Il silenzio assenso “orizzontale” della Soprintendenza nel procedimento “pluristrutturato” di accertamento di compatibilità paesaggistica dopo la legge Madia

Legge 7 agosto 2015, n. 124, introduttiva dell’articolo 17 bis della legge n. 241/90. Nota alla sentenza del TAR Campania Napoli, Sez. VI, n. 3099/19
Silenzio
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Indice:

1. Premessa 

2. L’applicabilità del silenzio assenso nel procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica con fase co-decisoria pluristrutturata (art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004) 

3. L’erronea decisione sul tema del TAR Molise (Sez. I, 8 maggio 2019, n. 179) 

4. L’esclusione del silenzio assenso nel procedimento c.d. “verticale” o “monostrutturato”: la sentenza Fidenzio della Corte di Cassazione, Sez. III pen., del 9 aprile 2019, n. 15523 

5. Quid iuris in ordine agli effetti del parere della Soprintendenza intervenuto oltre il termine?

6. Conclusioni

 

1. Premessa

 

La sentenza che si annota (TAR Campania Napoli, Sez. VI, Pres. Passoni, Est. Buonauro, del 17 aprile 2019, depositata il 7 giugno 2019) rappresenta il primo importante precedente in Italia, dopo l’introduzione, con legge n. 124/15 (art. 3), dell’art. 17 bis della legge n. 241/90 (avente ad oggetto  "Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. Silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici"), in relazione allo speciale procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica di cui all’art. 167 del d.lgs. n. 42/04.

La sentenza ha il merito di aver dato risposta, con motivazione lucida e tranchant, al tema, tuttora oggetto di dibattito interpretativo, dell’applicazione ai beni paesaggistici dell’istituto del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni.

Nel caso esaminato dal TAR, il comune aveva accertato e sanzionato, con un ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, l’abusiva trasformazione, ad opera di un privato, del lastrico solare di un locale ad uso deposito in terrazza praticabile mediante la realizzazione di “pavimentazione con sottostante massetto di pendenza e impermeabilizzazione” e la successiva apposizione di “ringhiera in ferro di protezione”.

Proposto tempestivo ricorso, l’interessato aveva impugnato, chiedendone l’annullamento per violazione di legge ed eccesso di potere, il silenzio rifiuto a suo dire formatosi in conseguenza dell’inutile decorso del termine di novanta giorni assegnato alla Soprintendenza dall’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/04 per la formulazione del parere sulla istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica presentata - per le opere sanzionate - “ai sensi dell'art. 167, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42/04”.

Aveva rappresentato, in fatto, il ricorrente che, dopo che il responsabile dello sportello unico per l'edilizia del comune aveva espresso parere di conformità ai fini urbanistici alla sanatoria delle opere ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/01, anche il responsabile per il paesaggio del medesimo ente aveva, dal canto suo, formulato proposta di accoglimento, considerato che l'intervento rientrava “nella fattispecie prevista dall'art. 167 comma 4 del d.lg.vo 42/2004”, e disposto, conseguentemente, la trasmissione alla Soprintendenza di “copia dell'istanza (...) per il parere vincolante”.

Il TAR ha rigettato il ricorso, avendo condivisibilmente ritenuto che, in tali casi, il comportamento inerte della Soprintendenza a fronte della trasmissione dell’istanza da parte del comune non dà  luogo a silenzio rifiuto, in quanto, << a seguito dell’introduzione della disciplina contenuta nell’art. 17-bis della legge n. 241 del 1990, viene in rilievo un’ipotesi di silenzio assenso “orizzontale” tra PA, connesso al decorso dello speciale termine di novanta giorni, da ritenersi applicabile al caso di specie in quanto riferita (anche) alle autorizzazioni paesaggistiche in procedimento caratterizzato da una fase decisoria pluristrutturata, subordinata ad acquisire un parere vincolante >>.

