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Il punto sulla riqualificazione degli atti in ambito di registro

Prospettive
Ph. Fabio Toto / Prospettive

1. Premessa

L’imposta di registro rientra nell’ambito delle imposte indirette, ovvero quelle imposte che colpiscono la ricchezza in occasione di un consumo, di un trasferimento patrimoniale o di un investimento.

Come imposta indiretta è calcolata applicando unaliquota fissa o percentuale agli importi indicati nellatto stesso, secondo la Tariffa vigente allegata allo stesso DPR; tale distinzione non è d’immediata risoluzione, considerato l’ingente contenzioso che essa ha alimentato negli anni.

Tale imposta è un’”imposta datto” ed è un tributo che si applica agli atti giuridici (negozi giuridici, atti amministrativi, provvedimenti giurisdizionali) che devono essere registrati o che sono volontariamente registrati o che hanno a oggetto operazioni economiche.

L’obiettivo della registrazione è che la data dell’atto venga annotata ufficialmente e il suo contenuto, essendo stato depositato, non possa più essere modificato. In sintesi, la registrazione dellatto comporta e garantisce nel tempo limmodificabilità del suo contenuto e della sua sottoscrizione.

Prima di analizzare l’evoluzione giurisprudenziale in ambito d’imposta di registro, giova dare contezza delle modifiche legislative apportate dal legislatore allart. 20 D.P.R.n.131/1986 (di seguito TUR), che hanno alimentato il dibattito in seno alla giurisprudenza di legittimità.

 

2. Excursus legislativo art. 20 D.P.R.n.131/1986 (TUR)

L’originaria formulazione del testo dell’art. 20 D.P.R.n.131/1986 (TUR) collocato nel titolo sull’applicazione dell’imposta di registro e dedicato alla “interpretazione degli atti” da assoggettare all'imposta, prevedeva: “l'imposta è applicata secondo l'intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.

Predetto testo è rimasto invariato sin dall’emanazione del D.P.R.n.131/1986(TUR) e ha riprodotto il contenuto dell’art. 19 D.P.R. n.  634 del 1973 che, a sua volta, aveva introdotto la qualificazione “giuridici” degli effetti dell'atto, a fronte del previgente articolo 8 del R.D. n. 3269/1923 che, non contenendo alcuna specificazione sulla tipologia degli effetti da prendere in considerazione ai fini dell'imposizione, aveva contribuito allo sviluppo della cosiddetta interpretazione funzionale dellatto, la quale valorizzava, per l’appunto, gli effetti economici dell'atto sottoposto a registrazione ai fini dell’individuazione del presupposto dell'imposta di registro, ravvisato tout court nel fatto economico sotteso all’atto medesimo ( tra i sostenitori di tale teoria funzionale si annoverano Griziotti, Jarach e Vanoni).

Nel 2017 il legislatore, con la Legge n. 205 del 27 dicembre 2017, (Bilancio di previsione dello Stato per lanno finanziario 2018), con larticolo 1, comma 87, lettera a), ha apportato sostanziali modifiche all’articolo 20 D.P.R. 131/86 (TUR) che assumeva pertanto, questa nuova formulazione: “L'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

 Già nella relazione illustrativa alla legge era evidenziata la finalità dell’intervento normativo, ossia “stabilire che detta disposizione deve essere applicata per individuare la tassazione da riservare al singolo atto presentato per la registrazione, prescindendo da elementi interpretativi esterni all'atto stesso (ad esempio, i comportamenti assunti dalle parti), nonché dalle disposizioni contenute in altri negozi giuridici "collegati" con quello da registrare”.

Inoltre, secondo tale relazione, non rilevano per la corretta tassazione dell’atto, “gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi in cui gli stessi potranno condurre ad una assimilazione di fattispecie contrattuali giuridicamente distinte”.

Tale nuova formulazione, negava in maniera esplicita la tesi giurisprudenziale del collegamento negoziale (che analizzeremo nel paragrafo seguente), sostenuta anche dall’Erario.

Tuttavia, la relazione tecnica al disegno di legge si esprimeva genericamente in termini di “norma chiarificatrice”, ma il servizio del bilancio del Senato, nella nota di lettura n. 195 del disegno di legge ”Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018- 2020”, pur rilevando che la precisazione normativa era finalizzata ad assicurare la certezza del diritto-potendo svolgere anche per il futuro una funzione deflattiva del contenzioso con l’Amministrazione Finanziaria-osservava come la stessa non sembrava avere natura di norma di interpretazione autentica in senso tecnico, con la conseguenza che “gli effetti della stessa dovrebbero valere per il futuro e non retroagirebbero quindi con riguardo alle fattispecie in essere ed ai contenziosi non ancora definiti”.

Più nel dettaglio, venivano fatti salvi gli accertamenti emessi dallAgenzia delle Entrate secondo i precedenti criteri interpretativi e non quelli ancora da emettere in riferimento agli anni non ancora prescritti.

Giova evidenziare che, di converso, tale Legge di bilancio è intervenuta anche sul testo dell’articolo 53- bis del D.P.R. n. 131 del 1986, relativo alle attribuzioni e poteri degli Uffici, premettendo all’attuale formulazione l’inciso « fermo restando quanto previsto dallarticolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212» sullabuso del diritto; cioè si introduceva sostanzialmente lapplicabilità della disciplina dellarticolo 10- bis non solo alle imposte dirette ma anche allimposta di registro.

Difatti, il nuovo T.U.R., se da un lato inibiva gli Uffici dell’Erario dal procedere, in modo indiscriminato, all’emissione di atti di accertamento su criteri meramente interpretativi, dall’altra, però, consentiva loro di utilizzare la “leva” del divieto di abuso del diritto ossia della presunta elusione fiscale.

Precisamente, nella relazione illustrativa al disegno di legge di bilancio 2018 si legge che “è evidente che ove si configuri un vantaggio fiscale che non può essere rilevato mediante l’attività interpretativa di cui all’articolo 20 del T.U.R., tale vantaggio potrà essere valutato sulla base della sussistenza dei presupposti costitutivi dellabuso del diritto di cui allarticolo 10- bis della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente)”.

Alla luce di tale dato normativo, andrà pertanto valutata, anche in materia di imposta di registro, la complessiva operazione realizzata dal contribuente, considerando anche gli elementi estranei al singolo atto prodotto per la registrazione, quali i fatti, gli atti e i contratti ad esso collegati.

 E invero, tale possibilità di utilizzare larticolo 10-bis della legge 212/2000 sul divieto di abuso del diritto incontrava non pochi limiti poiché, come meglio si vedrà in seguito, affinché un’operazione possa essere considerata abusiva, l’Amministrazione Finanziaria dovrà identificare e provare il congiunto verificarsi di tre presupposti costitutivi: 1) la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito”, costituito da benefici anche non immediati, realizzati cioè in maniera formalmente conforme alle disposizioni fiscali ma oggettivamente in contrasto con la ratio di queste norme o con i principi dell'ordinamento tributario; 2) l'assenza di “sostanza economica” dell'operazione o delle operazioni poste in essere consistenti in “fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”; 3) l'essenzialità del conseguimento di un “vantaggio fiscale”.

Lassenza di uno dei tre presupposti costitutivi dellabuso determina un giudizio di assenza di abusività. Laddove invece le operazioni presentino i tre elementi indicati, ai sensi del comma 3 dellarticolo 10-bis, la ricorrenza di valide ragioni extra fiscali non marginali a giustificazione delloperazione ne esclude labusività (così, ex multis, ris. n. 97/E del 2017).

Come vedremo meglio nei paragrafi seguenti, l’Agenzia delle Entrate, nonostante le modifiche attuate dal Legislatore, con il conforto della giurisprudenza di legittimità, ha continuato ad eseguire gli accertamenti, secondo la precedente interpretazione dell’articolo 20 in quanto la nuova formulazione, al di là dell’intento chiarificatore, non sembrava potersi applicare ad annualità precedenti al 2018 e, dunque, all’epoca ancora accertabili.

