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Trasformazione di consorzio in stato di liquidazione in società consortile a responsabilità limita

Abstract

Il presente lavoro è uno studio sulla possibilità di procedere alla trasformazione di un consorzio con attività esterna in una società consortile a responsabilità limitata. Si chiede se tale operazione sia da inquadrare nell’ambito delle trasformazioni eterogenee e quale sia la disciplina applicabile (segnatamente, se sia necessaria l’allegazione di una relazione di stima ex art.2465 c.c.). La fattispecie non risulta espressamente disciplinata dal legislatore, il quale prevede l’ipotesi del passaggio da consorzio in società lucrativa, qualificata come trasformazione eterogenea (art.2500-octies). Tuttavia, alla luce delle diverse riflessioni dottrinali, delle pronunce giurisprudenziali e dell’attuale disciplina sulla trasformazione è possibile concludere per la sicura ammissibilità dell’operazione descritta.

La riforma del 2003 ha profondamente modificato l’ambito di operatività e la disciplina della trasformazione (artt. 2498-2500-novies).

La trasformazione era nel sistema del codice del 1942 un istituto tipicamente societario, anche se utilizzato spesso dalla legislazione speciale fuori dal settore societario per i vantaggi che l’istituto offre.

Si ha trasformazione di una società qualora la stessa, durante la sua vita, assuma un tipo di organizzazione sociale diverso da quello originario. La configurazione della trasformazione quale mera vicenda modificativa dell’atto costitutivo (Cottino, Ferri, Guerrera) offre ai soci la possibilità di dar corpo alle nuove esigenze che si siano manifestate nel corso della vita della società e che suggeriscano l’adozione di un diverso tipo societario.

La trasformazione di una società non si traduce nell’estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di un altro soggetto, in luogo di quello precedente né tantomeno produce un effetto successorio o traslativo, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale non incide sui rapporti sostanziali e processuali che ad esso fanno capo. L’ente trasformato non si estingue per rinascere sotto altra forma nè da luogo ad un nuovo centro di imputazione dei rapporti giuridici ma sopravvive alla vicenda modificativa senza soluzione di continuità e senza perdere la sua identità soggettiva.

Tale principio di continuità è stato accolto in pieno dal legislatore della riforma secondo cui l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione (art. 2498 c.c.).

Si distingue tra:

— trasformazione omogenea: fenomeno infrasocietario che si verifica nel caso di trasformazione di una società in altra società nell’ambito delle società lucrative (Campobasso). Vi rientrano la trasformazione di Società di persone in società di capitali e viceversa (artt. 2500ter e 2500sexies cc.);

— trasformazione eterogenea: si verifica nel caso di passaggio da società di capitali lucrative in altri tipi di enti (consorzi, associazioni non riconosciute, fondazioni, comunioni di azienda) o società aventi una causa diversa da quella lucrativa (società consortili, società cooperative) o viceversa (art.2500 septies e 2500 octies cc.).

— trasformazione cd progressiva: trasformazione di una società in un’altra di tipo superiore ad esempio, trasformazione di società di persone in società di capitali o, nell’ambito delle società di capitali, da s.r.l. in s.p.a.,

— trasformazione cd. regressiva: trasformazione di una società in un’altra di tipo inferiore ad esempio, trasformazione di società di capitali in società di persone o, nell’ambito delle società di capitali, da s.p.a. in s.r.l.

L’art. 2500-octies disciplina le ipotesi di trasformazione di consorzi, società consortili, comunioni di azienda, associazioni riconosciute e fondazioni in società di capitali. L’ambito di applicazione della norma non è dunque speculare rispetto a quello del precedente art. 2500-septies, che riguarda il passaggio da società di capitali ad enti non lucrativi.

La prima ipotesi disciplinata dall’art. 2500-octies riguarda il consorzio che secondo Ferri è un’associazione di persone fisiche o giuridiche liberamente creata o obbligatoriamente imposta per il soddisfacimento in comune di un bisogno proprio di queste persone.

Il dato letterale dell’art.2500-octies fa ritenere che la disposizione si riferisca sia al consorzio con attività esterna che al consorzio con attività interna. Sono stati peraltro avanzati argomenti che suggeriscono una soluzione di segno opposto, volta a considerare esclusivamente il consorzio con attività esterna come destinatario delle disposizioni sulla trasformazione eterogenea.

Il primo argomento a sostegno dell’interpretazione più restrittiva muove dalla circostanza che i consorzi con attività interna sono privi di soggettività giuridica propria ed autonomia patrimoniale sicché non vi sarebbe un «soggetto» suscettibile di trasformazione, ma si sarebbe in presenza di un contratto di collaborazione tra imprese in base al quale l’attività imprenditoriale verrebbe esercitata autonomamente e direttamente da ciascun contraente. Questo argomento non sembra però insuperabile se si conviene che la sussistenza della soggettività giuridica e dell’autonomia patrimoniale in capo all’ente non costituisce un presupposto per l’applicazione della disciplina della trasformazione eterogenea, come dimostra l’inclusione della comunione dell’azienda nella fattispecie dell’art. 2500-octies.

