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Cassazione Civile: ingiustificato arricchimento contro la P.A.

La sentenza in esame costituisce una pronuncia del supremo organo nomofilattico che sembra voler fissare (per l’ultima volta?) i presupposti per l’esperimento dell’azione ex articolo 2041 codice civile nei confronti della P.A..

I presupposti citati sono e rimangono:

a) l’unicità del fatto causativo del depauperamento; b) la mancanza di altro strumento giudiziale.

Inoltre essa sentenza affronta, se pur brevemente, la questione del potere di accertamento giudiziale nell’ambito di vicende che nascono da impugnative negoziali, offrendo una visione “dinamica” del controllo del giudice.

Principio di diritto:

La regola di carattere generale secondo cui non sono ammessi arricchimenti ingiustificati né spostamenti patrimoniali ingiustificabili, trova applicazione nei confronti del soggetto privato come dell’ente pubblico e, poiché il riconoscimento dell’utilità non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, il privato - attore ex articolo 2041 del codice civile nei confronti della P.A. - deve provare, e il giudice deve accertare, il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, potendo essa, piuttosto, eccepire e dimostrare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole.

In fatto. La sezione terza, assegnataria del ricorso, ritenendo che sulla questione sussista un contrasto di giurisprudenza, ha rimesso - mediante ordinanza interlocutoria del 23 settembre 2014 - la relativa questione alle Sezioni Unite.

In particolare, la questione in oggetto attiene ai presupposti dell’azione di arricchimento nei confronti della P.A..

La sezione rimettente sottopone a disamina due orientamenti giurisprudenziali contrastanti.

Il primo, prevalente, che assume come assolutamente ineludibile la necessità che il riconoscimento anche implicito dell’utilitas (che è alla base per l’esperimento dell’azione de qua) provenga da organi quanto meno rappresentativi dell’ente pubblico; il secondo, minoritario, ma fondato su valide argomentazioni, che offre invece spazi all’apprezzamento positivo (vedremo nel prosieguo su quali fondamentali profili) da parte del giudice.

Diritto. L’articolo 2041 del codice civile, disciplinante l’azione di ingiustificato arricchimento - da intendersi come norma di chiusura del sistema di responsabilità contrattuale - tende ad offrire un ulteriore, quanto residuale, rimedio a colui che veda depauperato il proprio patrimonio senza che la stessa decurtazione venga sorretta da alcuna giustificazione causale.

La norma, nata con l’introduzione del codice del 1942, ha fondamento nel divieto di spostamenti patrimoniali tra soggetti senza che vi sia una giustificazione oggettiva che consenta un accertamento di meritevolezza di tutela da parte dell’ordinamento giuridico. Tale ratio, peraltro, risulta essere la medesima operante per l’istituto della ripetizione dell’indebito.

Per aversi legittimazione all’azione di cui all’articolo 2041 del codice civile, si richiede la contestuale presenza dell’arricchimento ingiustificato di un soggetto e l’impoverimento, altrettanto ingiustificato, di un altro.

L’arricchimento di un soggetto deve essere, come già evidenziato, ingiustificato sotto il profilo causale. Tale arricchimento può consistere tanto in un profitto economico quanto in un risparmio di spesa. Esso deve essere effettivo e deve persistere fino al momento della domanda.

Uno dei casi problematici riguardanti l’operatività dell’azione generale de qua si verifica allorquando il soggetto, avverso il quale si agisce per mezzo dell’articolo 2041 del codice civile, sia una Pubblica Amministrazione: l’azione, in tal caso, si connota di tratti di “specialità”.

Sempre nella piena sussistenza del carattere residuale di detta azione, in capo al privato danneggiato grava un ulteriore onere. Il privato deve riuscire, infatti, a dimostrare l’effettiva sussistenza del vantaggio o dell’altra utilità che abbiano implementato il patrimonio della P.A..