Prima facie, questultima interpretazione non pareva avesse efficacia retroattiva e, pertanto, potevano essere accertati, con i vecchi criteri, gli atti e i contratti registrati negli anni fino a tutto il 2017.

In seguito il Legislatore, al fine di dirimere i contrasti giurisprudenziali in seno alla stessa giurisprudenza di legittimità e di merito, è intervenuto nuovamente sull’argomento con larticolo 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per lanno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), in  virtù del quale il citato articolo 1, comma 87, lettera a), della legge n. 205 del 2017 “costituisce interpretazione autentica del censurato articolo 20 del D.P.R. n. 131 del 1986. In tal modo, il Legislatore, ha attribuito efficacia retroattiva alla norma inibendo gli accertamenti secondo criteri interpretativi.

 

3. Evoluzione giurisprudenziale a seguito degli interventi legislativi di modifica

3.1. Giurisprudenza di legittimità antecedente la Legge n. 205 del 27 dicembre 2017: tesi del collegamento negoziale e della causa in concreto.

L’originaria formulazione del testo dell’art. 20 D.P.R.n.131/1986 disponendo che “l'imposta è applicata secondo l'intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente” ha comportato che l'interpretazione dell'atto sottoposto a registrazione deve basarsi esclusivamente sugli effetti giuridici del medesimo, proprio in quanto la capacità contributiva colpita dal tributo in esame è quella espressa da determinati atti individuati dal legislatore in ragione dei loro (potenziali) effetti giuridici.

Una parte della giurisprudenza di legittimità ha sostenuto la tesi di uninterpretazione sistemica dellart. 20 citato con lart. 21 D.P.R. 131/86, rubricato: “Atti che contengono più disposizioni”, secondo il quale “1. Se un atto contiene piu' disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse e' soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto. 2. Se le disposizioni contenute nell'atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l'imposta si applica come se l'atto contenesse la sola disposizione che da' luogo alla imposizione piu' onerosa.”. Tale articolo legittimerebbe la considerazione unitaria di più disposizioni se contenute nel medesimo contesto documentale e se derivanti necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ovverosia, come comunemente si interpreta tale locuzione, in ipotesi di negozio complesso, contrassegnato da causa unica (Cass.n.15774/2017 e Cass.n.22899/2014).

Pertanto, secondo tali approdi giurisprudenziali, la locuzione “atti presentati alla registrazione”, di cui al testo previgente dell’art. 20 citato, deve essere riferibile anche allinsieme dei negozi collegati (Cass.n.10743/2013; Cass.n.6405/2014; Cass.n.25001/2015).

Tuttavia, già un orientamento risalente della giurisprudenza di legittimità, aveva affermato che fosse possibile attribuire rilevanza al collegamento negoziale, in presenza di una pluralità di negozi funzionalmente collegati al fine di produrre un unico effetto giuridico finale (Cass.n.5563/1980; Cass.n.5693/1978; Cass. n.4994/1991). Tale orientamento è divenuto diritto vivente, come si preciserà a breve.

Inoltre, la giurisprudenza di legittimità, a partire dai primi anni 2000, ha iniziato tuttavia a fare un uso dell’art. 20 prima quale norma “antielusiva”, poi quale norma “speciale” sull’interpretazione applicabile al solo settore dell’imposizione del registro (che darebbe rilevanza alla c.d. “causa in concreto”).

E invero, affermatosi anche nell’ordinamento tributario il divieto dell’abuso del diritto - che si sostanzia, in sintesi, nel conseguimento di benefici fiscali attraverso un impiego di strumenti giuridici che, seppur non contrastante con alcuna specifica disposizione, risulta privo di ragioni economicamente apprezzabili che lo giustifichino e strumentale al solo perseguimento di quei benefici e che legittima, da parte dellamministrazione finanziaria, il disconoscimento di tali benefici fiscali indebiti con ripresa a tassazione in relazione alla fattispecie elusa (Cassazione S.U, n.30055/2008)- lart. 20 citato, che impone di valutare non solo gli effetti giuridici ma anche, in particolare, l’intrinseca natura degli atti soggetti a registrazione, è stato utilizzato per individuare ipotesi in cui le parti evitano lapplicazione dellimposta o di una maggiore imposta di registro attraverso il ricorso a costruzioni negoziali complesse, non contemplate nella loro unitaria strutturazione dal sistema dellimposta di registro, comportanti effetti ritenuti equivalenti a quelli di atti ivi espressamente contemplati. In altri termini, la formulazione dell’art. 20, che attribuisce chiara preminenza alla sostanza sulla forma giuridica adottata, è stata ritenuta idonea a superare il tipo negoziale, quandanche correttamente qualificato alla luce degli ordinari criteri ermeneutici, per individuare ipotesi in cui lo scopo pratico perseguito dalle parti consiste nella realizzazione di un assetto di interessi sostanzialmente equivalente a quello realizzabile attraverso una fattispecie assoggettata ad imposizione o a maggior imposizione.

L’applicazione dell’art. 20 citato ante riforma 2017 si fa risalire alla sentenza n.14900/2001.

Invece, a partire dalla sentenza n.15319/2013 la Cassazione ha sostenuto costantemente la natura non antielusiva della disposizione in commento.

Anche tale principio ermeneutico deve considerarsi diritto vivente; precisamente, tale assunto si basa sull’interpretazione dell’art.20 citato quale norma “speciale applicabile al solo settore dell’imposizione del registro (che dà rilevanza alla c.d. “causa in concreto”).

In particolare, a parere della giurisprudenza di legittimità e dell’Agenzia delle Entrate, l’art. 20 citato, previgente formulazione, imponeva “ai fini della determinazione dell’imposta di registro, di qualificare l’atto, o il collegamento di più atti, in ragione della loro intrinseca portata, cioè in ragione degli effetti oggettivamente raggiunti dal negozio o dal collegamento negoziale (Cass. n. 11666/2017). L’articolo 20 avrebbe offerto, pertanto, secondo la Cassazione, un chiaro criterio secondo il quale “nell’imposizione del negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale ed alleffettiva regolamentazione degli interessi realmente perseguiti dai contraenti». In altri termini, limposta di registro andrebbe configurata come «imposta sul negozio correlata alla causa concreta delloperazione in conformità con il principio costituzionale di capacità contributiva. Si riteneva, infatti, che “l’interpretazione atomistica dell’operazione negoziale non era in grado di misurare il reale movimento di ricchezza, che si rivelava soltanto nella dimensione complessiva dell’affare” (Cass. n. 6758/2017).

Tale orientamento ermeneutico è temporalmente collocabile dopo l’avvenuta introduzione del nuovo art. 10-bis nella L. n. 212/2000, che, estendendo l’abuso del diritto/elusione fiscale a tutti i tributi, rendeva la tesi antielusiva evidentemente non più persuasiva. La giurisprudenza – con l’unica eccezione di una sentenza che ha disconosciuto la possibilità di legittimare una lettura “sostanzialistica” degli atti sottoposti al registro mediante l’art. 20 (Cass., n. 2054/2017; sul necessario rispetto dello “schema negoziale tipico”, salva esistenza di un disegno elusivo, v. anche Cass. n. 722/2019 e n. 6790/2020) – ha infatti insistito sulla propria linea “sostanzialistica”, ritenendo irrilevante l’intervento legislativo in materia antiabuso.

Da ciò ne è derivato che: 1) che l’art. 10-bis, pur applicabile a tutti i tributi, risultava di fatto privato di qualsiasi portata applicativa nel solo settore dell’imposizione del registro, assolvendo “di fatto” a tale funzione l’art. 20 anche nella nuova versione “interpretativa”, ma in assenza delle garanzie previste dall’art. 10-bis2) che il settore del registro fosse l’unico ad essere regolato da norme interpretative “speciali” rompendo così lunità del sistema impositivo.

