Il principio di automaticità delle prestazioni: una probatio diabolica per il lavoratore in nero
Indice:
Premessa
1. Il principio di automaticità delle prestazioni
1.1 La prescrizione contributiva
2. Onere della prova.
2.1 Mezzi di prova
3. Conclusione
Premessa
Con il seguente scritto intendiamo approfondire la disciplina di cui all’articolo 2116 del Codice Civile, attraverso l’analisi degli istituti che contornano la tutela in questione come la prescrizione contributiva e l’onere della prova.
Avremo cura di mettere in luce gli aspetti che potrebbe nuocere al prestatore di lavoro nel dimostrare l’esistenza del rapporto, constatando i rimedi all’omissione contributiva, specie alla luce dell’orientamento della Corte di Cassazione, sez. lavoro, ordinanza n. 2164/21.
1. Il principio di automaticità delle prestazioni
Nel libro V “Del lavoro” titolo II del Codice Civile individuiamo “il principio di automaticità delle prestazioni” che rappresenta uno dei capisaldi in tema di sicurezza sociale, ponendosi come una sorta di “protettore” delle tutele di cui il lavoratore dispone nell’esercizio dei suoi diritti soggettivi.
Precisato ciò, esaminiamo adesso gli aspetti più luminari dell’articolo 2116 Codice Civile:
1. “Le prestazioni indicate nell’articolo 2114 sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali [o delle norme corporative]”.
A norma dell’articolo, si deduce che qualora il datore di lavoro non abbia ottemperato agli obblighi di contribuzione, le prestazioni previdenziali debbano pur sempre considerarsi dovute.
Però a scanso di equivoci si rende opportuno ricordare come la disciplina trattata trovi attuazione solo per il lavoro dipendente, considerato che, nella subordinazione l’obbligo contributivo ricade sul datore di lavoro anziché sul lavoratore, come invece accade nel lavoro autonomo.
Così come dobbiamo tenere a mente che la consapevolezza del lavoratore a riguardo della propria irregolarità lavorativa potrebbe finire per farlo ricadere in determinate fattispecie di reato: falsità ideologica (quando abbia dichiarato il falso in atto pubblico) e appropriazione indebita ai danni dello stato nei casi in cui abbia anche percepito misure di sostegno al reddito.
Comunque rispetto alla circostanza teorizzata, totalmente differente è quell’ipotesi in cui il lavoratore effettivamente non abbia cognizione di una omissione temporanea o costante: potrebbe darsi che sia ingenuamente convinto della propria regolarità quando in realtà si è reso vittima di un raggiro.
Al giorno d’oggi, ciò è senza dubbio più complicato se consideriamo l’evoluzione dei sistemi di controllo informatici però non di rado succede che il lavoratore creda di aver raggiunto i requisiti minimi per l’accesso al sistema pensionistico ma poi spiacevolmente scopre che all’appello manchi uno spezzone contributivo (più facilmente accade se di vecchia data) che “probabilmente” è sfuggito al datore o all’ente previdenziale.
In tal caso l’ente provvederà ad azionare la procedura prevista per il recupero dei contributi rientrandovi nel computo pensionistico anche gli anni contributivi omessi dal datore di lavoro, che sarà sottoposto a rivalsa dall’ente previdenziale, dopo aver accreditato quanto dovuto al prestatore di lavoro.
1.1 La prescrizione contributiva
Discorso ben diverso, merita di essere effettuato nel momento in cui i medesimi contributi siano caduti in prescrizione. Parimenti alla lettura dell’articolo 2166 Codice Civile integriamo il comma 2:
2. Nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro.
In breve, le prestazioni si considerano dovute nei limiti della prescrizione, onde si rende indispensabile l’attivazione della procedura di recupero entro i termini dettati dalle norme vigenti.
Non dobbiamo dimenticare però, come l’istituto della prescrizione non sia rimasto inalterato negli anni a venire. Tant’è vero che: con la Legge n. 335/1995 [1] il legislatore ha optato per una prescrizione quinquennale per i contributi previdenziali che, diviene decennale nel caso di denuncia del lavoratore, purché questa intervenga prima della scadenza del termine.
