Inadempienza contributiva a seguito di incertezza interpretativa: riduzione delle sanzioni civili e decorrenza degli interessi legali nella Legge 388/2000

Inadempienza contributiva a seguito di incertezza interpretativa: riduzione delle sanzioni civili e decorrenza degli interessi legali nella Legge 388/2000
ABSTRACT: L’art. 116 comma 15 della Legge 388/2000 – a norma del quale il contribuente, che abbia in precedenza omesso di adempiere all’obbligo contributivo a seguito di un contrasto interpretativo giurisprudenziale od amministrativo in merito alla sussistenza del medesimo, poi comunque riconosciuta dal Giudice o dalla PA, può beneficiare della riduzione delle sanzioni civili previste a condizione che abbia comunque provveduto all’integrale pagamento dei contributi entro il termine stabilito dall’Ente – deve essere interpretato nel seguente modo:
- quando la sussistenza dell’obbligo contributivo è stata accertata dal Giudice, l’Ente può fissare il suddetto termine solo dopo la sentenza, in quanto è stato appunto il Giudice a dare atto dell’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in merito, e, contestualmente, ad accertare come ad ogni modo sussistente il predetto obbligo;
- quando, invece, la sussistenza dell’obbligo contributivo è stata accertata dallo stesso Ente previdenziale, sarà quest’ultimo a poter fissare il termine
Article 116, paragraph 15 of Law 388/2000 – according to which the taxpayer, who has previously failed to fulfill the contribution obligation following a conflict of interpretation in the jurisprudence or in the administrative system regarding the existence of the same, later recognized by the Judge or the PA, can benefit from the reduction of the civil sanctions provided for on condition that he has in any case paid the contributions in full within the deadline established by the Authority – must be interpreted in the following way:
- when the existence of the contribution obligation has been ascertained by the Judge, the Authority can set the aforementioned deadline only after the sentence, since it was precisely the Judge who acknowledged the existence of a conflict of jurisprudence in this regard, and, at the same time, ascertained that the aforementioned obligation existed in any case;
- when, however, the existence of the contribution obligation has been ascertained by the Social Security Institution itself, it will be the latter that can set the deadline
Lo stesso art. 116, al comma 10, prevede che, quando risulta presente il contrasto interpretativo di cui sopra, comunque risolto dal Giudice e/o dall’Ente previdenziale in senso confermativo dell’obbligo contributivo, ed il contribuente abbia provveduto al versamento dei premi e contributi entro il termine fissato dall’Ente, sono dovuti gli interessi legali.
In merito alla legittimità della decorrenza di tali interessi, appaiono sostenibili due tesi:
- la prima, secondo la quale tali interessi sono legittimi, sia perchè l’avvenuto accertamento, nonostante il contrasto interpretativo, dell’obbligo contributivo, ha determinato il presupposto della “liquidità” del correlativo credito, il quale è previsto dall’art. 1282 c.c. ai fini della decorrenza degli stessi, sia perché, ai sensi dell’art. 34 comma 4 della stessa Legge 388/2000, l’applicazione dei medesimi è prevista anche laddove il sostituto d’imposta, pur dopo aver omesso la ritenuta, abbia comunque provveduto al versamento dei contributi dovuti (mentre, nel caso di cui all’art. 116, il datore di lavoro era stato inadempiente), sia perché, applicando per via analogica l’art. 10 comma 2 della Legge 212/2000, quando il contribuente, facendo leva su una determinata interpretazione fornita dall’Amministrazione Finanziaria, abbia omesso di pagare, e poi però, successivamente quest’ultima abbia cambiato orientamento, gli unici interessi non dovuti sono quelli moratori, e non anche quelli legali.
- la seconda, per effetto della quale gli interessi legali sono illegittimi, in quanto, per effetto dell’art. 3 comma 1 della stessa Legge 388/2000, essi non sono dovuti nel caso di “colpa grave”, mentre il datore di lavoro che non abbia adempiuto a seguito dell’esistenza di un contrasto interpretativo deve essere considerato in “colpa lieve”, anche perché il D.lgs. 124/2004 – a differenza di quanto la Legge 212/2000 prevede a favore del contribuente – non offre al datore di lavoro la facoltà di presentare, individualmente, un’istanza di interpello volta ad ottenere un chiarimento che sia risolutivo del suddetto contrasto, potendo egli proporre siffatta istanza solo ove sia iscritto ad organismi associativi a rilevanza nazionale degli Enti territoriali e gli enti pubblici nazionali e/o alle organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative.