L’elaborazione giurisprudenziale di tale secondo indirizzo meramente “interpretativo” è ben compendiata nella sentenza n. 2007/2018 della Suprema Corte, secondo cui:

  • l’art. 20, quale regola interpretativa, non si sovrappone allautonomia privata dei contribuenti, ma si limita a definirne l’esercizio insieme agli altri canoni legali di ermeneutica negoziale, tra i quali naturalmente non può trascurarsi la comune intensione delle parti prevista dall’art. 1362 c.c. Quest’ultimo elemento però rileva come elemento di qualificazione della complessa operazione dal punto di vista civilistico, mentre le conseguenze fiscali di quella qualificazione discendono direttamente dalla legge, prescindendo dunque, lo si ribadisce, dalle intenzioni delle parti, quand’anche fossero tutte d’accordo per ottenere un certo risultato dal punto di vista fiscale”;
  • “la qualificazione interpretativa prescritta dal citato art. 20, ha ad oggetto la causa dellatto, nella sua dimensione reale, concreta e oggettiva; quando gli atti sono plurimi e funzionalmente collegati, quando cioè la causa tipica di ciascuno è in funzione di un programma negoziale che la trascende, non può rilevare che la causa concreta dell’operazione complessiva, ossia la sintesi degli interessi oggettivati nell’operazione economica e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti così come emerge obiettivamente dai negozi posti in essere, anche se mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali”;
  • “in effetti i criteri indicati dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, non si discostano da quelli generali in tema di interpretazione dei contratti che impongono una interpretazione oggettiva dell’atto alla luce della comune intenzione delle parti come prescritto dall’art. 1362 c.c. (…)”;
  • limposta di registro va dunque correlata alla causa concreta delloperazione, in ossequio al principio costituzionale di eguaglianza e di capacità contributiva di cui allart. 53 Cost., dal momento che sarebbe irragionevole trattare in maniera fiscalmente diversa situazioni del tutto assimilabili dal punto di vista socio-economico, quali una compravendita e l’operazione oggetto di attenzione nel caso di specie, visto che entrambe sono dirette a trasferire un bene in cambio di un corrispettivo di denaro. Un’interpretazione atomistica dell’operazione negoziale non sarebbe dunque in grado di misurare il reale movimento di ricchezza, che si rivela nella sua effettività soltanto nella dimensione complessiva dell’affare. In questa prospettiva, il giudice può e deve verificare la qualificazione negoziale operata dall’Ufficio finanziario circa l’osservanza dei criteri legali di interpretazione, i quali vanno riferiti alle circostanze concrete della sequenza degli atti”.

Si evidenzia che, in ambito tributario, la giurisprudenza di legittimità in altre sue pronunce ha richiamato recentemente il concetto di causa concreta (v. in tal senso Cass.n.7649/2018; Cass.n.4590/2018; Cass.n.4590/2018; Cass.n.4407/2018; Cass.n.6758/2017; Cass.n.11692/2016).

A tal proposito, si segnalano due recenti arresti dei giudici di legittimità (Cass.n.4407/2018 e Cass. n.4590/2018) che aggiungono: “…quando gli atti sono plurimi e funzionalmente collegati, quando cioè la causa tipica di ciascuno è in funzione di un programma negoziale che la trascende, non può rilevare che la causa concreta delloperazione complessiva, ossia la sintesi degli interessi oggettivati nelloperazione economica … e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti così come emerge obiettivamente dai negozi posti in essere, anche se mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali”.

In questa versione, che può ritenersi quella definitiva, non si tratterebbe dunque più – come nella originaria prospettiva “antielusiva” – di una regola di interpretazione giuridica “speciale” rispetto al diritto civile, bensì della mera applicazione delle regole civilistiche sullinterpretazione dei negozi alla luce delloperazione complessiva.

In sintesi, alla luce di predetto orientamento giurisprudenziale, lart. 20 TUR è dunque disposizione sullinterpretazione e qualificazione dei negozi sottoposti a registrazione, e non già norma interpretativa speciale del registro: il negozio perfettamente corrispondente alla volontà delle parti e trasfuso nel corrispondente tipo normativo non potrà quindi essere disconosciuto con lart. 20 anche se posto in essere al solo fine di conseguire un risparmio di imposta.

 

3.2. Giurisprudenza di legittimità a seguito dellintervento modificativo della L.n. 205/2017: legge interpretativa o innovativa?

La novella del 2017 delimitando l’ambito d’applicazione dell’imposta di registro alla natura intrinseca e agli effetti giuridici dell’atto, prescindendo dagli elementi extratestuali e dagli atti a esso collegati, ha eliminato la tesi dell’applicazione di tale imposta all’ipotesi del collegamento negoziale.

Tanto premesso, si rileva, inoltre, che la novella del 2017 non si autoqualifica come legge di interpretazione autentica, al contrario di quanto previsto dall’art. 1, comma 2, dello Statuto dei diritti del contribuente - che, tuttavia, come recentemente ribadito dalla Suprema Corte(Cass.n.16227/2018; Cass.n.20812/2017), non ha natura di norma interposta ma di criterio ermeneutico -ha posto l’interrogativo sulla sua natura interpretativa, con conseguente efficacia retroattiva, generalmente riconnessa alle leggi di interpretazione autentica e attualmente sancita anche dall'art. 3, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente , o innovativa e, dunque, in difetto di espresse previsioni di segno contrario, con efficacia solo per il futuro.

I criteri discretivi tra legge interpretativa e legge innovativa sono stati oggetto di una copiosa elaborazione, sia in dottrina che in giurisprudenza, in particolare da parte della Corte Costituzionale (Corte Costituzionale n. 118/1957; Corte Cost n. 233/1988; Corte Cost n.155/1990), che in questa sede deve essere necessariamente sintetizzata. Come noto, la peculiarità della norma di interpretazione autentica si ravvisa, a prescindere dalla sua autoqualificazione, nel rapporto con la norma interpretata, poiché la norma interpretante non ha una valenza autonoma, ma si fonde con la norma interpretata in un precetto unitario compatibile con il tenore letterale della disposizione interpretata, in quanto già ricompreso tra le possibili varianti di senso di quest’ultima. Si ritiene che l'esercizio della funzione di interpretazione autentica presupponga la necessità di chiarire la volontà del legislatore in presenza di una situazione di incertezza sulla portata normativa di una disposizione già vigente, incertezza che deriva non solo dall'esistenza di un contrasto giurisprudenziale, ma anche dalla necessità, avvertita dal legislatore, di imporre una possibile variante di senso compatibile con il tenore letterale della disposizione (Corte Cost n. 400/2007; Corte Cost n.234/2007) e, quindi, di porre fine ad interpretazioni giurisprudenziali difformi da quella che intende essere la linea politica del legislatore medesimo (Corte Cost n.397/1994). Peraltro, il Giudice delle Leggi ha anche chiarito che non è decisivo verificare se la norma abbia carattere interpretativo o abbia piuttosto carattere innovativo con efficacia retroattiva, in quanto il divieto di retroattività, ancorché principio generale dell’ordinamento e fondamentale valore di civiltà giuridica, è costituzionalizzato solo in materia penale (art. 25 Cost.): al di fuori di tale ambito, il legislatore può emanare norme retroattive (sia di carattere interpretativo che innovativo) purchè la retroattività risponda al criterio della ragionevolezza e non contrasti con altri interessi costituzionalmente protetti, quali il principio di uguaglianza e la tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico (Corte Cost. n.374/2002; Corte Cost. n.525/2000). Le pronunce della Corte di Cassazione anteriori alla legge di bilancio 2019 si sono espresse nel senso della efficacia non retroattiva della novella del 2017 (Cass.n.2007/2018; Cass.n.4407/2018;Cass.n.8619/2018), richiamando, in primo luogo, il principio di tendenziale irretroattività della legge - desumibile dagli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale, ribadito in ambito tributario dall’art. 3, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente e valorizzato anche dalla giurisprudenza sovranazionale ed in particolare dalla Corte EDU che ritiene che la retroattività è giustificata solo in presenza di ragioni imperative di interesse generale. Da tali pronunce emerge, dunque, il richiamo al dialogo che, in materia di disposizioni interpretative o comunque retroattive, si è svolto tra Corti interne e Corte EDU. Invero, la Corte EDU, in più occasioni ha affermato che le leggi retroattive in genere confliggono con il fisiologico esercizio della giurisdizione e dunque, contrastano con l’art. 6 della Convenzione, in quanto il diritto ad un equo processo è suscettibile di essere violato da un intervento normativo che, avendo carattere retroattivo, condiziona l’esito delle controversie già pendenti in favore di una parte (in genere, nelle fattispecie portate alla sua attenzione, lo Stato – pubblica amministrazione che sia parte processuale) piuttosto che dell’altra, salvo casi eccezionali in cui si ravvisino, per l’appunto, “imperative ragioni di interesse generale” o “impellenti ragioni di interesse pubblico”.

