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Il mancato versamento dei contributi previdenziali, evasione o truffa?

Come abbiamo avuto modo di rilevare, il contrasto al lavoro sommerso resta un male difficile da estirpare. Il ricorso alla sospensione dell’attività imprenditoriale (a tal riguardo vedasi articolo del 12.03.10, pubblicato su Filodiritto Sospensione dell’attività imprenditoriale: attività discrezionale o vincolata? Profili di contrasto fra prime pronunce giurisprudenziali e indicazioni ministeriali) è tra gli altri un tentativo più o meno efficace, ma comunque resta un palliativo.

Resistono illecite condotte, reiterate nel tempo, nel luogo in cui datori di lavoro ricorrono, di fatto, non solo a rapporti di lavoro completamente sconosciuti alla Pubblica Amministrazione, ma anche a contratti di lavoro simulati, mascherati da prestazioni di carattere occasionale o contratti di lavoro a progetto, eludendo in tutto o in parte contributi previdenziali, premi assicurativi e nondimeno lo stesso erario.

Pur non volendo addentrarmi nella definizione e distinzione del rapporto di lavoro tra subordinato ex art. 2094 codice civile e parasubordinato a cui si fa riferimento per le controversie alle disposizioni contenute nell’art. 409 e seguenti del codice di procedura civile, è d’uopo fissare l’attenzione sull’importanza degli adempimenti necessari che l’imprenditore deve assolvere nel rispetto del contratto di lavoro.

Il datore di lavoro, all’atto in cui intende avvalersi della prestazione di soggetti terzi (lavoratori) si obbliga contrattualmente, in primis rispetto a questi in ragione del rapporto sinallagmatico, poi in parte verso gli Enti Impositori (INPS e INAIL) in quanto deputati a ricevere e a gestire i contributi previdenziali e premi assicurativi e in parte nei confronti del fisco.

In considerazione di tale obbligo contrattuale il datore di lavoro è perciò tenuto a comunicare le assunzioni del personale al centro per l’impiego, a consegnare loro la lettera di assunzione, a provvedere all’iscrizione sul libro unico del lavoro, già libro matricola, al versamento dei contributi e premi. Altresì, all’atto della corresponsione della retribuzione a consegnare loro la busta paga.

L’assenza di tali adempimenti costituisce una violazione di norme di diritto pubblico; il che vuol significare che l’imprenditore inosservante, potrà essere destinatario di sanzioni di carattere amministrativo e penale, ora rese ancora più onerose dalla cosiddetta maxi sanzione[1]. Tale illecita condotta, in effetti, non consente al prestatore d’opera di accantonare quei contributi necessari per ottenere la pensione; all’INPS ed INAIL di ricevere i dovuti contributi e premi sull’effettivo organico aziendale e lo stesso erario che si trova, gioco forza, impossibilitato a quantificare il volume di affari di una azienda, costi e ricavi, in quanto operazioni non registrate e quindi sconosciute.

Ma se questo non bastasse, è da far risaltare che alcuni imprenditori operano con personale assolutamente sconosciuto alla P.A. e nell’infelice tentativo di formalizzare rapporti di lavoro qualificandoli “motu proprio” occasionali, gli stessi dissimulano contrariamente prestazioni di natura subordinata.

In vero, è già capitato come in questo caso che, le somme esposte sulle ricevute per prestazioni occasionali non hanno trovato alcun riscontro con la documentazione fiscale, né con i compensi effettivamente percepiti, più alti rispetto a quelli registrati, né con le ore di lavoro prestate in quanto superiori a quelle contabilizzate.

Altresì di rilievo conferente è il fatto che il lavoro autonomo occasionale ha tra gli altri, quali indici rivelatori il carattere episodico, l’assenza di coordinamento e l’assenza di inserimento funzionale dei lavoratori nell’organizzazione aziendale.

