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La finanziaria cambia il quadro dell’autonomia normativa delle Casse di previdenza private

L’art. 1, comma 763 della legge finanziaria, inserito dall’ art. 1, comma 766 del maxi emendamento sostitutivo degli articoli da 1 a 18 che compongono il disegno di legge n. 1183, ha sostituito i primi due periodi dell’art. 3 comma 12 della L. n. 335/95, introducendo importanti e sostanziali modificazioni degli obblighi, dei poteri (e dei criteri per il loro esercizio) degli enti previdenziali privatizzati, nonchè del campo d’applicazione della norma, ora esteso agli enti di cui al D.Lgs. n. 103/96 e con l’esclusione esplicita dell’Inpgi.

Sotto un profilo generale, la nuova versione dei primi due periodi dell’art. 3 comma 12 si muove senza dubbio più sul piano gestionale che sul piano strettamente normativo, obbligando gli enti a ricondurre la stabilità di gestione ad un arco temporale più ampio ed a verificarla con modelli previsionali certi, coartando gli enti ad intervenire in caso d’accertata instabilità, pena, in difetto, il commissariamento.

Esaminando, nel dettaglio, i profili gestionali, l’art. 1, comma 763 della legge finanziaria ha, senza dubbio, imposto più severi controlli sulla stabilità imponendo che la medesima sia da ricondurre ad un arco temporale non inferiore ai trenta anni. La previsione di un bilancio tecnico che sia redatto secondo criteri uniformi e, ci si augura, trasparenti appare, inoltre, un produttivo incentivo alla responsabilità nell’amministrazione ed alla tempestività di eventuali interventi correttivi della medesima. L’art. 1, comma 763, nella medesima prospettiva, ha imposto obblighi d’intervento agli enti previdenziali privatizzati in caso d’accertata instabilità nel medio lungo periodo ed ha assistito responsabilmente tale obbligo con la severa ma doverosa sanzione del commissariamento.

Passando, invece, all’esame dei poteri normativi e provvedimentali degli enti previdenziali privatizzati, così come risultanti dall’art. 1 comma 763, occorre ricordare che la precedente versione dell’art. 3 comma 12 della L. n. 335/95 ne aveva, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. n. 7010/2005), esteso l’ambito, precedentemente delimitato, ai sensi del D.Lgs. n. 509/94, alle deliberazioni in materia di contributi e prestazioni che fossero consentite dalla previgente normativa.

In particolare, l’art. 3 comma 12, nel testo precedente a quello introdotto dall’art. 1 comma 763 della legge finanziaria, prevedeva che gli enti potessero variare i coefficienti di rendimento delle pensioni ed ogni altro criterio di determinazione delle medesime e che potessero variare le aliquote contributive nel rispetto del pro rata con riferimento alle anzianità maturate sino alla data d’introduzione delle modifiche stesse. A prescindere dal conferimento di specifici poteri nelle rispettive leggi istitutive, ai sensi del precedente art. 3 comma 12 della L. n. 335/95, gli enti previdenziali privatizzati, ai fini della stabilità della gestione, potevano, dunque, adottare deliberazioni su contributi e prestazioni, incidendo sulle aliquote e su ogni altro criterio di determinazione, salvo il rispetto del principio del pro rata.

La nuova versione dell’art. 3 comma 12 della L. n. 335/95, eliminando le facoltà conferite dalla previgente normativa, si limita ad imporre l’intervento da parte degli enti che abbiano accertato situazioni di squilibrio, adottando provvedimenti, nei limiti individuati dal D.Lgs. n. 509/94 e nel rispetto, non solo del principio del pro rata ma anche della gradualità e dell’equità tra generazioni.

L’introduzione, quali criteri ispiratori, dell’equità intergenerazionale e della gradualità, a fianco di quello del pro rata, appare, senza dubbio, una scelta accorta, volta a contemperare le aspettative previdenziali già maturate con i diritti dei giovani contribuenti.

Altrettanto accorta appare l’attenuazione del rigido vincolo del pro rata che gli enti debbono, ora, solo avere presente e non già rispettare integralmente atteso che sarebbe ben difficile rispettare l’equità tra generazioni ove fosse contestualmente imposto l’integrale rispetto del pro rata.

L’eliminazione, tout court, delle facoltà provvedimentali contemplate dalla previgente normativa appare, invece, una scelta poco meditata in quanto potrebbe finire per imbrigliare eccessivamente i poteri di intervento degli enti previdenziali privatizzati che, a questo punto, dovranno fare esclusivamente i conti con le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 509/94 che, lo si ribadisce, conferiva poteri deliberativi in materia di contributi e prestazioni esclusivamente nei limiti entro cui tali facoltà fossero previste nelle previgenti leggi istitutive.