 Il secondo argomento muove invece dalla considerazione che per i consorzi con attività interna il legislatore non ha previsto alcun adempimento pubblicitario da porre in essere in caso di trasformazione eterogenea.

Poiché la mancanza di strumenti pubblicitari pregiudicherebbe la possibilità di azionare il meccanismo dell’opposizione di cui all’art. 2500-novies, dovrebbe concludersi nel senso di un impedimento alla trasformabilità dei consorzi con attività interna derivante dal «sistema» e dovuto alla pratica carenza di tutela degli interessi dei creditori.

L’art. 2500-octies richiede per la trasformazione dei consorzi la deliberazione assunta con la maggioranza assoluta dei consorziati da calcolarsi per teste. La disposizione costituisce una deroga all’art. 2607 che richiede, per la modifica del contratto consortile, il consenso di tutti i consorziati (Art. 2500-septies comma 3. Da questo elemento è lecito dedurre il favor del legislatore nei confronti della trasformazione «progressiva» da consorzio ad ente capitalistico).

Atteso il tenore letterale della norma, la dottrina è incline a ritenere che il contratto consortile non possa prevedere per la delibera di trasformazione maggioranze diverse: né in modo da ridurre né in modo da elevare il quorum legale. Va tuttavia osservato che la comparazione con la disciplina della trasformazione omogenea in società di capitali — la quale consente espressamente di derogare rispetto alle maggioranze passate dall’art. 2550-ter — e la valorizzazione dell’autonomia contrattuale operata dal legislatore della riforma, forniscono indizi per la soluzione opposta, tale cioè da consentire al contratto consortile di fissare un quorum più elevato rispetto a quello stabilito dal comma 2 dell’art. 2500-octies.

Nel silenzio dell’art. 2500-octies occorre inoltre interrogarsi circa le modalità di formazione della volontà dei consorziati poiché non è chiaro se la decisione in ordine alla trasformazione debba essere assunta all’interno dell’assemblea dei consorziati o possa viceversa avere una fonte extra assembleare.

Nelle ipotesi di modificazione del contratto consortile la dottrina è, infatti, propensa ad ammettere che la volontà dei consorziati possa formarsi al di fuori dell’organismo assembleare, sempre che le modalità di formazione del consenso siano previste dal contratto consortile. Il consorzio sarebbe pertanto un’organizzazione di tipo corporativo capace di esprimersi mediante le deliberazioni di un organo collegiale.

Solamente nell’ipotesi precipua della modificazione del contratto consortile — disciplinata dall’art. 2607 —la lettera della norma e la conseguente adozione del principio umanistico legittimerebbero un diverso procedimento extra assembleare. A tale proposito va peraltro osservato come la trasformazione, pur integrando un’ipotesi di modificazione del contratto originario, sia nondimeno sottratta alla disposizione dell’art. 2607 per ricadere nella disciplina speciale dell’art. 2500 –octies.

Di conseguenza, il richiamo operato dall’art. 2500-octies al meccanismo assembleare, la circostanza che questo rappresenta la regola generale nella manifestazione della volontà dei consorziati e, per altro verso, «l’eccezionalità» della disposizione dell’art. 2607 non invocabile in ipotesi di trasformazione rendono preferibile l’opinione secondo la quale la decisione in ordine alla trasformazione debba essere assunta nell’ambito dell’assemblea dei consorziati.

La trasformazione del consorzio in società di capitali impone l’assegnazione ai soci delle azioni o quote della società trasformata. L’assegnazione dovrebbe avvenire sulla base delle quote di partecipazione al fondo comune risultanti dal contratto. Ciò in applicazione di un principio generale, inteso a salvaguardare la posizione del consorziato all’interno del consorzio, ma anche in forza del principio stabilito dall’art. 2500-quater la cui applicazione alla fattispecie trova conforto nella propensione da parte della dottrina ad applicare ai consorzi le norme che disciplinano le società di persone, ove compatibili. Se invece mancano nel contratto indicazioni circa la ripartizione delle quote tra i partecipanti, le azioni o quote della società risultante dalla trasformazione dovranno presumersi ripartite in parti uguali tra i consorziati.

Nell’ottica della tutela degli interessi dei consorziati ci si chiede se sia possibile esercitare il diritto di recesso. E’ necessario fare riferimento alla disciplina del recesso del consorziato.

La previsione del metodo maggioritario per l’approvazione del passaggio a società di capitali impone di esaminare gli strumenti forniti dall’ordinamento a tutela degli interessi dei membri del consorzio che non abbiano consentito alla trasformazione. A tale proposito viene in rilievo la disciplina del recesso dal consorzio, dettata dall’art. 2609, che appare tuttavia alquanto laconica e non del tutto idonea a fornire ai consorziati adeguata tutela rispetto al sacrificio che la maggioranza imporrebbe loro deliberando la trasformazione in società lucrativa. L’art. 2609, infatti, riguarda le ipotesi di recesso previste dal contratto consortile, lasciando così aperta la questione della disciplina applicabile nel caso in cui il contratto non annoveri espressamente la trasformazione tra le cause di recesso.

