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La carica di sindaco di un comune con popolazione superiore a 20.000 abitanti è incompatibile con la carica di parlamentare

Nota a Corte Costituzionale, Sentenza 21 ottobre 2011, n. 27
La Corte Costituzionale, con sentenza 21 ottobre 2011 n. 277 ha sancito l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 (Incompatibilità parlamentari), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti.

IL CONTENUTO DELLA SENTENZA

La sentenza della Corte Costituzionale nasce dalla questione sollevata nel corso di un giudizio promosso da un cittadino elettore nei confronti del sindaco del Comune di Catania, per accertare in capo al convenuto la sussistenza della causa di incompatibilità tra tale carica e quella di senatore della Repubblica Italiana, e conseguentemente dichiararne la decadenza dalla prima in mancanza di esercizio del diritto di opzione.

Il Tribunale civile di Catania, con ordinanza emessa il 10 dicembre 2010, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 51, 67 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale, fra le altre norme, degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 (Incompatibilità parlamentari), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, in presenza delle condizioni di cui all’art. 7, primo comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), in combinato disposto con l’art. 5 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), che estende la disciplina delle ineleggibilità per la Camera dei deputati alle elezioni per il Senato della Repubblica.

LE NORME IN ESAME

L’art. 7, primo comma, lettera c), del d.P.R. n. 361 del 1957, recante il testo unico per l’elezione della Camera dei deputati, sancisce che: «Non sono eleggibili: […] c) i sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti».

A sua volta, l’art. 5 del decreto legislativo n. 533 del 1991, recante il testo unico per l’elezione del Senato della Repubblica, dispone che: «Sono eleggibili a senatori gli elettori che, al giorno delle elezioni, hanno compiuto il quarantesimo anno di età e non si trovano in alcuna delle condizioni d’ineleggibilità previste dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361».

IL GIUDIZIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Gli articoli da 1 a 4 della legge n. 60 del 1953 sulle incompatibilità parlamentari vengono censurati in quanto nulla prevedono, in termini di incompatibilità, per il caso in cui la identica causa di ineleggibilità sia sopravvenuta rispetto alla elezione a parlamentare.

Ed a sostegno delle doglianze il Tribunale di Catania richiama la sentenza n. 143 del 2010, nella quale la Corte Costituzionale ha sottolineato come dalla legislazione statale in materia elettorale emerga la «previsione di un parallelismo tra le cause di incompatibilità e le cause di ineleggibilità sopravvenute, con riguardo all’esigenza, indicata dalla legge, di preservare la libertà nell’esercizio della carica» attraverso una tendenziale esclusione del co-esercizio con altra carica elettiva.

Si trattava dunque di verificare la coerenza di un sistema in cui, alla non sindacabile scelta operata dal legislatore di escludere l’eleggibilità alla Camera o al Senato di chi contemporaneamente rivesta la carica di sindaco di grande Comune, non si accompagni la previsione di una causa di incompatibilità per il caso in cui la stessa carica sopravvenga rispetto alla elezione a membro del Parlamento nazionale.

LE VALUTAZIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Si legge nella sentenza:

“La odierna valutazione della mancata previsione della causa di incompatibilità in oggetto deve quindi muoversi non solo sul versante ontologico riferito alla individuazione della diversità di ratio e di elementi distintivi proprî, per causa ed effetti, delle cause di ineleggibilità (e della conseguente limitazione dello jus ad officium, onde evitare lo strumentale insorgere di fenomeni di captatio benevolentiae e di metus publicae potestatis) rispetto a quelle di incompatibilità – incidenti sullo jus in officio, per scongiurare l’insorgere di conflitti di interessi – (sentenze n. 288 del 2007 e n. 235 del 1988). L’analisi va viceversa condotta – in ossequio alla esigenza di ricondurre il sistema ad una razionalità intrinseca altrimenti lesa – alla stregua di un criterio più propriamente teleologico, nel cui contesto va evidenziato «il naturale carattere bilaterale dell’ineleggibilità», il quale inevitabilmente «finisce con il tutelare, attraverso il divieto a candidarsi in determinate condizioni, non solo la carica per la quale l’elezione è disposta, ma anche la carica il cui esercizio è ritenuto incompatibile con la candidatura in questione» (sentenza n. 276 del 1997).

