Il Parlamento in seduta comune: un futuro modello di monocameralismo?

Prospettiva
Ph. Enrico Gusella / Prospettiva

Indice:

1. Introduzione sul Parlamento in seduta comune

2. Analisi del disegno di legge

3. Dubbi sulle procedure fiduciarie

4. Conclusioni sul superamento del bicameralismo

 

Abstract

L’articolo si concentra sull’analisi del disegno di legge costituzionale volto ad attribuire un potere d’indirizzo politico al Parlamento in seduta comune. L’idea di superamento del bicameralismo è evidente con il rischio, però, di aggravare la funzione legislativa delle camere.

The article analyzes the reform of the Parliament in joint session. What situation will we have?

 

1. Introduzione sul Parlamento in seduta comune

La legge di riduzione del numero dei parlamentari, approvata dal recente referendum confermativo, ha determinato l’inizio del dibattito sui vari e necessari adeguamenti sia in materia di regolamenti parlamentari sia in materia elettorale e costituzionale. Proprio in materia costituzionale, tra i progetti di legge avanzati, è stata presentata la modifica dell’articolo 58 Costituzione con l’equiparazione dell’elettorato attivo e passivo per l’elezione del Senato a quelli previsti per la Camera, portando alla cancellazione di una delle poche differenze ancora rimaste di quelle previste in origine nella Costituzione dando vita ad un “monocameralismo sostanziale”.

A confermare questa prospettiva vi è la revisione di un altro organo (di non minore importanza) proposta lo scorso 2 ottobre, attraverso un disegno di legge costituzionale, e atta a garantire “una più sicura stabilità al Governo e restituendo al Parlamento il suo ruolo centrale nella definizione dell’indirizzo politico nazionale[1]”: il Parlamento in seduta comune.

 

2. Analisi del disegno di legge

Il Parlamento in seduta comune, attualmente, deve esclusivamente:

eleggere il Presidente della Repubblica (articolo 83), assistere al suo giuramento (articolo 91) e metterlo in stato di accusa (articolo 90);

eleggere un terzo dei giudici costituzionali (articolo 135) e dei membri del Consiglio superiore della magistratura (articolo 104);

eleggere ogni nove anni i 45 cittadini fra i quali estrarre a sorte i sedici che integreranno la Corte costituzionale nei giudizi d’accusa contro il Presidente della Repubblica.

Con un Parlamento più “snello” e nell’ottica di un superamento del bicameralismo paritario, non è un caso che si stia sin d’ora cominciando a ragionare sull’ampliamento delle attribuzioni delle camere riunite.

Secondo il disegno di legge costituzionale esso sarebbe chiamato a prendere le decisioni più importanti:

voto di fiducia (a maggioranza semplice) e di sfiducia (costruttiva ed a maggioranza assoluta) al Governo;

approvazione della legge di bilancio e autorizzazione al cd. scostamento di bilancio; approvazione delle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali: audizione delle comunicazioni che il Presidente del Consiglio deve svolgere prima (con eventuale formulazione di indirizzi) e dopo i Consigli europei;

infine, conversione dei decreti legge.

Verrebbe elaborato, poi, un regolamento ad hoc (al posto dell’attuale richiamo al regolamento della Camera dei deputati).

L’articolo 2 del disegno di legge prevederebbe un “bicameralismo temperato” con l’approvazione delle leggi spettante alla sola Camera dei deputati, ferma restando la possibilità di richiesta di modifica del progetto di legge da parte del Senato nel corso dell’iter legislativo.

La novità sarebbe che l’idea di superamento del bicameralismo si tradurrebbe nella concentrazione dei poteri di indirizzo politico non, come proposto nelle precedenti riforme, nella Camera dei deputati ma nel Parlamento in seduta comune, composto da membri eletti allo stesso modo per età e circoscrizioni (modificando l’articolo 58 della Costituzione con l’eliminazione delle circoscrizioni più regionali). In questo modo, tuttavia, ci sarebbero ben tre camere in quanto il Parlamento in seduta comune, per quanto composto da deputati e senatori, è organo altro rispetto a Camera e Senato, i quali, quindi, perdono in esso la propria soggettività per fondersi in un terzo organo costituzionale.