A tale proposito va altresì osservato che parte della dottrina ritiene inammissibile l’uscita del consorziato dal consorzio prima della sua scadenza al di fuori delle ipotesi previste espressamente dal, contratto per il recesso o l’esclusione. Aderendo a questa interpretazione sarebbe dunque problematico ritrovare nel tessuto normativo uno spunto che consenta di garantire al consorziato il diritto all’exit laddove le parti non si fossero fatte carico del problema nella formulazione del contratto consortile.

La difficoltà è aggravata dall’assenza, nell’art. 2500-octies, di una disposizione assimilabile a quella del comma 1 dell’art. 2500-ter, che assegna il diritto di recesso al socio della società di persone che non abbia concorso alla decisione in merito alla trasformazione progressiva o che almeno rinvii, per relationem, alla trasformazione delle società di persone. Il risultato sarebbe dunque quello, inaccettabile sotto il profilo «sistematico», di privare il consorziato di qualsiasi tutela nel caso non abbia partecipato alla delibera di trasformazione e veda la propria posizione soggettiva modificarsi radicalmente a seguito del passaggio da consorzio a società lucrativa. Le conseguenze di tale conclusione potrebbero forse essere attutite sul piano pratico circoscrivendo l’operatività dell’art. 2609 ai consorzi con attività interna, come è stato proposto in passato da parte della dottrina in ragione della collocazione sistematica di questa disposizione.

Ma anche questa linea interpretativa non sarebbe del tutto soddisfacente nell’ottica della tutela degli interessi dei consorziati, a meno di non trarre dall’assenza della disciplina del diritto di recesso per i consorzi con attività interna un ostacolo implicito alla trasformazione di questi in società di capitali.

Come è stato illustrato in precedenza, argomenti di ordine letterale e sistematico, depongono tuttavia a favore della soluzione opposta, ossia dell’ammissibilità di questa ipotesi di trasformazione.

Gli spunti per ricostruire la disciplina del recesso del consorziato andranno pertanto ricercati nei principi generali. Un primo indizio in questa direzione potrebbe derivare dalla dottrina che ha risolto in senso affermativo la questione se l’esistenza di una «giusta causa» che impedisce la regolare prosecuzione del rapporto con riferimento al singolo consorziato possa ravvisare un’ipotesi di recesso anche se non espressamente prevista nel contratto consortile.

Al fine di individuare le ipotesi che integrano la «giusta causa» per il recesso si è suggerito di ricorrere ai principi sanciti nella disciplina della società di persone: si è così ipotizzato, in particolare, che il diritto di recesso possa essere riconosciuto al consorziato in caso di «modificazione delle basi essenziali del contratto» qualora tali modifiche possano essere assunte a maggioranza.

Con riferimento alla trasformazione eterogenea questo orientamento consente di prefigurare il diritto di recesso del consorziato per giusta causa atteso che la delibera di trasformazione comporta una modifica radicale dell’originario contratto. Un secondo indizio a favore dell’ammissibilità del recesso in caso di trasformazione eterogenea del consorzio può forse essere rintracciato nella tendenza da parte dell’ordinamento di riconoscere questo diritto in tutte le ipotesi di trasformazione, sia pure in mancanza di una specifica disposizione, all’interno della disciplina della trasformazione. Ciò vale non solo per la trasformazione in generale ma per la trasformazione eterogenea in particolare, come testimonia la circostanza che il mutamento dello scopo in capo all’ente che esercita attività di direzione e coordinamento costituisce giusta causa di recesso inderogabile per il Socio della società coordinata e diretta (art. 2497-quater, comma 1, lett. e).

Quanto alle modalità di esercizio del recesso, si ritiene che esso si attui mediante una dichiarazione di volontà a carattere recettizio che dovrà essere comunicata all’organo consortile e non ai singoli consorziati, senza necessità di preavviso o caso di recesso da consorzio con attività esterna il recesso è oggetto a pubblicità, almeno per estratto, poiché riguarda un elemento soggetto a pubblicità ai sensi del comma 2 dell’art. 2612. Per effetto dell’esercizio del recesso dal consorzio con attività esterna il consorziato ha diritto alla liquidazione della quota del fondo consortile. Nel caso di recesso dal consorzio con attività interna, invece, chi nega autonomia patrimoniale al «fondo spese comuni» nega coerentemente l’esistenza di un patrimonio autonomo suscettibile di essere idealmente suddiviso in quote. La dottrina non esclude tuttavia che anche in questa ipotesi possa formarsi un fondo comune costituito dalle somme anticipate dai consorziati per far fronte ai costi di sostituzione e di funzionamento dell’organizzazione. In quest’ultimo caso, le somme anticipate e non ancora impiegate nell’attività consortile dovranno ragionevolmente essere restituite al consorziato che recede.Un’altra criticità riguarda la necessità dell’allegazione della relazione di stima ex art.2465 c.c.

