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La Suprema Corte consolida la propria posizione in materia di liquidazione del Trust

L’interpretazione dell’articolo 2, comma 47 della Legge 286 del 2006, in caso di tassazione del Trust autodichiarato, alla luce delle nuove sentenze della Corte di Cassazione.
Liquidazione del trust
Liquidazione del trust

Indice:

1. Le Sentenze della Corte di Cassazione n. 19319 e 19310 del 18 luglio 2019

2. I motivi delle decisioni della Suprema Corte

 

1. Le Sentenze della Corte di Cassazione n. 19319 e 19310 del 18 luglio 2019

Con due nuove sentenze la Corte di Cassazione continua a far chiarezza sulle imposte da applicare agli atti istitutivi di trust.

La sentenza della Suprema Corte, sezione tributaria, n. 19319 del 2019, ha ad oggetto la corretta individuazione della tassazione di un trust autodichiarato che l’Agenzia delle Entrate aveva liquidato a titolo di imposta di donazione (pari all’8%).

La parte, sostenendo di non dover assolvere l’imposta sulle donazioni, per via dell’identità coincidente tra disponente e beneficiario, ricorreva davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che accoglieva il ricorso. Il tutto confermato anche dalla Commissione Territoriale Regionale, che rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate.

L’Agenzia delle Entrate resistendo con controricorso, adduceva come motivazione l’articolo 2 della Legge 286/2006, secondo cui l’imposta di successione e donazione si applica anche in caso di costituzione di vincoli di destinazione a tutti quei negozi giuridici in grado di determinare un effetto segregativo, tra i quali rientra il trust. La Suprema Corte, come il CTR, ha rigettato il ricorso per motivo infondato.

La sentenza della Corte di Cassazione, sezione tributaria, n. 19310 del 2019, tratta l’istituzione irrevocabile di un trust denominato “Zii Trust” avente ad oggetto la nuda proprietà di un immobile, gravato da diritto di abitazione in favore degli zii; trustee veniva designata la stessa disponente, beneficiari erano in primis gli zii della disponente, all’epoca titolari del diritto di abitazione, in parti uguali e con accrescimento reciproco. Con precisazione che “qualora i primi beneficiari fossero deceduti al momento della cessazione del trust” si designava come beneficiari la stessa disponente, la sorella e un terzo, ed in caso di decesso anche di questi ultimi, per un mezzo i discendenti della disponente e per l’altro mezzo i discendenti della sorella.

Il notaio rogante applicava all’atto l’imposta fissa di registro, mentre l’Agenzia delle Entrate riliquidava l’imposta con tassazione proporzionale del 6%, notificando avviso di liquidazione all’Ufficiale rogante con riferimento all’articolo 2, commi 47 e 49 della Legge 286/2006.

La parte proponeva ricorso davanti la Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, che con sentenza n. 108 del 2010 ne accoglieva il ricorso per motivi di merito, l’Agenzia delle Entrate pertanto proponeva appello davanti alla Commissione Tributaria Regionale di Venezia – Mestre che con sentenza del 2012 lo rigettava.

L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso davanti la Corte di Cassazione per tre motivi:

  1. la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo (in relazione all’articolo 360, co. 1, n. 5, c.p.c.), per aver la CTR ritenuto che, non essendo il negozio di trust un atto con vincolo di destinazione, non sia soggetto alla imposta in misura proporzionale, ma in misura fissa.
  2. la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2, commi 47, 48 e 49 della Legge n. 286/2006, per aver la CTR ritenuto che l’atto in questione non fosse assoggettabile alla imposta sulle successioni e donazioni, potendosi sottoporre a tassazione solo gli atti di destinazione di cui all’articolo 2645-ter codice civile.
  3. la violazione e falsa applicazione degli articoli 2, commi 47, 48 e 49 Legge n. 286/2006, e 58 Decreto Legislativo n. 346/90, per aver la CTR affermato che i beneficiari non fossero individuabili e che l’atto sarebbe subordinato ad una condizione sospensiva.

Anche in questo caso la Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

 

2. I motivi delle decisioni della Suprema Corte

I due motivi che portano al rigetto delle domande poste dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione sono assimilabili all’interpretazione dell’articolo 2, comma 47, legge n. 286/2006 secondo cui: “è istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54.

La Corte di Cassazione ha deciso per il rigetto in entrambi i casi, continuando a delineare nell’ultimo periodo una giurisprudenza maggioritaria.

Inizialmente la posizione di partenza era tratta della massima dalla sentenza della Suprema Corte n. 3735 del 2015, secondo cui la tassazione si dovrebbe applicare in misura proporzionale già al momento della segregazione.

La posizione, definibile come d’arrivo, posta con sentenza della Corte di Cassazione n. 1131/2019, invece sostiene che:

a) “non si può trarre dallo scarno disposto del D.L. n. 262 del 2006, articolo 2, comma 47, il fondamento normativo di un’autonoma imposta, intesa a colpire ex se la costituzione dei vincoli di destinazione, indipendentemente da qualsivoglia evento traslativo, in senso proprio, di beni e diritti, pena il già segnalato deficit di costituzionalità della novella così letta”;

b) “in relazione agli atti di dotazione del fondo oggetto di causa (...), il giudice di appello (...) ha correttamente escluso che la costituzione del vincolo di destinazione sulle somme di denaro conferite in trust avesse prodotto un effetto traslativo immediato, solo in tal caso giustificandosi la soggezione dell’atto dotativo all’imposta sulle successioni e donazioni, in misura proporzionale, in quanto sicuro indice della capacità economica del soggetto beneficiato”;

c) “una lettura costituzionalmente orientata della normativa in esame (articoli 53 e 23 Costituzione), attribuisce giusto rilievo al fatto che l’imposta prevista dal Decreto Legislativo n. 346 del 1990 non può che essere posta in relazione con “un’idonea capacità contributiva”, che il conferimento di beni e diritti in trust non integra di per sé un trasferimento imponibile e, quindi, rappresenta un atto generalmente neutro, che non dà luogo ad un trapasso di ricchezza suscettibile di imposizione indiretta”.

In caso di trust autodichiarato, dove le figure di disponente e trustee coincidano, rispettando i principi legati alla capacità contributiva ex articolo 53 Costituzione, è legittima l’imposta proporzionale solo quando si verifichi che il trasferimento a favore dell’attuatore ne faccia emergere una potenziale capacità economica del destinatario (immediato) del trasferimento.

Per l’applicazione dell’imposta sulle successione e sulle donazioni manca, quindi, il presupposto impositivo della liberalità, alla quale può dar luogo soltanto un reale arricchimento mediante un reale trasferimento di beni e diritti, secondo quanto stabilito articolo 1 Decreto Legislativo n. 346/1990.

Come già ribadito dalla Suprema Corte in caso di trust autodichiarato la valutazione dovrà avvenire caso per caso (Cass. n.734/19, n. 21614/16).