The same art. 116, paragraph 10, provides that, when the above-mentioned interpretative contrast is present, in any case resolved by the Judge and/or the Social Security Institution in a confirmatory sense of the contribution obligation, and the contributor has paid the premiums and contributions within the deadline set by the Institution, legal interest is due.
With regard to the legitimacy of the accrual of such interest, two theses appear sustainable:
- the first, according to which such interests are legitimate, both because the verification, despite the interpretative conflict, of the contribution obligation, has determined the prerequisite of the "liquidity" of the related credit, which is provided for by art. 1282 of the Civil Code for the purposes of their accrual, and because, pursuant to art. 34 paragraph 4 of the same Law 388/2000, the application of the same is also provided for where the withholding agent, even after having omitted the withholding, has nevertheless paid the contributions due (while, in the case referred to in art. 116, the employer had been in default), and because, applying by analogy art. 10 paragraph 2 of Law 212/2000, when the taxpayer, relying on a specific interpretation provided by the Financial Administration, has omitted to pay, and then, however, the latter has subsequently changed its orientation, the only interests not due are the default interest, and not the legal interest.
- the second, by virtue of which the legal interests are illegitimate, since, by virtue of art. 3 paragraph 1 of the same Law 388/2000, they are not due in the case of "gross negligence", while the employer who has not complied following the existence of an interpretative conflict must be considered to be in "slight negligence", also because Legislative Decree 124/2004 - unlike what Law 212/2000 provides in favour of the taxpayer - does not offer the employer the right to submit, individually, a request for interpello aimed at obtaining a clarification that resolves the aforementioned conflict, since he may submit such a request only if he is registered with association bodies of national relevance of territorial bodies and national public bodies and/or with the most representative trade unions and employers' organisations.
L’art. 116 della Legge 388/2000 (legge finanziaria 2001), nel disciplinare le “misure per favorire l’emersione del lavoro irregolare”, stabilisce, al comma 1, la possibilità – per le imprese le quali abbiano recepito, entro un anno dalla decisione assunta dalla Commissione delle Comunità europee sul regime di aiuto di Stato n. 236/A/2000, contratti di riallineamento regolati ai sensi e alle condizioni dell'articolo 5 del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608 – di fruire di uno sgravio contributivo.
Le imprese, le quali abbiano applicato ai propri dipendenti un trattamento retributivo inferiore a quello dalla legge, possono aderire agli accordi provinciali, stipulati tra associazioni di imprenditori ed organizzazioni sindacali, i quali prevedano programmi di graduale riallineamento dei trattamenti economici dei lavoratori ai livelli previsti nei corrispondenti contratti collettivi nazionali di lavoro.
Esse, in tal modo, non soltanto evitano di incorrere nelle sanzioni da parte dell’Ispettorato del Lavoro, ma possono anche diventare beneficiarie di uno “sconto” sull’ammontare dei contributi da versare ai dipendenti stessi. Di conseguenza, tale “sconto” costituisce un incentivo alla regolarizzazione, analogamente a ciò che avviene per i “condoni”.
Fermo restando tale beneficio, lo stesso art. 116, al comma 8, stabilisce ad ogni modo, a carico delle imprese, l’obbligo di provvedere al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, pena l’irrogazione di sanzioni. Queste ultime, tuttavia, ai sensi del comma 15 lett. A), vengono ridotte – sulla base di apposite direttive emanate dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze – nel caso di “oggettive incertezze connesse a contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell'obbligo contributivo successivamente riconosciuto in sede giurisdizionale o amministrativa in relazione alla particolare rilevanza delle incertezze interpretative che hanno dato luogo alla inadempienza e nei casi di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, derivanti da fatto doloso del terzo denunciato, entro il termine di cui all'articolo 124, primo comma, del codice penale, all'autorità giudiziaria”. Pertanto, la riduzione delle sanzioni deriva dal fatto che il datore di lavoro, al tempo in cui avrebbe dovuto effettuare il pagamento, si era trovato davanti ad un quadro interpretativo - giurisprudenziale od amministrativo - dal quale non si evinceva, con certezza e chiarezza assolute, se egli fosse effettivamente tenuto al versamento delle somme. A seguito di contenzioso instaurato dai dipendenti, il Giudice aveva, invece, accertato come sussistente l’obbligo contributivo, e quindi aveva in qualche modo “composto” il contrasto giurisprudenziale emerso, condannando pertanto il datore di lavoro al pagamento. Ebbene, la situazione di incertezza interpretativa, seppur poi superata mediante sentenza di accertamento del suddetto obbligo, comporta, in base al comma 15 lett. A), la riduzione della sanzione prevista per i casi di omesso (o ritardato) versamento. Di conseguenza, tale riduzione consegue ad un errore del datore di lavoro che deve considerarsi come “scusabile”, in quanto derivato giustificato dall’incertezza di cui sopra.