In diverse circostanze si accerta invece, che non vi è stata alcuna autonomia nell’attività rese dai lavoratori, sia per la natura stessa della prestazione, sia in merito alle caratteristiche dell’azienda, che si basa esclusivamente su prestazioni rese ad personam (faccio riferimento solo come mero esempio ad “Attività di assistenza non sanitaria in urgenza sia presso il domicilio che presso strutture pubbliche e private”).

In questi casi, non è chi non vede, per opinione dello scrivente, anche la sola indicazione dei luoghi necessari per lo svolgimento della prestazione di lavoro nell’esclusivo interesse e per il conseguimento dell’oggetto sociale difficilmente queste possono qualificarsi contratti di lavoro diversamente da quelli di natura subordinata. Parimenti, è pregevole sottolineare che per il conseguimento dell’oggetto sociale nel caso di che trattasi anche il ricorso a contratti di lavoro a progetto, pure questi ultimi, vanno intesi come contratti dissimulanti lavoro subordinato. Questa pur soggettiva valutazione, trova conferma nella circostanza che nonostante il ricorso presentato da qualche azienda per restare in tema, di quelle sopra citate al comitato regionale per i rapporti di lavoro ex art. 17 Dlgs 124/2004, quel collegio ha respinto, senza indugio, le doglianze confermando la natura subordinata di quei contratti di lavoro così confezionati. E’ emerso addirittura che qualche azienda si è avvalsa del lavoro di personale impiegatizio, la cui assunzione pur comunicata alla P.A., era di fatto dissonante a fronte di attività lavorative rese da numerose persone, scevre da qualsiasi forma di tutela previdenziale e assistenziale in violazione degli art. 36, 37 Carta Costituzionale e art. 2087 codice civile.

A tal riguardo, si ritiene che il ricorso a prestazioni di lavoro cosiddette in nero o rapporti simili, è di per sé presupposto idoneo al conseguimento di un ingiusto profitto da parte di qualsiasi impresa, dando libertà, con tale artificioso comportamento a quel datore di lavoro “furfante” di evadere gli oneri previdenziali e assistenziali previsti dalla vigente legislazione, tanto più l’Erario.

A tutela delle circostanze di fatto sopra descritte, il nostro legislatore ha previsto, come recita l’art. 37 della Legge 689/1981 sostituito dall’art. 116 comma 19° della Legge 388/2000 (omissione o falsità di registrazione o denuncia obbligatoria) quanto segue:

1. "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il datore di lavoro che, al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, omette una o più registrazioni o denunce obbligatorie, ovvero esegue una o più denunce obbligatorie in tutto o in parte non conformi al vero, è punito con la reclusione fino a due anni quando dal fatto deriva l’omesso versamento di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie per un importo mensile non inferiore al maggiore importo fra cinque milioni (€ 2.582,28) mensili e il cinquanta per cento dei contributi complessivamente dovuti.

2. Fermo restando l’obbligo dell’organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato, qualora l’evasione accertata formi oggetto di ricorso amministrativo o giudiziario il procedimento penale e’ sospeso dal momento dell’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale, fino al momento della decisione dell’organo amministrativo o giudiziario di primo grado.

3. La regolarizzazione dell’inadempienza accertata, anche attraverso dilazione, estingue il reato".

Questo quanto prevede la disposizione citata, ma è necessario porsi anche alcuni legittimi interrogativi, del tipo:

quando il datore di lavoro “brigante”, laddove senza soluzione di continuità, deliberatamente omette contributi e premi per anni, consapevole che:

· il centro per l’impiego ignora l’effettivo numero di personale rispetto a quello comunicato e rappresentato;

· il numero dei lavoratori in “nero” supera ben oltre il 20% del personale occupato;

· dall’omissione di contributi e premi con atti diretti in modo non equivoco si ottiene un notevole vantaggio a danno dei lavoratori, degli Istituti Previdenziali e il Fisco versando contributi inferiori rispetto al personale effettivamente “coperto”.

può essere sottoposto ad esame dall’Autorità Giudiziaria, contrariamente alla fattispecie di cui sopra, per l’ipotesi di reato più grave di truffa, stabilendo anche la continuazione e le circostanze aggravanti?