Tale ultimo passaggio assume particolare rilevanza, poiché il TAR conferma, ove mai ce ne fosse ancora bisogno, che la nuova disciplina - già da tempo efficace, atteso che la disposizione dell’art. 17 bis è entrata in vigore il 28 agosto 2015 - trova piena applicazione anche alla materia del paesaggio notoriamente sottratta in precedenza a misure di semplificazione amministrativa (come si ricava dall’inequivoco tenore delle disposizioni del Codice del 2004, che aveva abrogato le norme sul silenzio assenso introdotte dalla riforma c.d. "Bassanini" di cui alla legge n. 127 del 1997, art. 12, commi 5 e 6, della legge n. 127 del 1997, recepite dall’art. 24 del d.lgs. n. 490 del 1999).

Nel suo approdo interpretativo, il TAR suggella, peraltro, implicitamente anche la piena legittimità degli indirizzi applicativi diramati a caldo dal MiBACT con circolare del 10 novembre 2015, prot. n. 27158.

La circolare in questione, dopo aver premesso, in generale, che l'istituto del silenzio assenso, di natura endoprocedimentale, nasce quale forma di semplificazione amministrativa, finalizzata a garantire il buon andamento per mezzo di un'accelerazione dell'attività amministrativa, costituendo, secondo la giurisprudenza, un "modello procedimentale semplificato", in virtù del principio dell'obbligo di conclusione del procedimento entro un termine certo, e che tale modello “procedimentale” dà luogo ad un meccanismo di "tipizzazione" legale del silenzio dell'amministrazione, evidenzia che, per il comma 3 dell'art. 3 della legge n. 124 del 2015 (secondo periodo), "in tali casi, ove disposizioni di legge o i provvedimenti di cui all'articolo 2 non prevedano un termine diverso, il termine entro il quale le amministrazioni competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta è di novanta giorni dal ricevimento della richiesta da parte dell'amministrazione procedente".

La locuzione "termine diverso", adoperata dalla legge, fa sì che restino in vigore e prevalgano, in quanto norme speciali, secondo la riferita opzione interpretativa, quelle che prevedono non solo termini più lunghi (rispetto al termine generale di novanta giorni) ma anche quelle che prevedono termini speciali più brevi (come il termine di quarantacinque giorni previsto per il parere del Soprintendente nell'ambito del procedimento volto al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica a regime, in base all'art. 146, comma 8, del Codice, oppure il termine di trenta giorni per il medesimo procedimento nel caso di interventi di lieve entità, ai sensi e per gli effetti del d.P.R. n. 139 del 2010).

La circolare precisa, infine, che trova applicazione il nuovo art. 17 bis in tutti i casi in cui la domanda provenga da una pubblica amministrazione, anche se tale domanda abbia ad oggetto un’autorizzazione paesaggistica e il destinatario finale dell'atto titolare della posizione soggettiva condizionata al previo atto di assenso sia un privato, a nulla rilevando che la domanda di quest’ultimo sia intermediata e veicolata dallo sportello unico comunale.

Tale conclusione è stata successivamente confermata sia dal parere del Consiglio di Stato del 13 luglio 2016, n. 1640, che ha anche determinato il MiBACT a diramare nuovi indirizzi, ad integrazione di quelli resi in precedenza, con circolare del 20 luglio 2016 (con la quale viene ribadito che il silenzio assenso c.d. "orizzontale" opera in tutti i procedimenti che prevedano una fase co-decisoria necessaria di competenza di altra amministrazione, qualunque sia la natura del provvedimento finale che conclude il procedimento), sia dal T.A.R. Sardegna, Sez. II, nella sentenza chiarificatrice dell’8 giugno 2017, n. 394 (le cui conclusioni prescindono "dalla rilevanza e dalla portata che si volesse assegnare alla sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 189 del 2016").

 

2. L’applicabilità del silenzio assenso nel procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica con fase co-decisoria pluristrutturata (art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004)

 

Il principio affermato dal TAR Campania nella sentenza in commento rispecchia fedelmente l’attuale ordito normativo circa gli effetti del “silenzio” anche per quanto attiene allo speciale procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica

Infatti, l’art. 146, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004, dopo aver stabilito che l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio, prevede che, al di fuori dei limitati casi di cui all'articolo 167, commi 4 e 5, l'autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi.