In tale prospettiva, la Corte Costituzionale ha affermato che, sul piano interno, la ragionevolezza sussiste allorché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare beni e diritti di rilievo costituzionale “che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale” secondo la giurisprudenza della Corte EDU. La Corte Costituzionale ha anche ritenuto non irragionevole la portata retroattiva della legge scrutinata che svolga una effettiva funzione di interpretazione autentica, limitandosi ad assegnare alla norma censurata un significato compatibile con il suo tenore letterale e dunque già in essa ricompreso al fine di ristabilire l’originaria volontà del legislatore.

 Alla luce di tale dialogo, con riferimento all’imposta di registro, la richiamata giurisprudenza della Suprema Corte ritiene difetti proprio il predetto presupposto relativo alla sussistenza di adeguati motivi di interesse generale, con riferimento alla circostanza che linterpretazione legislativamente imposta, nellimpedire, attraverso lirrilevanza degli elementi esterni al singolo atto e del collegamento negoziale, una imposizione fiscale coerente con leffettiva manifestazione di capacità contributiva sottesa alla complessiva operazione posta in essere dalle parti, va in senso contrario allinteresse della collettività, da identificarsi nel corretto riparto dei carichi pubblici in ragione degli indici di capacità contributiva posti in essere ex art. 53 Cost., estrinsecazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità mette in luce vari profili ostativi al riconoscimento alla novella del 2017 della funzione di interpretazione autentica (Corte Cost n.264/2012;Corte Cost n.150/2015).Invero, a dispetto di quanto si legge nella relazione illustrativa alla legge di bilancio 2018, ove si enuncia un mero intento chiarificatore sulla portata applicativa dell’art. 20, di fatto l'intervento si è concretamente tradotto in una profonda modifica strutturale e contenutistica del predetto articolo. In particolare, l’orientamento giurisprudenziale in esame ha evidenziato che l’art. 1, comma 87, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205, oltre a non autoqualificarsi come legge di interpretazione autentica, sul piano strutturale ha inciso direttamente sul testo delloriginaria disposizione dellart. 20, modificandola in senso innovativo, come fatto palese dal tenore letterale dell’art. 1, comma 87, medesimo, che enuncia che all’art. 20 sono apportate “le seguenti modificazioni …”. Sul piano contenutistico, alla locuzione “atti presentati” si sostituisce la locuzione, al singolare, “atto presentato” e si introduce un limite all'estrinsecarsi dell'attività interpretativa – “sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati” - in precedenza non previsto secondo il consolidato orientamento, in particolare, della giurisprudenza di legittimità. Nella medesima prospettiva, la giurisprudenza di legittimità evidenzia l’insussistenza di contrasti giurisprudenziali in ordine alla latitudine dell'attività interpretativa ex art. 20 e alla rilevanza del collegamento negoziale, sussistendo anzi, come già ampiamente emerso, un diritto vivente sul punto; infine, rileva che non sussiste nemmeno l'esigenza di chiarire i termini del coordinamento tra l’art. 20 e l’art. 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente, atteso che lorientamento giurisprudenziale prevalente da tempo esclude la natura antielusiva dellart. 20 in relazione al diverso ambito applicativo dei due articoli, il primo operante sul piano dellinterpretazione e qualificazione degli atti, il secondo, per lappunto, operante nellambito del contrasto allabuso del diritto.

In altri termini, ancorché la novella modifichi il testo della disposizione dell’art. 20, il senso espresso dalle modifiche testuali e, dunque, la portata normativa delle medesime, potrebbe essere ritenuto compatibile con uno dei possibili precetti ricavabili dalla precedente disposizione, quello più “antico” della rilevanza isolata dell’atto.

 

3.3. Giurisprudenza di legittimità e costituzionale a seguito della L.n. n. 145/2018

Ordinanza di rimessione Corte di Cassazione n.23549 del 23 settembre 2019 alla Corte Costituzionale

Da quanto fin qui esposto, emerge chiaramente come lart. 1, comma 87, lett. a), della legge n. 205/2017 non ha risolto i dubbi relativi alla corretta interpretazione dellart. 20 del TUR per il passato (periodo antecedente al 1° gennaio 2018) e, anzi, ha inserito un nuovo elemento di incertezza: l’identificazione dell’esatto discrimen per l’applicazione della nuova disciplina (il momento di registrazione dell’atto o di svolgimento dell’attività di controllo?).

Pertanto, con l’intento di ovviare a tale situazione, il legislatore, con l’articolo 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), in virtù del quale il citato articolo 1, comma 87, lettera a), della legge n. 205 del 2017 “costituisce interpretazione autentica” del censurato articolo 20 del D.P.R. n. 131 del 1986, ha attribuito efficacia retroattiva alla norma inibendo gli accertamenti secondo criteri interpretativi.

Ciò nonostante, la Corte di Cassazione, al fine di salvaguardare la sua consolidata posizione, nell'ordinanza del 23 settembre 2019 n.23549 ha rimesso  alla Consulta la questione di legittimità costituzionale, in rapporto agli articoli 53 e 3 Cost., dell’art. 20 D.P.R.n.131/1986 (TUR) , come risultante dagli interventi apportati dalla L. n. 205 del 1917, articolo 1, comma 87, (L. di bilancio 2018) e dalla L. n. 145 del 2018, articolo 1, comma 1084, (L. di bilancio 2019), nella parte in cui dispone che, nellapplicare limposta di registro secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dellatto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dallatto stesso, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

Più nel dettaglio, la Suprema Corte ha rimesso alla Corte Costituzionale, la questione di legittimità dellarticolo 20 del D.P.R. n.131/86 con riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, argomentandone la contrarietà con il principio di prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica, principio ritenuto imprescindibile e storicamente radicato”.

Precisamente,  il caso oggetto della citata sentenza aveva a oggetto la “riqualificazione giuridica”, effettuata dall'Agenzia delle Entrate ai sensi del cit. articolo 20, in termini di cessione d'azienda di un'operazione articolata in tre passaggi: a) la costituzione di una nuova srl con socio unico (Alfa); b) l'aumento del capitale liberato mediante conferimento di tre rami d'azienda, uno di titolarità del medesimo socio unico (Alfa), e due di titolarità di altre due società (Beta e Gamma); c) la cessione delle quote di partecipazione alla società conferitaria assegnate ai soggetti conferenti Alfa, Beta e Gamma a favore di altra società, Delta, che così diveniva unica proprietaria. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 142/43/2013 del 19 novembre 2013, avverso la quale era stato proposto ricorso alla Suprema Corte, in riferimento alla fattispecie descritta, aveva a sua volta rilevato la legittimità della riqualificazione operata dallAgenzia, in quanto l'operazione, pur articolata in diversi segmenti ritenuti collegati, doveva ritenersi sostanzialmente unitaria e con oggetto la cessione dei rami aziendali a favore di Delta in veste di cessionaria finale delle quote.

