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Incarichi dirigenziali a tempo determinato negli enti locali

Nota a Corte Costituzione, Sentenza 12 novembre 2010, n.324
Infondate le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni del d. Lgs. N. 150 del 2009, che prevedono limiti agli incarichi di dirigente pubblico a contratto, nonché l’obbligo di attivare la mobilità volontaria prima di indire concorsi pubblici

La Corte Costituzione con sentenza n. 324 del 3 novembre 2010, depositata il 12 novembre 2010, ha:

1) dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), promosse, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche;

2) dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 150 del 2009, promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo comma, e 119 della Costituzione, dalle Regioni Piemonte, Toscana e Marche;

3) dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009 promossa, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dalla Regione Toscana;

4) dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009 promossa, in riferimento all’art. 117, quarto comma, della Costituzione, dalla Regione Toscana.

1. LE QUESTIONI ESAMINATE DALLA CORTE COSTITUZIONALE

1.1 - CONFERIMENTO DI INCARICHI DI FUNZIONI DIRIGENZIALI

La Regione Piemonte aveva promosso, in riferimento all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40, comma 1, lettera f), «secondo capoverso», del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Decreto Brunetta), nella parte in cui ne estende l’efficacia alle Regioni e agli Enti Locali.

L’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce che il conferimento di incarichi di funzioni dirigenziali a soggetti esterni all’amministrazione può essere effettuato entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia e dell’8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia; non può prevedere una durata superiore ai tre anni per gli incarichi di segretario generale e di funzione dirigenziale di livello generale e di cinque anni per gli altri incarichi dirigenziali; deve avvenire, dietro specifica motivazione, a favore di persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione, che possano dimostrare il possesso di specifiche esperienze; può prevedere l’integrazione del trattamento economico tramite un’indennità commisurata alla specifica qualificazione professionale, tenendo conto della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Il successivo comma 6-bis dispone che, per il calcolo delle percentuali di cui sopra, si deve operare un arrotondamento all’unità inferiore, se il primo decimale è inferiore a cinque, o all’unità superiore, se esso è uguale o superiore a cinque.

Ad avviso della Regione Piemonte, quelle appena richiamate sono disposizioni che attengono esclusivamente alle modalità di accesso all’impiego pubblico, disciplinando, tra l’altro con norme di estremo dettaglio, la particolare fattispecie dell’affidamento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’amministrazione.

La norma statale impugnata, estendendo tali disposizioni alle Regioni, violerebbe pertanto l’art. 117, quarto comma, Cost., poiché la materia delle modalità di accesso all’impiego pubblico regionale rientra in quella dell’autonomia dell’organizzazione amministrativa regionale la quale appartiene alla competenza residuale esclusiva regionale.

La ricorrente aggiunge che lo stesso d.lgs. n. 150 del 2009 riconosce che la materia dell’attribuzione degli incarichi di funzioni dirigenziali non è compresa tra quelle di competenza legislativa statale, né tra quelle ripartite. Il censurato art. 40, infatti, non è incluso dall’art. 74, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 150 del 2009 tra quelli riconducibili alla potestà legislativa statale di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione.

La Regione Piemonte sostiene, in via subordinata, che la norma impugnata sarebbe illegittima anche se si dovesse ritenere che essa rientri nelle competenze legislative concorrenti di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

Essa, infatti, non detta principi fondamentali, ma scende nel dettaglio, fissando la percentuale di incarichi dirigenziali esterni attribuibili dalle amministrazioni regionali nonché la loro durata massima, senza lasciare alle Regioni alcuno spazio di autonoma scelta e dettando direttamente la regola applicativa.

Anche la Regione Toscana aveva promosso, in riferimento agli artt. 76, 97, 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40 del d.lgs. n. 150 del 2009, nella parte in cui introduce il comma 6-ter nell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001.

La Regione Toscana nel ricorso lamenta che esso, introducendo nell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 il comma 6-ter, estende alle Regioni la disciplina del conferimento degli incarichi dirigenziali di cui al comma 6 del predetto art. 19 e, in particolare, la previsione per cui detti incarichi possono essere conferiti a tempo determinato solo entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia e dell’8 per cento a quelli della seconda fascia dei ruoli dirigenziali.

Così disponendo, la norma contrasterebbe con l’art. 117, quarto comma, Cost., poiché essa atterrebbe alla materia dell’ordinamento del personale e dell’organizzazione amministrativa regionale riservata alla competenza esclusiva delle Regioni.

Ad avviso della difesa regionale, la norma impugnata non è giustificata da alcun titolo di competenza statale. In particolare, non potrebbe sostenersi che essa sia finalizzata a garantire l’osservanza dei principi di trasparenza e di efficacia dell’attività amministrativa: in primo luogo perché il limite del 10 per cento non garantisce di per sé il rispetto dei canoni suddetti; in secondo luogo, perché, laddove si affermasse il potere dello Stato di intervenire direttamente nell’organizzazione interna degli uffici regionali per il buon andamento dell’amministrazione, l’autonomia regionale verrebbe vanificata, poiché ogni disciplina dell’organizzazione amministrativa deve essere diretta attuazione dell’art. 97 della Costituzione.

L’art. 40 del d.lgs. n. 150 del 2009 non rientrerebbe neppure nella materia del coordinamento della finanza pubblica; infatti il conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato non provoca un aumento di spesa, poiché ad esso si ricorre per far fronte ad esigenze straordinarie e temporanee ovvero per garantire la continuità dell’azione amministrativa nel tempo necessario ad espletare i concorsi diretti a colmare i vuoti in organico. Comunque, seppure si ravvisasse nella norma censurata una finalità di contenimento della spesa, la medesima sarebbe comunque incostituzionale, perché non si presta in alcun modo, per il suo livello di dettaglio, ad individuare un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica quale limite complessivo della spesa corrente, ma, in ipotesi, inciderebbe su una voce di spesa, introducendo un vincolo puntuale e specifiche modalità del suo contenimento. Perciò, ove ritenuta giustificata da esigenze finanziarie, la norma determinerebbe un’inammissibile ingerenza nell’autonomia finanziaria regionale, con conseguente sua illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.

Infine, secondo la Regione Toscana, la norma impugnata lederebbe il principio di leale collaborazione ed i criteri direttivi della legge delega. Infatti, ai sensi dell’art. 2, comma 2, della legge 4 marzo 2009, n. 15 (Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e alla Corte dei conti), il decreto legislativo avrebbe dovuto essere adottato, per alcuni aspetti (tra i quali anche quello della dirigenza e, quindi, del conferimento degli incarichi dirigenziali), previa intesa con la Conferenza unificata Stato-Regioni e Autonomie locali o, quanto meno, per gli altri profili, con il parere della suddetta Conferenza. Invece la disposizione impugnata non è stata oggetto né di parere né di intesa con la Conferenza unificata, ma è stata inserita nel decreto dopo il parere espresso dal Senato, senza alcun coinvolgimento regionale. Sussisterebbe, pertanto, violazione (oltre che del principio di leale collaborazione) dell’art. 76 Cost., violazione che può essere fatta valere dalla Regione perché determina una menomazione delle competenze regionali costituzionalmente garantite in materia di organizzazione amministrativa ed ordinamento del personale.

1.2 - LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Secondo la Corte Costituzionale, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40, comma 1, lettera f), del decreto legislativo n. 150 del 2009, sollevate in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., non sono fondate.

La norma impugnata dispone l’applicabilità a tutte le amministrazioni pubbliche della disciplina dettata dall’art. 19, commi 6 e 6-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 in tema di incarichi dirigenziali conferiti a soggetti esterni all’amministrazione.