A fronte delle modificazioni introdotte dall’art. 1 comma 763 della legge finanziaria (modificazione dell’arco temporale cui ricondurre la stabilità della gestione, nuovi criteri per redigere il bilancio tecnico, nuovi principi, oltre il pro rata, informatori dei poteri provvedimentali, eliminazione delle facoltà di cui al precedente art. 3 comma 12 della L. n. 335/95) il Legislatore ha ritenuto, poi, di fare salvi tutti gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti sino all’entrata in vigore della legge stessa, il cui quadro normativo di riferimento continuerà ad essere il precedente art. 3 comma 12 della L. n. 335/95.

Nonostante l’infelice formulazione, questa appare l’unica interpretazione plausibile e sistematica della clausola finale del comma 763 in quanto rispettosa del principio di non retroattività della legge. Una diversa interpretazione, pur da taluno utilitaristicamente prospettata, secondo cui la clausola darebbe forza di legge a tutti gli atti e le deliberazioni adottate nel tempo dagli enti privatizzati non può certo essere condivisa in quanto finirebbe per dotare di forza di legge non solo le deliberazioni di natura regolamentare ma anche ogni singolo atto adottato degli enti di previdenza (anche, per esempio, una singola revoca della pensione). In tal senso la portata della clausola sarebbe spropositata ed imprevedibile finendo per trasformarsi in una vera e propria legge in bianco retroattiva. Sotto il profilo sistematico sarebbe, poi, ben poco comprensibile mantenere in vigore l’ultimo periodo dell’art. 3 comma 12 della L. n. 335/95 che prevede la facoltà di optare per il sistema contributivo definito ai sensi della presente legge e legittimare, nel medesimo comma, riforme che hanno introdotto un sistema contributivo con discipline diverse e particolari (con differenti tassi di capitalizzazione del montante, con diversi requisiti anagrafici d’accesso, con diverse basi reddituali per il calcolo della quota reddituale ecc. ecc.).

Sotto il profilo delle prospettive, non può non nutrirsi qualche dubbio sulla possibilità che i, pur lodevoli e condivisibili, principi di cui al comma 763 della legge finanziaria, rappresentino sufficienti argini di tutela per i professionisti ed una garanzia di certezza del diritto. Non può, poi, non nutrirsi più di qualche dubbio sugli auspicati effetti deflattivi del contenzioso in atto che non può che attingere carburante da leggi dai margini incerti ed opinabili.

L’auspicio utopistico è che si finisca, una volta per tutte, di inseguire gli eventi tentando di tappare le falle e che si comprenda la necessità di dotarsi di norme precise e puntuali, condivise e rispettate che guidino l’esercizio di un’autonomia normativa la cui auspicata assolutezza non arreca, a ben vedere, beneficio a nessuno.

L’art. 1, comma 763 della legge finanziaria, inserito dall’ art. 1, comma 766 del maxi emendamento sostitutivo degli articoli da 1 a 18 che compongono il disegno di legge n. 1183, ha sostituito i primi due periodi dell’art. 3 comma 12 della L. n. 335/95, introducendo importanti e sostanziali modificazioni degli obblighi, dei poteri (e dei criteri per il loro esercizio) degli enti previdenziali privatizzati, nonchè del campo d’applicazione della norma, ora esteso agli enti di cui al D.Lgs. n. 103/96 e con l’esclusione esplicita dell’Inpgi.

Sotto un profilo generale, la nuova versione dei primi due periodi dell’art. 3 comma 12 si muove senza dubbio più sul piano gestionale che sul piano strettamente normativo, obbligando gli enti a ricondurre la stabilità di gestione ad un arco temporale più ampio ed a verificarla con modelli previsionali certi, coartando gli enti ad intervenire in caso d’accertata instabilità, pena, in difetto, il commissariamento.

Esaminando, nel dettaglio, i profili gestionali, l’art. 1, comma 763 della legge finanziaria ha, senza dubbio, imposto più severi controlli sulla stabilità imponendo che la medesima sia da ricondurre ad un arco temporale non inferiore ai trenta anni. La previsione di un bilancio tecnico che sia redatto secondo criteri uniformi e, ci si augura, trasparenti appare, inoltre, un produttivo incentivo alla responsabilità nell’amministrazione ed alla tempestività di eventuali interventi correttivi della medesima. L’art. 1, comma 763, nella medesima prospettiva, ha imposto obblighi d’intervento agli enti previdenziali privatizzati in caso d’accertata instabilità nel medio lungo periodo ed ha assistito responsabilmente tale obbligo con la severa ma doverosa sanzione del commissariamento.

