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Sottoscrizione - Cassazione Lavoro: condizioni per ritenere valido il licenziamento anche in assenza di firma

Sottoscrizione - Cassazione Lavoro: condizioni per ritenere valido il licenziamento anche in assenza di firma
Sottoscrizione - Cassazione Lavoro: condizioni per ritenere valido il licenziamento anche in assenza di firma

Con la sentenza in esame la Cassazione ribadisce il proprio orientamento ritenendo il licenziamento valido nonostante manchi la firma del rappresentante legale sulla lettera, nonché la lettera sia prodotta dallo stesso datore di lavoro.

 

Il caso

In data 3 Marzo 2011 una dipendente di una S.r.l. viene licenziata per giustificato motivo oggettivo. Impugna il licenziamento: in data 26 Settembre 2013 il Tribunale di Torino rigetta l’impugnativa e successivamente, in data 8 Aprile 2014, la Corte d’Appello di Torino riforma la sentenza, ma solamente per quanto riguarda le spese. Il soggetto ricorre quindi in Cassazione sulla base di due motivi. La S.r.l. oppone controricorso (sulla base dell’art. 370 cod. proc. civ.). 

 

Il primo motivo

La ricorrente presenta come primo motivo la “violazione e falsa applicazione degli articoli 1398 (Rappresentanza senza potere) e 1299 (Regresso tra condebitori) cod. civ.”, poiché la sentenza d’Appello ha convalidato la lettera di licenziamento, sulla quale tuttavia la rappresentante legale della società nega di aver apposto la propria firma. Si fa inoltre riferimento all’articolo 2 della legge 604/1966, che dichiara inefficace il licenziamento comunicato in forma orale, e dal quale si deduce che, in mancanza di sottoscrizione, la lettera di licenziamento sarebbe da considerarsi non convalidabile o ratificabile, tale quindi da rendere nullo il licenziamento stesso.

Ricordiamo che la sottoscrizione di una lettera di licenziamento, così come di una generale scrittura privata, è l’elemento che ne attesta l’autore. 

Secondo la Corte di Cassazione il motivo è infondato.

Innanzitutto, si rimarca che “nel caso in oggetto ci si trova in una situazione diversa da quella della ratifica ex articolo 1399 c.c.”, in quanto non si rileva alcun falsus procurator o soggetto che abbia agito al di là dei poteri conferitigli. Non si può quindi ipotizzare che il datore abbia ratificato un atto concluso da altri.

Inoltre, si ribadisce il principio di diritto, già maturato nella giurisprudenza precedente “(cfr., ex aliis, Cass. n. 13548/06; Cass. n. 3810/04; Cass. n. 2826/2000)”, per cui: “La produzione in giudizio d’una lettera di licenziamento priva di sottoscrizione alcuna o munita di sottoscrizione proveniente da persona diversa dalla parte che avrebbe dovuto sottoscriverla equivale a sottoscrizione, purché tale produzione avvenga ad opera della parte stessa nel giudizio pendente nei confronti del destinatario della lettera di licenziamento medesima”.

Questo significa che qualora il datore produca in giudizio la lettera di licenziamento, cioè esibisca al giudice lo stesso documento inviato al dipendente, così da dimostrarne la provenienza, si verificherebbe una sanatoria del vizio di forma derivante dalla precedente assenza di firma. Di conseguenza il licenziamento è da considerarsi efficace.

Il secondo motivo

In secondo luogo la ricorrente denuncia l’“omessa motivazione, da parte della Corte territoriale, della quantificazione delle spese del giudizio di primo grado”.

Anche in questo caso la Cassazione rigetta il motivo, in quanto, come già affermato in giurisprudenza (“Cass. n. 20604/15; contra, Cass. n. 20289/15”), il giudice è tenuto a motivare la propria decisione sulle spese processuali solo qualora sia depositata una nota spese  ed egli se ne discosti. Di conseguenza, in mancanza di quest’ultima, al giudice non solo non è richiesto di redigere una motivazione, ma nemmeno di chiarire le singole voci di spesa.

Nel caso di specie, la ricorrente non ha depositato alcuna nota spese, né riporta se l’avesse fatto la parte avversaria.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 16 Maggio 2017, n. 12106)