Si tratta di una normativa riconducibile alla materia dell’ordinamento civile di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni, disciplinato dalla normativa citata, si realizza mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato. Conseguentemente, la disciplina della fase costitutiva di tale contratto, così come quella del rapporto che sorge per effetto della conclusione di quel negozio giuridico, appartengono alla materia dell’ordinamento civile.

In particolare, l’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001 contiene una pluralità di precetti relativi alla qualificazione professionale ed alle precedenti esperienze lavorative del soggetto esterno, alla durata massima dell’incarico (e, dunque, anche del relativo contratto di lavoro), all’indennità che – a integrazione del trattamento economico – può essere attribuita al privato, alle conseguenze del conferimento dell’incarico su un eventuale preesistente rapporto di impiego pubblico e, infine, alla percentuale massima di incarichi conferibili a soggetti esterni (il successivo comma 6-bis contiene semplicemente una prescrizione in tema di modalità di calcolo di quella percentuale).

Tale disciplina non riguarda, pertanto, né procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso al pubblico impiego, né la scelta delle modalità di costituzione di quel rapporto giuridico. Essa, valutata nel suo complesso, attiene ai requisiti soggettivi che debbono essere posseduti dal contraente privato, alla durata massima del rapporto, ad alcuni aspetti del regime economico e giuridico ed è pertanto riconducibile alla regolamentazione del particolare contratto che l’amministrazione stipula con il soggetto ad essa esterno cui conferisce l’incarico dirigenziale.

Non sussiste, dunque, violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., appunto perché la norma impugnata non attiene a materie di competenza concorrente (coordinamento della finanza pubblica) o residuale regionale (organizzazione delle Regioni e degli uffici regionali, organizzazione degli enti locali), bensì alla materia dell’ordinamento civile di competenza esclusiva statale.

La stessa questione, sollevata in riferimento all’art. 76 Cost., è, invece, inammissibile.

Dato che nella fattispecie, non si verte in materia di organizzazione degli uffici regionali, bensì in materia di disciplina di contratti di diritto privato, rispetto alla quale sussiste esclusivamente competenza dello Stato, la pretesa violazione del parametro costituzionale invocato non comporterebbe lesione di alcuna attribuzione regionale. Da qui l’inammissibilità della censura.

1.3 L’OBBLIGO DI ATTIVARE LA MOBILITÀ VOLONTARIA PRIMA DI INDIRE CONCORSI PUBBLICI

La Regione Toscana sostiene nel ricorso che l’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009 contrasterebbe con gli artt. 97 e 117, quarto comma, della Costituzione.

La norma censurata sostituisce l’art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 in tema di mobilità volontaria tra le pubbliche amministrazioni, imponendo a tutte le amministrazioni, e dunque anche alle Regioni, prima di procedere all’espletamento di procedure concorsuali necessarie per coprire posti vacanti, di «rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta»; la norma aggiunge che «Il trasferimento è disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire».

La difesa regionale nega che sia possibile assimilare tale disposizione all’art. 34-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 che prevede, a carico di tutte le amministrazioni pubbliche, l’onere di comunicare al personale collocato in disponibilità ovvero interessato ai processi di mobilità previsti dalle leggi e dai contratti collettivi l’esigenza di assunzione. Tale norma, infatti, mira a consentire al personale – che rischia di perdere il lavoro in quanto «in disponibilità» per mancanza di posti – di ritrovare una collocazione in altre amministrazioni. In considerazione di tale finalità di tutela del lavoro, la Corte costituzionale (sentenza n. 388 del 2004) ha ritenuto la disposizione non invasiva delle competenze regionali in materia di organizzazione ed ordinamento del personale, essendo piuttosto diretta a promuovere, nel settore del pubblico impiego, condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro di cui all’art. 4 Cost. e a rimuovere ostacoli all’esercizio di tale diritto in qualunque parte del territorio nazionale (art. 120 Cost.).

La norma impugnata, riferendosi alla mobilità volontaria e prescindendo del tutto da un esubero del personale, inciderebbe fortemente sull’autonomia organizzativa delle amministrazioni regionali sotto due profili.

In primo luogo, perché introduce un impegnativo onere per l’amministrazione che ha necessità di coprire il posto vacante (determinazione dei criteri di valutazione, esame delle domande di mobilità, effettuazione dei colloqui e redazione di una graduatoria). In secondo luogo, perché limita la possibilità per l’amministrazione di ricercare, scegliere ed assumere il personale più preparato, in osservanza dei canoni di buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost., il quale richiede l’espletamento del concorso pubblico.

A quest’ultimo proposito la ricorrente sostiene che la disposizione impugnata non è conforme ai principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale, in quanto la deroga al pubblico concorso non è, nel caso in esame, giustificabile in base ad alcuna esigenza di interesse pubblico, posto che l’assunzione con la procedura di mobilità risponde solo all’interesse dell’interessato al trasferimento per motivi personali. Né potrebbe essere sostenuto che la norma abbia una finalità di contenimento della spesa pubblica, poiché all’amministrazione che ha acconsentito al trasferimento del dipendente non è precluso assumere altro personale in sostituzione di quello; in tal modo alcune amministrazioni dovranno coprire i posti vacanti con la procedura di mobilità volontaria ed altre potranno continuare a bandire concorsi e ciò solo per motivi legati alle scelte personali del dipendente.

Ad avviso della Regione Toscana, pertanto, l’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009 violerebbe, oltre all’art. 117, quarto comma, della Costituzione, per la lesione dell’autonomia organizzativa regionale, anche l’art. 97 Cost., perché limita il reclutamento del personale mediante il concorso pubblico, e quindi non permette di osservare i criteri di efficienza, imparzialità e buona amministrazione che il predetto precetto costituzionale vuole garantire nell’organizzazione degli uffici. La ricorrente aggiunge di essere legittimata a far valere la violazione del citato art. 97 Cost. perché essa determina una compromissione della propria autonomia organizzativa.

1.4 - LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Sulle questioni sollevate dalla Regione Toscana sull’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009, secondo la Corte Costituzionale quella promossa in riferimento all’art. 97 Cost. è inammissibile.

La Regione deduce la violazione di un precetto costituzionale diverso da quelli attinenti al riparto di competenze tra Stato e Regioni e, nella fattispecie, il preteso contrasto con l’art. 97 Cost. non ridonda nella compressione di sfere di attribuzione costituzionalmente garantite alle Regioni.

La questione sollevata in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., invece, non è fondata.

La norma impugnata non appartiene ad ambiti materiali di competenza regionale, bensì alla materia dell’ordinamento civile.

L’istituto della mobilità volontaria altro non è che una fattispecie di cessione del contratto; a sua volta, la cessione del contratto è un negozio tipico disciplinato dal codice civile (artt. 1406-1410).

Si è, pertanto, in materia di rapporti di diritto privato e gli oneri imposti alla pubblica amministrazione dalle nuove disposizioni introdotte dall’art. 49 del d.lgs. n. 150 del 2009 rispondono semplicemente alla necessità di rispettare l’art. 97 Cost., e, precisamente, i principi di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione.

2. INCARICHI DIRIGENZIALI A TEMPO DETERMINATO NEGLI ENTI LOCALI

Già prima della sentenza della Corte Costituzionale, la questione dell’attribuzione degli incarichi dirigenziale a tempo determinato negli Enti Locali è stata molto discussa e approfondita.

Illustriamo di seguito le questioni.

2.1 - NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Art. 110 del D. lgs. 267/2000:

“Incarichi a contratto”

1. Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire.