L’art. 167, comma 4, riconosce, invece, la possibilità di procedere, in via eccezionale, all’accertamento a posteriori della compatibilità paesaggistica, secondo la scansione procedimentale indicata nel successivo comma 5, solo nei seguenti casi:

- per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;

- per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;

- per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Se le opere rientrano in una delle tipologie indicate, il comma 5 dell’art. 167 prevede, altresì, che « il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi … presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione ».

Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con sentenza n. 1935 del 13 maggio 2016, depositata il 25 febbraio 2018, ha affermato, con riferimento al caso di un parere negativo rilasciato nel giugno 2010 e, dunque, in presenza di un quadro normativo del tutto diverso poiché relativo ad epoca di gran lunga  antecedente alla entrata in vigore del citato art. 17 bis della legge n. 241/90, che, « qualora non sia rispettato il termine di novanta giorni stabilito dall’art. 167, comma 5, del Codice per il paesaggio, il potere dell’Amministrazione statale continua a sussistere … ma l’interessato può proporre ricorso al giudice amministrativo per contestare l’illegittimo silenzio-inadempimento dell’organo statale (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4656 del 18 settembre 2013) ».

La perentorietà del termine riguarda, invero, « non la sussistenza del potere, ma l’obbligo di concludere la fase del procedimento (obbligo che, se rimasto inadempiuto, può essere dichiarato sussistente dal giudice, con le relative conseguenze) ».

Quindi, « nel caso di superamento del medesimo termine (così come avviene nel caso di superamento del termine di centottanta giorni, fissato dallo stesso art. 167, comma 5, per la conclusione del procedimento, nonché nel caso di superamento di quello di quarantacinque giorni, fissato dall’art. 146, comma 5), il Codice non ha determinato né la perdita del relativo potere né alcuna ipotesi di silenzio qualificato o significativo (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4656 del 18 settembre 2013 cit.).

La giurisprudenza più recente di questa Sezione, nell’esaminare la disposizione dettata dall’art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica nel procedimento ordinario, ha poi anche sostenuto che, decorso il termine assegnato, l’organo statale conserva la possibilità di rendere il parere ma il parere espresso tardivamente perde il suo valore vincolante e deve essere quindi autonomamente e motivatamente valutato dall’amministrazione preposta al rilascio del titolo (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2136 del 27 aprile 2015) ».

Superando la disposizione contenuta nel testo previgente e gli stessi principi affermati dal Consiglio di Stato nella predetta sentenza n. 1935/16, la norma dell’art. 17 bis non prevede esclusioni di sorta, né contiene specifiche previsioni in ordine al procedimento disciplinato dall’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, limitandosi a stabilire, come sopra ricordato, che le disposizioni sulla formazione del silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche « si applicano anche ai casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nullaosta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubbliche. In tali casi, ove disposizioni di legge o i provvedimenti di cui all'articolo 2 non prevedano un termine diverso, il termine entro il quale le amministrazioni competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta è di novanta giorni dal ricevimento della richiesta da parte dell'amministrazione procedente. Decorsi i suddetti termini senza che sia stato comunicato l'assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito » [comma 3 dell’art. 17-bis cit.] (v., sul punto, anche TAR Campania Napoli, Sez. IV, sentenza n. 5499 del 18 luglio 2018, depositata il 10 settembre 2018).

Del medesimo parere, del resto, è anche il MiBACT che, nella circolare del 10 novembre 2015 innanzi citata, evidenzia che il criterio di applicabilità del nuovo silenzio assenso ai rapporti con i privati vale, oltre che per la gestione delle pratiche relative ai condoni edilizi, anche per “la sanatoria paesaggistica (nei limiti) di cui all'art. 167, comma 4, del codice”.

In entrambi i casi, infatti, il procedimento è rivestito “dell'involucro formale del parere dell'autorità preposta alla gestione del vincolo”.

È innegabile, poi, come sottolineato dal TAR nella sentenza in rassegna, che il procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica sia di tipo “pluristrutturato”, risultando anche quest’ultimo, come quello “a regime” di cui all’art. 146, caratterizzato da evidente co-gestione del vincolo tra la Soprintendenza e la Regione o ente territoriale subdelegato.