Per salvaguardare il capitale della società risultante dalla trasformazione progressiva, l’art. 2500-ter impone di determinare il capitale sociale della società risultante dalla trasformazione «in base ai valori attuali degli elementi dell’attivo e del passivo» risultanti da una perizia di stima redatta a norma dell’art. 2343, se l’ente si trasforma in società per azioni o in accomandita per azioni, ovvero a norma dell’art. 2465, se dalla trasformazione risulta una società a responsabilità limitata. La perizia di stima è dunque destinata ad accertare che il valore effettivo del patrimonio delle società di persone destinate a trasformarsi in società di capitali sia almeno sufficiente a coprire il capitale sociale della società risultante dalla trasformazione. L’art. 2500-octies, invece, nulla dice in ordine ai meccanismi a salvaguardia del capitale sociale e nemmeno opera un rinvio alla disciplina della trasformazione di società di persone in società di capitali.

Nel silenzio dell’art. 2500-octies la dottrina largamente prevalente è tuttavia propensa ad adottare la disciplina dell’art. 2500-ter mediane rinvio diretto oppure applicando la disposizione per analogia alle ipotesi di trasformazione eterogenea ogniqualvolta un ente diverso da società di capitali si trasformi in società di capitali. L’applicazione diretta del comma 3 dell’art. 2500-ter pare senza dubbio legittima in caso di passaggio da società personale consortile a società di capitali consortile in forza del rinvio dell’art. 2615-ter. Altrimenti l’applicazione diretta potrebbe forse derivare, quanto meno nelle ipotesi «costitutive» di trasformazione eterogenea, dalla disposizione generale dell’art. 2500 che impone il rispetto delle condizioni per la costituzione della società di capitali risultante dalla trasformazione.

Quanto all’applicazione per analogia, si osserva che, attesa la «lacuna» dell’art. 2500-octies in ordine alla tutela capitale nella società risultante dalla trasformazione, il comma 3 dell’art. 2500-ter troverebbe applicazione in quanto persegue i medesimi obiettivi di tutela nell’ambito del passaggio da società a base personale a società di capitali. La lacuna si spiega con il fatto che il Legislatore non ha inteso dare una disciplina completa ed esaustiva lasciando all’interprete il compito di integrare la disciplina espressa. Sulla base di queste premesse si deve riconoscere che anche alla trasformazione eterogenea in società di capitali debba applicarsi in via estensiva il secondo comma dell’art. 2500 ter c.c., dettato in tema di trasformazione di società di persone in società di capitali per il quale "il capitale delle società risultante dalla trasformazione deve essere determinato sulla base dei valori attuali degli elementi dell’attivo e del passivo e deve risultare da relazione di stima redatta a norma dell’art. 2343 o, nel caso di srl, dell’art. 2465". Le esigenze di tutela del capitale sociale che stanno alla base di queste disposizioni sussistono a maggior ragione nel caso di trasformazione eterogenea in società di capitali.

Infine, si chiede se si può procedere a tale trasformazione in pendenza dello stato di liquidazione.

L’art. 2499 cc. sotto la rubrica “limiti alla trasformazione” stabilisce che può farsi luogo alla trasformazione anche in pendenza di procedura concorsuale, purché non vi siano incompatibilità con le finalità o lo stato della stessa. Resta così superato il prevalente orientamento giurisprudenziale preriforma secondo cui non era possibile deliberare la trasformazione di una società in stato di liquidazione, sull’assunto che la trasformazione della società, incidendo sulla struttura operativa della società e sull’assetto dei rapporti societari, fosse estranea alla funzione propria della liquidazione, essendo una misura che presupponeva necessariamente una società in fase normale di esercizio; in altri termini, secondo tale teoria, vi era inconciliabilità tra una situazione finalizzata all’estinzione dell’ente e la decisione di trasformazione, che implicava continuità del soggetto e dell’attività. Pertanto, secondo la dottrina era necessaria una preventiva delibera di revoca della liquidazione (DE ANGELIS, CABRAS, CAGNASSO, IRRERA).

Al contrario, il legislatore della riforma ha accolto il diverso orientamento, già presente in giurisprudenza, secondo cui la trasformazione può, anzi, realizzare un vantaggio per l’impresa sociale: ad esempio, la trasformazione da s.p.a in s.r.l., può essere diretta esclusivamente al fine di ridurre gli oneri di procedura e diminuire i costi di gestione e, dunque, a rendere più facile e vantaggiosa per i creditori e per i soci la stessa liquidazione. Pertanto si ritiene sempre legittimo, nei limiti del procedimento legale e salvi divieti espressi, che una qualsiasi società od altro ente in liquidazione si trasformi in altra società od ente (trasformazione eterogenea).

La società o l’ente derivante dalla trasformazione potrà a sua volta essere in liquidazione o meno, poiché detta operazione può avere sia un fine liquidatorio sia un fine di rimozione della causa di scioglimento e di rilancio di una nuova attività. La società o l’ente derivante dalla trasformazione potrà a sua volta essere in liquidazione o meno, poiché detta operazione può avere sia un fine liquidatorio sia un fine di rimozione della causa di scioglimento e di rilancio dell’attività.