In buona sostanza, gli argomenti che i giudici di legittimità hanno indicato a sostegno dell'ordinanza di rimessione sono:

- con riferimento allarticolo 53 Cost. : il sospetto che la previsione normativa di che trattasi, escludendo, l'ammissibilità di una riqualificazione giuridica della fattispecie sottoposta a registrazione fondata su di un eventuale collegamento negoziale, poteva sottrarre alla imposizione una tipica manifestazione di capacità contributiva;

- con riferimento allarticolo 3 Cost.: il dubbio era che la previsione stessa pareva idonea a realizzare una situazione di disuguaglianza, laddove - non potendo fare ricorso ad una interpretazione che renda plausibile una valorizzazione unitaria di occorrenze negoziali distinte a fini impositivi ma teleologicamente collegate - si rischiava di applicare differenziati trattamenti fiscali a seconda che il medesimo scopo pratico fosse realizzato attraverso una sola fattispecie negoziale piuttosto, appunto, che con più atti collegati.

Il Supremo Consesso, in predetta ordinanza, dopo un iniziale excursus normativo dell’art. 20 citato, ha affermato che la nuova e piu' ristretta formulazione dell’art. 20 del D.P.R. n.131/1986 , così risultante, pone una rilevante e non manifestamente infondata questione di legittimità costituzionale.

Inoltre, l’espressa inclusione nella L. n. 212 del 2000, articolo 10 bis, comma 2, lettera a), della fattispecie di collegamento negoziale (invece mancante nella struttura testuale dell'articolo 20):

  • consente all'Amministrazione Finanziaria, nell'esercizio dei poteri estesi di accertamento dell'imposta di registro conferitile dall’ articolo 53 bis del D.P.R. n. 131 del 1986 e previa l'osservanza delle tutele procedimentali contenute nella legge, di disconoscere gli effetti degli atti collegati in quanto elusivi e, come tali, privi di sostanza economica diversa dal mero risparmio d'imposta (altrimenti legittimo ai sensi dell'articolo 10 bis, comma 4, in parola);
  • non esclude che il collegamento negoziale continui tuttavia a rilevare, ex art. 20 TUR, anche al di fuori del contesto elusivo e sanzionatorio e, dunque, anche quando esso emerga sul piano obiettivo della mera qualificazione giuridica e come opzione negoziale effettivamente rispondente a esigenze pratiche sostanziali, nel senso di non deviate né strumentali nè unicamente orientate al risparmio d'imposta.

 

Corte Costituzionale n. 158/2020

Con la sentenza n. 158/2020 la Corte Costituzionale ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di Cassazione sulle modifiche apportate allart.20 del TUR in quanto, in estrema sintesi, rientra nella discrezionalità del legislatore riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, rimarcando che non hanno alcuna rilevanza gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, così da rispettare “la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico”. E infatti, a suo avviso, i fatti espressivi della capacità contributiva, indicati negli effetti giuridici desumibili, anche aliunde, dalla causa concreta del negozio contenuto nellatto presentato per la registrazione non sono i soli costituzionalmente compatibili con gli evocati parametri” poiché tali parametri ... non si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte legislatore dei principi di capacità contributiva e, conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che sia diretta (come stabilito dalla norma censurata) ad identificare i presupposti impositivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione”. La conferma della legittimità della scelta così formulata dal legislatore comporta come corollario che la tesi della Cassazione secondo cui il vecchio art. 20 del T.U.R. imporrebbe di dar prevalenza alla sostanza economica degli atti rispetto alla loro forma giuridica non è costituzionalmente imposta dallart. 53 Cost.

Senonché la Corte costituzionale ha lasciato intendere che, non solo il nuovo, ma anche il vecchio art. 20 del T.U.R. non consentono di dare prevalenza alla sostanza economica sulla forma giuridica, laddove “il censurato intervento normativo appare finalizzato a ricondurre il citato art. 20 all’interno del suo alveo originario, dove linterpretazione, in linea con le specificità del diritto tributario, risulta circoscritta agli effetti giuridici dellatto presentato alla registrazione (ovverosia al gestum, rilevante secondo la tipizzazione stabilita dalle voci indicate nella tariffa allegata al Testo Unico)”. Inoltre, il Giudice delle Leggi nel par. 5.2.4.  della sua pronuncia ha evidenziato che la tesi della Suprema Corte, sempre “sul piano costituzionale”, almeno a partire dall’introduzione della nuova norma antielusiva dell’art. 10-bis dello Statuto del contribuente, “provocherebbe incoerenze nellordinamento” per il fatto che “consentirebbe allA.F., da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dallaltro lato, di svincolarsi da ogni riscontro di indebiti vantaggi fiscali e di operazioni prive di sostanza economica”. Di conseguenza, la Corte costituzionale ha ritenuto che la tesi della Suprema Corte, oltre a non essere costituzionalmente necessitata e rispondente alla tipizzazione delle voci dell’imposta di registro, è anche incoerente sul piano costituzionale in quanto consentirebbe all’Agenzia delle entrate di contestare l’abuso del diritto, svincolandosi tanto dalla garanzia del contraddittorio preventivo, quanto dall’accertamento dei relativi requisiti.

Inoltre, il ragionamento del Giudice delle Leggi sottende l’ulteriore convincimento che le contestazioni formulate dallAgenzia delle entrate sulla base del vecchio art. 20 del T.U.R., attribuendo prevalenza alla sostanza economica rispetto alla forma giuridica, mascherano in realtà contestazioni di abuso del diritto fiscale. Difatti l’art. 10-bis dello Statuto del contribuente consente di contestare non solo le operazioni prive di sostanza economica, ma anche quelle dotate di una sostanza economica incoerente con la loro forma giuridica. Tant’è vero che la lett. a) del comma 2 di tale disposizione considera come “indici di mancanza di sostanza economica ... la non coerenza della qualificazione [forma] delle singole operazioni con il fondamento giuridico [sostanza giuridica] del loro insieme” e, quindi, proprio la difformità della sostanza economica di un complesso di operazioni collegate rispetto alla forma giuridica di ciascuna di tali operazioni. Pertanto, la Corte costituzionale non sembra condividere la tesi della Cassazione secondo cui tali contestazioni non avrebbero potuto essere configurabili come contestazioni di abuso del diritto fiscale poiché labuso presupporrebbe sempre la mancanza di sostanza economica.

In ultimo, la Corte costituzionale ha statuito che la tesi della Cassazione secondo cui il vecchio art. 20 del T.U.R. imponeva di applicare l’imposta di registro, privilegiando la sostanza economica degli atti precluderebbe “di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea)”. Di conseguenza, la Consulta ha ritenuto che, nel caso in cui limposta di registro sia applicata privilegiando la sostanza economica degli atti, si finirebbe con il colpire anche vantaggi fiscali che sarebbero pienamente legittimi, essendo prerogativa del contribuente scegliere fra più operazioni quella fiscalmente meno onerosa.

 

Corte Costituzionale n. 39/2021

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 39 del 16.03.2021, ha stabilito che i dubbi sulla legittimità costituzionale del nuovo art. 20 TUR riferiti alla sua applicazione retroattiva sono infondati. Com’è ben noto, con l’articolo 1, comma 87, legge n. 205 del 27.12.2017 il legislatore ha introdotto alcune disposizioni al fine di chiarire i limiti e l’ambito di applicazione dell’articolo 20 TUR in materia di riqualificazione degli atti soggetti ad imposta di registro. La norma ha consentito negli anni numerose rettifiche in sede di liquidazione dell’imposta di registro riferita alle operazioni di conferimento e successiva cessione (rispetto alle quali il TUIR prevede una clausola antielusiva espressa). Per effetto di quanto previsto dalla legge di Bilancio 2018, l’articolo 20 viene integrato al fine di precluderne l’utilizzo ai fini della rettifica/liquidazione dell’imposta, stabilendo che gli atti devono essere interpretati sulla base dei soli elementi desumibili dal contenuto, con espressa esclusione di atti collegati o elementi extra-testuali. Contestualmente, larticolo 53-bis del TUR è stato integrato al fine di prevedere lapplicazione della disciplina anti abuso (ci si riferisce allarticolo 10 bis della legge n. 212/2000) anche allimposta di registro. Con riferimento ai profili di applicazione di tale disposizione, l’Agenzia delle Entrate e la Corte di Cassazione (con la sentenza n. 4407/2018) hanno negato il carattere interpretativo delle modifiche apportate dalla legge n. 205/2017 bloccando portata retroattiva della norma. Con larticolo 1, comma 1084 della legge n. 145 del 30.12.2018 il legislatore è ritornato sul punto specificando che la modifica contenuta allarticolo 1, comma 87 lettera a) della legge n. 205/2017 ha carattere retroattivo.

