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Il viaggio della montagna di marmo: “il Toro farnese”

Saverio Della Gatta, Il Toro farnese nella Villa Reale, Napoli, Museo di San Martino
Saverio Della Gatta, Il Toro farnese nella Villa Reale, Napoli, Museo di San Martino

Il gruppo scultoreo del “Toro farnese”, attualmente esposto al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, giunse a Napoli da Roma nel 1788 e venne collocato in un primo momento su un alto basamento al centro di una fontana sul viale principale del Real Passeggio di Chiaia, come si evince dalle vedute d'epoca, oggi la Villa comunale di Napoli.

La più grande scultura in marmo dell'antichità, dalla caratteristica composizione piramidale, alta quasi 4 metri e larga 3, il cui peso può essere calcolato in circa 90 tonnellate, giunse a destinazione dopo un lungo viaggio via mare, non certo privo di incidenti, che richiese più tempo di quanto originariamente preventivato da Domenico Venuti. Quest'ultimo, Soprintendente alle Antichità del Regno delle Due Sicilie e Intendente della Real Fabbrica di Porcellana, aveva completato nel 1783 col pittore Philipp Hackert l'inventario delle “sculture antiche esistenti in Roma negli edifici Farnesiani appartenenti alla M. S.”. Egli aveva descritto il “Toro farnese”, sostenendo che “Se sua Maestà vorrà arricchire il suo Museo in Napoli, e di rendere anche in questo il suo nome immortale, si può fare benissimo, e da quello che ho potuto destramente informarmi, la spesa non è spaventevole e la gloria di ciò sarebbe infinita”.

Osservazioni fatte dal cav. Venuti sulle sculture antiche esistenti in Roma negli edifici Farnesiani, 1783
Osservazioni fatte dal cav. Venuti sulle sculture antiche esistenti in Roma negli edifici Farnesiani, 1783

Grazie ai documenti in parte inediti conservati presso l'Archivio di Stato di Napoli, è stato possibile ripercorrere il viaggio di questa gigantesca opera d'arte, ricostruendone le travagliate vicende.

“Quel maraviglioso monte di marmo, e di un pezzo solo ove è figurata la favola di Dirce” - così descritto dal pittore Federico Zuccaro nella sua Idea dei pittori, scultori e architetti nel 1607 - fu rinvenuto nel 1565 nella palestra delle Terme di Caracalla a Roma, grazie agli scavi promossi da papa Paolo III Farnese.

Dopo il rinvenimento, il gruppo scultoreo fu trasportato a Palazzo Farnese ma non venne mai esposto a causa del suo stato frammentario. Paolo III approvò il progetto di Michelangelo che ne prevedeva l'impiego come fontana: questo non fu mai realizzato e il gruppo restò in un deposito di frammenti scultorei, fino a quando nel maggio del 1788 non venne deciso il suo trasferimento a Napoli da parte di Ferdinando IV, malgrado l'opposizione del Papa. Il trasferimento delle sculture da Palazzo Farnese e dalle altre residenze farnesiane, come Villa Madama, Farnesina, Horti Farnesiani, insieme a marmi, dipinti, disegni, incisioni, manoscritti e libri, gemme e monete, si inserisce nel crescente clima di tensione che si venne a creare tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli nella seconda metà del '700. Nel 1788, infatti, il segretario di Stato degli affari esteri, Domenico Caracciolo, ordinò al regio incaricato a Roma di offrire il solo censo e non anche il cavallo, che invece il Re di Napoli era solito presentare al Pontefice, in segno di omaggio feudale, la cosiddetta chinea.

Le spedizioni delle collezioni farnesiane verso Napoli erano già iniziate dal 1786. Già l'anno successivo, a proposito di un'altra scultura farnese, Johan Wolfgang von Goethe nel suo Viaggio in Italia aveva scritto sintetizzando una buona parte dell'opinione pubblica colta: “Roma sta per perdere un grande capo lavoro dell'arte antica. Il re di Napoli intende fare trasportare colà nel suo palazzo l’Ercole Farnese. Tutti gli artisti ne sono accorati, ma intanto avremo occasione di vedere quanto rimase nascosto ai nostri predecessori.”

Il 17 maggio del 1788 anche il gruppo scultoreo del Toro farnese, suscitando grande curiosità, fu imbarcato sul Tevere: “Il Toro farnese è finalmente imbarcato. I curiosi e gli amatori delle belle arti lo cercheranno di qui innanzi sul Sebeto, Il Tevere lo ha perduto per sempre.” 