La ratio della sussistenza del requisito dell’utilitas va individuata, certamente, sia nella presa d’atto della sussistenza di una posizione di favor di cui gode la P.A., sia nella considerazione che si è portati a compiere notando come il perseguimento dell’interesse pubblico difficilmente potrebbe realizzarsi al di fuori dell’alveo della legalità e/o della liceità. Più in generale, risulta maggiormente giustificabile l’ammissione del principio per cui l’azione della P.A., con le relative acquisizioni patrimoniali, possano e debbano essere sorrette da una causa “non ingiusta”.

L’orientamento giurisprudenziale maggioritario ritiene “speciale” l’azione contro l’ingiustificato arricchimento della P.A. e, per l’effetto, ai fini dell’esperibilità, si sostiene la necessità della ricorrenza di un duplice requisito: e cioè, non solo il fatto materiale dell’esecuzione dell’opera o di una prestazione vantaggiosa per l’ente pubblico, ma anche il c.d. riconoscimento espresso o tacito della prestazione ricevuta. In sostanza, deve accertarsi che l’amministrazione interessata abbia compiuta una cosciente e consapevole valutazione delle utilità dell’opera, del servizio o della prestazione considerandole, infine, siccome rispondenti alle proprie finalità istituzionali.

Questo, ad oggi, lo “stato dell’arte”.

Con la sentenza in esame, invece, la Suprema Corte sembra riconoscere una posizione di favor in capo al privato. Infatti, si riconosce l’irrilevanza della sussistenza dell’utilitas in capo alla Pubblica Amministrazione e si richiede, per contro, la ricorrenza del solo fatto oggettivo dell’arricchimento (da un lato) e dell’impoverimento del privato (dall’altro).

Viene quindi superata la tralaticia acquisizione della sussistenza del carattere dell’utilità dell’opera o della prestazione per la P.A. basata, da sempre, su una valutazione da parte della stessa. Alla P.A., invero, resta riconosciuta, in via di eccezione, la possibilità di provare l’inconsapevole arricchimento.

Merita un breve riferimento il passaggio della sentenza delle SS.UU. relativo al controllo del rispetto delle regole in tema di riparto di giurisdizione.

Le Sezioni Unite superano la tesi che faceva leva sull’impossibilità, da parte del giudice ordinario, di valutare l’utilitas. Se si ragionasse diversamente, si oltrepasserebbero i confini prefissati dall’articolo 4 della Legge n. 2248 del 1865 cit.. Inoltre, la Suprema Corte, accogliendo l’indirizzo minoritario, ritiene superata l’intangibilità dell’agire della pubblica amministrazione sia per il “nuovo volto” della P.A. (da ritenersi non più in “posizione di supremazia” nei rapporti con il privato); sia perché la stessa utilitas non è requisito per l’esperimento dell’azione ex articolo 2041 del codice civile.

Il giudice di legittimità, premesso che lo stesso articolo 2041 del codice civile si pone quale fonte autonoma di obbligazione, conclude che al fine dell’esperibilità dell’azione de qua rileva la sussistenza del fatto oggettivo di uno spostamento patrimoniale privo di giustificazione meritevole di tutela di fronte all’ordinamento; ne consegue che ciò che il privato - attore ex articolo 2041del  codice civile nei confronti della P.A. - deve provare è l’arricchimento; e il relativo accertamento da parte del giudice non incorre nei limiti di cognizione fissati dall’articolo 4 della legge del 20 marzo del 1865, n. 2248, all. E, perché atto a verificare un evento oggettivo (…), senza che la P.A. possa eccepire la mancanza di utilitas, che peraltro non è legalmente fondata. Qualora si operassero differenti valutazioni, alla Pubblica Amministrazione verrebbe riconosciuta una posizione di vantaggio sganciata da una base normativa. Posizione che andrebbe a porsi in aperto contrasto con il principio di legalità che permea - deve permeare - di sé l’intero agire della Pubblica Amministrazione.