2. Il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire (…)

3. I contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica (…)

Art. 19 del D. Lgs. 165/2001 modificato dall’art. 40 del D. Lgs. 150/2009 (Decreto Brunetta)

commi 6 e 6-bis

Secondo la nuova disciplina, gli incarichi dirigenziali a tempo determinato possono essere conferiti, da ciascuna amministrazione, entro limiti percentuali definiti (“entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all’articolo 23 e dell’8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, a tempo determinato) della dotazione organica. Il quoziente derivante dall’applicazione di tale percentuale, è arrotondato all’unità inferiore, se il primo decimale è inferiore a cinque, o all’unità superiore, se esso e’ uguale o superiore a cinque.

Tali incarichi sono conferiti a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro maturate, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato. Per il periodo di durata dell’incarico, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio.

comma 6-ter:

“Il comma 6 ed il comma 6-bis si applicano alle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2”

2.2 - CONFLITTO FRA LE DUE NORME

L’art. 19, commi 6 e 6-bis, del D. Lgs. 165/2001 riformulato dall’art. 40 del Decreto Brunetta, che per espressa previsione del comma 6-ter si applica anche agli Enti Locali, pone problemi di compatibilità con la previsione dell’art. 110 del testo Unico degli Enti Locali, D. Lgs. 267/2000 non richiamato né modificato.

I problemi riguardano in particolare il contingente numerico.

2.2.1 - IL CALCOLO PERCENTUALE

La norma estesa anche agli Enti Locali fa riferimento alla dirigenza statale che prevede le fasce di appartenenza non presenti per Regioni ed Autonomie Locali.

I limiti normativi fissati sono:

- il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia

- il limite dell’8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia

Si pone evidentemente il problema di stabilire a che percentuale fare riferimento con le conseguenti incertezze sull’interpretazione normativa.

2.2.2 - L’INCOMPATIBILITÀ CON LE PREVISIONI DELL’ART. 110 DEL TESTO UNICO

L’art. 110 distingue fra dirigenti in dotazione organica e dirigenti fuori dotazione organica.

Per i primi non vi è alcuna limitazione numerica rinviando alla previsione statutaria con l’unico limite dei requisiti previsti per il tipo di incarico (es. laurea).

Per i dirigenti fuori dotazione organica è invece previsto il limite del 5% del totale della dotazione organica.

Il nuovo testo dell’art. 19 del D. Lgs. 165/2001, riformulato dall’art. 40 del Decreto Brunetta, oggi fissa il limite del 10% (o dell’8% facendo riferimento alle fasce dirigenziali previste per le amministrazioni dello Stato) anche per i dirigenti in dotazione organica.

Tale previsione è apparsa subito fortemente confliggente con l’autonomia statutaria degli Enti Locali.

2.3 - PARERE DELLA SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA LOMBARDIA DELLA CORTE DEI CONTI N. 380/2010

“La disciplina statale trova necessariamente il proprio limite nell’autonomia statutaria e regolamentare costituzionalmente garantite, in materia, alle autonomie locali”.

Questo il principio fondamentale e la chiave di lettura fornita dalla Sezione Regionale di Controllo della Lombardia della Corte dei Conti con il parere n. 308/2010 depositato il 17 marzo 2010.

La Corte si sofferma ampiamente sull’applicabilità dell’art. 110 del Testo Unico degli Enti Locali e del rapporto tra tale norma e il D. Lgs. 150/2009 (Decreto Brunetta).

Le argomentazioni sostenute dalla Corte dei Conti sono le seguenti:

“L’art.117 Cost. intesta la competenza legislativa esclusiva allo Stato in materia di “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali” (comma 2, lett. g), mentre lo stesso articolo prevede che “i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite” (comma 5 art. cit.).

La disciplina sul limite del conferimento di una determinata tipologia di incarichi dirigenziali, qual è quella contenuta nell’art.110 TUEL, attiene a quest’ultimo ambito, rientrando specificamente nel potere-dovere di ciascun Ente Locale di provvedere alla propria organizzazione amministrativa, che deve esplicitarsi in una scelta autonoma, in primo luogo nello Statuto e quindi nel pertinente regolamento di organizzazione e della dirigenza. La normativa in esame, quindi, se attiene alla disciplina del rapporto di lavoro della dirigenza pubblica statale, sulla quale incide la riforma, attiene anche ad un aspetto della disciplina dell’organizzazione delle Amministrazioni che, nel caso delle autonomie locali, è riservato alla sfera dell’autodeterminazione del modello organizzativo più consono alla realtà locale.

Peraltro, la novella non può ritenersi riconducibile ai titoli di legittimazione della potestà legislativa statale contenuti nell’art. 117, secondo e terzo comma, Cost. quali l’«ordinamento civile» o il «coordinamento della finanza pubblica».

Riguardo a quest’ultimo aspetto, si deve rammentare che la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che le norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali siano da ritenersi principi fondamentali di “coordinamento della finanza pubblica” soltanto se si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e se non prevedono in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. 412 e n. 169 del 2007; n. 88 del 2006). Circostanze, queste ultime, che non ricorrono nella normativa in esame.

È appena il caso di osservare che non può sostenersi che la novella in discorso abbia la finalità di contenimento della spesa pubblica complessiva per la remunerazione delle funzioni dirigenziali, posto che il conferimento di incarichi di dirigente a contratto entro i limiti della dotazione organica (così come consentito, per gli Enti locali, dall’art. 110, primo comma, TUEL) non può avere l’effetto di determinare alcuna maggiore spesa per l’Amministrazione.

Sul punto, gli unici limiti espressamente stabiliti per gli Enti locali sono contenuti nel secondo comma dell’art.110 TUEL, per gli Enti locali di minore dimensione, per i quali il legislatore ha espressamente inteso privilegiare la valorizzazione delle professionalità interne rispetto al ricorso a soggetti esterni, coerentemente con la ratio di ottimizzazione delle risorse pubbliche che caratterizza in generale la normativa in materia di personale dipendente e che, per molti versi, pervade anche la disciplina degli incarichi esterni di natura non subordinata (peraltro, rientra fra le condizioni legittimanti il conferimento d’incarichi individuali nella P.A., di cui all’art.7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001, che l’Amministrazione abbia preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno).

L’applicazione del comma 6 dell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, come riformulato dall’art.40 del decreto di riforma, comporterebbe, al contrario (con l’estensione del limite delle quote percentuali rispetto alla dotazione organica a tutti gli incarichi dirigenziali a contratto, insieme alla riserva di tali incarichi ai soli soggetti estranei all’Amministrazione conferente) la preclusione al conferimento di incarichi dirigenziali al personale interno non avente qualifica di dirigente.

Quanto al dato testuale del comma 6-bis dell’art.19 d.lgs. n.165/2001, esso si riferisce a “dirigenti di prima o seconda fascia”, richiamando esplicitamente la distinzione in fasce della dirigenza dello Stato, che non è prevista, al contrario, per la dirigenza degli enti locali e depone, pertanto, per l’inapplicabilità dello stesso alla dirigenza degli Enti locali.

Inoltre, occorre ricordare che opera in materia la clausola di specialità di cui all’art 1, comma 4 TUEL che, in ossequio al principio di autonomia degli Enti locali, stabilisce che le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni.

Il testo dell’art.110 TUEL non è stato espressamente modificato dal decreto legislativo di riforma (neppure rientra, in tutto o in parte, tra le abrogazioni disposte dall’art.72 del decreto stesso) e l’art.74, comma 2, d.lgs. n. 150/2009 dispone che “gli articoli 3, 4, 5, comma 2, 7, 9, 15, comma 1, 17, comma 2, 18, 23, commi 1 e 2, 24, commi 1 e 2, 25, 26, 27, comma 1, e l’articolo 62, commi 1-bis e 1-ter recano norme di diretta attuazione dell’articolo 97 della Costituzione e costituiscono principi generali dell’ordinamento ai quali si adeguano le regioni e gli enti locali, anche con riferimento agli enti del Servizio sanitario nazionale, negli ambiti di rispettiva competenza”.

