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La “lieve entità” tra le nuvole della Giurisprudenza degli Anni Duemila

Nuvole
Ph. Giovanni Contarelli / Nuvole

La “lieve entità” tra le nuvole della Giurisprudenza degli Anni Duemila

 

Profili storico-giuridici

L'intenzione di chi redige è quella di analizzare la fattispecie della lieve entità ex comma 5 Art. 73 TU 309/90 alla luce di circa 400 Precedenti della Corte di Cassazione risalenti al triennio 2020-2022, senza dimenticare, come ovvio, le radici storico-giuridiche del “fatto lieve”. Senza dubbio, negli Anni Duemila, è incerto il limite quantitativo al di sotto del quale far scattare l'applicabilità del comma 5 Art. 73 TU 309/90. Inoltre, non esistono regole algebricamente automatiche per distinguere tra il comma 1 ed il comma 5 Art. 73 TU 309/90. Molto, anzi, tutto è lasciato al libero e prudente apprezzamento del giudice,a seconda della singola e concreta fattispecie processuale giudicanda. Secondo Russo (2020)[1], “i criteri di cui all'Art. 73 comma 5 TU 309/90 si prestano spesso a considerazioni fortemente disomogenee, a seconda del contesto territoriale, dell'esperienza professionale e financo della sensibilità sul tema del singolo Magistrato giudicante […]. Si impone, allora, la necessità di riflettere sull'adozione di un'interpretazione [maggiormente, ndr] tassativizzante della fattispecie in esame, che consenta di recuperare certezza del Diritto e prevedibilità della decisione giudiziale per i destinatari del precetto penale […]. In ultima analisi, [bisogna] rinvenire all'interno del sistema le coordinate ermeneutiche essenziali per chiarire i contorni applicativi di una fattispecie di frontiera quale lo spaccio di lieve entità”.

P.e., a parere di chi scrive, non guasterebbe l'introduzione di parametri numerico-ponderali nel comma 5 Art. 73 TU 309/90, come già avvenuto in Sezioni Unite Biondi con afferenza alla QMD per uso personale ex Art. 75 TU 309/90. Non positivo è pure il convincimento di Di Giovine (2020)[2], secondo cui “nel corso dell'ultimo trentennio, la disciplina penale degli stupefacenti è stata oggetto di importanti riforme legislative, nonché di significative pronunzie giurisprudenziali […]. Come è noto, tali interventi esprimono opzioni politico-culturali molto diverse e hanno dato vita, non di rado, a repentini revirements giurisprudenziali […]. Il pendolo delle strategie di contrasto penale è continuamente oscillato tra posizioni assistenzialiste, che considerano il drogato come una persona da curare e/o da recuperare alla società, e ondate proibizioniste, che eleggono nel Diritto Penale lo strumento per cercare di sradicare il problema o, quantomeno, di emarginare l'autore che tale problema rappresenta, togliendolo dalla vista della società”. Anche a parere di chi commenta, il Legislatore italiano preferisce saziare i malumori popolari, anziché affrontare in maniera tecnica la problematica delle tossicomanie. Del pari, Antonucci (2018)[3] sottolinea lo jato tra le reali difficoltà sociali ed il Diritto Penale degli stupefacenti. D'altra parte, Zuffa & Anastasia & Corleone (2018)[4] hanno messo in risalto che “in Italia, circa un terzo della popolazione detenuta si trova in carcere per violazione della legge sugli stupefacenti e circa un quarto dei detenuti è tossicodipendente”. Sempre in Dottrina, Cianchella (2018)[5] mette in luce che “è evidente l'impatto dirompente che ogni mutamento [nel TU 309/90], sia esso legislativo o giurisprudenziale, produce su migliaia di vite umane […] [Bisogna] recuperare non soltanto la dimensione umana del sistema penale degli stupefacenti, ma [è anche necessario] mettere in evidenza le non trascurabili conseguenze dello status quo in punto di efficienza della macchina giudiziaria”.

 

Le precedenti versioni del comma 5 Art. 73 TU 309/90

Nel testo originario della L. 162/1990, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 prevedeva che “quando, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione, ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da lire 5.000.000 a lire 50.000.000, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope dei cui alle tabelle I e III previste dall'Art. 14, ovvero le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da lire 2.000.000 a lire 20.000.000 se si tratta di sostanze di cui alle tabelle II e IV”.