Abstract

Il presente lavoro è uno studio sulla possibilità di procedere alla trasformazione di un consorzio con attività esterna in una società consortile a responsabilità limitata. Si chiede se tale operazione sia da inquadrare nell’ambito delle trasformazioni eterogenee e quale sia la disciplina applicabile (segnatamente, se sia necessaria l’allegazione di una relazione di stima ex art.2465 c.c.). La fattispecie non risulta espressamente disciplinata dal legislatore, il quale prevede l’ipotesi del passaggio da consorzio in società lucrativa, qualificata come trasformazione eterogenea (art.2500-octies). Tuttavia, alla luce delle diverse riflessioni dottrinali, delle pronunce giurisprudenziali e dell’attuale disciplina sulla trasformazione è possibile concludere per la sicura ammissibilità dell’operazione descritta.

La riforma del 2003 ha profondamente modificato l’ambito di operatività e la disciplina della trasformazione (artt. 2498-2500-novies).

La trasformazione era nel sistema del codice del 1942 un istituto tipicamente societario, anche se utilizzato spesso dalla legislazione speciale fuori dal settore societario per i vantaggi che l’istituto offre.

Si ha trasformazione di una società qualora la stessa, durante la sua vita, assuma un tipo di organizzazione sociale diverso da quello originario. La configurazione della trasformazione quale mera vicenda modificativa dell’atto costitutivo (Cottino, Ferri, Guerrera) offre ai soci la possibilità di dar corpo alle nuove esigenze che si siano manifestate nel corso della vita della società e che suggeriscano l’adozione di un diverso tipo societario.

La trasformazione di una società non si traduce nell’estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di un altro soggetto, in luogo di quello precedente né tantomeno produce un effetto successorio o traslativo, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale non incide sui rapporti sostanziali e processuali che ad esso fanno capo. L’ente trasformato non si estingue per rinascere sotto altra forma nè da luogo ad un nuovo centro di imputazione dei rapporti giuridici ma sopravvive alla vicenda modificativa senza soluzione di continuità e senza perdere la sua identità soggettiva.

Tale principio di continuità è stato accolto in pieno dal legislatore della riforma secondo cui l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione (art. 2498 c.c.).

Si distingue tra:

— trasformazione omogenea: fenomeno infrasocietario che si verifica nel caso di trasformazione di una società in altra società nell’ambito delle società lucrative (Campobasso). Vi rientrano la trasformazione di Società di persone in società di capitali e viceversa (artt. 2500ter e 2500sexies cc.);

— trasformazione eterogenea: si verifica nel caso di passaggio da società di capitali lucrative in altri tipi di enti (consorzi, associazioni non riconosciute, fondazioni, comunioni di azienda) o società aventi una causa diversa da quella lucrativa (società consortili, società cooperative) o viceversa (art.2500 septies e 2500 octies cc.).

— trasformazione cd progressiva: trasformazione di una società in un’altra di tipo superiore ad esempio, trasformazione di società di persone in società di capitali o, nell’ambito delle società di capitali, da s.r.l. in s.p.a.,

— trasformazione cd. regressiva: trasformazione di una società in un’altra di tipo inferiore ad esempio, trasformazione di società di capitali in società di persone o, nell’ambito delle società di capitali, da s.p.a. in s.r.l.

L’art. 2500-octies disciplina le ipotesi di trasformazione di consorzi, società consortili, comunioni di azienda, associazioni riconosciute e fondazioni in società di capitali. L’ambito di applicazione della norma non è dunque speculare rispetto a quello del precedente art. 2500-septies, che riguarda il passaggio da società di capitali ad enti non lucrativi.

La prima ipotesi disciplinata dall’art. 2500-octies riguarda il consorzio che secondo Ferri è un’associazione di persone fisiche o giuridiche liberamente creata o obbligatoriamente imposta per il soddisfacimento in comune di un bisogno proprio di queste persone.

Il dato letterale dell’art.2500-octies fa ritenere che la disposizione si riferisca sia al consorzio con attività esterna che al consorzio con attività interna. Sono stati peraltro avanzati argomenti che suggeriscono una soluzione di segno opposto, volta a considerare esclusivamente il consorzio con attività esterna come destinatario delle disposizioni sulla trasformazione eterogenea.

Il primo argomento a sostegno dell’interpretazione più restrittiva muove dalla circostanza che i consorzi con attività interna sono privi di soggettività giuridica propria ed autonomia patrimoniale sicché non vi sarebbe un «soggetto» suscettibile di trasformazione, ma si sarebbe in presenza di un contratto di collaborazione tra imprese in base al quale l’attività imprenditoriale verrebbe esercitata autonomamente e direttamente da ciascun contraente. Questo argomento non sembra però insuperabile se si conviene che la sussistenza della soggettività giuridica e dell’autonomia patrimoniale in capo all’ente non costituisce un presupposto per l’applicazione della disciplina della trasformazione eterogenea, come dimostra l’inclusione della comunione dell’azienda nella fattispecie dell’art. 2500-octies.