Nei limiti dell’autonomia riconosciuta agli Enti locali in materia, questi adegueranno i propri statuti e regolamenti ai suddetti principi, ferma restando l’immediata vigenza delle disposizioni espressamente dichiarate applicabili anche agli Enti locali stessi, esplicitate nell’art. 74, primo comma, del d.lgs. n. 150/2009.

In forza dell’autonomia organizzativa loro riconosciuta dalla Costituzione, gli Enti Locali, nei limiti di cui all’art.110 TUEL, possono disciplinare con le modalità più corrispondenti alla singola realtà locale i propri Uffici e le tipologie di incarichi da conferire ai dirigenti ad essi preposti. In tal modo potranno conferire incarichi temporanei tenendo comunque presente, da un lato, i limiti imposti dai principi di sana gestione delle risorse pubbliche a disposizione degli enti; d’altro lato, dell’eccezionalità della disposizione di cui all’art. 110 TUEL nel sistema del conferimento d’incarichi dirigenziali”.

2.4 - LE LINEE GUIDA DELL’ANCI

Sulla stessa impostazione si era già espressa l’ANCI nelle sue linee guida di interpretazione del Decreto Brunetta.

Questi i punti essenziali delle linee guida:

a) LA POSSIBILITÀ DI CONFERIRE INCARICHI DIRIGENZIALI A DIPENDENTI DELLO STESSO ENTE

Va ricordato al riguardo che il comma 6 dell’art. 19 del D. Lgs. 165/2001, come riformulato dal D. Lgs. 150/2009 prevede che gli incarichi possono essere attribuiti a soggetti “non rinvenibili nei ruoli dell’Amministrazione (…) che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro maturate, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza(…)”.

Ciò significa che la verifica interna sulla “non rinvenibilità nei ruoli dell’Amministrazione” va fatta limitatamente ai ruoli dirigenziali e che possono ancora conferirsi incarichi a dipendenti interni non dirigenti, in possesso dei requisiti richiesti dalla norma.

b) IL RAPPORTO CON L’ART. 110 DEL TESTO UNICO

Si sottolinea nella linee guida dell’ANCI come appare “topograficamente poco comprensibile l’inserimento di una norma destinata all’insieme delle pubbliche amministrazioni in un articolo di legge dedicato alla sola dirigenza dello Stato; va, inoltre, ricordato che per le amministrazioni locali l’art. 110 del D. Lgs. 267/2000 – non espressamente abrogato o modificato dal Decreto Brunetta – prevede una disciplina particolare e compiuta della dirigenza locale, senza stabilire alcun limite per le assunzioni a tempo determinato finalizzate alla copertura dei posti di responsabili degli uffici e dei servizi previsti in organico, ponendosi quindi in maniera alternativa alla nuova normativa statale”.

c) IL COMPUTO PERCENTUALE

“Va poi rilevato che sussiste un problema di applicabilità oggettiva dei criteri di computo definiti dalla disposizione; nel porre dei vincoli percentuali, il legislatore fa espresso riferimento alla dirigenza di prima e seconda fascia, mentre nelle amministrazioni locali, com’è noto, non vi è tale differenziazione dei ruoli.

In secondo luogo la percentuale individuata, anche se complessivamente intesa, negli Enti di minore dimensione demografica o, comunque con un un numero di dirigenti esiguo, non consente neppure l’assunzione di una unità”.

d) LE MODALITÀ DI CONFERIMENTO DELL’INCARICO

“Circa le modalità di affidamento dell’incarico con contratto a tempo determinato la riforma non modifica per questa parte l’art. 19, comma 6.

Deve tuttavia evidenziarsi che il comma 1-bis dell’art. 19, introdotto dal D. Lgs. 150/2009, prevede la necessità che le amministrazioni rendano conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta, acquisendo e valutando le disponibilità dei dirigenti.

Al riguardo si segnala che la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenze n. 103 e 104 del 2007 e sentenza n. 161 del 2008) ha espresso un chiaro orientamento volto ad escludere l’esistenza di una dirigenza di fiducia e dunque la possibilità di una interpretazione della normativa vigente nel senso di ammettere la scelta discrezionale, senza limiti, dei soggetti esterni all’ente cui conferire gli incarichi, nonché la necessità di forme di pubblicità che assicurino la trasparenza, procedure comparative anche non concorsuali, richiedendo quindi una procedimentalizzazione dell’iter da seguire”.

2.5 - VALUTAZIONI FINALI E POSSIBILE INTERPRETAZIONE

Riassumendo:

L’art. 40 del Decreto, che modifica l’art. 19 del D.Lgs. 165/2001, estende agli Enti Locali la disciplina sulla nomina dei dirigenti a tempo determinato, prevista per le amministrazioni dello Stato, per quanto riguarda la limitazione numerica.

Dalla complessiva lettura del nuovo testo dell’articolo 19, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001 risulta che:

• la verifica dell’esistenza di specifiche qualificazioni professionali riguarda esclusivamente i dirigenti a tempo indeterminato; l’esito negativo di detta verifica consente di attivare le procedure per il conferimento di incarichi dirigenziali sia a soggetti esterni all’amministrazione, sia a personale interno non avente qualifica dirigenziale, in possesso dei requisiti a tal fine prescritti; in tale ultimo caso sarebbe opportuno prevedere criteri specifici e premianti di valutazione della qualificazione maturata all’interno dell’ente;

• la procedura rivolta a soggetti diversi dai dirigenti dell’ente deve avere caratteri sostanziali di pubblicità e selettività, da definire a livello regolamentare;

• nel caso di conferimento di un incarico dirigenziale a funzionari dell’ente, la conseguenza nel rapporto di lavoro esistente è la collocazione in aspettativa, e non la conclusione del rapporto di lavoro stesso.

I principali problemi interpretativi nascono dal comma 6-ter, dal quale si ricaverebbe la regola che le modalità di conferimento di incarichi dirigenziali ai sensi del comma 6 e i limiti percentuali alla scelta di soggetti esterni per gli incarichi dirigenziali si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche.

Dunque, anche agli Enti Locali, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, devono applicarsi limiti al contingente di incarichi dirigenziali esterni e ciò non appare lesivo dell’autonomia.

Al riguardo però va tenuto conto che l’applicazione dei limiti percentuali deve far riferimento alla diversa struttura organizzativa degli Enti Locali rispetto alle amministrazioni dello Stato (negli Enti Locali, a differenza dello Stato, vi è un unico ruolo dirigenziale e non sussistono dirigenti di prima o di seconda fascia) e inoltre che:

• la materia è regolata per Comuni e Province dal vigente art. 110 D.Lgs. n. 267/2000;

• lo svolgimento della previsione normativa primaria avviene e deve avvenire con norme regolamentari, espressione dell’autonomia degli enti;

• i livelli dimensionali degli enti e le caratteristiche strutturali della dirigenza statale non consentirebbero comunque una applicazione reale di limiti percentuali fissi agli enti locali;

• il comma 6-bis attiene al meccanismo di arrotondamento percentuale, mentre il comma 5 bis, esplicitamente riferito alle amministrazioni statali, non è richiamato dal comma 6-ter.

Ciascuna Amministrazione deve procedere pertanto a stabilire i limiti con il regolamento di organizzazione, sulla base dei due fondamentali criteri di prevalenza degli incarichi dirigenziali a dirigenti interni e di adeguatezza alle esigenze dell’ente stesso.