Comunque una tutela cosiffatta ha dato luogo a numerose dispute dottrinali e inoltre, a primo impatto, potremmo anche dire che non sembrerebbe appieno dotata di rigore logico, essendo spontaneo precisare che: più lungo è il termine della prescrizione, più è tutelato al diritto alle prestazioni previdenziali.
Tuttavia non manca chi dall’altra parte continui a sostenere: che in realtà tale riforma abbia dimezzato il tempo a disposizione del datore per colmare la propria omissione, inducendolo a porvi tempestivamente rimedio.
Ad ogni modo al prestatore di lavoro non rimane che verificare la propria posizione contributiva poiché se riscontratasi una violazione, potrà eventualmente esporre denuncia presso l’autorità giudiziaria recuperando il termine decennale. A tal proposito uno strumento di maggiore conoscenza della sua stessa posizione assicurativa potrebbe essere l’estratto contro contributivo [2].
Dobbiamo altresì dire che il termine della prescrizione produce effetti estintivi, non potendovi rinunciare neppure lo stesso ente previdenziale.
Ecco perché per il lavoratore che abbia perduto la possibilità di vedersi riconosciute parzialmente o totalmente le contribuzioni, l’unica strada percorribile sembra essere quella del risarcimento del danno ex articolo 1218 Codice Civile.
Ma non è detta l’ultima parola! Un altro strumento spendibile potrebbe essere la costituzione di una rendita vitalizia [3] direttamente ad opera del datore o dal lavoratore, anche se è da non sottovalutare la sua rigidità nella prova dell’esistenza del rapporto di lavoro; il che vuol dire che sarà alquanto complesso per il lavoratore se non dispone delle prove documentali richieste ad probationem (Vedi circolare Inps 78/2019).
2. Onere della prova
Quanto sinora esposto ci consente di percepire come il tutto ruoti attorno all’onere della prova che sappiamo ricadere in capo al lavoratore.
In via preliminare dunque ricordiamo che:
“Il principio di automaticità ex articolo 2116 Codice Civile, vale non soltanto ai fini dell’insorgenza del diritto alla pensione, ma anche per la relativa quantificazione, essendo onere del lavoratore provare l’esistenza del rapporto di lavoro e l’entità delle retribuzioni percepite” [4].
Spetterà ad egli dimostrare l’esistenza del rapporto di lavoro e plausibilmente il problema non sorgerà in presenza di apposite documentazioni che attestano lo stesso. Si pensi al contratto di lavoro o alla busta paga rilasciata dal datore.
Per complicare il quadro potremmo supporre la presenza di una totale irregolarità lavorativa e l’assenza di prove documentali da offrire a sostegno delle proprie affermazioni (trattandosi di “lavoro nero” non vi sarà alcun contratto). Nella sostanza il rapporto potrebbe essere reputato “tamquam non esset” quindi non rimarrebbe che adire il giudice per l’emanazione di una sentenza che accerti l’esistenza del rapporto.
Rammentiamo come la Corte di cassazione con ordinanza n. 2124 del 1 febbraio 2021 abbia avuto modo di rimarcare l’ambito di operatività del 2116 Codice Civile riassumendo gli strumenti di cui i lavoratori fruiscono.
In prima battuta, è il caso di riportare quanto stabilito: “il lavoratore non è legittimato ad agire nei confronti dell’Istituto previdenziale per accertare l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, né può chiedere di sostituirsi al datore di lavoro nel pagamento dei contributi”.
Ciò vuol dire che dovrà necessariamente agire nei confronti del datore chiamando in causa anche l’ente previdenziale, rispettivamente legittimato passivo e attivo dell’obbligazione contributiva. Mentre l’ente è tenuto a regolarizzare la sua posizione assicurativa allorquando non abbia conseguito l’inadempimento datoriale, nonostante la tempestiva notizia del lavoratore a cui, tra l’alto, si sono preclusi gli accessi agli altri rimedi (rendita vitalizia e risarcimento del danno).
Di conseguenza, schematizzando brevemente rimedi ed effetti avremo:
1) Accreditamento dei contributi dimostrando l’esistenza del rapporto all’ente previdenziale;
2) Accreditamento dovuto dall’emanazione di una sentenza (salvo sempre la non intervenuta prescrizione). Il lavoratore ricorre al giudice non essendo riuscito a fornirne dimostrazione all’ente previdenziale;
3) Costituzione di una rendita vitalizia (in caso di prescrizione), che non sempre sarà possibile considerato che la sentenza che accerta il rapporto dovrà rifarsi ai mezzi di prova indicati al punto 2.3 della circolare 78/2019 (prove documentali);
4) Risarcimento del danno (sempre ammesso).