Tale profilo finalistico non può trovare attuazione se non attraverso l’affermazione della necessità che il menzionato parallelismo sia assicurato, allorquando il cumulo tra gli uffici elettivi sia, comunque, ritenuto suscettibile di compromettere il libero ed efficiente espletamento della carica, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 51 Cost. (sentenza n. 201 del 2003). Poiché in ultima analisi le cause di ineleggibilità e di incompatibilità si pongono quali strumenti di protezione non soltanto del mandato elettivo, ma anche del pubblico ufficio che viene ritenuto causa di impedimento del corretto esercizio della funzione rappresentativa, il potere discrezionale del legislatore di introdurre (o mantenere) dei temperamenti alla esclusione di cumulo tra le due cariche «trova un limite nella necessità di assicurare il rispetto del principio di divieto del cumulo delle funzioni, con la conseguente incostituzionalità di previsioni che ne rappresentino una sostanziale elusione» (sentenza n. 143 del 2010).

In assenza di una causa normativa (enucleabile all’interno della legge impugnata ovvero dal più ampio sistema in cui la previsione opera) idonea ad attribuirne ragionevole giustificazione, la previsione della non compatibilità di un munus pubblico rispetto ad un altro preesistente, cui non si accompagni, nell’uno e nell’altro, una disciplina reciprocamente speculare, si pone in violazione della naturale corrispondenza biunivoca della cause di ineleggibilità, che vengono ad incidere necessariamente su entrambe le cariche coinvolte dalla relativa previsione, anche a prescindere dal dato temporale dello svolgimento dell’elezione. Tanto più che la regola della esclusione "unidirezionale" viene in concreto fatta dipendere, quanto alla sua effettiva operatività, dalla circostanza – meramente casuale – connessa alla cadenza temporale delle relative tornate elettorali ed alla priorità o meno della assunzione della carica elettiva "pregiudicante" a tutto vantaggio della posizione del parlamentare; da ciò la lesione non soltanto del canone di uguaglianza e ragionevolezza ma anche della stessa libertà di elettorato attivo e passivo.

Pertanto, gli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge n. 60 del 1953 devono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi, nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti”.

GLI EFFETTI DELLA SENTENZA

Senza entrare nel merito dell’ampio dibattito dottrinale sulla natura delle sentenze costituzionali, nel caso in esame trattasi delle cosiddetta “Sentenza additiva di regola”, cioè dispositivo con il quale la Corte accerta la fondatezza della questione di legittimità costituzionale e dichiara l’illegittimità costituzionale della disposizione di legge nella parte in cui il suo testo non prevede qualcosa che invece dovrebbe prevedere.

Con le decisioni additive, la declaratoria di incostituzionalità colpisce la disposizione «nella parte in cui non prevede» un qualcosa, con conseguente aggiunta, da parte della sentenza, di un frammento alla norma oggetto del giudizio.

La pronuncia additiva presuppone l’impossibilità di superare la «norma negativa» affetta da incostituzionalità per via d’interpretazione, nonché l’esistenza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata.

Per valutare gli effetti della sentenza bisogna ricordare che il principio cardine in materia (in virtù dell’articolo 136 della Costituzione e dell’articolo 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87) è che gli effetti della deliberazione di accoglimento decorrono dal giorno successivo alla pubblicazione del dispositivo della decisione.

Inoltre, gli stessi si producono ex tunc, vale a dire anche relativamente ai rapporti sorti anteriormente alla declaratoria di illegittimità, così come chiarito anche dalla Corte di cassazione, con il solo limite costituito dai "rapporti esauriti".

Ciò posto, considerato che la sentenza, come abbiamo visto, dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60, nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti”, ha di fatto introdotto una nuova causa di incompatibilità regolata dalla Legge 60/1953.

Ne deriva che i Parlamentari oggi in carica, che contemporaneamente ricoprono la carica di Sindaco di un Comune con popolazione superiore a 20.000 abitanti debbono, nel termine di trenta giorni, optare fra le carica di Sindaco ed il mandato parlamentare (art. 7 della Legge 60/1953).

Sarà la Giunta delle elezioni della Camera dei deputati o del Senato della Repubblica, investita del caso dalla Presidenza della rispettiva Assemblea, secondo che trattisi di un deputato o di un senatore che non abbia ottemperato all’obbligo di opzione, ad effettuare gli accertamenti e le istruttorie sulle incompatibilità e ad assumere i conseguenti provvedimenti.rapi

La Corte Costituzionale, con sentenza 21 ottobre 2011 n. 277 ha sancito l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 (Incompatibilità parlamentari), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti.