In ogni caso deve sempre trattarsi di un limite ragionevole non distante da quello previsto per le Amministrazioni dello Stato.

Infondate le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni del d. Lgs. N. 150 del 2009, che prevedono limiti agli incarichi di dirigente pubblico a contratto, nonché l’obbligo di attivare la mobilità volontaria prima di indire concorsi pubblici

La Corte Costituzione con sentenza n. 324 del 3 novembre 2010, depositata il 12 novembre 2010, ha:

1) dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), promosse, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche;

2) dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 150 del 2009, promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo comma, e 119 della Costituzione, dalle Regioni Piemonte, Toscana e Marche;

3) dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009 promossa, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dalla Regione Toscana;

4) dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009 promossa, in riferimento all’art. 117, quarto comma, della Costituzione, dalla Regione Toscana.

1. LE QUESTIONI ESAMINATE DALLA CORTE COSTITUZIONALE

1.1 - CONFERIMENTO DI INCARICHI DI FUNZIONI DIRIGENZIALI

La Regione Piemonte aveva promosso, in riferimento all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40, comma 1, lettera f), «secondo capoverso», del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Decreto Brunetta), nella parte in cui ne estende l’efficacia alle Regioni e agli Enti Locali.

L’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce che il conferimento di incarichi di funzioni dirigenziali a soggetti esterni all’amministrazione può essere effettuato entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia e dell’8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia; non può prevedere una durata superiore ai tre anni per gli incarichi di segretario generale e di funzione dirigenziale di livello generale e di cinque anni per gli altri incarichi dirigenziali; deve avvenire, dietro specifica motivazione, a favore di persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione, che possano dimostrare il possesso di specifiche esperienze; può prevedere l’integrazione del trattamento economico tramite un’indennità commisurata alla specifica qualificazione professionale, tenendo conto della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Il successivo comma 6-bis dispone che, per il calcolo delle percentuali di cui sopra, si deve operare un arrotondamento all’unità inferiore, se il primo decimale è inferiore a cinque, o all’unità superiore, se esso è uguale o superiore a cinque.

Ad avviso della Regione Piemonte, quelle appena richiamate sono disposizioni che attengono esclusivamente alle modalità di accesso all’impiego pubblico, disciplinando, tra l’altro con norme di estremo dettaglio, la particolare fattispecie dell’affidamento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’amministrazione.

La norma statale impugnata, estendendo tali disposizioni alle Regioni, violerebbe pertanto l’art. 117, quarto comma, Cost., poiché la materia delle modalità di accesso all’impiego pubblico regionale rientra in quella dell’autonomia dell’organizzazione amministrativa regionale la quale appartiene alla competenza residuale esclusiva regionale.

La ricorrente aggiunge che lo stesso d.lgs. n. 150 del 2009 riconosce che la materia dell’attribuzione degli incarichi di funzioni dirigenziali non è compresa tra quelle di competenza legislativa statale, né tra quelle ripartite. Il censurato art. 40, infatti, non è incluso dall’art. 74, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 150 del 2009 tra quelli riconducibili alla potestà legislativa statale di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione.

La Regione Piemonte sostiene, in via subordinata, che la norma impugnata sarebbe illegittima anche se si dovesse ritenere che essa rientri nelle competenze legislative concorrenti di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

Essa, infatti, non detta principi fondamentali, ma scende nel dettaglio, fissando la percentuale di incarichi dirigenziali esterni attribuibili dalle amministrazioni regionali nonché la loro durata massima, senza lasciare alle Regioni alcuno spazio di autonoma scelta e dettando direttamente la regola applicativa.

Anche la Regione Toscana aveva promosso, in riferimento agli artt. 76, 97, 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40 del d.lgs. n. 150 del 2009, nella parte in cui introduce il comma 6-ter nell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001.

La Regione Toscana nel ricorso lamenta che esso, introducendo nell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 il comma 6-ter, estende alle Regioni la disciplina del conferimento degli incarichi dirigenziali di cui al comma 6 del predetto art. 19 e, in particolare, la previsione per cui detti incarichi possono essere conferiti a tempo determinato solo entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia e dell’8 per cento a quelli della seconda fascia dei ruoli dirigenziali.

Così disponendo, la norma contrasterebbe con l’art. 117, quarto comma, Cost., poiché essa atterrebbe alla materia dell’ordinamento del personale e dell’organizzazione amministrativa regionale riservata alla competenza esclusiva delle Regioni.

Ad avviso della difesa regionale, la norma impugnata non è giustificata da alcun titolo di competenza statale. In particolare, non potrebbe sostenersi che essa sia finalizzata a garantire l’osservanza dei principi di trasparenza e di efficacia dell’attività amministrativa: in primo luogo perché il limite del 10 per cento non garantisce di per sé il rispetto dei canoni suddetti; in secondo luogo, perché, laddove si affermasse il potere dello Stato di intervenire direttamente nell’organizzazione interna degli uffici regionali per il buon andamento dell’amministrazione, l’autonomia regionale verrebbe vanificata, poiché ogni disciplina dell’organizzazione amministrativa deve essere diretta attuazione dell’art. 97 della Costituzione.

L’art. 40 del d.lgs. n. 150 del 2009 non rientrerebbe neppure nella materia del coordinamento della finanza pubblica; infatti il conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato non provoca un aumento di spesa, poiché ad esso si ricorre per far fronte ad esigenze straordinarie e temporanee ovvero per garantire la continuità dell’azione amministrativa nel tempo necessario ad espletare i concorsi diretti a colmare i vuoti in organico. Comunque, seppure si ravvisasse nella norma censurata una finalità di contenimento della spesa, la medesima sarebbe comunque incostituzionale, perché non si presta in alcun modo, per il suo livello di dettaglio, ad individuare un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica quale limite complessivo della spesa corrente, ma, in ipotesi, inciderebbe su una voce di spesa, introducendo un vincolo puntuale e specifiche modalità del suo contenimento. Perciò, ove ritenuta giustificata da esigenze finanziarie, la norma determinerebbe un’inammissibile ingerenza nell’autonomia finanziaria regionale, con conseguente sua illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.

Infine, secondo la Regione Toscana, la norma impugnata lederebbe il principio di leale collaborazione ed i criteri direttivi della legge delega. Infatti, ai sensi dell’art. 2, comma 2, della legge 4 marzo 2009, n. 15 (Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e alla Corte dei conti), il decreto legislativo avrebbe dovuto essere adottato, per alcuni aspetti (tra i quali anche quello della dirigenza e, quindi, del conferimento degli incarichi dirigenziali), previa intesa con la Conferenza unificata Stato-Regioni e Autonomie locali o, quanto meno, per gli altri profili, con il parere della suddetta Conferenza. Invece la disposizione impugnata non è stata oggetto né di parere né di intesa con la Conferenza unificata, ma è stata inserita nel decreto dopo il parere espresso dal Senato, senza alcun coinvolgimento regionale. Sussisterebbe, pertanto, violazione (oltre che del principio di leale collaborazione) dell’art. 76 Cost., violazione che può essere fatta valere dalla Regione perché determina una menomazione delle competenze regionali costituzionalmente garantite in materia di organizzazione amministrativa ed ordinamento del personale.

1.2 - LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Secondo la Corte Costituzionale, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40, comma 1, lettera f), del decreto legislativo n. 150 del 2009, sollevate in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., non sono fondate.

La norma impugnata dispone l’applicabilità a tutte le amministrazioni pubbliche della disciplina dettata dall’art. 19, commi 6 e 6-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 in tema di incarichi dirigenziali conferiti a soggetti esterni all’amministrazione.