Passando, invece, all’esame dei poteri normativi e provvedimentali degli enti previdenziali privatizzati, così come risultanti dall’art. 1 comma 763, occorre ricordare che la precedente versione dell’art. 3 comma 12 della L. n. 335/95 ne aveva, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. n. 7010/2005), esteso l’ambito, precedentemente delimitato, ai sensi del D.Lgs. n. 509/94, alle deliberazioni in materia di contributi e prestazioni che fossero consentite dalla previgente normativa.

In particolare, l’art. 3 comma 12, nel testo precedente a quello introdotto dall’art. 1 comma 763 della legge finanziaria, prevedeva che gli enti potessero variare i coefficienti di rendimento delle pensioni ed ogni altro criterio di determinazione delle medesime e che potessero variare le aliquote contributive nel rispetto del pro rata con riferimento alle anzianità maturate sino alla data d’introduzione delle modifiche stesse. A prescindere dal conferimento di specifici poteri nelle rispettive leggi istitutive, ai sensi del precedente art. 3 comma 12 della L. n. 335/95, gli enti previdenziali privatizzati, ai fini della stabilità della gestione, potevano, dunque, adottare deliberazioni su contributi e prestazioni, incidendo sulle aliquote e su ogni altro criterio di determinazione, salvo il rispetto del principio del pro rata.

La nuova versione dell’art. 3 comma 12 della L. n. 335/95, eliminando le facoltà conferite dalla previgente normativa, si limita ad imporre l’intervento da parte degli enti che abbiano accertato situazioni di squilibrio, adottando provvedimenti, nei limiti individuati dal D.Lgs. n. 509/94 e nel rispetto, non solo del principio del pro rata ma anche della gradualità e dell’equità tra generazioni.

L’introduzione, quali criteri ispiratori, dell’equità intergenerazionale e della gradualità, a fianco di quello del pro rata, appare, senza dubbio, una scelta accorta, volta a contemperare le aspettative previdenziali già maturate con i diritti dei giovani contribuenti. >L’art. 1, comma 763 della legge finanziaria, inserito dall’ art. 1, comma 766 del maxi emendamento sostitutivo degli articoli da 1 a 18 che compongono il disegno di legge n. 1183, ha sostituito i primi due periodi dell’art. 3 comma 12 della L. n. 335/95, introducendo importanti e sostanziali modificazioni degli obblighi, dei poteri (e dei criteri per il loro esercizio) degli enti previdenziali privatizzati, nonchè del campo d’applicazione della norma, ora esteso agli enti di cui al D.Lgs. n. 103/96 e con l’esclusione esplicita dell’Inpgi.

Sotto un profilo generale, la nuova versione dei primi due periodi dell’art. 3 comma 12 si muove senza dubbio più sul piano gestionale che sul piano strettamente normativo, obbligando gli enti a ricondurre la stabilità di gestione ad un arco temporale più ampio ed a verificarla con modelli previsionali certi, coartando gli enti ad intervenire in caso d’accertata instabilità, pena, in difetto, il commissariamento.

Esaminando, nel dettaglio, i profili gestionali, l’art. 1, comma 763 della legge finanziaria ha, senza dubbio, imposto più severi controlli sulla stabilità imponendo che la medesima sia da ricondurre ad un arco temporale non inferiore ai trenta anni. La previsione di un bilancio tecnico che sia redatto secondo criteri uniformi e, ci si augura, trasparenti appare, inoltre, un produttivo incentivo alla responsabilità nell’amministrazione ed alla tempestività di eventuali interventi correttivi della medesima. L’art. 1, comma 763, nella medesima prospettiva, ha imposto obblighi d’intervento agli enti previdenziali privatizzati in caso d’accertata instabilità nel medio lungo periodo ed ha assistito responsabilmente tale obbligo con la severa ma doverosa sanzione del commissariamento.

Passando, invece, all’esame dei poteri normativi e provvedimentali degli enti previdenziali privatizzati, così come risultanti dall’art. 1 comma 763, occorre ricordare che la precedente versione dell’art. 3 comma 12 della L. n. 335/95 ne aveva, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. n. 7010/2005), esteso l’ambito, precedentemente delimitato, ai sensi del D.Lgs. n. 509/94, alle deliberazioni in materia di contributi e prestazioni che fossero consentite dalla previgente normativa.