Ad identica conclusione si perviene, infine, anche con riferimento all’autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità sottoposti a procedimento semplificato.

Per tali interventi, infatti, l’art. 11, comma 9, del d.P.R. n. 31 del 2017 prevede espressamente che, in caso di mancata formulazione del parere del Soprintendente entro 20 giorni dalla richiesta della Regione o del comune da essa delegato, si forma “il silenzio assenso ai sensi dell’art. 17-bis della legge 7 agosto 1990 n. 241 e successive modificazioni e l’amministrazione procedente provvede al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica”.

 

3. L’erronea decisione sul tema del TAR Molise (Sez. I, 8 maggio 2019, n. 179)

 

Sul tema si registra una sentenza del TAR Molise di segno completamente opposto rispetto alla innovativa pronunzia del TAR Campania, di poco antecedente a quest’ultima, risultando depositata il 15 maggio 2019.

In tale sentenza, i giudici molisani affermano che, “nel caso in cui sia stata presentata una richiesta di sanatoria, il superamento del termine di novanta giorni di cui all'art. 167, co. 5, del d.lgs. 42/2004, previsto per la valutazione di compatibilità paesaggistica, comporta per l'interessato la possibilità di proporre ricorso avverso il silenzio dell'Amministrazione, ma non rende illegittimo il parere tardivo. Invero, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha costantemente affermato che “qualora non sia rispettato il termine di novanta giorni assegnato dall'art. 167, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio, per la valutazione di compatibilità paesaggistica delle opere per le quali è stata chiesta la sanatoria, il potere dell'organo ministeriale continua a sussistere, ma l'interessato può proporre ricorso al giudice amministrativo, per contestare l'illegittimità dell'inerzia. La perentorietà del termine riguarda, in altre parole, non la sussistenza del potere, ma l'obbligo di concludere la fase del procedimento, obbligo che, ove rimasto inadempiuto, può essere dichiarato sussistente dal giudice, con le relative conseguenze (Consiglio di Stato, Sez. VI, 06/02/2019, n. 895)”.

Tale decisione è chiaramente erronea in quanto ignora sorprendentemente il disposto del sopravvenuto art. 17 bis della legge n. 241/90 (pur menzionato en passant in altro passaggio della sentenza ma solo per dedurre l’inapplicabilità del nuovo istituto del silenzio in caso di preavviso di rigetto) che legittima, come si è visto, l'espressione della volontà procedimentale anche attraverso l'inerzia prolungata entro il termine assegnato, non essendo più la motivazione esplicita richiesta come elemento strutturale dell'atto e potendosi - anzi -  ritenere la motivazione stessa  insita - sul piano empirico - nell'adesione implicita allo schema di provvedimento formulato dall'amministrazione procedente.

Né può indurre a contrarie conclusioni il richiamo operato dal TAR alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, del 6 febbraio 2019, n. 895, secondo cui, << qualora non sia rispettato il termine di novanta giorni assegnato dall’art. 167, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio, per la valutazione di compatibilità paesaggistica delle opere per le quali è stata chiesta la sanatoria, il potere dell’organo ministeriale continua a sussistere, ma l’interessato può proporre ricorso al giudice amministrativo, per contestare l’illegittimità dell’inerzia. La perentorietà del termine riguarda, in altre parole, non la sussistenza del potere, ma l’obbligo di concludere la fase del procedimento, obbligo che, ove rimasto inadempiuto, può essere dichiarato sussistente dal giudice, con le relative conseguenze (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 13 maggio 2016, n. 1935; Consiglio di Stato sez. III, 26 aprile 2016, n.1613; Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 settembre 2013, n. 4656). L’art. 20 della legge n. 241 del 1990, del resto, esclude dall’ambito di applicazione del silenzio-assenso i procedimenti «riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico». In definitiva, il superamento del sopra richiamato termine di novanta giorni consente all’interessato di proporre il ricorso previsto dall’art. 117 del c.p.a. avverso il silenzio dell’amministrazione >>.

Tale pur autorevole precedente, infatti, è riferito ad una vicenda che trae origine da una istanza di compatibilità paesaggistica presentata dall’interessato in data 29 febbraio 2008, allorquando, cioè, la legge Madia era (oltremodo) di là da venire.