Si tratta di una normativa riconducibile alla materia dell’ordinamento civile di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni, disciplinato dalla normativa citata, si realizza mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato. Conseguentemente, la disciplina della fase costitutiva di tale contratto, così come quella del rapporto che sorge per effetto della conclusione di quel negozio giuridico, appartengono alla materia dell’ordinamento civile.

In particolare, l’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001 contiene una pluralità di precetti relativi alla qualificazione professionale ed alle precedenti esperienze lavorative del soggetto esterno, alla durata massima dell’incarico (e, dunque, anche del relativo contratto di lavoro), all’indennità che – a integrazione del trattamento economico – può essere attribuita al privato, alle conseguenze del conferimento dell’incarico su un eventuale preesistente rapporto di impiego pubblico e, infine, alla percentuale massima di incarichi conferibili a soggetti esterni (il successivo comma 6-bis contiene semplicemente una prescrizione in tema di modalità di calcolo di quella percentuale).

Tale disciplina non riguarda, pertanto, né procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso al pubblico impiego, né la scelta delle modalità di costituzione di quel rapporto giuridico. Essa, valutata nel suo complesso, attiene ai requisiti soggettivi che debbono essere posseduti dal contraente privato, alla durata massima del rapporto, ad alcuni aspetti del regime economico e giuridico ed è pertanto riconducibile alla regolamentazione del particolare contratto che l’amministrazione stipula con il soggetto ad essa esterno cui conferisce l’incarico dirigenziale.

Non sussiste, dunque, violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., appunto perché la norma impugnata non attiene a materie di competenza concorrente (coordinamento della finanza pubblica) o residuale regionale (organizzazione delle Regioni e degli uffici regionali, organizzazione degli enti locali), bensì alla materia dell’ordinamento civile di competenza esclusiva statale.

La stessa questione, sollevata in riferimento all’art. 76 Cost., è, invece, inammissibile.

Dato che nella fattispecie, non si verte in materia di organizzazione degli uffici regionali, bensì in materia di disciplina di contratti di diritto privato, rispetto alla quale sussiste esclusivamente competenza dello Stato, la pretesa violazione del parametro costituzionale invocato non comporterebbe lesione di alcuna attribuzione regionale. Da qui l’inammissibilità della censura.

1.3 L’OBBLIGO DI ATTIVARE LA MOBILITÀ VOLONTARIA PRIMA DI INDIRE CONCORSI PUBBLICI

La Regione Toscana sostiene nel ricorso che l’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009 contrasterebbe con gli artt. 97 e 117, quarto comma, della Costituzione.

La norma censurata sostituisce l’art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 in tema di mobilità volontaria tra le pubbliche amministrazioni, imponendo a tutte le amministrazioni, e dunque anche alle Regioni, prima di procedere all’espletamento di procedure concorsuali necessarie per coprire posti vacanti, di «rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta»; la norma aggiunge che «Il trasferimento è disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire».

La difesa regionale nega che sia possibile assimilare tale disposizione all’art. 34-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 che prevede, a carico di tutte le amministrazioni pubbliche, l’onere di comunicare al personale collocato in disponibilità ovvero interessato ai processi di mobilità previsti dalle leggi e dai contratti collettivi l’esigenza di assunzione. Tale norma, infatti, mira a consentire al personale – che rischia di perdere il lavoro in quanto «in disponibilità» per mancanza di posti – di ritrovare una collocazione in altre amministrazioni. In considerazione di tale finalità di tutela del lavoro, la Corte costituzionale (sentenza n. 388 del 2004) ha ritenuto la disposizione non invasiva delle competenze regionali in materia di organizzazione ed ordinamento del personale, essendo piuttosto diretta a promuovere, nel settore del pubblico impiego, condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro di cui all’art. 4 Cost. e a rimuovere ostacoli all’esercizio di tale diritto in qualunque parte del territorio nazionale (art. 120 Cost.).

La norma impugnata, riferendosi alla mobilità volontaria e prescindendo del tutto da un esubero del personale, inciderebbe fortemente sull’autonomia organizzativa delle amministrazioni regionali sotto due profili.

In primo luogo, perché introduce un impegnativo onere per l’amministrazione che ha necessità di coprire il posto vacante (determinazione dei criteri di valutazione, esame delle domande di mobilità, effettuazione dei colloqui e redazione di una graduatoria). In secondo luogo, perché limita la possibilità per l’amministrazione di ricercare, scegliere ed assumere il personale più preparato, in osservanza dei canoni di buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost., il quale richiede l’espletamento del concorso pubblico.

A quest’ultimo proposito la ricorrente sostiene che la disposizione impugnata non è conforme ai principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale, in quanto la deroga al pubblico concorso non è, nel caso in esame, giustificabile in base ad alcuna esigenza di interesse pubblico, posto che l’assunzione con la procedura di mobilità risponde solo all’interesse dell’interessato al trasferimento per motivi personali. Né potrebbe essere sostenuto che la norma abbia una finalità di contenimento della spesa pubblica, poiché all’amministrazione che ha acconsentito al trasferimento del dipendente non è precluso assumere altro personale in sostituzione di quello; in tal modo alcune amministrazioni dovranno coprire i posti vacanti con la procedura di mobilità volontaria ed altre potranno continuare a bandire concorsi e ciò solo per motivi legati alle scelte personali del dipendente.

Ad avviso della Regione Toscana, pertanto, l’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009 violerebbe, oltre all’art. 117, quarto comma, della Costituzione, per la lesione dell’autonomia organizzativa regionale, anche l’art. 97 Cost., perché limita il reclutamento del personale mediante il concorso pubblico, e quindi non permette di osservare i criteri di efficienza, imparzialità e buona amministrazione che il predetto precetto costituzionale vuole garantire nell’organizzazione degli uffici. La ricorrente aggiunge di essere legittimata a far valere la violazione del citato art. 97 Cost. perché essa determina una compromissione della propria autonomia organizzativa.

1.4 - LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Sulle questioni sollevate dalla Regione Toscana sull’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009, secondo la Corte Costituzionale quella promossa in riferimento all’art. 97 Cost. è inammissibile.

La Regione deduce la violazione di un precetto costituzionale diverso da quelli attinenti al riparto di competenze tra Stato e Regioni e, nella fattispecie, il preteso contrasto con l’art. 97 Cost. non ridonda nella compressione di sfere di attribuzione costituzionalmente garantite alle Regioni.

La questione sollevata in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., invece, non è fondata.

La norma impugnata non appartiene ad ambiti materiali di competenza regionale, bensì alla materia dell’ordinamento civile.

L’istituto della mobilità volontaria altro non è che una fattispecie di cessione del contratto; a sua volta, la cessione del contratto è un negozio tipico disciplinato dal codice civile (artt. 1406-1410).

Si è, pertanto, in materia di rapporti di diritto privato e gli oneri imposti alla pubblica amministrazione dalle nuove disposizioni introdotte dall’art. 49 del d.lgs. n. 150 del 2009 rispondono semplicemente alla necessità di rispettare l’art. 97 Cost., e, precisamente, i principi di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione.

2. INCARICHI DIRIGENZIALI A TEMPO DETERMINATO NEGLI ENTI LOCALI

Già prima della sentenza della Corte Costituzionale, la questione dell’attribuzione degli incarichi dirigenziale a tempo determinato negli Enti Locali è stata molto discussa e approfondita.

Illustriamo di seguito le questioni.

2.1 - NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Art. 110 del D. lgs. 267/2000:

“Incarichi a contratto”

1. Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire.