A sindacabile e personale giudizio si può sostenere con ragionevolezza che la condotta reiterata del tempo, consapevole, artificiosa e inequivocabilmente diretta a raggirare le norme poste a tutela dei lavoratori, possa integrare la fattispecie delittuosa della truffa.

Del resto, la norma contenuta nell’art. 37 della Legge 689 deve ritenersi sussidiaria per l’espressa condizione legislativa “salvo che il fatto costituisca più grave reato”; e appunto per questo, ben può sussistere il reato di truffa, con esclusione del reato minore, nell’ipotesi in cui, attraverso artifici e raggiri consistiti in una falsa rappresentazione agli enti impositori (INPS e INAIL) di somme inferiori a quelle legalmente dovute facendo falsamente figurare sulle denuncie mensili un numero di lavoratori inferiori a quelli effettivamente occupati, o anche di aver erogato indennità ai prestatori d’opera senza di fatto mai corrisponderle.

In riferimento a tale principio la Corte di Cassazione, ha ritenuto sussistere, ad esempio, il reato di truffa e non già la violazione dell’art. 37 della Legge 689/1981, nel caso in cui il datore di lavoro aveva falsamente dichiarato di avere corrisposto somme al lavoratore, cosi conseguendo un ingiusto profitto e non una semplice evasione contributiva.[2]

Concludo e sostengo che l’eccessivo ricorso alla sanzione, quindi una esasperata “potestas puniendi”, non è motivo da solo sufficiente alla limitazione delle irregolarità in materia di lavoro e legislazione sociale.

Resta di fondo anche il lavoro irregolare una questione ermeneutica lasciando margini di apprezzamento alle diverse qualificazioni dei contratti di lavoro più o meno definite dal nostro ordinamento.



[1] Art. 36 bis, comma 7 del D.L. 04.07.2006 n.223, convertito, con modificazioni nella Legge 4.8.2006 n. 248 recante “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica nonché interventi in materia di entrate e contrasto all’evasione fiscale”.

[2] Cassazione Penale Sez 2 sentenza n.11184 del 27.02.2007.

Come abbiamo avuto modo di rilevare, il contrasto al lavoro sommerso resta un male difficile da estirpare. Il ricorso alla sospensione dell’attività imprenditoriale (a tal riguardo vedasi articolo del 12.03.10, pubblicato su Filodiritto Sospensione dell’attività imprenditoriale: attività discrezionale o vincolata? Profili di contrasto fra prime pronunce giurisprudenziali e indicazioni ministeriali) è tra gli altri un tentativo più o meno efficace, ma comunque resta un palliativo.

Resistono illecite condotte, reiterate nel tempo, nel luogo in cui datori di lavoro ricorrono, di fatto, non solo a rapporti di lavoro completamente sconosciuti alla Pubblica Amministrazione, ma anche a contratti di lavoro simulati, mascherati da prestazioni di carattere occasionale o contratti di lavoro a progetto, eludendo in tutto o in parte contributi previdenziali, premi assicurativi e nondimeno lo stesso erario.

Pur non volendo addentrarmi nella definizione e distinzione del rapporto di lavoro tra subordinato ex art. 2094 codice civile e parasubordinato a cui si fa riferimento per le controversie alle disposizioni contenute nell’art. 409 e seguenti del codice di procedura civile, è d’uopo fissare l’attenzione sull’importanza degli adempimenti necessari che l’imprenditore deve assolvere nel rispetto del contratto di lavoro.

Il datore di lavoro, all’atto in cui intende avvalersi della prestazione di soggetti terzi (lavoratori) si obbliga contrattualmente, in primis rispetto a questi in ragione del rapporto sinallagmatico, poi in parte verso gli Enti Impositori (INPS e INAIL) in quanto deputati a ricevere e a gestire i contributi previdenziali e premi assicurativi e in parte nei confronti del fisco.

In considerazione di tale obbligo contrattuale il datore di lavoro è perciò tenuto a comunicare le assunzioni del personale al centro per l’impiego, a consegnare loro la lettera di assunzione, a provvedere all’iscrizione sul libro unico del lavoro, già libro matricola, al versamento dei contributi e premi. Altresì, all’atto della corresponsione della retribuzione a consegnare loro la busta paga.