IL CONTENUTO DELLA SENTENZA

La sentenza della Corte Costituzionale nasce dalla questione sollevata nel corso di un giudizio promosso da un cittadino elettore nei confronti del sindaco del Comune di Catania, per accertare in capo al convenuto la sussistenza della causa di incompatibilità tra tale carica e quella di senatore della Repubblica Italiana, e conseguentemente dichiararne la decadenza dalla prima in mancanza di esercizio del diritto di opzione.

Il Tribunale civile di Catania, con ordinanza emessa il 10 dicembre 2010, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 51, 67 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale, fra le altre norme, degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 (Incompatibilità parlamentari), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, in presenza delle condizioni di cui all’art. 7, primo comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), in combinato disposto con l’art. 5 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), che estende la disciplina delle ineleggibilità per la Camera dei deputati alle elezioni per il Senato della Repubblica.

LE NORME IN ESAME

L’art. 7, primo comma, lettera c), del d.P.R. n. 361 del 1957, recante il testo unico per l’elezione della Camera dei deputati, sancisce che: «Non sono eleggibili: […] c) i sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti».

A sua volta, l’art. 5 del decreto legislativo n. 533 del 1991, recante il testo unico per l’elezione del Senato della Repubblica, dispone che: «Sono eleggibili a senatori gli elettori che, al giorno delle elezioni, hanno compiuto il quarantesimo anno di età e non si trovano in alcuna delle condizioni d’ineleggibilità previste dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361».

IL GIUDIZIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Gli articoli da 1 a 4 della legge n. 60 del 1953 sulle incompatibilità parlamentari vengono censurati in quanto nulla prevedono, in termini di incompatibilità, per il caso in cui la identica causa di ineleggibilità sia sopravvenuta rispetto alla elezione a parlamentare.

Ed a sostegno delle doglianze il Tribunale di Catania richiama la sentenza n. 143 del 2010, nella quale la Corte Costituzionale ha sottolineato come dalla legislazione statale in materia elettorale emerga la «previsione di un parallelismo tra le cause di incompatibilità e le cause di ineleggibilità sopravvenute, con riguardo all’esigenza, indicata dalla legge, di preservare la libertà nell’esercizio della carica» attraverso una tendenziale esclusione del co-esercizio con altra carica elettiva.

Si trattava dunque di verificare la coerenza di un sistema in cui, alla non sindacabile scelta operata dal legislatore di escludere l’eleggibilità alla Camera o al Senato di chi contemporaneamente rivesta la carica di sindaco di grande Comune, non si accompagni la previsione di una causa di incompatibilità per il caso in cui la stessa carica sopravvenga rispetto alla elezione a membro del Parlamento nazionale.

LE VALUTAZIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Si legge nella sentenza:

“La odierna valutazione della mancata previsione della causa di incompatibilità in oggetto deve quindi muoversi non solo sul versante ontologico riferito alla individuazione della diversità di ratio e di elementi distintivi proprî, per causa ed effetti, delle cause di ineleggibilità (e della conseguente limitazione dello jus ad officium, onde evitare lo strumentale insorgere di fenomeni di captatio benevolentiae e di metus publicae potestatis) rispetto a quelle di incompatibilità – incidenti sullo jus in officio, per scongiurare l’insorgere di conflitti di interessi – (sentenze n. 288 del 2007 e n. 235 del 1988). L’analisi va viceversa condotta – in ossequio alla esigenza di ricondurre il sistema ad una razionalità intrinseca altrimenti lesa – alla stregua di un criterio più propriamente teleologico, nel cui contesto va evidenziato «il naturale carattere bilaterale dell’ineleggibilità», il quale inevitabilmente «finisce con il tutelare, attraverso il divieto a candidarsi in determinate condizioni, non solo la carica per la quale l’elezione è disposta, ma anche la carica il cui esercizio è ritenuto incompatibile con la candidatura in questione» (sentenza n. 276 del 1997).