A questo punto giova analizzare l’iter logico che ha portato il Giudice delle Leggi a rigettare la predetta questione di legittimità costituzionale.

In prima battuta, la Consulta ha affermato che, nel merito, le questioni inerenti alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost. sono manifestamente infondate, poiché prive di argomenti sostanzialmente nuovi rispetto a quelle già sollevate con la menzionata ordinanza del giudice di legittimità e dichiarate non fondate con sentenza n. 158 del 2020.

In tale pronuncia, la Consulta, ha infatti concluso che il censurato art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 non si pone in contrasto né con il principio di capacità contributiva, né con quelli di ragionevolezza ed eguaglianza tributaria, con conseguente non fondatezza delle sollevate questioni. In particolare, al punto 5.2.3. del Considerato in diritto, si è affermato che “tali parametri [...] sul piano della legittimità costituzionale non si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte legislatore dei principi di capacità contributiva e, conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che sia diretta (come stabilito dalla norma censurata) a identificare i presupposti impositivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, senza alcun rilievo di elementi tratti aliunde, “salvo quanto disposto dagli articoli successivi” dello stesso testo unico. In tal modo, del resto, il criterio di qualificazione e di sussunzione in via interpretativa risulta omogeneo a quello della tipizzazione, secondo le regole del testo unico e in ragione degli effetti giuridici dei singoli atti distintamente individuati dal legislatore nelle relative voci di tariffa ad esso allegata”.

Nel caso di specie esaminato dalla Consulta, ciò che viene in considerazione non è quindi l’indirizzo giurisprudenziale maturato nel brevissimo lasso temporale intercorrente tra i due interventi normativi e che, secondo il rimettente, «aveva riconosciuto, pressoché unanimemente, la natura innovativa e non interpretativa» della «novella del 2017».

Rileva piuttosto in toto la vicenda decennale dibattuta, che ha interessato la complessa questione dell’applicazione dell’imposta di registro, caratterizzata, come già evidenziato dalla Consulta nella sentenza n. 158 del 2020, da uno stratificarsi di interpretazioni, che la giurisprudenza ha sviluppato anche in risposta alle varie forme in cui l’ordinamento si andava evolvendo per volontà del legislatore (che, dapprima, ha introdotto, nella disciplina dell’imposta, l’esplicito riferimento agli «effetti giuridici» dell’atto e poi, più in generale, per tutti i tributi, ha disciplinato l’abuso del diritto).

In tale sentenza, la Corte Costituzionale ha precisato che l’art. 1, comma 87, lettera a), della legge n. 205 del 2017, “appare finalizzato a ricondurre il citato art. 20 all’interno del suo alveo originario, dove l’interpretazione, in linea con le specificità del diritto tributario, risulta circoscritta agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione (ovverossia al gestum, rilevante secondo la tipizzazione stabilita dalle voci indicate nella tariffa allegata al testo unico)», concludendo che «proprio la clausola finale del censurato art. 20 “salvo quanto disposto dagli articoli successivi” concorre ad avvalorare la suddetta valenza sistematica dell’intervento legislativo del 2017 nell’assetto della disciplina del tributo”.

Tale valenza sistematica, nella medesima sentenza, è stata peraltro evidenziata anche nel raccordo con labuso del diritto, precisando sul piano costituzionale, che linterpretazione evolutiva, patrocinata dal rimettente, di detto art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, incentrata sulla nozione di causa reale”, provocherebbe incoerenze nellordinamento, quantomeno a partire dallintroduzione dellart. 10-bis della legge n. 212 del 2000. Infatti, consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di “indebiti” vantaggi fiscali e di operazioni “prive di sostanza economica”, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione europea)”.

Alla luce di tanto, la Corte Costituzionale nella sentenza n.39/2021 ha concluso che si deve escludere che possa essere considerato irragionevole attribuire efficacia retroattiva a un intervento che, come quello descritto, ha assunto un carattere di sistema.

Infatti, la legittimità di un intervento che attribuisce forza retroattiva a una genuina norma di sistema non è contestabile nemmeno quando esso sia determinato dallintento di rimediare a unopzione interpretativa consolidata nella giurisprudenza (anche di legittimità) che si è sviluppata in senso divergente dalla linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore (sentenza n. 402 del 1993).

 

4. Giurisprudenza di legittimità a seguito delle pronunce della Consulta

A seguito degli interventi chiarificatori della Consulta con le pronunce n.158/2020 e n.39/2021, si sono susseguite diverse pronunce interpretative della giurisprudenza di legittimità alla luce dei principi enucleati dal Giudice delle Leggi.

Di seguito esporremo i tratti più salienti delle recenti pronunce della giurisprudenza di legittimità sull’imposta di registro alla luce delle modifiche legislative attuate e della conseguente evoluzione giurisprudenziale.

 

Corte di Cassazione ordinanza 22988 del 17 agosto 2021

La Suprema Corte nell’ordinanza 22988 del 17 agosto 2021 ha affermato che se  l’Agenzia delle Entrate intende contestare in Cassazione la qualificazione giuridica di un contratto quale risultante da una sentenza della Commissione Tributaria, deve dimostrare la violazione, da parte del giudice di merito, delle norme recanti i criteri in base ai quali un contratto deve essere interpretato (ossia gli articoli 1362 e ss. c.c.) e non può limitarsi a proporre una diversa interpretazione.

In tale pronuncia la Suprema Corte ha riaffermato il sindacato del giudice di legittimità non può concernere il risultato interpretativo cui il giudice di merito giunge, ma deve appuntarsi unicamente sul rispetto, da parte del giudice del merito, dei canoni di ermeneutica contrattuale stabiliti dal legislatore.

Nella fattispecie concreta, l’Agenzia aveva tentato di riformulare, in termini di «contratto costitutivo del diritto di superficie», un contratto presentato alla registrazione come «contratto di locazione» (per effetto del quale l’affittuario aveva ottenuto il diritto di costruire un impianto fotovoltaico), sulla base del rilievo che, secondo le clausole del contratto in questione, all’affittuario veniva addossato ogni onere di manutenzione ordinaria e straordinaria, all’affittuario competeva la proprietà dell’impianto durante la vigenza del contratto-e di portarselo via alla scadenza- e l’affittuario era gravato da un obbligo di pagamento di un canone periodico.

L’occasione di questa ordinanza è  stata l’occasione per i giudici di legittimità per ribadire alcuni concetti: vale a dire che, da un lato, linterpretazione degli atti presentati alla registrazione non può basarsi su contenuti diversi da quelli risultanti dalle clausole negoziali e, daltro lato, che nellinterpretare un contratto non si può confondere gli effetti giuridici (rilevanti ai fini dellimposta di registro) con gli effetti economici delloperazione negoziale, essendo la finalità antielusiva … profilo affatto estraneo alla disposizione della legge di registro in tema di interpretazione degli atti presentati alla registrazione.

In ultimo, i giudici di legittimità hanno concluso, precisando che il profilo antielusivo … non può … identificarsi sic et simpliciter con il risparmio fiscale”. Le parti contraenti, infatti, hanno piena libertà di esplicare la loro autonomia negoziale e di raggiungere un risultato analogo stipulando a piacimento, caso per caso, contratti a efficacia reale (come la costituzione del diritto di superficie) o contratti a efficacia obbligatoria (come il contratto di locazione).

 

Corte di Cassazione ordinanza n. 26505 del 29 settembre 2021

I giudici di legittimità nell’ordinanza n.26505 del 29 settembre 2021 hanno enucleato il principio di diritto sulla base delle risultanze giuridiche scaturite dalla sentenza della Corte Costituzionale n.158/2020.