(Cassazione Civile - Sezioni Unite Civile, Sentenza 26 maggio 2015, n. 10798)

La sentenza in esame costituisce una pronuncia del supremo organo nomofilattico che sembra voler fissare (per l’ultima volta?) i presupposti per l’esperimento dell’azione ex articolo 2041 codice civile nei confronti della P.A..

I presupposti citati sono e rimangono:

a) l’unicità del fatto causativo del depauperamento; b) la mancanza di altro strumento giudiziale.

Inoltre essa sentenza affronta, se pur brevemente, la questione del potere di accertamento giudiziale nell’ambito di vicende che nascono da impugnative negoziali, offrendo una visione “dinamica” del controllo del giudice.

Principio di diritto:

La regola di carattere generale secondo cui non sono ammessi arricchimenti ingiustificati né spostamenti patrimoniali ingiustificabili, trova applicazione nei confronti del soggetto privato come dell’ente pubblico e, poiché il riconoscimento dell’utilità non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, il privato - attore ex articolo 2041 del codice civile nei confronti della P.A. - deve provare, e il giudice deve accertare, il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, potendo essa, piuttosto, eccepire e dimostrare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole.

In fatto. La sezione terza, assegnataria del ricorso, ritenendo che sulla questione sussista un contrasto di giurisprudenza, ha rimesso - mediante ordinanza interlocutoria del 23 settembre 2014 - la relativa questione alle Sezioni Unite.

In particolare, la questione in oggetto attiene ai presupposti dell’azione di arricchimento nei confronti della P.A..

La sezione rimettente sottopone a disamina due orientamenti giurisprudenziali contrastanti.

Il primo, prevalente, che assume come assolutamente ineludibile la necessità che il riconoscimento anche implicito dell’utilitas (che è alla base per l’esperimento dell’azione de qua) provenga da organi quanto meno rappresentativi dell’ente pubblico; il secondo, minoritario, ma fondato su valide argomentazioni, che offre invece spazi all’apprezzamento positivo (vedremo nel prosieguo su quali fondamentali profili) da parte del giudice.

Diritto. L’articolo 2041 del codice civile, disciplinante l’azione di ingiustificato arricchimento - da intendersi come norma di chiusura del sistema di responsabilità contrattuale - tende ad offrire un ulteriore, quanto residuale, rimedio a colui che veda depauperato il proprio patrimonio senza che la stessa decurtazione venga sorretta da alcuna giustificazione causale.

La norma, nata con l’introduzione del codice del 1942, ha fondamento nel divieto di spostamenti patrimoniali tra soggetti senza che vi sia una giustificazione oggettiva che consenta un accertamento di meritevolezza di tutela da parte dell’ordinamento giuridico. Tale ratio, peraltro, risulta essere la medesima operante per l’istituto della ripetizione dell’indebito.

Per aversi legittimazione all’azione di cui all’articolo 2041 del codice civile, si richiede la contestuale presenza dell’arricchimento ingiustificato di un soggetto e l’impoverimento, altrettanto ingiustificato, di un altro.

L’arricchimento di un soggetto deve essere, come già evidenziato, ingiustificato sotto il profilo causale. Tale arricchimento può consistere tanto in un profitto economico quanto in un risparmio di spesa. Esso deve essere effettivo e deve persistere fino al momento della domanda.

Uno dei casi problematici riguardanti l’operatività dell’azione generale de qua si verifica allorquando il soggetto, avverso il quale si agisce per mezzo dell’articolo 2041 del codice civile, sia una Pubblica Amministrazione: l’azione, in tal caso, si connota di tratti di “specialità”.

Sempre nella piena sussistenza del carattere residuale di detta azione, in capo al privato danneggiato grava un ulteriore onere. Il privato deve riuscire, infatti, a dimostrare l’effettiva sussistenza del vantaggio o dell’altra utilità che abbiano implementato il patrimonio della P.A..