La razionalizzazione delle procedure fiduciarie si concretizzerebbe nell’accentramento del potere fiduciario nel Parlamento in seduta comune dovrebbe garantire, nelle intenzioni dei proponenti, “una più sicura stabilità al Governo”.

In questo senso, come detto, viene proposto:

l’attribuzione al Presidente del Consiglio del potere di proporre al Presidente della Repubblica non solo la nomina ma anche la revoca dei ministri;

l’introduzione della sfiducia costruttiva (mutuandola dal sistema tedesco) e la sua approvazione da parte delle camere riunite a maggioranza più elevata (assoluta) rispetto a quella (semplice) richiesta in sede di fiducia, con ulteriore rafforzamento della possibilità – già com’è noto vigente – di governi di minoranza.

È evidente l’intenzione della parlamentarizzazione delle crisi di governo.

Tuttavia, l’obiettivo in tal modo di rafforzare la stabilità di governo sembra, per così dire, fuori portata per la semplice, ma decisiva considerazione che, tranne le crisi parlamentari del governo Prodi (1998 e 2008) e quella del governo Conte I (che potremmo definire “parziale” in quanto dimessosi prima della mozione di sfiducia, poi ritirata, della Lega), tutte le crisi di governo sono state extraparlamentari, cioè insorte a seguito di dissociazioni di parte della maggioranza di governo, con conseguenti dimissioni spontanee del Presidente del Consiglio.

Sotto questo profilo dunque le disposizioni costituzionali proposte possono solo costituire un deterrente ragionevole alle crisi parlamentari, ma non a quelle extraparlamentari. Per questo motivo l’articolo 9 del disegno di legge prevede l’obbligatoria parlamentarizzazione di tutte le crisi. In questo modo il Presidente del Consiglio, prima di rassegnare le dimissioni al Presidente della Repubblica, sarebbe obbligato a comunicarne le motivazioni al Parlamento in seduta comune. Inoltre, nel caso in cui fosse presentata una mozione di sfiducia, il Presidente del Consiglio sarebbe obbligato a dimettersi solo dopo la sua votazione. Analogamente lo stesso meccanismo dovrebbe verificarsi in caso di mozione di sfiducia individuale (anche se nella proposta non vi è alcun riferimento).

 

3. Dubbi sulle procedure fiduciarie

Sempre a proposito del rapporto di fiducia ci sono infine, due ulteriori questioni da evidenziare: la questione di fiducia e la mozione di sfiducia individuale. Sulla prima, il progetto prevede che, se il Governo presenta la questione di fiducia in una delle Camere o nel Parlamento in seduta comune, è quest’ultimo che la vota non prima di tre giorni dalla sua presentazione, con obbligo di dimissioni in caso di bocciatura. In tal modo la questione di fiducia perderebbe ogni valenza tecnica, sia per l’intervallo di tre giorni, sia soprattutto perché votata non dalla camera presso cui è posta ma dalle camere riunite. Il che, in effetti, dovrebbe limitarne gli attuali abusi. Di contro, però, non si può escludere che tale meccanismo possa originare una non pacifica convivenza tra il Parlamento unito e la singola camera che si vedrebbe bloccare il proprio lavoro legislativo.

Inoltre, il progetto non tratta della mozione di sfiducia individuale la cui approvazione da parte di una delle camere, com’è noto, potrebbe segnalare una grave rottura nella maggioranza di governo e indurre quindi il Presidente del Consiglio alle dimissioni. Per questo motivo, per ragioni di coerenza, si dovrebbe o vietare tali mozioni oppure attrarle alla competenza delle Camere riunite.

 

4. Conclusioni, superamento del bicameralismo

Il disegno di legge qui analizzato ci indirizza, evidentemente, sulla strada del superamento del bicameralismo paritario o forse di un futuro monocameralismo, concentrando le funzioni d’indirizzo politico nel Parlamento in seduta comune. Ma proprio questa prospettiva (la coesistenza di un terzo organo con le altre due camere) pone però problemi di reciproco coordinamento che sono ovviamente non solo tecnici ma politici e che per questo potrebbero aggravare, anziché semplificare, il funzionamento delle nostre istituzioni di governo.

 

[1]Razionalizzazione del parlamentarismo attraverso la valorizzazione del Parlamento in seduta Comune per la definizione dell’indirizzo politico nazionale, l’introduzione della sfiducia costruttiva e di nuovi elementi di differenziazione di Camera e Senato