La Cassazione Sezione Lavoro, con ordinanza interlocutoria n. 7029 del 16.03.2025, ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della seguente questione, in quanto ritenuta di particolare importanza: “se, in caso di oggettiva e rilevante incertezza interpretativa, la previsione dell’effettuazione da parte del contribuente del pagamento dei premi e dei contributi entro il termine fissato dagli enti impositori, ai sensi dell’art. 116, comma 10, l. n. 388 del 2000 (che si applica anche alle previsioni di cui al comma 15, lett. a del citato art. 116), ai fini di beneficiare della riduzione delle sanzioni civili dovute in caso di mancato o ritardato pagamento, vada intesa nel senso che l’Ente:
a) può, in qualunque momento, fissare al contribuente detto termine entro il quale premi e contributi vanno versati, pena l’impossibilità di invocare il regime della buona fede;
b) può fissare il predetto termine soltanto quando la oggettiva incertezza interpretativa è stata sciolta ed è stata riconosciuta la fondatezza della pretesa dell’Ente”.
La questione, quindi, è la seguente: il termine entro il quale il datore di lavoro deve adempiere all’obbligo contributivo, al fine di poter fruire della riduzione della sanzione, può essere fissato dall’Ente previdenziale anche prima che il Giudice abbia ritenuto sussistente il suddetto obbligo, oppure può essere stabilito solo dopo tale accertamento?
Quando il contrasto interpretativo è di origine giurisdizionale, la sanzione viene ridotta in quanto il Giudice, pur avendo ritenuto sussistente l’obbligo contributivo, ha dato comunque atto dell’esistenza tale contrasto, e quindi, come sopra già evidenziato, della “scusabilità dell’errore” commesso dal datore nell’aver considerato come insussistente il medesimo obbligo. La riduzione si giustifica proprio perchè la situazione di incertezza interpretativa è stata accertata dal Giudice. Il comma 15 lett. A) demanda la disciplina dei casi di riduzione delle sanzioni ad apposite direttive emanate dal Ministero del Lavoro e dal MEF, ma poi la decisione in merito all’effettiva applicabilità delle medesime al caso di specie non può che essere demandata all’organo giurisdizionale, altrimenti la riduzione verrebbe accordata al datore di lavoro sulla base della semplice affermazione di quest’ultimo relativa appunto ad una (solo presunta, fino a prova contraria) esistenza dell’incertezza giurisprudenziale. Quindi, se la riduzione della sanzione può operare solo dopo l’accertamento giudiziale, va da sé che il termine entro cui il datore, per poter fruire concretamente di tale riduzione, deve provvedere al versamento dei contributi, può essere stabilito dall’Ente previdenziale solo dopo il predetto accertamento, e cioè “quando la oggettiva incertezza interpretativa è stata sciolta ed è stata riconosciuta la fondatezza della pretesa dell’Ente”.
Ritenere, al contrario, che il termine per l’integrale versamento dei contributi dovuti possa essere fissato dall’Ente, potrebbe verosimilmente condurre a questo scenario: il termine scade prima ancora che il Giudice abbia deciso, con la conseguenza che, se egli, pur riconoscendo alla fine sussistente l’obbligo contributivo, ha dato comunque atto dell’esistenza del contrasto giurisprudenziale invocato dal datore di lavoro, quest’ultimo, pur potendo teoricamente fruire (proprio a seguito del riconosciuto contrasto) del beneficio della riduzione della sanzione civile, non può più goderne in quanto il termine entro cui provvedere al versamento integrale dei contributi – versamento il quale è a sua volta il presupposto essenziale per tale godimento – è già scaduto. In sostanza, la fissazione, da parte dell’Ente previdenziale, del termine entro cui deve verificarsi il presupposto (ossia l’integrale versamento dei contributi) del beneficio (ossia la riduzione della sanzione), andrebbe a vanificare totalmente quello che è stato l’accertamento giudiziale del diritto al beneficio stesso (diritto determinato appunto dal riconoscimento, ad opera del Giudice, della situazione di incertezza interpretativa).