 Il secondo argomento muove invece dalla considerazione che per i consorzi con attività interna il legislatore non ha previsto alcun adempimento pubblicitario da porre in essere in caso di trasformazione eterogenea.

Poiché la mancanza di strumenti pubblicitari pregiudicherebbe la possibilità di azionare il meccanismo dell’opposizione di cui all’art. 2500-novies, dovrebbe concludersi nel senso di un impedimento alla trasformabilità dei consorzi con attività interna derivante dal «sistema» e dovuto alla pratica carenza di tutela degli interessi dei creditori.

L’art. 2500-octies richiede per la trasformazione dei consorzi la deliberazione assunta con la maggioranza assoluta dei consorziati da calcolarsi per teste. La disposizione costituisce una deroga all’art. 2607 che richiede, per la modifica del contratto consortile, il consenso di tutti i consorziati (Art. 2500-septies comma 3. Da questo elemento è lecito dedurre il favor del legislatore nei confronti della trasformazione «progressiva» da consorzio ad ente capitalistico).

Atteso il tenore letterale della norma, la dottrina è incline a ritenere che il contratto consortile non possa prevedere per la delibera di trasformazione maggioranze diverse: né in modo da ridurre né in modo da elevare il quorum legale. Va tuttavia osservato che la comparazione con la disciplina della trasformazione omogenea in società di capitali — la quale consente espressamente di derogare rispetto alle maggioranze passate dall’art. 2550-ter — e la valorizzazione dell’autonomia contrattuale operata dal legislatore della riforma, forniscono indizi per la soluzione opposta, tale cioè da consentire al contratto consortile di fissare un quorum più elevato rispetto a quello stabilito dal comma 2 dell’art. 2500-octies.

Nel silenzio dell’art. 2500-octies occorre inoltre interrogarsi circa le modalità di formazione della volontà dei consorziati poiché non è chiaro se la decisione in ordine alla trasformazione debba essere assunta all’interno dell’assemblea dei consorziati o possa viceversa avere una fonte extra assembleare.

Nelle ipotesi di modificazione del contratto consortile la dottrina è, infatti, propensa ad ammettere che la volontà dei consorziati possa formarsi al di fuori dell’organismo assembleare, sempre che le modalità di formazione del consenso siano previste dal contratto consortile. Il consorzio sarebbe pertanto un’organizzazione di tipo corporativo capace di esprimersi mediante le deliberazioni di un organo collegiale.

Solamente nell’ipotesi precipua della modificazione del contratto consortile — disciplinata dall’art. 2607 —la lettera della norma e la conseguente adozione del principio umanistico legittimerebbero un diverso procedimento extra assembleare. A tale proposito va peraltro osservato come la trasformazione, pur integrando un’ipotesi di modificazione del contratto originario, sia nondimeno sottratta alla disposizione dell’art. 2607 per ricadere nella disciplina speciale dell’art. 2500 –octies.

Di conseguenza, il richiamo operato dall’art. 2500-octies al meccanismo assembleare, la circostanza che questo rappresenta la regola generale nella manifestazione della volontà dei consorziati e, per altro verso, «l’eccezionalità» della disposizione dell’art. 2607 non invocabile in ipotesi di trasformazione rendono preferibile l’opinione secondo la quale la decisione in ordine alla trasformazione debba essere assunta nell’ambito dell’assemblea dei consorziati.

La trasformazione del consorzio in società di capitali impone l’assegnazione ai soci delle azioni o quote della società trasformata. L’assegnazione dovrebbe avvenire sulla base delle quote di partecipazione al fondo comune risultanti dal contratto. Ciò in applicazione di un principio generale, inteso a salvaguardare la posizione del consorziato all’interno del consorzio, ma anche in forza del principio stabilito dall’art. 2500-quater la cui applicazione alla fattispecie trova conforto nella propensione da parte della dottrina ad applicare ai consorzi le norme che disciplinano le società di persone, ove compatibili. Se invece mancano nel contratto indicazioni circa la ripartizione delle quote tra i partecipanti, le azioni o quote della società risultante dalla trasformazione dovranno presumersi ripartite in parti uguali tra i consorziati.

Nell’ottica della tutela degli interessi dei consorziati ci si chiede se sia possibile esercitare il diritto di recesso. E’ necessario fare riferimento alla disciplina del recesso del consorziato.

La previsione del metodo maggioritario per l’approvazione del passaggio a società di capitali impone di esaminare gli strumenti forniti dall’ordinamento a tutela degli interessi dei membri del consorzio che non abbiano consentito alla trasformazione. A tale proposito viene in rilievo la disciplina del recesso dal consorzio, dettata dall’art. 2609, che appare tuttavia alquanto laconica e non del tutto idonea a fornire ai consorziati adeguata tutela rispetto al sacrificio che la maggioranza imporrebbe loro deliberando la trasformazione in società lucrativa. L’art. 2609, infatti, riguarda le ipotesi di recesso previste dal contratto consortile, lasciando così aperta la questione della disciplina applicabile nel caso in cui il contratto non annoveri espressamente la trasformazione tra le cause di recesso.