Da una relazione del 12 agosto 1788 del Venuti indirizzata al generale Acton, Segretario di Stato di Guerra e Marina, in merito alla supplica del proprietario della nave, Bernardo Triscornia, che aveva dovuto modificare il boccaporto per accogliere a bordo la grande scultura di marmo, veniamo a sapere che ci furono false denunce dirette contro il proprietario circa l'impossibilità che il suo bastimento potesse essere adatto al trasporto del gruppo marmoreo, “e questo comportò una ben lunga permanenza in Ripa grande a Roma”. A impresa conclusa, uno dei padroni della nave, Agostino Triscornia fu costretto a rimanere a Napoli durante tutta l'estate del 1788 per le opportune riparazioni della nave e ancora a fine luglio supplicava “per titolo di carità” presso la Corte il risarcimento dei danni subiti per riparare un albero della nave.

La nave in questione, un pinco, ovvero un tipo di nave mercantile a tre alberi a vela latina con prua a sperone e poppa a specchio era denominata la Concenzione e apparteneva al padron Bernardo Triscornia. Aveva una capacità di carico di tomola 2000 e un equipaggio composto da 11 marinari.

Dispaccio sulla supplica di Agostino Triscornia,11 settembre 1788
Dispaccio sulla supplica di Agostino Triscornia,11 settembre 1788
Jean-Jérôme Baugean, Pinco genovese, 1826
Jean-Jérôme Baugean, Pinco genovese, 1826

Anche Domenico Venuti confermava “l'essersi tre volte arenato il suo bastimento nel Tevere entrovi il mentovato Toro… quanto il medesimo dovette fermarsi a Fiumicino ad aspettare la corvetta napoletana che dovea scortare.” Tutto ciò comportò un ritardo di circa un mese nel trasporto del gruppo marmoreo.

Il pinco, finalmente, ripartì da Fiumicino il 23 maggio 1788. Le 110 miglia marine che separano Fiumicino da Mergellina vennero coperte in tre giorni di navigazione, così il 25 maggio la nave con il Toro Farnese raggiunse il porto di Napoli, scortata dalla corvetta militare La Flora.

Il giorno dopo l'arrivo a Napoli, l'architetto Carlo Vanvitelli, dopo aver verificato le condizioni dell'opera, chiese al Maggiordomo maggiore, Antonio Pignatelli, di poter trasportare nel passeggio di Chiaja e di avvalersi del primo nostromo Saverio Rocca, uomo di esperimentata e somma abilità, quell'istesso che in Roma lo imbarcò; chiese anche al generale Acton “ tutti gli attrezzi, maestranza, consistente in un mastrodascia e un calafato, legnami e tre pezzi per formar la capra, cinque argani, numero 15 falanche e il sandalo grande per trasportar detto gruppo dal molo sino all'imbarcadero di Mergellina e tutt'altro che possa bisognare per detta operazione, come ancora numero quaranta di forzati e scapoli per aiutare a voltar gli argani e numero dodici uomini di truppa col sergente e caporale per impedire che il popolo non interrompa il travaglio.” John Francis Acton fornì i mezzi richiesti.

L'opera rimarrà nel Real Passeggio di Chiaia e resterà  lì esposta alle intemperie, per più di trent’anni. Solo nel 1823 il Re prende la decisione di collocare il Toro farnese nel Real Museo Borbonico.

 

Per saperne di più:

Documenti

ASNA, Archivio Farnesiano, b.1258 III, 13

ASNA, Archivio Farnesiano, b. 1563 I

ASNA, Archivio Farnesiano, b. 1853 III, 13

ASNA, Segreteria di Guerra e Marina, b. 218, c. 97

ASNA, Segreteria di Guerra e Marina, b. 219, c. 282

ASNA, Segreteria di Guerra e Marina, b. 283, c. 70

ASNA, Segreteria di Guerra e Marina, b. 219, c. 281

ASNA, Ministero degli affari interni, II inventario, b. 2056, f. 80

ASNA, Intendenza di Napoli, III versamento, b. 3060, 5

ASNA, Intendenza di Napoli, III versamento, b. 3062, f. 10 e 11

Libri

Gasparri Carlo, La collezione Farnese, Napoli, 2009

Gasparri Carlo, (a cura di), Le sculture farnesi. Storia e documenti, Napoli, 2007

AA. VV., Il Toro Farnese, la “montagna di marmo” tra Roma e Napoli, Napoli, 1991

Correra, Luigi, Il Toro e l'Ercole Farnese, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, Roma, anno 28, 1900, pp. 44 – 53

video

CLICCA QUI per vedere il video dell’Archivio di Stato di Napoli.