Quando, invece, il contrasto interpretativo è di origine amministrativa, ossia è sorto all’interno dello stesso Ente previdenziale, non vi è motivo per il quale quest’ultimo non possa dirsi legittimato a fissare il termine entro il quale il datore di lavoro debba provvedere all’integrale versamento delle somme dovute.
Naturalmente, però, tale termine dovrà essere posteriore a quello in cui l’Ente avrà risolto il contrasto interpretativo in senso confermativo dell’obbligo contributivo: l’Ente prima accerta tale obbligo, e con esso anche la sussistenza del presupposto (contrasto interpretativo) previsto ai fini del beneficio della riduzione, e poi fissa il termine entro cui il datore deve adempiere all’obbligo, il cui inadempimento determinerà l’impossibilità di fruire del beneficio.
Una volta chiariti i termini della questione prospettata nell’ordinanza in commento, vale la pena, a parere di chi scrive, porre l’attenzione su un altro aspetto, che è il seguente. Il comma 10 dell’art. 116 prevede che, negli stessi casi di cui al comma 15 lett. A), ossia nelle medesime ipotesi in cui la sanzione viene ridotta (contrasto interpretativo giurisprudenziale e/o amministrativo), “sono dovuti gli interessi legali di cui all'articolo 1284 del codice civile, semprechè il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro il termine fissato dagli enti impositori”. Quindi, il datore di lavoro, da un lato, può beneficiare della riduzione della sanzione, ma, dall’altro, è tenuto al pagamento degli interessi legali.
• Argomenti a favore della legittimità degli interessi legali
Gli interessi, a norma dell’art. 1282 c.c., maturano a seguito, tra l’altro, della “liquidità” del credito, per essa intendendosi che l’ammontare di quest’ultimo è stato quantificato.
Il comma 15 lett. A) del prevede sì la riduzione della sanzione nel caso di accertato contrasto tra orientamenti giurisprudenziali e/o amministrativi, ma precisa “fermo restando l'integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali”. Quindi, è vero che il Giudice (o lo stesso Ente previdenziale) hanno riconosciuto l’esistenza del suddetto contrasto e quindi la “colpa lieve” dell’inadempimento del datore, attribuendo quindi al medesimo il diritto alla riduzione della sanzione, ma essi, con la stessa decisione, hanno comunque accertato come sussistente il debito contributivo, e quindi l’obbligo del datore di provvedere, appunto, all’ “integrale pagamento” di quanto dovuto. Tale decisione, quindi, ha quantificato il debito contributivo, ossia ha determinato (liquidità) l’ammontare di quest’ultimo. Quindi, in base all’art. 1282 c.c., l’applicazione degli interessi legali prevista dal comma 10 appare pienamente legittima (infatti, l’art. 1284 c.c., citato dal comma 10, è la norma che stabilisce il saggio dei suddetti interessi).
La compresenza di interpretazioni contrastanti nell’ambito dello stesso Ente previdenziale, è assimilabile al caso in cui, da parte dell’Amministrazione finanziaria (AF), vengano sostenute tesi discordanti, delle quali l’una propende per la non sussistenza del debito tributario, ed un’altra, successiva, per il riconoscimento di quest’ultimo, caso che viene disciplinato dall’art. 10 comma 2 dello Statuto del contribuente. Tale norma prevede che, ove il comportamento omissivo del contribuente sia stato posto in essere a seguito di indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorche' successivamente modificate da quest’ultima (e qui si verifica appunto il contrasto interpretativo di cui sopra), sono soltanto gli interessi moratori a non poter essere applicati.
Da ciò, pertanto, si deduce che, nel caso di interpretazioni contrastanti da parte dell’AF, la quale poi alla fine abbia riconosciuto come esistente il debito tributario, debbano comunque essere applicati gli interessi legali, esattamente come prevede l’art. 116 comma 10 della Legge.