A tale proposito va altresì osservato che parte della dottrina ritiene inammissibile l’uscita del consorziato dal consorzio prima della sua scadenza al di fuori delle ipotesi previste espressamente dal, contratto per il recesso o l’esclusione. Aderendo a questa interpretazione sarebbe dunque problematico ritrovare nel tessuto normativo uno spunto che consenta di garantire al consorziato il diritto all’exit laddove le parti non si fossero fatte carico del problema nella formulazione del contratto consortile.

La difficoltà è aggravata dall’assenza, nell’art. 2500-octies, di una disposizione assimilabile a quella del comma 1 dell’art. 2500-ter, che assegna il diritto di recesso al socio della società di persone che non abbia concorso alla decisione in merito alla trasformazione progressiva o che almeno rinvii, per relationem, alla trasformazione delle società di persone. Il risultato sarebbe dunque quello, inaccettabile sotto il profilo «sistematico», di privare il consorziato di qualsiasi tutela nel caso non abbia partecipato alla delibera di trasformazione e veda la propria posizione soggettiva modificarsi radicalmente a seguito del passaggio da consorzio a società lucrativa. Le conseguenze di tale conclusione potrebbero forse essere attutite sul piano pratico circoscrivendo l’operatività dell’art. 2609 ai consorzi con attività interna, come è stato proposto in passato da parte della dottrina in ragione della collocazione sistematica di questa disposizione.

Ma anche questa linea interpretativa non sarebbe del tutto soddisfacente nell’ottica della tutela degli interessi dei consorziati, a meno di non trarre dall’assenza della disciplina del diritto di recesso per i consorzi con attività interna un ostacolo implicito alla trasformazione di questi in società di capitali.

Come è stato illustrato in precedenza, argomenti di ordine letterale e sistematico, depongono tuttavia a favore della soluzione opposta, ossia dell’ammissibilità di questa ipotesi di trasformazione.

Gli spunti per ricostruire la disciplina del recesso del consorziato andranno pertanto ricercati nei principi generali. Un primo indizio in questa direzione potrebbe derivare dalla dottrina che ha risolto in senso affermativo la questione se l’esistenza di una «giusta causa» che impedisce la regolare prosecuzione del rapporto con riferimento al singolo consorziato possa ravvisare un’ipotesi di recesso anche se non espressamente prevista nel contratto consortile.

Al fine di individuare le ipotesi che integrano la «giusta causa» per il recesso si è suggerito di ricorrere ai principi sanciti nella disciplina della società di persone: si è così ipotizzato, in particolare, che il diritto di recesso possa essere riconosciuto al consorziato in caso di «modificazione delle basi essenziali del contratto» qualora tali modifiche possano essere assunte a maggioranza.

Con riferimento alla trasformazione eterogenea questo orientamento consente di prefigurare il diritto di recesso del consorziato per giusta causa atteso che la delibera di trasformazione comporta una modifica radicale dell’originario contratto. Un secondo indizio a favore dell’ammissibilità del recesso in caso di trasformazione eterogenea del consorzio può forse essere rintracciato nella tendenza da parte dell’ordinamento di riconoscere questo diritto in tutte le ipotesi di trasformazione, sia pure in mancanza di una specifica disposizione, all’interno della disciplina della trasformazione. Ciò vale non solo per la trasformazione in generale ma per la trasformazione eterogenea in particolare, come testimonia la circostanza che il mutamento dello scopo in capo all’ente che esercita attività di direzione e coordinamento costituisce giusta causa di recesso inderogabile per il Socio della società coordinata e diretta (art. 2497-quater, comma 1, lett. e).

Quanto alle modalità di esercizio del recesso, si ritiene che esso si attui mediante una dichiarazione di volontà a carattere recettizio che dovrà essere comunicata all’organo consortile e non ai singoli consorziati, senza necessità di preavviso o caso di recesso da consorzio con attività esterna il recesso è oggetto a pubblicità, almeno per estratto, poiché riguarda un elemento soggetto a pubblicità ai sensi del comma 2 dell’art. 2612. Per effetto dell’esercizio del recesso dal consorzio con attività esterna il consorziato ha diritto alla liquidazione della quota del fondo consortile. Nel caso di recesso dal consorzio con attività interna, invece, chi nega autonomia patrimoniale al «fondo spese comuni» nega coerentemente l’esistenza di un patrimonio autonomo suscettibile di essere idealmente suddiviso in quote. La dottrina non esclude tuttavia che anche in questa ipotesi possa formarsi un fondo comune costituito dalle somme anticipate dai consorziati per far fronte ai costi di sostituzione e di funzionamento dell’organizzazione. In quest’ultimo caso, le somme anticipate e non ancora impiegate nell’attività consortile dovranno ragionevolmente essere restituite al consorziato che recede.Un’altra criticità riguarda la necessità dell’allegazione della relazione di stima ex art.2465 c.c.