In primo luogo, come rimarcato da Cass., sez. pen. IV, 16 aprile 1997, n. 4240, “[nel vecchio testo del 1990] il comma 5 Art. 73 TU 309/90 era, pacificamente, una circostanza attenuante (oggettiva e ad effetto speciale) e non era una norma incriminatrice autonoma, con la conseguenza di entrare nel giudizio di bilanciamento”. Anche Cass., SS.UU., 24 giugno 2010, n. 35737, Rico specifica che, nella L. 162/1990, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 non costituiva reato autonomo. Taluni, tanto in Dottrina quanto in Giurisprudenza, negli Anni Novanta del Novecento, proposero, de jure condendo, la precettività autonoma della lieve entità, ma l'Art. 2 DL 247/1991 (convertito nella L. 314/1991) ribadì “la natura circostanziale della norma in esame”. In secondo luogo, Insolera & Spangher (2019)[6] affermavano che, sotto il profilo della ratio, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 mitigava il comma 1 Art. 73 TU 309/90 “nella necessità di garantire ragionevolezza all'impianto sanzionatorio delle norme destinate a reprimere il traffico illecito di sostanze stupefacenti. Dunque, era necessario impostare una “scala di gravità” resa possibile proprio grazie all'ipotesi attenuante della lieve entità. In terzo luogo, come evidenziato da Cass., sez. pen. IV, 21 dicembre 2004, n. 10211, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 “mediante il rinvio alle tabelle ministeriali” introduceva un sistema punitivo maggiormente mite per le sostanze cc.dd. “leggere”. Del resto, anche Cass., sez. pen. VI; 17 aprile 1998, n. 8612 specificava che “da un punto di vista prettamente criminologico”, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 colpiva, in forma attenuata, il “piccolo spaccio” di marjuana ed haschisch, la sciando il narcotraffico vero e proprio al ben più severo comma 1 Art. 73 TU 309/90.

Basilare è poi stata la novella introdotta nel 2006 dalla L. 49/2006 (c.d. Legge Fini Giovanardi). Detta L. 49/2006, entro un'ottica proibizionistica, aveva espunto la distinzione tra cannabis e droghe “dure”, unificando la pena, per lieve entità, nella reclusione da uno a sei anni e nella multa da 3.000 a 26.000 euro. Ciononostante, nemmeno nella Legge Fini-Giovanardi, mancavano attenuanti filo-riduzioniste; ovverosia, era ammessa la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità allorquando il fatto lieve fosse stato commesso da un tossicodipendente o da un tossicofilo ex comma 5 bis Art. 73 TU 309/90. Finalmente, con la L. 10/2014, il sovraffollamento carcerario indusse il Legislatore a qualificare la lieve entità alla stregua di un reato autonomo, anziché di una semplice circostanza attenuante. In Dottrina, Insolera & Spangher (ibidem)[7] salutarono con favore siffatta “mitigazione del complessivo rigore sanzionatorio della disciplina”.

Con la summenzionata L. 10/2014, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 veniva dunque a recitare come segue: “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, le modalità o le circostanze dell'azione, ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da 3.000 a 26.000 euro”. Da menzionare è pure il DL 36/2014 (convertito nella L. 79/2014), ove sono diminuiti i limiti edittali della pena, che ora è della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da 1.032 a 10.329 euro.

Viene ora da citare lo “tzunami” caotico e, a tratti, inutile, provocato da Consulta 32/2014, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la Legge Fini-Giovanardi, ripristinando la pregressa legge Iervolino-Vassalli. Provvidenzialmente, Consulta 32/2014 non ha caducato l'autonomia del reato di lieve entità (introdotta nel 2013) e la riduzione della forbice sanzionatoria (introdotta nel 2014). più nel dettaglio, Consulta 32/2014, nelle Motivazioni, evidenzia che “nessuna incidenza sulle questioni sollevate possono esplicare le modifiche apportate all'Art. 73 comma 5 TU 309/90 dall'Art. 2 DL 146/2013 […]. Trattandosi di uno jus superveniens che riguarda disposizioni non applicabili nel giudizio a quo, non si ravvisa la necessità di una restituzione degli Atti al giudice rimettente, dal momento che le modifiche intervenute medio tempore concernono una disposizione [sulla lieve entità, ndr] di cui è già stata esclusa l'applicazione nella specie, e sono tali da non influire sullo specifico vizio procedurale lamentato dal giudice rimettente in ordine alla formazione della legge di conversione 49/2006 con riguardo a disposizioni differenti. Inoltre, gli effetti del presente giudizio di legittimità costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica [sulla lieve entità] disposta con il DL 146/2013 sopra citato, in quanto stabilita con disposizione successiva a quella qui censurata e indipendente da quest'ultima”.

