x

x

Il no dei Coreco: una falsa riforma

Da "IL SOLE 24 ORE" , 26 maggio 1997.

IL NO DEI CORECO: UNA FALSA RIFORMA

Con l’entrata in vigore della legge 127/97, si delinea una riforma dei controlli sugli enti locali che presenta non poche zone d’ombra in un panorama che manifesta anche alcune luci (commi 34 e 35 dell’articolo 17).

Con il comma 34 è stato reintrodotto per le delibere di giunta, l’istituto del controllo eventuale a richiesta degli stessi organismi deliberanti che - nel quadro di una riduzione dell’area dei controlli obbligatori - è stato salvaguardato anche per realizzare quell’"indirizzo collaborativo" fra Regione ed enti locali. Nella stessa linea è stato previsto con il comma 35 che i Coreco possano attivare servizi di consulenza per gli enti locali.

Dobbiamo perlatro constatare che a un esame complessivo prevalgono le zone buie che tendono a spegnere anche queste poche luci, avendo compiuto il legislatore scelte in contrasto non solo con la logica ma anche con quel principio del buon andamento della pubblica amministrazione che l’articolo 97 della Costituzione tutela.

La prima di queste scelte "strane" è quella di affidare ai difensori civici comunali e provinciali, se istituiti, il controllo eventuale su richiesta delle minoranze (comma 38) in materia di appalti e affidamento di servizi di forniture di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario ovvero in materia di assunzione del personale, piante organiche e relative variazioni.

Qui oltre all’articolo 130 della Costituzione, a nostro avviso, sono stati violati i principi in materia di incompatibilità: dato che è il Comune (o la Provincia) a nominare il difensore civico, è il controllato che sceglie in qualche modo il proprio controllore.

Non solo. Vengono affidate ai difensori civici compiti estranei a quelli istituzionali di tale figura che è nata per tutelare gli interessi dei singoli cittadini davanti alla pubblica amministrazione.

Ci si domanda come si può conciliare tale veste, nelle materia di cui all’articolo 17 comma 38, quando, in tali ipotesi il difensore civico ha diritto di decisione sulla legittimità del procedimento stesso. Senza dimenticare che il difensore civico a differenza del Coreco, non deve avere necessariamente (e normalmente non ha) i requisiti di competenza giuridica per esercitare tali compiti e, comunque non ha i mezzi necessari.

Nella stessa linea appare assai discutibile l’assegnazione al difensore civico stavolta regionale (comma 45) della nomina dei commissari ad acta per la sostituzione degli organi degli enti locali inadempienti.

Altra scelta strana e, a nostro avviso, in palese contrasto con l’articolo 97 della Costituzione è la "tempistica" con riferimento all’esame dei bilanci e dei rendiconti. Il controllo sui bilanci e sui rendiconti si troverà infatti tra l’incudine del termine di trasmissione ridotto a cinque giorni, e il martello dei dieci giorni per la richiesta di eventuali chiarimenti.

I tempi sono poi stati disposti in modo tale che gli enti invieranno bilanci e rendiconti ai Coreco quasi contemporaneamente e questi ultimi dovranno procedere al loro esame entro dieci gorni, pena l’alternativa successiva di doversi muovere fra gli scogli di presa d’atto e annullamento (o viceversa).

Se poi si ricordano le modalità di esame imposte dal comma 41 (coerenza interna degli atti, corrispondenza dati contabili con quelli delle deliberazioni e documenti giustificativi), si vede che la realtà amministrativa non può consentire un tale esame in soli 10 giorni (si pensi ai bilanci dei grandi Comuni).

Da "IL SOLE 24 ORE" , 26 maggio 1997.

IL NO DEI CORECO: UNA FALSA RIFORMA

Con l’entrata in vigore della legge 127/97, si delinea una riforma dei controlli sugli enti locali che presenta non poche zone d’ombra in un panorama che manifesta anche alcune luci (commi 34 e 35 dell’articolo 17).

Con il comma 34 è stato reintrodotto per le delibere di giunta, l’istituto del controllo eventuale a richiesta degli stessi organismi deliberanti che - nel quadro di una riduzione dell’area dei controlli obbligatori - è stato salvaguardato anche per realizzare quell’"indirizzo collaborativo" fra Regione ed enti locali. Nella stessa linea è stato previsto con il comma 35 che i Coreco possano attivare servizi di consulenza per gli enti locali.

Dobbiamo perlatro constatare che a un esame complessivo prevalgono le zone buie che tendono a spegnere anche queste poche luci, avendo compiuto il legislatore scelte in contrasto non solo con la logica ma anche con quel principio del buon andamento della pubblica amministrazione che l’articolo 97 della Costituzione tutela.

La prima di queste scelte "strane" è quella di affidare ai difensori civici comunali e provinciali, se istituiti, il controllo eventuale su richiesta delle minoranze (comma 38) in materia di appalti e affidamento di servizi di forniture di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario ovvero in materia di assunzione del personale, piante organiche e relative variazioni.

Qui oltre all’articolo 130 della Costituzione, a nostro avviso, sono stati violati i principi in materia di incompatibilità: dato che è il Comune (o la Provincia) a nominare il difensore civico, è il controllato che sceglie in qualche modo il proprio controllore.

Non solo. Vengono affidate ai difensori civici compiti estranei a quelli istituzionali di tale figura che è nata per tutelare gli interessi dei singoli cittadini davanti alla pubblica amministrazione.

Ci si domanda come si può conciliare tale veste, nelle materia di cui all’articolo 17 comma 38, quando, in tali ipotesi il difensore civico ha diritto di decisione sulla legittimità del procedimento stesso. Senza dimenticare che il difensore civico a differenza del Coreco, non deve avere necessariamente (e normalmente non ha) i requisiti di competenza giuridica per esercitare tali compiti e, comunque non ha i mezzi necessari.

Nella stessa linea appare assai discutibile l’assegnazione al difensore civico stavolta regionale (comma 45) della nomina dei commissari ad acta per la sostituzione degli organi degli enti locali inadempienti.

Altra scelta strana e, a nostro avviso, in palese contrasto con l’articolo 97 della Costituzione è la "tempistica" con riferimento all’esame dei bilanci e dei rendiconti. Il controllo sui bilanci e sui rendiconti si troverà infatti tra l’incudine del termine di trasmissione ridotto a cinque giorni, e il martello dei dieci giorni per la richiesta di eventuali chiarimenti.

I tempi sono poi stati disposti in modo tale che gli enti invieranno bilanci e rendiconti ai Coreco quasi contemporaneamente e questi ultimi dovranno procedere al loro esame entro dieci gorni, pena l’alternativa successiva di doversi muovere fra gli scogli di presa d’atto e annullamento (o viceversa).

Se poi si ricordano le modalità di esame imposte dal comma 41 (coerenza interna degli atti, corrispondenza dati contabili con quelli delle deliberazioni e documenti giustificativi), si vede che la realtà amministrativa non può consentire un tale esame in soli 10 giorni (si pensi ai bilanci dei grandi Comuni).