In prima battuta il Collegio di legittimità ha richiamato il suo pacifico indirizzo secondo cui, in tema di interpretazione degli atti ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro, il criterio fissato dall’art.20 D.P.R.n.131/1986 impone di privilegiare l'intrinseca natura e gli effetti giuridici, rispetto al titolo e alla forma apparente degli stessi, con la conseguenza che i concetti privatistici relativi all'autonomia negoziale regrediscono, di fronte alle esigenze antielusive poste dalla norma, a semplici elementi della fattispecie tributaria, per ricostruire la quale dovrà, dunque, darsi preminenza alla causa dei negozi giuridici (cfr. Cass. nn. 13610/2018, 1955/2015, 3481/2014, 17965/2013, 6835/2013, 23584/2012).

Alla luce di tanto, i giudici di legittimità hanno ritenuto che se è indubitabile che l'Amministrazione in forza di tale disposizione non è tenuta ad accogliere acriticamente la qualificazione prospettata dalle parti ovvero quella "forma apparente" al quale lo stesso articolo 20 fa riferimento, è indubbio che in tale attività riqualificatoria essa non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale latto risulta inquadrabile, pena lartificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici.

Difatti, come ribadito dalla Consulta nella sentenza n. 158/2020, non si “deve ricercare pertanto un presunto effetto economico dell'atto tanto più se e quando - come nel caso di specie - lo stesso è il medesimo per due negozi tipici diversi per gli effetti giuridici che si vogliono realizzare”.

Pertanto, a parere del Supremo Consesso, priva di rilievo risulta la ricerca delle ragioni economiche giustificatrici dell'operazione in quanto, una volta riconosciuto, alla luce dei principi innanzi enunciati, che ci si trova di fronte ad un caso di cessione di partecipazioni societarie (come nella fattispecie in esame ritenuto dall'Agenzia delle Entrate), pur a fronte del preventivo conferimento nel patrimonio della società del ramo d'azienda oggetto di rilievo da parte dell'Erario, non è richiesta alcuna valutazione circa l'esistenza o meno di valide ragioni economiche atte a giustificare l'operazione medesima, per come strutturata, ne' tantomeno incombe sull'Ufficio alcun onere probatorio al riguardo.

L’art. 20 D.P.R. n.131/1986 non richiede invero l'intento elusivo, che puo' esserci ma non deve necessariamente esserci, sicché il tema d'indagine non consiste nell'accertare cosa la parti hanno scritto, ma cosa le stesse hanno effettivamente realizzato con il regolamento negoziale, e tanto non discende dal contenuto delle peculiari dichiarazioni delle parti medesime.

In ultimo, i giudici di legittimità hanno concluso che  sulla base di quanto affermato dalla Consulta nella sentenza dianzi citata, inoltre, circa la necessità di tassazione isolata al solo ed esclusivo atto presentato alla registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati, in coerenza con i principi ispiratori della disciplina dell'imposta di registro e, in particolare, con la natura di "imposta d'atto" storicamente riconosciuta al tributo di registro dopo la sostanziale evoluzione da tassa a imposta, ne consegue che, pur restando ferma la possibilità di sindacato delle operazioni straordinarie ai sensi della disciplina di contrasto all'abuso del diritto, in virtu' del richiamo contenuto nell'articolo 53-bis del TUR alla disposizione antielusiva generale di cui alla L. n. 212 del 2000, articolo 10-bis va affermato come ai fini dell'imposta di registro operazioni strutturate mediante conferimento di azienda seguito dalla cessione delle partecipazioni della società conferitaria (come la presente fattispecie) non possano essere riqualificate in una cessione di azienda e non configurano di per sé il conseguimento di un vantaggio indebito realizzato in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario (fatta salva l'ipotesi in cui tali operazioni siano seguite da ulteriori passaggi, ad esempio una fusione diretta o inversa, che renderebbero chiara la volontà di acquisire direttamente l'azienda, ovvero di perfezionare ab origine un asset deal).

Inoltre, come precisato dalla Corte Costituzionale, ritenere irrilevanti sia gli elementi extratestuali che gli atti collegati, non significa favorire l'ottenimento di indebiti vantaggi fiscali, sottraendo all'imposizione l'effettiva ricchezza imponibile, atteso che tale sottrazione "potrebbe rilevare sotto il profilo dell'abuso del diritto", ipotesi che avrebbe tuttavia richiesto la previa instaurazione del contraddittorio endo-procedimentale, come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata.

 

Corte di Cassazione n. 25601 del 21 settembre 2021

Nella pronuncia n.25601/2021 la Suprema Corte ha affermato che le operazioni strutturate mediante conferimento dazienda seguito dalla cessione di partecipazioni della società conferitaria non possono essere riqualificate in una cessione dazienda e non configurano, di per sé, il conseguimento di un indebito vantaggio realizzato in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dellordinamento tributario (fatta salva l'ipotesi in cui tali operazioni siano seguite da ulteriori passaggi idonei a palesare la volontà di acquisire direttamente l'azienda). Oggetto di tassazione è infatti il solo atto presentato per la registrazione attesa lirrilevanza, alla luce delle sentenze n.158 del 2020 e n. 39 del 2021 della Corte Costituzionale, degli elementi extratestuali e degli atti collegati in coerenza con i principi ispiratori della disciplina dellimposta di registro.

 

Corte di Cassazione n. 26494 del 29 settembre 2021

Nell’ordinanza n. 26494 del 29 settembre 2021 la Corte di Cassazione, riprendendo i principi enunciati dalla Corte Costituzionale n.158/2020, ha affermato che se è indubitabile che lAmministrazione in forza dellart. 20 TUR non è tenuta ad accogliere acriticamente la qualificazione prospettata dalle parti ovvero quella forma apparente al quale lo stesso articolo 20 citato fa riferimento, è indubbio che in tale attività riqualificatoria essa non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale latto risulta inquadrabile, pena lartificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici.

Difatti, come ribadito anche dalla Consulta, non deve ricercare pertanto un presunto effetto economico dellatto tanto più se e quando - come nel caso di specie - lo stesso è il medesimo per due negozi tipici diversi per gli effetti giuridici che si vogliono realizzare.

Così posta la questione, pertanto, priva di rilievo risulta la ricerca delle ragioni economiche giustificatrici dell'operazione in quanto, una volta riconosciuto, alla luce dei principi innanzi enunciati, che ci si trova di fronte ad un caso di cessione di partecipazioni societarie (come nella fattispecie in esame ritenuto dall'Agenzia delle Entrate), pur a fronte del conferimento nel patrimonio della società dell'azienda oggetto di rilievo da parte dell'Erario, non è richiesta alcuna valutazione circa lesistenza o meno di valide ragioni economiche atte a giustificare loperazione medesima, per come strutturata, ne tantomeno incombe sullUfficio alcun onere probatorio al riguardo.

Secondo la Suprema Corte l’art. 20 citato non richiede invero l'intento elusivo, che può esserci ma non deve necessariamente esserci, sicchè il tema dindagine non consiste nellaccertare cosa la parti hanno scritto, ma cosa le stesse hanno effettivamente realizzato con il regolamento negoziale, e tanto non discende dal contenuto delle peculiari dichiarazioni delle parti medesime.

Pertanto, la Corte di Cassazione ha ribadito che "lincorporazione in un solo documento di più dichiarazioni negoziali, produttive di effetti giuridici distinti e lincorporazione in documenti diversi di dichiarazioni negoziali miranti a realizzare, attraverso effetti giuridici parziali, un unico effetto giuridico finale traslativo, costitutivo o dichiarativo costituiscono tecniche operative alternative per i contribuenti, che si trovano, però, dinanzi ad una sola e costante qualificazione giuridica formulata dal legislatore tributario: la sottoposizione ad imposta di registro del loro atto o dei loro atti in base alla natura delleffetto giuridico finale dei loro comportamenti, semplici o complessi che essi siano” (Cass. n. 3562/2017; conf. Cass. n. 5748/2018).