In particolare, l’art. 3 comma 12, nel testo precedente a quello introdotto dall’art. 1 comma 763 della legge finanziaria, prevedeva che gli enti potessero variare i coefficienti di rendimento delle pensioni ed ogni altro criterio di determinazione delle medesime e che potessero variare le aliquote contributive nel rispetto del pro rata con riferimento alle anzianità maturate sino alla data d’introduzione delle modifiche stesse. A prescindere dal conferimento di specifici poteri nelle rispettive leggi istitutive, ai sensi del precedente art. 3 comma 12 della L. n. 335/95, gli enti previdenziali privatizzati, ai fini della stabilità della gestione, potevano, dunque, adottare deliberazioni su contributi e prestazioni, incidendo sulle aliquote e su ogni altro criterio di determinazione, salvo il rispetto del principio del pro rata.

La nuova versione dell’art. 3 comma 12 della L. n. 335/95, eliminando le facoltà conferite dalla previgente normativa, si limita ad imporre l’intervento da parte degli enti che abbiano accertato situazioni di squilibrio, adottando provvedimenti, nei limiti individuati dal D.Lgs. n. 509/94 e nel rispetto, non solo del principio del pro rata ma anche della gradualità e dell’equità tra generazioni.

L’introduzione, quali criteri ispiratori, dell’equità intergenerazionale e della gradualità, a fianco di quello del pro rata, appare, senza dubbio, una scelta accorta, volta a contemperare le aspettative previdenziali già maturate con i diritti dei giovani contribuenti.

Altrettanto accorta appare l’attenuazione del rigido vincolo del pro rata che gli enti debbono, ora, solo avere presente e non già rispettare integralmente atteso che sarebbe ben difficile rispettare l’equità tra generazioni ove fosse contestualmente imposto l’integrale rispetto del pro rata.

L’eliminazione, tout court, delle facoltà provvedimentali contemplate dalla previgente normativa appare, invece, una scelta poco meditata in quanto potrebbe finire per imbrigliare eccessivamente i poteri di intervento degli enti previdenziali privatizzati che, a questo punto, dovranno fare esclusivamente i conti con le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 509/94 che, lo si ribadisce, conferiva poteri deliberativi in materia di contributi e prestazioni esclusivamente nei limiti entro cui tali facoltà fossero previste nelle previgenti leggi istitutive.

A fronte delle modificazioni introdotte dall’art. 1 comma 763 della legge finanziaria (modificazione dell’arco temporale cui ricondurre la stabilità della gestione, nuovi criteri per redigere il bilancio tecnico, nuovi principi, oltre il pro rata, informatori dei poteri provvedimentali, eliminazione delle facoltà di cui al precedente art. 3 comma 12 della L. n. 335/95) il Legislatore ha ritenuto, poi, di fare salvi tutti gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti sino all’entrata in vigore della legge stessa, il cui quadro normativo di riferimento continuerà ad essere il precedente art. 3 comma 12 della L. n. 335/95.

Nonostante l’infelice formulazione, questa appare l’unica interpretazione plausibile e sistematica della clausola finale del comma 763 in quanto rispettosa del principio di non retroattività della legge. Una diversa interpretazione, pur da taluno utilitaristicamente prospettata, secondo cui la clausola darebbe forza di legge a tutti gli atti e le deliberazioni adottate nel tempo dagli enti privatizzati non può certo essere condivisa in quanto finirebbe per dotare di forza di legge non solo le deliberazioni di natura regolamentare ma anche ogni singolo atto adottato degli enti di previdenza (anche, per esempio, una singola revoca della pensione). In tal senso la portata della clausola sarebbe spropositata ed imprevedibile finendo per trasformarsi in una vera e propria legge in bianco retroattiva. Sotto il profilo sistematico sarebbe, poi, ben poco comprensibile mantenere in vigore l’ultimo periodo dell’art. 3 comma 12 della L. n. 335/95 che prevede la facoltà di optare per il sistema contributivo definito ai sensi della presente legge e legittimare, nel medesimo comma, riforme che hanno introdotto un sistema contributivo con discipline diverse e particolari (con differenti tassi di capitalizzazione del montante, con diversi requisiti anagrafici d’accesso, con diverse basi reddituali per il calcolo della quota reddituale ecc. ecc.).

Sotto il profilo delle prospettive, non può non nutrirsi qualche dubbio sulla possibilità che i, pur lodevoli e condivisibili, principi di cui al comma 763 della legge finanziaria, rappresentino sufficienti argini di tutela per i professionisti ed una garanzia di certezza del diritto. Non può, poi, non nutrirsi più di qualche dubbio sugli auspicati effetti deflattivi del contenzioso in atto che non può che attingere carburante da leggi dai margini incerti ed opinabili.

L’auspicio utopistico è che si finisca, una volta per tutte, di inseguire gli eventi tentando di tappare le falle e che si comprenda la necessità di dotarsi di norme precise e puntuali, condivise e rispettate che guidino l’esercizio di un’autonomia normativa la cui auspicata assolutezza non arreca, a ben vedere, beneficio a nessuno.