2. Il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire (…)

3. I contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica (…)

Art. 19 del D. Lgs. 165/2001 modificato dall’art. 40 del D. Lgs. 150/2009 (Decreto Brunetta)

commi 6 e 6-bis

Secondo la nuova disciplina, gli incarichi dirigenziali a tempo determinato possono essere conferiti, da ciascuna amministrazione, entro limiti percentuali definiti (“entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all’articolo 23 e dell’8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, a tempo determinato) della dotazione organica. Il quoziente derivante dall’applicazione di tale percentuale, è arrotondato all’unità inferiore, se il primo decimale è inferiore a cinque, o all’unità superiore, se esso e’ uguale o superiore a cinque.

Tali incarichi sono conferiti a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro maturate, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato. Per il periodo di durata dell’incarico, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio.

comma 6-ter:

“Il comma 6 ed il comma 6-bis si applicano alle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2”

2.2 - CONFLITTO FRA LE DUE NORME

L’art. 19, commi 6 e 6-bis, del D. Lgs. 165/2001 riformulato dall’art. 40 del Decreto Brunetta, che per espressa previsione del comma 6-ter si applica anche agli Enti Locali, pone problemi di compatibilità con la previsione dell’art. 110 del testo Unico degli Enti Locali, D. Lgs. 267/2000 non richiamato né modificato.

I problemi riguardano in particolare il contingente numerico.

2.2.1 - IL CALCOLO PERCENTUALE

La norma estesa anche agli Enti Locali fa riferimento alla dirigenza statale che prevede le fasce di appartenenza non presenti per Regioni ed Autonomie Locali.

I limiti normativi fissati sono:

- il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia

- il limite dell’8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia

Si pone evidentemente il problema di stabilire a che percentuale fare riferimento con le conseguenti incertezze sull’interpretazione normativa.

2.2.2 - L’INCOMPATIBILITÀ CON LE PREVISIONI DELL’ART. 110 DEL TESTO UNICO

L’art. 110 distingue fra dirigenti in dotazione organica e dirigenti fuori dotazione organica.

Per i primi non vi è alcuna limitazione numerica rinviando alla previsione statutaria con l’unico limite dei requisiti previsti per il tipo di incarico (es. laurea).

Per i dirigenti fuori dotazione organica è invece previsto il limite del 5% del totale della dotazione organica.

Il nuovo testo dell’art. 19 del D. Lgs. 165/2001, riformulato dall’art. 40 del Decreto Brunetta, oggi fissa il limite del 10% (o dell’8% facendo riferimento alle fasce dirigenziali previste per le amministrazioni dello Stato) anche per i dirigenti in dotazione organica.

Tale previsione è apparsa subito fortemente confliggente con l’autonomia statutaria degli Enti Locali.

2.3 - PARERE DELLA SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA LOMBARDIA DELLA CORTE DEI CONTI N. 380/2010

“La disciplina statale trova necessariamente il proprio limite nell’autonomia statutaria e regolamentare costituzionalmente garantite, in materia, alle autonomie locali”.

Questo il principio fondamentale e la chiave di lettura fornita dalla Sezione Regionale di Controllo della Lombardia della Corte dei Conti con il parere n. 308/2010 depositato il 17 marzo 2010.

La Corte si sofferma ampiamente sull’applicabilità dell’art. 110 del Testo Unico degli Enti Locali e del rapporto tra tale norma e il D. Lgs. 150/2009 (Decreto Brunetta).

Le argomentazioni sostenute dalla Corte dei Conti sono le seguenti:

“L’art.117 Cost. intesta la competenza legislativa esclusiva allo Stato in materia di “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali” (comma 2, lett. g), mentre lo stesso articolo prevede che “i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite” (comma 5 art. cit.).

La disciplina sul limite del conferimento di una determinata tipologia di incarichi dirigenziali, qual è quella contenuta nell’art.110 TUEL, attiene a quest’ultimo ambito, rientrando specificamente nel potere-dovere di ciascun Ente Locale di provvedere alla propria organizzazione amministrativa, che deve esplicitarsi in una scelta autonoma, in primo luogo nello Statuto e quindi nel pertinente regolamento di organizzazione e della dirigenza. La normativa in esame, quindi, se attiene alla disciplina del rapporto di lavoro della dirigenza pubblica statale, sulla quale incide la riforma, attiene anche ad un aspetto della disciplina dell’organizzazione delle Amministrazioni che, nel caso delle autonomie locali, è riservato alla sfera dell’autodeterminazione del modello organizzativo più consono alla realtà locale.

Peraltro, la novella non può ritenersi riconducibile ai titoli di legittimazione della potestà legislativa statale contenuti nell’art. 117, secondo e terzo comma, Cost. quali l’«ordinamento civile» o il «coordinamento della finanza pubblica».

Riguardo a quest’ultimo aspetto, si deve rammentare che la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che le norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali siano da ritenersi principi fondamentali di “coordinamento della finanza pubblica” soltanto se si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e se non prevedono in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. 412 e n. 169 del 2007; n. 88 del 2006). Circostanze, queste ultime, che non ricorrono nella normativa in esame.

È appena il caso di osservare che non può sostenersi che la novella in discorso abbia la finalità di contenimento della spesa pubblica complessiva per la remunerazione delle funzioni dirigenziali, posto che il conferimento di incarichi di dirigente a contratto entro i limiti della dotazione organica (così come consentito, per gli Enti locali, dall’art. 110, primo comma, TUEL) non può avere l’effetto di determinare alcuna maggiore spesa per l’Amministrazione.

Sul punto, gli unici limiti espressamente stabiliti per gli Enti locali sono contenuti nel secondo comma dell’art.110 TUEL, per gli Enti locali di minore dimensione, per i quali il legislatore ha espressamente inteso privilegiare la valorizzazione delle professionalità interne rispetto al ricorso a soggetti esterni, coerentemente con la ratio di ottimizzazione delle risorse pubbliche che caratterizza in generale la normativa in materia di personale dipendente e che, per molti versi, pervade anche la disciplina degli incarichi esterni di natura non subordinata (peraltro, rientra fra le condizioni legittimanti il conferimento d’incarichi individuali nella P.A., di cui all’art.7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001, che l’Amministrazione abbia preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno).

L’applicazione del comma 6 dell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, come riformulato dall’art.40 del decreto di riforma, comporterebbe, al contrario (con l’estensione del limite delle quote percentuali rispetto alla dotazione organica a tutti gli incarichi dirigenziali a contratto, insieme alla riserva di tali incarichi ai soli soggetti estranei all’Amministrazione conferente) la preclusione al conferimento di incarichi dirigenziali al personale interno non avente qualifica di dirigente.

Quanto al dato testuale del comma 6-bis dell’art.19 d.lgs. n.165/2001, esso si riferisce a “dirigenti di prima o seconda fascia”, richiamando esplicitamente la distinzione in fasce della dirigenza dello Stato, che non è prevista, al contrario, per la dirigenza degli enti locali e depone, pertanto, per l’inapplicabilità dello stesso alla dirigenza degli Enti locali.

Inoltre, occorre ricordare che opera in materia la clausola di specialità di cui all’art 1, comma 4 TUEL che, in ossequio al principio di autonomia degli Enti locali, stabilisce che le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni.

Il testo dell’art.110 TUEL non è stato espressamente modificato dal decreto legislativo di riforma (neppure rientra, in tutto o in parte, tra le abrogazioni disposte dall’art.72 del decreto stesso) e l’art.74, comma 2, d.lgs. n. 150/2009 dispone che “gli articoli 3, 4, 5, comma 2, 7, 9, 15, comma 1, 17, comma 2, 18, 23, commi 1 e 2, 24, commi 1 e 2, 25, 26, 27, comma 1, e l’articolo 62, commi 1-bis e 1-ter recano norme di diretta attuazione dell’articolo 97 della Costituzione e costituiscono principi generali dell’ordinamento ai quali si adeguano le regioni e gli enti locali, anche con riferimento agli enti del Servizio sanitario nazionale, negli ambiti di rispettiva competenza”.

