quindi ad intendere pienamente il significato del principio in forza del quale l’esercizio della prelazione implica necessariamente la caducazione di tale negozio (art. 61, comma 5, C.U).

A questo punto è dunque possibile prendere posizione: la prelazione, pur manifestandosi attraverso l’adozione di un vero e proprio provvedimento autoritativo in funzione sostanzialmente ablatoria rispetto agli interessi inizialmente regolamentati tra le parti, non è tuttavia sollecitata in via esclusiva dall’attività di impulso della pubblica amministrazione, ma, al contrario, viene rigorosamente condizionata a monte da un’espressa volontà dismissiva del proprietario alienante.

Questa ricostruzione è da tempo accolta dalla stessa Corte costituzionale, la quale in una nota decisione (Corte Cost. 20 giugno 1995 n. 269) pronunciata sull’argomento, ha sostenuto che « la prelazione storico- artistica, pur manifestando - quanto meno nel caso contemplato dal secondo comma dell’art. 61 - una sostanza ablativa, è istituto ben distinto dagli ordinari provvedimenti di natura espropriativa. Basti solo considerare che, a differenza di quanto accade nelle ordinarie procedure espropriative, la prelazione viene a collegarsi ad una iniziativa (trasferimento a titolo oneroso) che non è attivata dalla parte pubblica, bensì dalla parte privata, titolare del bene: e questo nonostante che la stessa prelazione, ove sia esercitata in conseguenza della violazione di un preciso obbligo imposto al privato (denuncia del trasferimento), venga chiaramente a configurarsi come istituto in cui prevale, sul profilo negoziale, il profilo autoritativo».

La medesima Corte precisa altresì che «lo speciale regime della prelazione artistica trova nell’art. 9 Cost. il suo fondamento, e si giustifica nella sua specificità in relazione al fine di salvaguardare beni cui sono connessi interessi primari per la vita culturale del bene».

A ben vedere, la differenziazione tra la prelazione artistica, da un lato, e le forme di acquisto coattivo di beni culturali ( in primis l’espropriazione), dall’altro, si evince anche da ulteriori significative difformità di disciplina. Anzitutto, nel caso della prelazione artistica la legge impone che l’alienazione del bene sia preceduta dalla notificazione, cioè l’atto con cui l’amministrazione riconosce, portandone a conoscenza il proprietario, il valore dello stesso a tutti i fini giuridici, compreso l’esercizio del diritto in questione; nel caso invece dell’espropriazione artistica questo elemento non assume alcuna rilevanza, atteso che è possibile procedere all’espropriazione anche di beni non precedentemente notificati. In secondo luogo, si riscontrerebbe un ulteriore elemento di differenziazione nel regime dell’obbligo di motivazione, il quale, assai puntuale nell’espropriazione (artistica) — dovendo quest’ultima accertare, tra l’altro, la migliore conservazione del bene — apparirebbe, al contrario, assai meno stringente nella prelazione (artistica), in base all’assunto che questa sarebbe di regola incentrata ad incrementare il patrimonio culturale dello Stato.

La differenziazione tra i due istituti si evince da un ulteriore dato positivo: ove infatti il negozio concluso tra le parti dovesse essere viziato (ad es., da dolo, violenza o errore) o concluso in stato di incapacità legale o naturale di una delle parti, l’invalidità che lo inficia travolgerebbe anche l’esercizio del potere di prelazione da parte dell’autorità competente, essendo fondato su un invalido regolamento degli interessi tra le originarie parti negoziali.

Ancora qualche osservazione.

In primo luogo, si ricorda che dottrina e giurisprudenza qualificano il provvedimento di esercizio della prelazione come un atto amministrativo di natura recettizia, attesa la sua idoneità ad acquistare piena efficacia a partire non già dal momento della sua emanazione ma solo successivamente, ossia una volta perfezionatosi con la sua comunicazione (rectius: notificazione) alle originarie parti private.

La prelazione artistica costituirebbe pertanto una fattispecie complessa che nel tradizionale lessico giuridico dovrebbe qualificarsi come “fattispecie a formazione progressiva”, in quanto si articola in due momenti successivi nel tempo: l’adozione del provvedimento e la sua notificazione alle parti originarie (questo secondo atto assume natura di vero e proprio elemento costitutivo della fattispecie e non di mero atto con funzioni dichiarative o di pubblicità-notizia).

In secondo luogo, sempre assistiti dalla dottrina più accreditata (Casu), oltre che dalla giurisprudenza (Cass. Sez. I, 26 giugno 1956 n.2291), la fattispecie in esame può ricondursi nell’alveo dei c.d. provvedimenti amministrativi di carattere negoziale, giacché il trasferimento “coattivo” del diritto di proprietà in favore dello Stato produce almeno due ulteriori fondamentali conseguenze: la caducazione del negozio di alienazione intercorso con il terzo eventuale acquirente e l’insorgenza di un nuovo rapporto obbligatorio vincolante il proprietario-dante causa e lo Stato, a carico dei quali derivano, rispettivamente, l’obbligo di consegna del bene e l’obbligo di corresponsione del prezzo pattuito.

Si osserva inoltre che la prelazione artistica presuppone già compiuto il contratto di trasferimento e interviene successivamente, senza preoccuparsi di incidere sulla contrattazione privatistica e che la natura provvedimentale dell’atto di esercizio della prelazione comporta la duplice conseguenza dell’obbligo di motivazione e della sindacabilità dinnanzi al giudice amministrativo in caso di vizi di legittimità.

In conclusione, alla luce della presente ricostruzione teorica, si può affermare senza ombra di dubbio che la prelazione artistica costituisca un vero e proprio tertium genus di prelazione, tale quindi da essere tenuta nettamente distinta da ogni altra forma di prelazione, tanto di natura convenzionale, quanto di tipo legale di diritto comune.