Il Collegio di legittimità ha, inoltre, sottolineato che come precisato dalla Corte Costituzionale, ritenere irrilevanti sia gli elementi extratestuali che gli atti collegati, non significa favorire lottenimento di indebiti vantaggi fiscali, sottraendo allimposizione leffettiva ricchezza imponibile, atteso che tale sottrazione potrebbe rilevare sotto il profilo dellabuso del diritto di cui alla L. n. 212 del 2000, articolo 10-bis (norma antielusiva), ipotesi esclusa, nel caso in esame, dalla sentenza impugnata che ha dunque correttamente applicato i principi di diritto dianzi illustrati.

 

Corte di Cassazione ordinanza n. 27632 dell11 ottobre 2021

Anche in questa ordinanza la Suprema Corte ha enucleato il suo principio di diritto alla luce della giurisprudenza di legittimità recente ma, soprattutto, in conformità a quanto enunciato dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n.158/2020 e n.39/2021.

Alla luce di tanto, i giudici di legittimità hanno concluso che “ Allesito del complesso iter normativo e giurisprudenziale così riassunto, la sentenza della commissione tributaria regionale qui impugnata deve dunque trovare condivisione, perchè confermativa della illegittimità di un avviso di liquidazione basato proprio su unattività di riqualificazione, in termini di cessioni immobiliari, di una serie collegata di atti volti al conferimento di rami aziendali in sede di sottoscrizione di aumento di capitale sociale.

Vale a dire, un'attività (nella specie basata su elementi esterni, quali l'identità del dominus di tutte le societa'; la connessione temporale tra le varie articolazioni operative; le attività svolte dalle società conferenti, l'asserito difetto di autonomia organizzativa complessiva dei cespiti) non più consentita dalla legge e dalla natura di …"imposta d'atto' che, come osservato dalla Corte Costituzionale nella menzionata pronuncia, ancora oggi riveste l'imposta di registro.

Va poi considerato che l'avviso di liquidazione in oggetto (ric.pag.9) basava la riqualificazione degli atti (la cui natura sostanziale è stata dal giudice di merito ritenuta conforme alle dichiarazioni di parte) su un intento abusivo e dissimulatorio, di per sè estraneo all'articolo 20 Tur, disposizione non antielusiva ma interpretativa del negozio”.

 

Corte di Cassazione ordinanza n. 20641 del 19 luglio 2021

La Corte di Cassazione nella citata ordinanza, facendo riferimento a quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.39/2021, ha osservato nel caso di specie che la sentenza della CTR si fonda su di una interpretazione dell’art. 20 cit. che risulta in contrasto con quella fornita dalla Consulta e che ha portato questa Corte ad affermare da ultimo il principio secondo cui “In tema di imposta di registro, ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 – nella formulazione successiva alla l. n. 205 del 2017 che, secondo l’art.1, comma 1084, della l. n. 145 del 2018, ne ha fornito l’interpretazione autentica e alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 158 del 2020 e n. 39 del 2021 – è legittima lattività di riqualificazione dellatto da registrare da parte dellAmministrazione soltanto se operata ab intriseco”, cioè senza alcun riferimento agli atti ad esso collegati e agli elementi extra-testuali, non potendosi essa fondare sullindividuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali e dagli elementi comunque desumibili dallatto (Cass. n. 10688 del 22/04/2021 Rv. 661130 – 01)”. E invero, per effetto dell’art. 20 cit. resta ferma la legittimità dell’attività di riqualificazione per via interpretativa dellatto da registrare da parte dellAmministrazione soltanto se operata ab intrinseco”, senza lutilizzazione di elementi ad esso estranei, essendo viceversa la finalità antielusiva profilo affatto estraneo alla disposizione in esame. Diversamente, a diversi limiti, soggiace la potestà dellAmministrazione finanziaria quando la riqualificazione è diretta a far valere il collegamento negoziale e, più in generale, qualunque forma di abuso del diritto ed elusione fiscale, ai sensi dellart. 10-bis, l. n. 212 del 2000, trattandosi di ipotesi estranea alla ermeneutica dellatto da registrare. L’azione accertatrice, in tali casi, si deve attuare mediante apposito e motivato atto impositivo, preceduto – a pena di nullità – da una richiesta di chiarimenti, che il contribuente può fornire entro un certo termine, il tutto da svolgersi all’interno di uno specifico procedimento di garanzia.

Tanto chiarito, i giudici di legittimità hanno concluso che tale procedimento non è stato seguito nella fattispecie oggetto di esame.

 

5. Imposta di registro e abuso di diritto

Alla luce delle recenti sentenze della Consulta n.158/2020 e n.39/2021, pertanto, l’Agenzia delle Entrate ha la possibilità di interpretare un atto complesso, sottoposto a registrazione, non più secondo l’articolo 20 del T.U.R quanto, piuttosto, considerato il rinvio dell’articolo 53 bis T.U.R., attraverso larticolo 10- bis della L. 212/2000 concernente il divieto di abuso del diritto. Per comprendere, però, fino a che punto l’Agenzia delle Entrate può concretamente fare ricorso al citato art.10-bis bisogna fare riferimento al contenuto e alle stringenti disposizioni dello stesso che, di fatto, ne limitano notevolmente la portata applicativa. Difatti: «1. Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti» «2. Ai fini del comma 1 si considerano: a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. »… mentre sono «b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario» «3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attività professionale del contribuente». «4. Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale». «5. Il contribuente può proporre interpello ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera c), per conoscere se le operazioni costituiscano fattispecie di abuso del diritto». «6. … l'abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto». «7. La richiesta di chiarimenti è notificata dall'Amministrazione Finanziaria ai sensi dell'articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni (“notifica rafforzata” - n.d.r.), entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell'atto impositivo. …». «8. … l'atto impositivo è specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonché ai chiarimenti forniti dal contribuente…». «9. L'amministrazione finanziaria ha l'onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva … Il contribuente ha l'onere di dimostrare l'esistenza delle ragioni extrafiscali …». «12. In sede di accertamento labuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie». «13. Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. …».

In sintesi, pertanto:

- l'atto impositivo deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alla condotta abusiva, alle norme o principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati e ai chiarimenti forniti dal contribuente;

- nel procedimento di accertamento dell'abuso del diritto lonere della prova della condotta abusiva graverà sullAmministrazione finanziaria, mentre il contribuente sarà tenuto a dimostrare la sussistenza delle valide ragioni extrafiscali che stanno alla base delle operazioni effettuate;

 - labuso del diritto non potrà essere rilevato dufficio da parte del giudice tributario. In caso di ricorso contro l'atto impositivo, i tributi o i maggiori tributi accertati in applicazione della disciplina dell'abuso del diritto, unitamente ai relativi interessi, potranno essere iscritti a ruolo solo dopo la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale;

- l'accertamento per abuso del diritto potrà scattare solo se l’Ufficio non potrà invocare, ai fini dell'accertamento, la violazione di specifiche norme tributarie;

- l'abuso del diritto non sarà penalmente punibile.

 

6. Conclusioni

A seguito delle alterne vicende legislative e giurisprudenziali che hanno investito l’interpretazione dell’art. 20 del TUR, sembra, ad oggi, che abbia raggiunto la necessaria chiarezza per eliminare il contenzioso accumulatosi sul punto.

Tuttavia, l’Amministrazione Finanziaria potrà continuare ad “interpretare” ed “accertare” gli atti soggetti a registrazione solo a condizione di riuscire a dimostrare che essi sono stati posti in essere al solo fine di realizzare quei processi finalizzati allelusione dei tributi.

Più nel dettaglio, il Fisco dovrà provare che le operazioni poste in essere dai privati o dalle aziende, ancorché rispettose delle norme tributarie, siano idonee a determinare benefici o vantaggi fiscali indebiti, benché non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dellordinamento tributario.

Da ciò ne discende che, l’Amministrazione Finanziaria per adempiere a tale onere probatorio, dovrà applicare larticolo 10-bis della L. 212/2000 che pone una serie di notevoli limitazioni, di forma e di sostanza, poste dal legislatore proprio al fine di contrastare luso eccessivo degli avvisi di accertamento da parte dellAgenzia delle Entrate.