Nei limiti dell’autonomia riconosciuta agli Enti locali in materia, questi adegueranno i propri statuti e regolamenti ai suddetti principi, ferma restando l’immediata vigenza delle disposizioni espressamente dichiarate applicabili anche agli Enti locali stessi, esplicitate nell’art. 74, primo comma, del d.lgs. n. 150/2009.

In forza dell’autonomia organizzativa loro riconosciuta dalla Costituzione, gli Enti Locali, nei limiti di cui all’art.110 TUEL, possono disciplinare con le modalità più corrispondenti alla singola realtà locale i propri Uffici e le tipologie di incarichi da conferire ai dirigenti ad essi preposti. In tal modo potranno conferire incarichi temporanei tenendo comunque presente, da un lato, i limiti imposti dai principi di sana gestione delle risorse pubbliche a disposizione degli enti; d’altro lato, dell’eccezionalità della disposizione di cui all’art. 110 TUEL nel sistema del conferimento d’incarichi dirigenziali”.

2.4 - LE LINEE GUIDA DELL’ANCI

Sulla stessa impostazione si era già espressa l’ANCI nelle sue linee guida di interpretazione del Decreto Brunetta.

Questi i punti essenziali delle linee guida:

a) LA POSSIBILITÀ DI CONFERIRE INCARICHI DIRIGENZIALI A DIPENDENTI DELLO STESSO ENTE

Va ricordato al riguardo che il comma 6 dell’art. 19 del D. Lgs. 165/2001, come riformulato dal D. Lgs. 150/2009 prevede che gli incarichi possono essere attribuiti a soggetti “non rinvenibili nei ruoli dell’Amministrazione (…) che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro maturate, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza(…)”.

Ciò significa che la verifica interna sulla “non rinvenibilità nei ruoli dell’Amministrazione” va fatta limitatamente ai ruoli dirigenziali e che possono ancora conferirsi incarichi a dipendenti interni non dirigenti, in possesso dei requisiti richiesti dalla norma.

b) IL RAPPORTO CON L’ART. 110 DEL TESTO UNICO

Si sottolinea nella linee guida dell’ANCI come appare “topograficamente poco comprensibile l’inserimento di una norma destinata all’insieme delle pubbliche amministrazioni in un articolo di legge dedicato alla sola dirigenza dello Stato; va, inoltre, ricordato che per le amministrazioni locali l’art. 110 del D. Lgs. 267/2000 – non espressamente abrogato o modificato dal Decreto Brunetta – prevede una disciplina particolare e compiuta della dirigenza locale, senza stabilire alcun limite per le assunzioni a tempo determinato finalizzate alla copertura dei posti di responsabili degli uffici e dei servizi previsti in organico, ponendosi quindi in maniera alternativa alla nuova normativa statale”.

c) IL COMPUTO PERCENTUALE

“Va poi rilevato che sussiste un problema di applicabilità oggettiva dei criteri di computo definiti dalla disposizione; nel porre dei vincoli percentuali, il legislatore fa espresso riferimento alla dirigenza di prima e seconda fascia, mentre nelle amministrazioni locali, com’è noto, non vi è tale differenziazione dei ruoli.

In secondo luogo la percentuale individuata, anche se complessivamente intesa, negli Enti di minore dimensione demografica o, comunque con un un numero di dirigenti esiguo, non consente neppure l’assunzione di una unità”.

d) LE MODALITÀ DI CONFERIMENTO DELL’INCARICO

“Circa le modalità di affidamento dell’incarico con contratto a tempo determinato la riforma non modifica per questa parte l’art. 19, comma 6.

Deve tuttavia evidenziarsi che il comma 1-bis dell’art. 19, introdotto dal D. Lgs. 150/2009, prevede la necessità che le amministrazioni rendano conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta, acquisendo e valutando le disponibilità dei dirigenti.

Al riguardo si segnala che la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenze n. 103 e 104 del 2007 e sentenza n. 161 del 2008) ha espresso un chiaro orientamento volto ad escludere l’esistenza di una dirigenza di fiducia e dunque la possibilità di una interpretazione della normativa vigente nel senso di ammettere la scelta discrezionale, senza limiti, dei soggetti esterni all’ente cui conferire gli incarichi, nonché la necessità di forme di pubblicità che assicurino la trasparenza, procedure comparative anche non concorsuali, richiedendo quindi una procedimentalizzazione dell’iter da seguire”.

2.5 - VALUTAZIONI FINALI E POSSIBILE INTERPRETAZIONE

Riassumendo:

L’art. 40 del Decreto, che modifica l’art. 19 del D.Lgs. 165/2001, estende agli Enti Locali la disciplina sulla nomina dei dirigenti a tempo determinato, prevista per le amministrazioni dello Stato, per quanto riguarda la limitazione numerica.

Dalla complessiva lettura del nuovo testo dell’articolo 19, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001 risulta che:

• la verifica dell’esistenza di specifiche qualificazioni professionali riguarda esclusivamente i dirigenti a tempo indeterminato; l’esito negativo di detta verifica consente di attivare le procedure per il conferimento di incarichi dirigenziali sia a soggetti esterni all’amministrazione, sia a personale interno non avente qualifica dirigenziale, in possesso dei requisiti a tal fine prescritti; in tale ultimo caso sarebbe opportuno prevedere criteri specifici e premianti di valutazione della qualificazione maturata all’interno dell’ente;

• la procedura rivolta a soggetti diversi dai dirigenti dell’ente deve avere caratteri sostanziali di pubblicità e selettività, da definire a livello regolamentare;

• nel caso di conferimento di un incarico dirigenziale a funzionari dell’ente, la conseguenza nel rapporto di lavoro esistente è la collocazione in aspettativa, e non la conclusione del rapporto di lavoro stesso.

I principali problemi interpretativi nascono dal comma 6-ter, dal quale si ricaverebbe la regola che le modalità di conferimento di incarichi dirigenziali ai sensi del comma 6 e i limiti percentuali alla scelta di soggetti esterni per gli incarichi dirigenziali si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche.

Dunque, anche agli Enti Locali, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, devono applicarsi limiti al contingente di incarichi dirigenziali esterni e ciò non appare lesivo dell’autonomia.

Al riguardo però va tenuto conto che l’applicazione dei limiti percentuali deve far riferimento alla diversa struttura organizzativa degli Enti Locali rispetto alle amministrazioni dello Stato (negli Enti Locali, a differenza dello Stato, vi è un unico ruolo dirigenziale e non sussistono dirigenti di prima o di seconda fascia) e inoltre che:

• la materia è regolata per Comuni e Province dal vigente art. 110 D.Lgs. n. 267/2000;

• lo svolgimento della previsione normativa primaria avviene e deve avvenire con norme regolamentari, espressione dell’autonomia degli enti;

• i livelli dimensionali degli enti e le caratteristiche strutturali della dirigenza statale non consentirebbero comunque una applicazione reale di limiti percentuali fissi agli enti locali;

• il comma 6-bis attiene al meccanismo di arrotondamento percentuale, mentre il comma 5 bis, esplicitamente riferito alle amministrazioni statali, non è richiamato dal comma 6-ter.

Ciascuna Amministrazione deve procedere pertanto a stabilire i limiti con il regolamento di organizzazione, sulla base dei due fondamentali criteri di prevalenza degli incarichi dirigenziali a dirigenti interni e di adeguatezza alle esigenze dell’ente stesso.

In ogni caso deve sempre trattarsi di un limite ragionevole non distante da quello previsto per le Amministrazioni dello Stato.