Tale profilo finalistico non può trovare attuazione se non attraverso l’affermazione della necessità che il menzionato parallelismo sia assicurato, allorquando il cumulo tra gli uffici elettivi sia, comunque, ritenuto suscettibile di compromettere il libero ed efficiente espletamento della carica, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 51 Cost. (sentenza n. 201 del 2003). Poiché in ultima analisi le cause di ineleggibilità e di incompatibilità si pongono quali strumenti di protezione non soltanto del mandato elettivo, ma anche del pubblico ufficio che viene ritenuto causa di impedimento del corretto esercizio della funzione rappresentativa, il potere discrezionale del legislatore di introdurre (o mantenere) dei temperamenti alla esclusione di cumulo tra le due cariche «trova un limite nella necessità di assicurare il rispetto del principio di divieto del cumulo delle funzioni, con la conseguente incostituzionalità di previsioni che ne rappresentino una sostanziale elusione» (sentenza n. 143 del 2010).

In assenza di una causa normativa (enucleabile all’interno della legge impugnata ovvero dal più ampio sistema in cui la previsione opera) idonea ad attribuirne ragionevole giustificazione, la previsione della non compatibilità di un munus pubblico rispetto ad un altro preesistente, cui non si accompagni, nell’uno e nell’altro, una disciplina reciprocamente speculare, si pone in violazione della naturale corrispondenza biunivoca della cause di ineleggibilità, che vengono ad incidere necessariamente su entrambe le cariche coinvolte dalla relativa previsione, anche a prescindere dal dato temporale dello svolgimento dell’elezione. Tanto più che la regola della esclusione "unidirezionale" viene in concreto fatta dipendere, quanto alla sua effettiva operatività, dalla circostanza – meramente casuale – connessa alla cadenza temporale delle relative tornate elettorali ed alla priorità o meno della assunzione della carica elettiva "pregiudicante" a tutto vantaggio della posizione del parlamentare; da ciò la lesione non soltanto del canone di uguaglianza e ragionevolezza ma anche della stessa libertà di elettorato attivo e passivo.

Pertanto, gli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge n. 60 del 1953 devono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi, nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti”.

GLI EFFETTI DELLA SENTENZA

Senza entrare nel merito dell’ampio dibattito dottrinale sulla natura delle sentenze costituzionali, nel caso in esame trattasi delle cosiddetta “Sentenza additiva di regola”, cioè dispositivo con il quale la Corte accerta la fondatezza della questione di legittimità costituzionale e dichiara l’illegittimità costituzionale della disposizione di legge nella parte in cui il suo testo non prevede qualcosa che invece dovrebbe prevedere.

Con le decisioni additive, la declaratoria di incostituzionalità colpisce la disposizione «nella parte in cui non prevede» un qualcosa, con conseguente aggiunta, da parte della sentenza, di un frammento alla norma oggetto del giudizio.

La pronuncia additiva presuppone l’impossibilità di superare la «norma negativa» affetta da incostituzionalità per via d’interpretazione, nonché l’esistenza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata.

Per valutare gli effetti della sentenza bisogna ricordare che il principio cardine in materia (in virtù dell’articolo 136 della Costituzione e dell’articolo 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87) è che gli effetti della deliberazione di accoglimento decorrono dal giorno successivo alla pubblicazione del dispositivo della decisione.

Inoltre, gli stessi si producono ex tunc, vale a dire anche relativamente ai rapporti sorti anteriormente alla declaratoria di illegittimità, così come chiarito anche dalla Corte di cassazione, con il solo limite costituito dai "rapporti esauriti".

Ciò posto, considerato che la sentenza, come abbiamo visto, dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60, nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti”, ha di fatto introdotto una nuova causa di incompatibilità regolata dalla Legge 60/1953.

Ne deriva che i Parlamentari oggi in carica, che contemporaneamente ricoprono la carica di Sindaco di un Comune con popolazione superiore a 20.000 abitanti debbono, nel termine di trenta giorni, optare fra le carica di Sindaco ed il mandato parlamentare (art. 7 della Legge 60/1953).

Sarà la Giunta delle elezioni della Camera dei deputati o del Senato della Repubblica, investita del caso dalla Presidenza della rispettiva Assemblea, secondo che trattisi di un deputato o di un senatore che non abbia ottemperato all’obbligo di opzione, ad effettuare gli accertamenti e le istruttorie sulle incompatibilità e ad assumere i conseguenti provvedimenti.rapi