Per salvaguardare il capitale della società risultante dalla trasformazione progressiva, l’art. 2500-ter impone di determinare il capitale sociale della società risultante dalla trasformazione «in base ai valori attuali degli elementi dell’attivo e del passivo» risultanti da una perizia di stima redatta a norma dell’art. 2343, se l’ente si trasforma in società per azioni o in accomandita per azioni, ovvero a norma dell’art. 2465, se dalla trasformazione risulta una società a responsabilità limitata. La perizia di stima è dunque destinata ad accertare che il valore effettivo del patrimonio delle società di persone destinate a trasformarsi in società di capitali sia almeno sufficiente a coprire il capitale sociale della società risultante dalla trasformazione. L’art. 2500-octies, invece, nulla dice in ordine ai meccanismi a salvaguardia del capitale sociale e nemmeno opera un rinvio alla disciplina della trasformazione di società di persone in società di capitali.

Nel silenzio dell’art. 2500-octies la dottrina largamente prevalente è tuttavia propensa ad adottare la disciplina dell’art. 2500-ter mediane rinvio diretto oppure applicando la disposizione per analogia alle ipotesi di trasformazione eterogenea ogniqualvolta un ente diverso da società di capitali si trasformi in società di capitali. L’applicazione diretta del comma 3 dell’art. 2500-ter pare senza dubbio legittima in caso di passaggio da società personale consortile a società di capitali consortile in forza del rinvio dell’art. 2615-ter. Altrimenti l’applicazione diretta potrebbe forse derivare, quanto meno nelle ipotesi «costitutive» di trasformazione eterogenea, dalla disposizione generale dell’art. 2500 che impone il rispetto delle condizioni per la costituzione della società di capitali risultante dalla trasformazione.

Quanto all’applicazione per analogia, si osserva che, attesa la «lacuna» dell’art. 2500-octies in ordine alla tutela capitale nella società risultante dalla trasformazione, il comma 3 dell’art. 2500-ter troverebbe applicazione in quanto persegue i medesimi obiettivi di tutela nell’ambito del passaggio da società a base personale a società di capitali. La lacuna si spiega con il fatto che il Legislatore non ha inteso dare una disciplina completa ed esaustiva lasciando all’interprete il compito di integrare la disciplina espressa. Sulla base di queste premesse si deve riconoscere che anche alla trasformazione eterogenea in società di capitali debba applicarsi in via estensiva il secondo comma dell’art. 2500 ter c.c., dettato in tema di trasformazione di società di persone in società di capitali per il quale "il capitale delle società risultante dalla trasformazione deve essere determinato sulla base dei valori attuali degli elementi dell’attivo e del passivo e deve risultare da relazione di stima redatta a norma dell’art. 2343 o, nel caso di srl, dell’art. 2465". Le esigenze di tutela del capitale sociale che stanno alla base di queste disposizioni sussistono a maggior ragione nel caso di trasformazione eterogenea in società di capitali.

Infine, si chiede se si può procedere a tale trasformazione in pendenza dello stato di liquidazione.

L’art. 2499 cc. sotto la rubrica “limiti alla trasformazione” stabilisce che può farsi luogo alla trasformazione anche in pendenza di procedura concorsuale, purché non vi siano incompatibilità con le finalità o lo stato della stessa. Resta così superato il prevalente orientamento giurisprudenziale preriforma secondo cui non era possibile deliberare la trasformazione di una società in stato di liquidazione, sull’assunto che la trasformazione della società, incidendo sulla struttura operativa della società e sull’assetto dei rapporti societari, fosse estranea alla funzione propria della liquidazione, essendo una misura che presupponeva necessariamente una società in fase normale di esercizio; in altri termini, secondo tale teoria, vi era inconciliabilità tra una situazione finalizzata all’estinzione dell’ente e la decisione di trasformazione, che implicava continuità del soggetto e dell’attività. Pertanto, secondo la dottrina era necessaria una preventiva delibera di revoca della liquidazione (DE ANGELIS, CABRAS, CAGNASSO, IRRERA).

Al contrario, il legislatore della riforma ha accolto il diverso orientamento, già presente in giurisprudenza, secondo cui la trasformazione può, anzi, realizzare un vantaggio per l’impresa sociale: ad esempio, la trasformazione da s.p.a in s.r.l., può essere diretta esclusivamente al fine di ridurre gli oneri di procedura e diminuire i costi di gestione e, dunque, a rendere più facile e vantaggiosa per i creditori e per i soci la stessa liquidazione. Pertanto si ritiene sempre legittimo, nei limiti del procedimento legale e salvi divieti espressi, che una qualsiasi società od altro ente in liquidazione si trasformi in altra società od ente (trasformazione eterogenea).

La società o l’ente derivante dalla trasformazione potrà a sua volta essere in liquidazione o meno, poiché detta operazione può avere sia un fine liquidatorio sia un fine di rimozione della causa di scioglimento e di rilancio di una nuova attività. La società o l’ente derivante dalla trasformazione potrà a sua volta essere in liquidazione o meno, poiché detta operazione può avere sia un fine liquidatorio sia un fine di rimozione della causa di scioglimento e di rilancio dell’attività.