 

4. L’esclusione del silenzio assenso nel procedimento c.d. “verticale” o “monostrutturato”: la sentenza Fidenzio della Corte di Cassazione, Sez. III pen., del 9 aprile 2019, n. 15523

 

Quanto appena evidenziato in ordine alla operatività del silenzio assenso nel procedimento tra pubbliche amministrazioni (regione o comune subdelegato, da una parte, e Soprintendenza dall’altra) con fase co-decisoria pluristrutturata, non vale nel rapporto "a valle", di tipo "verticale", tra l'autorità preposta alla gestione del vincolo (regione o comune subdelegato) e il privato che ha chiesto l'autorizzazione paesaggistica.

Nel procedimento c.d. “verticale” o “monostrutturato”, nel quale la domanda proviene direttamente dal privato e non da amministrazioni pubbliche, resta, infatti, applicabile l’art. 20 della legge n. 241/90, che esclude espressamente, al comma 4, il silenzio assenso per gli "atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico".

Anche a seguito dello ius superveniens di cui alla richiamata legge Madia, ai procedimenti ad istanza di parte privata continua, pertanto, ad applicarsi il previgente regime, ivi compreso l'obbligo di conclusione del procedimento previsto dall'art. 2 della citata legge n. 241 del 1990, anche nei casi di manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, ipotesi in cui il procedimento sarà concluso con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata.

Il silenzio assenso non potrà trovare applicazione anche nei casi in cui il privato chiede di essere autorizzato ad eseguire interventi, anche di natura conservativa, su un immobile vincolato come bene culturale, ossia su un bene che presenta interesse storico-artistico.

In tale ipotesi, infatti, come previsto dall’art. 21 del d.lgs. n. 42/04, “l’esecuzione di opere è subordinata ad autorizzazione del Soprintendente”.

Ove questa non intervenga nel termine prefissato (“di centoventi giorni dalla ricezione della richiesta da parte dellaSoprintendenza”), il successivo art. 22 stabilisce che il privato interessato può solo diffidare l’amministrazione a provvedere e successivamente agire, se questa ancora non provvede, “nei trenta giorni successivi al ricevimento della diffida”, ai sensi “dell’art. 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni”.

In buona sostanza, il silenzio dell’amministrazione, avendovi il legislatore attribuito valore e significato di rifiuto (silenzio-inadempimento), non potrà mai valere, in tali situazioni, quale silenzio assenso, nè, d’altronde, può sostenersi che la citata disposizione sia stata tacitamente abrogata dal successivo art. 17 bis per l’assorbente motivo che, in materia, la gestione del bene (culturale) ad opera della Soprintendenza è di tipo “verticale” e, dunque, “monostrutturata”, essendo esclusa ogni co-gestione del relativo potere con la regione o il comune subdelegato.

Tali conclusioni hanno trovato - di recente - ulteriore conferma nella sentenza della Corte Suprema di Cassazione, Sez. III pen., del 9 aprile 2019, n. 15523.

La questione della quale si è occupata la Corte è stata se l'autorizzazione paesaggistica prevista per la realizzazione di opere edilizie in aree sottoposte a vincolo, e per le quali è necessaria la segnalazione certificata di inizio di attività, possa intendersi rilasciata per effetto del silenzio della pubblica amministrazione competente.

Tale questione è stata risolta negativamente alla luce delle seguenti disposizioni, la cui formulazione letterale non ammette, del resto, diverse interpretazioni:

a) art. 20, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001, rubricato « Procedimento per il rilascio del permesso di costruire », il quale, al comma 8, nel testo attualmente vigente, per effetto, da ultimo, delle modifiche recate dall'art. 2, comma 1, lett. b), n. 4, d.lgs. 30 giugno 2016, n. 127, prevede: « Decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all'assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 »;

b) art. 22 del d.P.R. n. 380 del 2001, rubricato «Interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività», il quale, al comma 5, nel testo attualmente vigente, per effetto, da ultimo, delle modifiche recate dall'art. 3, comma 1, lett. f), n. 5, d.lgs. 25 novembre 2016, n. 222, prevede: « La realizzazione degli interventi di cui al presente Capo che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica, paesaggistico-ambientale o dell'assetto idrogeologico, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative. Nell'ambito delle norme di tutela rientrano, in particolare, le disposizioni di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 [poi sostituito dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42] »;