L’art. 34 comma 4 della Legge (388/2000) prevede che, nel caso in cui le ritenute o le imposte sostitutive non siano state operate oppure non siano stati effettuati dai sostituti d'imposta o dagli intermediari i relativi versamenti nei termini ivi previsti, “si fa luogo in ogni caso esclusivamente all'applicazione della sanzione nella misura ridotta”. La norma aggiunge, tuttavia, che tale riduzione può essere applicata solo se il sostituto d’imposta o l’intermediario abbiano provveduto, prima della presentazione della dichiarazione, al “versamento dell'importo dovuto, maggiorato degli interessi legali.”
In pratica, il pagamento degli interessi legali è la condizione in presenza della quale la sanzione può essere ridotta. Quindi, la domanda è la seguente: posto che, ex art. 34 comma 4, il pagamento degli interessi legali è il presupposto per fruire del beneficio della sanzione ridotta quando il sostituto d’imposta non abbia operato le ritenute ma abbia comunque provveduto al pagamento di quanto dovuto e quindi abbia in ogni caso ottemperato all’obbligo contributivo, è legittimo che tale pagamento venga chiesto per fruire del medesimo beneficio anche quando il contribuente non abbia adempiuto al suddetto obbligo a causa di un’incertezza giurisprudenziale? Nel primo caso, ci troviamo di fronte ad un’inadempienza amministrativa (omessa ritenuta) alla quale però il sostituto ha posto riparo provvedendo al pagamento (anche) degli interessi legali, e pertanto il versamento di questi ultimi serve a compensare gli effetti di una inadempienza che è stata comunque sanata mediante il successivo pagamento, mentre, nel secondo caso, ci troviamo di fronte ad un omesso versamento dei contributi, ragion per cui la decorrenza degli interessi legali serve a compensare tale omissione. Quindi, gli interessi legali, se si applicano anche quando le imposte sono state comunque versate (art. 34 comma 4), a maggior ragione dovranno decorrere quando il datore non abbia provveduto al versamento dei contributi, a prescindere dal fatto che tale mancato versamento sia stato dovuto all’esistenza di contrasti giurisprudenziali.
• Argomenti a favore della illegittimità degli interessi legali
La Legge 388/2000, all’art. 3 comma 1 – nel prevedere la facoltà del contribuente di dichiarare – entro il 30.06.2021 e per i periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2000 – i redditi derivanti da pensioni di ogni genere, ed assegni ad esse equiparati, di fonte estera, i quali siano imponibili in Italia per effetto di disciplina convenzionale – stabilisce che non si applicano gli interessi (di alcun tipo, né legali, né di mora) nel caso in cui egli versi una somma pari al 25% delle imposte dovute. Il pagamento parziale (25%) di un’imposta che avrebbe dovuto essere pagata in anni precedenti ed al cui obbligo quindi il contribuente non aveva adempiuto per una “colpa” che, con ogni probabilità, verrebbe ad essere qualificata come “grave”, comporta comunque, a favore del medesimo, il beneficio dell’esenzione dal pagamento degli interessi legali. Invece, la medesima Legge, al comma 10 dell’art. 116, stabilisce che il datore di lavoro, il quale non aveva adempiuto all’obbligo contributivo per una “colpa lieve”, data cioè dall’incertezza degli orientamenti giurisprudenziali e/o amministrativi, incertezza che poi non a caso è stata riconosciuta dalla stessa Autorità giurisdizionale e/o amministrativa (la “lievità” della colpa è data appunto da tale riconoscimento), è comunque tenuto al pagamento degli interessi legali.
Inoltre, il comma 15 dell’art. 116 prevede che la sanzione civile venga ridotta proprio “fino alla misura degli interessi legali”. Allo stesso tempo, però, si condanna il datore di lavoro, al quale la riduzione sia stata accordata, al pagamento dei medesimi interessi (comma 10). In pratica, questi ultimi, da un lato, sono utilizzati per definire la misura massima della riduzione spettante al datore, ma, dall’altro, vengono comunque posti in carico al medesimo. Appare quanto meno contraddittorio che gli interessi vengano presi come riferimento per quantificare l’entità del diritto del datore alla riduzione, e però, nello stesso tempo, costituiscano oggetto di un obbligo il quale viene previsto a suo carico a seguito della riduzione stessa (comma 10 dell’art. 116).