L’assenza di tali adempimenti costituisce una violazione di norme di diritto pubblico; il che vuol significare che l’imprenditore inosservante, potrà essere destinatario di sanzioni di carattere amministrativo e penale, ora rese ancora più onerose dalla cosiddetta maxi sanzione[1]. Tale illecita condotta, in effetti, non consente al prestatore d’opera di accantonare quei contributi necessari per ottenere la pensione; all’INPS ed INAIL di ricevere i dovuti contributi e premi sull’effettivo organico aziendale e lo stesso erario che si trova, gioco forza, impossibilitato a quantificare il volume di affari di una azienda, costi e ricavi, in quanto operazioni non registrate e quindi sconosciute.

Ma se questo non bastasse, è da far risaltare che alcuni imprenditori operano con personale assolutamente sconosciuto alla P.A. e nell’infelice tentativo di formalizzare rapporti di lavoro qualificandoli “motu proprio” occasionali, gli stessi dissimulano contrariamente prestazioni di natura subordinata.

In vero, è già capitato come in questo caso che, le somme esposte sulle ricevute per prestazioni occasionali non hanno trovato alcun riscontro con la documentazione fiscale, né con i compensi effettivamente percepiti, più alti rispetto a quelli registrati, né con le ore di lavoro prestate in quanto superiori a quelle contabilizzate.

Altresì di rilievo conferente è il fatto che il lavoro autonomo occasionale ha tra gli altri, quali indici rivelatori il carattere episodico, l’assenza di coordinamento e l’assenza di inserimento funzionale dei lavoratori nell’organizzazione aziendale.

In diverse circostanze si accerta invece, che non vi è stata alcuna autonomia nell’attività rese dai lavoratori, sia per la natura stessa della prestazione, sia in merito alle caratteristiche dell’azienda, che si basa esclusivamente su prestazioni rese ad personam (faccio riferimento solo come mero esempio ad “Attività di assistenza non sanitaria in urgenza sia presso il domicilio che presso strutture pubbliche e private”).

In questi casi, non è chi non vede, per opinione dello scrivente, anche la sola indicazione dei luoghi necessari per lo svolgimento della prestazione di lavoro nell’esclusivo interesse e per il conseguimento dell’oggetto sociale difficilmente queste possono qualificarsi contratti di lavoro diversamente da quelli di natura subordinata. Parimenti, è pregevole sottolineare che per il conseguimento dell’oggetto sociale nel caso di che trattasi anche il ricorso a contratti di lavoro a progetto, pure questi ultimi, vanno intesi come contratti dissimulanti lavoro subordinato. Questa pur soggettiva valutazione, trova conferma nella circostanza che nonostante il ricorso presentato da qualche azienda per restare in tema, di quelle sopra citate al comitato regionale per i rapporti di lavoro ex art. 17 Dlgs 124/2004, quel collegio ha respinto, senza indugio, le doglianze confermando la natura subordinata di quei contratti di lavoro così confezionati. E’ emerso addirittura che qualche azienda si è avvalsa del lavoro di personale impiegatizio, la cui assunzione pur comunicata alla P.A., era di fatto dissonante a fronte di attività lavorative rese da numerose persone, scevre da qualsiasi forma di tutela previdenziale e assistenziale in violazione degli art. 36, 37 Carta Costituzionale e art. 2087 codice civile.

A tal riguardo, si ritiene che il ricorso a prestazioni di lavoro cosiddette in nero o rapporti simili, è di per sé presupposto idoneo al conseguimento di un ingiusto profitto da parte di qualsiasi impresa, dando libertà, con tale artificioso comportamento a quel datore di lavoro “furfante” di evadere gli oneri previdenziali e assistenziali previsti dalla vigente legislazione, tanto più l’Erario.