c) art. 23-bis d.P.R. n. 380 del 2001, rubricato « Autorizzazioni preliminari alla segnalazione certificata di inizio attività e alla comunicazione dell'inizio dei lavori », che, a norma del comma 3, si applica anche agli interventi subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata, prevedendo,  in ogni caso, la necessità di «acquisizione di tutti gli atti di assenso, comunque denominati, necessari per l'intervento edilizio».

Dal combinato disposto di queste previsioni, secondo la Corte, “sembra corretto desumere che, quando si intende realizzare un intervento edilizio per il quale è necessario il permesso di costruire o la segnalazione certificata di inizio di attività, riguardanti immobili sottoposti a tutela paesaggistica o ambientale, è necessario acquisire preventivamente il parere o l'autorizzazione prevista dalle specifiche discipline di salvaguardia, e, inoltre, che l'istituto del silenzio assenso non opera con riferimento agli atti e procedimenti riguardanti la tutela del patrimonio paesaggistico o dell'ambiente”.

La soluzione indicata risulta - a ben vedere - perfettamente in linea con l'elaborazione della giurisprudenza precedentemente formatasi in materia ed è stata anche ulteriormente normata dal c.d. Collegato Ambientale approvato con legge n. 221/15 (art. 54), che ha modificato l’art. 20 della legge n. 241/90, il cui comma 4 prevede, appunto, che “le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la tutela dal rischio idrogeologico (...)”.

Va, infatti, ricordato, in termini generali, che, in tema di tutela del paesaggio, il provvedimento autorizzatorio previsto dalla legislazione di settore deve avere forma espressa, atteso che il silenzio dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo non può avere valore di assenso stante la necessità di valutare da parte della P.A. equilibri diversi e tenere conto del concorso di competenze statali e regionali (Cass. pen., Sez. III, 28 febbraio 2004, n. 38707, Loprieno).

L’identico principio è stato, inoltre, affermato anche con riferimento alla definizione di pratiche edilizie mediante sanatoria, precisandosi, in particolare, che “la speciale causa di estinzione del reato paesaggistico introdotta dall'art. 39, comma 8, della legge n. 724/94, è subordinata, in caso di opere eseguite in zona vincolata, al conseguimento delle autorizzazioni delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, non essendo applicabile la procedura del silenzio assenso, prevista dal comma 4 della medesima disposizione, che si riferisce alla sola ipotesi di violazioni edilizie eseguite in zona non vincolata” (così, per tutte, Cass. pen., Sez. III, 16 maggio 2018, n. 30059, Quartucci).

 

5. Quid iuris in ordine agli effetti del parere della Soprintendenza intervenuto oltre il termine?

 

La risposta al quesito è che la mancata osservanza, da parte della Soprintendenza, del termine perentorio previsto ex lege per il rilascio del parere di compatibilità paesaggistica non determina la giuridica inesistenza del parere reso oltre tale termine, ma semplicemente la perdita del carattere vincolante impressogli dalla legge.

Tale parere, infatti, secondo la prevalente giurisprudenza, “pur collocandosi al di fuori del quadro normativo, costituisce sempre un elemento del procedimento che l’amministrazione deve valutare, potendosene motivatamente discostare” (Cons. Stato, Sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2136; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 24 gennaio 2014, n. 252; T.A.R. Campania Salerno, Sez. I, 4 luglio 2014, n. 1195).