L’art. 65 comma 3 della Legge, innovando il testo dell’art. 17 comma 3 della L. n. 144 del 17.05.1999, così dispone: “le amministrazioni responsabili dell'attuazione degli interventi procedono al recupero, presso gli
organismi responsabili, dei contributi comunitari loro trasferiti e non utilizzati nell'ambito dei programmi di rispettiva competenza, unitamente agli interessi legali maturati nel periodo intercorso tra la data di erogazione dei contributi stessi e la data di recupero”. L’obbligo di utilizzare i fondi comunitari entro una data scadenza, è, solitamente, disciplinato dalla legge in modo abbastanza preciso, che non lascia molto adito a dubbi interpretativi. Di conseguenza, il mancato utilizzo è normalmente caratterizzato da una colpa “grave”, la quale risiede appunto nella chiarezza dell’obbligo normativo, e quindi l’addebito degli interessi legali trova la sua fonte proprio nell’inadempimento di siffatto obbligo. Viceversa, la compresenza di orientamenti giurisprudenziali od amministrativi tra loro contrastanti, denota una non sufficiente chiarezza in merito alla effettiva sussistenza dell’obbligo contributivo, e pertanto il mancato adempimento del medesimo deve intendersi come caratterizzato da una colpa “lieve”, ragion per cui qui gli interessi legali non dovrebbero decorrere, altrimenti il contribuente riceverebbe lo stesso trattamento (penalizzante) che viene applicato agli Enti responsabili di colpa grave.
Lo Statuto del contribuente (Legge 212/2000) attribuisce al singolo contribuente il diritto di presentare all’AF un’istanza di interpello relativamente alla “applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla loro corretta interpretazione” (art. 11 comma 1 lett. A). Il contribuente, nel caso in cui la risposta a tale istanza sia confermativa dell’obbligo tributario, ha la possibilità di valutare le conseguenze di quello che sarebbe un suo eventuale inadempimento, il quale, proprio perché verificatosi nonostante il chiarimento ricevuto dall’Ente impositore, sarebbe destinato ad essere qualificato in termini di “colpa grave”. Invece l’art. 9 del D.lgs. 124/2004 attribuisce il diritto di interpello in materia contributiva non già al singolo datore di lavoro, ma soltanto agli “organismi associativi a rilevanza nazionale degli Enti territoriali e gli enti pubblici nazionali”, alle “organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale” ed ai “consigli nazionali degli ordini professionali”. Ne deriva, pertanto, che il singolo datore di lavoro, ove non iscritto alle associazioni od organismi sopra citati, non può presentare alcuna istanza volta ad ottenere, in presenza di un contrasto giurisprudenziale e/o amministrativo, un chiarimento in merito alla corretta interpretazione della norma disciplinante l’obbligo contributivo, e quindi ad acquisire quanto meno un “ragionevole dubbio” in ordine alla effettiva legittimità di quello che sarebbe un suo comportamento omissivo. Pertanto, vista questa sostanziale “preclusione”, appare evidente che il singolo datore si ritrovi sostanzialmente “da solo”, ossia senza punti di riferimento (interpello), nell’affrontare la questione interpretativa, e quindi egli, ove dovesse ritenere – illegittimamente – insussistente l’obbligo tributario e dovesse perciò stesso rendersi inadempiente, dovrebbe essere considerato come responsabile per “colpa lieve”, a differenza del contribuente il quale, invece, ha deciso di rendersi inadempiente pur dopo aver comunque avuto la possibilità di rivolgere, individualmente, un’istanza tesa ad ottenere la corretta interpretazione della norma tributaria e dopo aver ottenuto la conferma della sussistenza dell’obbligo tributario. Questa “differenza di contraddittorio” dovrebbe indurre a ritenere che, ove in sede giudiziale od amministrativa l’obbligo contributivo venga riconosciuto, al datore non possano essere applicati gli interessi legali, perché solo in tal modo si può approdare ad un trattamento proporzionato tra posizioni soggettive (quella del contribuente da un lato, e quella del datore dall’altro) le quali sono essenzialmente diverse anche sotto il profilo della garanzia del contraddittorio con la PA.