2.1 Mezzi di prova
Per come abbiamo visto, maggiori complessità si riscontreranno in assenza di prove cartacee, perciò sarà nostro compito procedere all’individuazione dei mezzi ritenuti più proficui per porre rimedio alla lesione patita.
Tra quelli precipui citiamo la c.d. “prova testimoniale” la cui disciplina è presente all’interno del Codice Civile. Possiamo semplicemente definirla come quella dichiarazione resa in corso di giudizio da un terzo, idonea a fornire notizie utili ai fini della decisione.
Naturalmente questa non è l’unica prova di cui il lavoratore dispone, anche se il suo utilizzo nella pratica giudiziaria è più che frequente. Però se trattasi di un rapporto di lavoro eseguito a “tu per tu” cioè in assenza di ulteriori partner/colleghi potrebbe pur darsi che non si siano individuati “teste” da chiamare a deporre quindi non rimarrebbe che rifarsi ad altre prove.
Si pensi alle riproduzioni meccaniche ex articolo 2712 Codice Civile, viene da chiedersi se possano tali strumenti riflettersi positivamente nella sfera giuridica del prestatore di lavoro potendo egli servirsi di eventuali registrazioni per provare l’esistenza del rapporto lavorativo.
La risposta è affermativa, a patto che vi sia il rispetto di determinati criteri e a tal riguardo la Cass. Civ. con sentenza 27424/2014 ha avuto modo di asserire che: le registrazioni fonografiche relative ai colloqui possono essere utilizzate come mezzi di prova nel processo civile se effettuate da persona protagonista della conversazione. [6]
Per di più vanno annoverati altri elementi reperibili digitalmente che potrebbero giovare all’attore ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova: sms, e-mail, fotografie e così via dicendo.
3. Conclusione
Bando alle ciance, quanto trattato ci consente di ribadire che il legislatore ha previsto una moltitudine di tutele ma non sempre sarà agevole il loro accesso. Soprattutto per il “lavoro sommerso” le tutele sono a dir poco ridotte se consideriamo che non facilmente si otterrà l’accreditamento dei periodi contributivi omessi o la costituzione della rendita vitalizia.
Oltre al danno la beffa, potremmo dire! Il lavoratore diverrebbe a maggior ragione parte debole, più di quanto già lo sia. Di fatto, non agevolmente dovrà farsi strada tra molteplici ostacoli probatori e (da non sottovalutare) perfino rischi annessi alla ritorsione del datore nei suoi confronti, motivo per cui si renderebbe all’uopo l’intervento degli organi sindacali.
[1] articolo 3, comma 9, legge 8 agosto del 1995, n. 335.
[2] Il lavoratore, recandosi presso gli sportelli o in alternativa, mediante accesso al sito web degli enti preposti, otterrà il rilascio di una documentazione, la quale riassumerà la propria posizione contributiva.
[3] “Spetta innanzi tutto al datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione” e, “analoga facoltà è altresì attribuita al lavoratore, in sostituzione del datore di lavoro, quando non possa ottenere da quest’ultimo la costituzione dell’anzidetta rendita”.
[4] Cass. Civ. Sentenza n. 10119/2012
[5] “La registrazione fonografica di un colloquio tra persone presenti rientra nel genus delle riproduzioni meccaniche di cui all’articolo 2712 Codice Civile, quindi di prove ammissibili nel processo civile, così come lo sono in quello penale, atteso che la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, è prova documentale utilizzabile quantunque effettuata dietro suggerimento o su incarico della polizia giudiziaria, trattandosi, in ogni caso, di registrazione operata da persona protagonista della conversazione, estranea agli apparati investigativi e legittimata a rendere testimonianza nel processo.”
[6] “Mentre solitamente il giudice può accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro controverso mediante i più disparati mezzi di prova, per l’accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro ai fini dell’articolo 13 della legge n. 1338 del 1962 deve basarsi su prove documentali di data certa e inequivocabili.”