Per la soluzione della problematica, oggetto di acceso dibattito, sono state, invero, ipotizzate tre opzioni (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 28 ottobre 2015, n. 4927):

a) - secondo una prima tesi, in siffatte ipotesi dovrebbe concludersi nel senso dell’intervenuta consumazione del potere per l’organo statale di rendere un qualunque parere vincolante o non vincolante (che - se reso - verrebbe considerato giuridicamente inesistente);

b) in base a un secondo orientamento, nelle medesime ipotesi dovrebbe concludersi nel senso della permanenza in capo alla Soprintendenza del potere di esprimere un parere di carattere comunque vincolante (dovendosi in particolare riconoscere carattere meramente ordinatorio al richiamato termine): tesi che, tuttavia, finirebbe per confliggere oggi con il silenzio assenso che la legge n. 124 del 2014 ritiene invece formato una volta decorso il termine predeterminato per legge;

c) in base a una terza opzione interpretativa, nelle predette ipotesi non potrebbe escludersi in radice la possibilità per l’organo statale di rendere un parere in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’intervento: parere che, tuttavia, perderebbe il carattere di vincolatività e dovrebbe essere autonomamente valutato dall’amministrazione deputata all’adozione dell’atto autorizzatorio finale.

Tra le varie tesi ritengo che la più convincente sia quella mutuata dalla giurisprudenza sopra citata.

Infatti, ove il parere negativo della Soprintendenza venga espresso quando il relativo termine di legge è scaduto, il comune - nell’assumere la decisione finale - deve considerare quel parere (ancorché non vincolante) alla stregua di mero dato istruttorio e perciò esprimere una propria valutazione, congruamente motivata, in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’intervento proposto.

In altri termini, quel parere non è inutiliter datum o - se si vuole - giuridicamente inesistente.

Esso cessa solo di essere vincolante per cui il comune - che deve, a quel punto, valutarlo criticamente e motivatamente - se ne può discostare dando puntualmente conto delle ragioni per cui ritenga di farlo, dal momento che si tratta pur sempre del parere proveniente dall’organo alla cui volontà la legge - nel sistema di co-gestione del vincolo - dà chiaramente prevalenza per la qualificazione tecnica nella materia di riferimento (cfr., in tema, anche T.A.R. Lazio Latina, Sez. I, 23 settembre 2015, n. 634 e T.A.R. Sardegna, Sez. II, 20 gennaio 2016, n. 41).

 

6. Conclusioni

 

Tirando le fila del complessivo ragionamento, nel procedimento orizzontale pluristrutturato (relativo a “rapporti tra pubbliche amministrazioni”, come quello tra regione o comune subdelegato, da una parte, e Soprintendenza dall’altra, nel procedimento di condono edilizio o di accertamento di compatibilità paesaggistica), trova applicazione l’art. 17 bis della legge n. 241/90, che ha introdotto l’istituto del silenzio assenso, cui è stato riconosciuto un triplice fondamento:

- eurounitario, perché viene ricondotto al “principio della tacita autorizzazione” introdotto dalla c.d. Direttiva Bolkestein (considerando 43, art. 13, par. 4);

- costituzionale, perché si ricollega al principio di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost., inteso nell’ottica di assicurare il ‘primato dei diritti’ della persona, dell’impresa e dell’operatore economico;

- sistematico, con riferimento al principio di trasparenza (anch’esso desumibile dall’art. 97 Cost.) che, soprattutto dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, informa l’intera attività amministrativa come principio generale.

In pratica, mentre sulla richiesta di parere rivolta dalla regione o dal comune subdelegato alla Soprintendenza si forma il silenzio assenso, una volta decorso il termine di legge a far data dalla ricezione della richiesta stessa (45 giorni in caso di condono edilizio e 90 giorni in caso di accertamento di compatibilità paesaggistica), come previsto dall’art. 17 bis della legge n. 241/90, nel diverso caso della richiesta di autorizzazione paesaggistica, atto di chiusura del relativo procedimento (recte: subprocedimento) - si tratti di condono edilizio o di accertamento di compatibilità paesaggistica - di competenza della regione o del comune subdelegato, il silenzio equivale, invece, a rifiuto e non ad assenso, come ribadito anche dal Collegato Ambientale approvato con legge n. 221 del 2015, che ha modificato l’art. 20 della legge n. 241/90.

In tale ipotesi, infatti, si è in presenza di procedimento “verticale” di tipo “monostrutturato”, all’esito del quale l’autorizzazione paesaggistica va rilasciata espressamente, come già previsto anche dal regime previgente (art. 146 del d.lgs. n. 42/04 e, prim’ancora, art. 7 l. n. 1497/39).