La ratio della sussistenza del requisito dell’utilitas va individuata, certamente, sia nella presa d’atto della sussistenza di una posizione di favor di cui gode la P.A., sia nella considerazione che si è portati a compiere notando come il perseguimento dell’interesse pubblico difficilmente potrebbe realizzarsi al di fuori dell’alveo della legalità e/o della liceità. Più in generale, risulta maggiormente giustificabile l’ammissione del principio per cui l’azione della P.A., con le relative acquisizioni patrimoniali, possano e debbano essere sorrette da una causa “non ingiusta”.

L’orientamento giurisprudenziale maggioritario ritiene “speciale” l’azione contro l’ingiustificato arricchimento della P.A. e, per l’effetto, ai fini dell’esperibilità, si sostiene la necessità della ricorrenza di un duplice requisito: e cioè, non solo il fatto materiale dell’esecuzione dell’opera o di una prestazione vantaggiosa per l’ente pubblico, ma anche il c.d. riconoscimento espresso o tacito della prestazione ricevuta. In sostanza, deve accertarsi che l’amministrazione interessata abbia compiuta una cosciente e consapevole valutazione delle utilità dell’opera, del servizio o della prestazione considerandole, infine, siccome rispondenti alle proprie finalità istituzionali.

Questo, ad oggi, lo “stato dell’arte”.

Con la sentenza in esame, invece, la Suprema Corte sembra riconoscere una posizione di favor in capo al privato. Infatti, si riconosce l’irrilevanza della sussistenza dell’utilitas in capo alla Pubblica Amministrazione e si richiede, per contro, la ricorrenza del solo fatto oggettivo dell’arricchimento (da un lato) e dell’impoverimento del privato (dall’altro).

Viene quindi superata la tralaticia acquisizione della sussistenza del carattere dell’utilità dell’opera o della prestazione per la P.A. basata, da sempre, su una valutazione da parte della stessa. Alla P.A., invero, resta riconosciuta, in via di eccezione, la possibilità di provare l’inconsapevole arricchimento.

Merita un breve riferimento il passaggio della sentenza delle SS.UU. relativo al controllo del rispetto delle regole in tema di riparto di giurisdizione.

Le Sezioni Unite superano la tesi che faceva leva sull’impossibilità, da parte del giudice ordinario, di valutare l’utilitas. Se si ragionasse diversamente, si oltrepasserebbero i confini prefissati dall’articolo 4 della Legge n. 2248 del 1865 cit.. Inoltre, la Suprema Corte, accogliendo l’indirizzo minoritario, ritiene superata l’intangibilità dell’agire della pubblica amministrazione sia per il “nuovo volto” della P.A. (da ritenersi non più in “posizione di supremazia” nei rapporti con il privato); sia perché la stessa utilitas non è requisito per l’esperimento dell’azione ex articolo 2041 del codice civile.

Il giudice di legittimità, premesso che lo stesso articolo 2041 del codice civile si pone quale fonte autonoma di obbligazione, conclude che al fine dell’esperibilità dell’azione de qua rileva la sussistenza del fatto oggettivo di uno spostamento patrimoniale privo di giustificazione meritevole di tutela di fronte all’ordinamento; ne consegue che ciò che il privato - attore ex articolo 2041del  codice civile nei confronti della P.A. - deve provare è l’arricchimento; e il relativo accertamento da parte del giudice non incorre nei limiti di cognizione fissati dall’articolo 4 della legge del 20 marzo del 1865, n. 2248, all. E, perché atto a verificare un evento oggettivo (…), senza che la P.A. possa eccepire la mancanza di utilitas, che peraltro non è legalmente fondata. Qualora si operassero differenti valutazioni, alla Pubblica Amministrazione verrebbe riconosciuta una posizione di vantaggio sganciata da una base normativa. Posizione che andrebbe a porsi in aperto contrasto con il principio di legalità che permea - deve permeare - di sé l’intero agire della Pubblica Amministrazione.

(Cassazione Civile - Sezioni Unite Civile, Sentenza 26 maggio 2015, n. 10798)