A tutela delle circostanze di fatto sopra descritte, il nostro legislatore ha previsto, come recita l’art. 37 della Legge 689/1981 sostituito dall’art. 116 comma 19° della Legge 388/2000 (omissione o falsità di registrazione o denuncia obbligatoria) quanto segue:

1. "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il datore di lavoro che, al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, omette una o più registrazioni o denunce obbligatorie, ovvero esegue una o più denunce obbligatorie in tutto o in parte non conformi al vero, è punito con la reclusione fino a due anni quando dal fatto deriva l’omesso versamento di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie per un importo mensile non inferiore al maggiore importo fra cinque milioni (€ 2.582,28) mensili e il cinquanta per cento dei contributi complessivamente dovuti.

2. Fermo restando l’obbligo dell’organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato, qualora l’evasione accertata formi oggetto di ricorso amministrativo o giudiziario il procedimento penale e’ sospeso dal momento dell’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale, fino al momento della decisione dell’organo amministrativo o giudiziario di primo grado.

3. La regolarizzazione dell’inadempienza accertata, anche attraverso dilazione, estingue il reato".

Questo quanto prevede la disposizione citata, ma è necessario porsi anche alcuni legittimi interrogativi, del tipo:

quando il datore di lavoro “brigante”, laddove senza soluzione di continuità, deliberatamente omette contributi e premi per anni, consapevole che:

· il centro per l’impiego ignora l’effettivo numero di personale rispetto a quello comunicato e rappresentato;

· il numero dei lavoratori in “nero” supera ben oltre il 20% del personale occupato;

· dall’omissione di contributi e premi con atti diretti in modo non equivoco si ottiene un notevole vantaggio a danno dei lavoratori, degli Istituti Previdenziali e il Fisco versando contributi inferiori rispetto al personale effettivamente “coperto”.

può essere sottoposto ad esame dall’Autorità Giudiziaria, contrariamente alla fattispecie di cui sopra, per l’ipotesi di reato più grave di truffa, stabilendo anche la continuazione e le circostanze aggravanti?

A sindacabile e personale giudizio si può sostenere con ragionevolezza che la condotta reiterata del tempo, consapevole, artificiosa e inequivocabilmente diretta a raggirare le norme poste a tutela dei lavoratori, possa integrare la fattispecie delittuosa della truffa.

Del resto, la norma contenuta nell’art. 37 della Legge 689 deve ritenersi sussidiaria per l’espressa condizione legislativa “salvo che il fatto costituisca più grave reato”; e appunto per questo, ben può sussistere il reato di truffa, con esclusione del reato minore, nell’ipotesi in cui, attraverso artifici e raggiri consistiti in una falsa rappresentazione agli enti impositori (INPS e INAIL) di somme inferiori a quelle legalmente dovute facendo falsamente figurare sulle denuncie mensili un numero di lavoratori inferiori a quelli effettivamente occupati, o anche di aver erogato indennità ai prestatori d’opera senza di fatto mai corrisponderle.

In riferimento a tale principio la Corte di Cassazione, ha ritenuto sussistere, ad esempio, il reato di truffa e non già la violazione dell’art. 37 della Legge 689/1981, nel caso in cui il datore di lavoro aveva falsamente dichiarato di avere corrisposto somme al lavoratore, cosi conseguendo un ingiusto profitto e non una semplice evasione contributiva.[2]

Concludo e sostengo che l’eccessivo ricorso alla sanzione, quindi una esasperata “potestas puniendi”, non è motivo da solo sufficiente alla limitazione delle irregolarità in materia di lavoro e legislazione sociale.

Resta di fondo anche il lavoro irregolare una questione ermeneutica lasciando margini di apprezzamento alle diverse qualificazioni dei contratti di lavoro più o meno definite dal nostro ordinamento.



[1] Art. 36 bis, comma 7 del D.L. 04.07.2006 n.223, convertito, con modificazioni nella Legge 4.8.2006 n. 248 recante “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica nonché interventi in materia di entrate e contrasto all’evasione fiscale”.

[2] Cassazione Penale Sez 2 sentenza n.11184 del 27.02.2007.