Per la verità, Consulta 32/2014 non ha toccato direttamente il comma 5 Art. 73 TU 309/90, ma, nella Prassi, ha stravolto le precedenti certezze applicative. P.e., nel fatto di lieve entità, non si distingueva tra le sostanze pesanti e quelle leggere, ma Consulta 32/2014 applicava tale differenziazione nelle altre norme penali destinate agli stupefacenti. Inoltre, il comma 1 Art. 73 TU 309/90 contemplava, per le droghe dure, una forbice edittale dagli 8 ai 20 anni di reclusione, allorquando, nel caso della lieve entità, le pene scendevano dai 6 mesi ai 4 anni di carcere, il che non è conforme alla ratio della proporzionalità. Fanno eccezione Cass., sez. pen. IV, 28 febbraio 2014, n. 10514, confermata da Consulta 23/2016, le quali non reputano violata alcuna ragionevolezza, perché “in considerazione dell'autonomia della fattispecie [della lieve entità] affermatasi nell'evoluzione legislativa e giurisprudenziale, non sussiste più alcuna esigenza di mantenere una simmetria sanzionatoria tra fatti di lieve entità e quelli non lievi. Anche sotto questo profilo, dunque, non vi è ragione di ritenere che il Legislatore sia vincolato a configurare intervalli edittali differenziati a seconda della natura della sostanza, nel caso di reati di lieve entità”. Fortunatamente, Cass., sez. pen. IV, 28 febbraio 2014, n. 10514 nonché Consulta 23/2016 sono rimaste minoritarie.

In effetti, a partire dal 2017, la Corte Costituzionale ha iniziato a reputare come “unreasonable” il minimo edittale di 8 anni di reclusione ex comma 1 Art. 73 TU 309/90. P.e., Consulta 179/2017 censurò l'abnorme discrasia tra il minimo di 8 anni ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 ed il massimo di 4 anni ex comma 5 Art. 73 TU 309/90. Dunque, Consulta 179/2017 richiedeva un celere intervento “proporzionatorio” da parte del Legislatore. Due anni dopo, Consulta 40/2019 ha parlato di una “sproporzionalità intrinseca delle cornici edittali, da un lato, del comma 1 e, dall'altro lato, del comma 5 Art. 73 TU 309/90 ed il minimo edittale ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 venne abbassato ad una soglia più “ragionevole” di 6 anni di reclusione. Più nel dettaglio, Consulta 40/2019, nelle Motivazioni, ha evidenziato che “fermo restando che non spetta alla Corte [Costituzionale] determinare autonomamente la misura della pena […] l'ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale che riguardano l'entità della punizione risulta condizionata non tanto dalla presenza di un'unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla presenza nel sistema di previsioni sanzionatorie che, trasposte all'interno della norma censurata, garantiscano coerenza alla logica perseguita dal Legislatore […]. Nel rispetto delle scelte di politica sanzionatoria delineate dal Legislatore e a lui riservate, occorre, infatti, evitare che l'Ordinamento presenti zone franche immuni dal sindacato di legittimità costituzionale proprio in ambiti in cui è maggiormente impellente l'esigenza di assicurare una tutela effettiva dei diritti fondamentali, tra cui, massimamente, la libertà personale [ex Art. 13 Cost., ndr] incisi dalle scelte sanzionatorie del Legislatore”. Ecco, di nuovo, in buona sostanza, che Consulta 40/2019 è costretta a colmare le lacune di un Legislatore pigro e lento che, nel lungo periodo, genera antinomie incostituzionali e non conformi alla ratio suprema della ragionevolezza. Anzi, grazie a Consulta nn. 179/2017 e 40/2019, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 continua ad essere un reato autonomo che non distingue tra cannabis e altre sostanze e che mantiene un razionale equilibrio sanzionatorio tra lieve entità e fatto grave.

Tuttavia, nella realtà concreta, come evidenziato da Russo (ibidem)[8], la nozione di lieve entità non costituisce un concetto univoco e pacifico, poiché “nella realtà fenomenica, la distinzione tra fatti lievi e più gravi non è netta, come la lettura delle norme incriminatrici suggerirebbe […]. E' necessario, dunque, domandarsi quali siano i criteri valutativi del fatto di lieve entità e, soprattutto, quale sia lo stato dell'arte, sul punto, della Giurisprudenza di legittimità. A ben vedere, infatti, la norma si limita a evocare, da un lato, i mezzi, le modalità e le circostanze dell'azione e, dall'altro lato, la quantità e la qualità delle sostanze. Si tratta, all'evidenza, di criteri indeterminati che potevano certamente giustificarsi quando la norma era un'attenuante, ma che pongono non pochi problemi di tassatività-determinatezza e prevedibilità nel momento in cui la lieve entità ha acquisito lo status di fattispecie incriminatrice autonoma” Dunque, anche il comma 5 Art. 73 TU 309/90 necessita, come asserisce Russo (ibidem)[9], di “coordinate ermeneutiche elaborate dalla Giurisprudenza di legittimità”. Anche Consulta 40/2019, nel paragrafo 5.2 delle Motivazioni, specifica che “indubitabilmente, molti casi si collocano in una zona grigia al confine tra le due fattispecie di reato”. D'altronde, l'esegesi giurisprudenziale non è riducibile ad una formula matematica infallibile ed onnicomprensiva.

 

La Giurisprudenza più recente in tema di lieve entità

A fronte delle lacune lasciate da un Legislatore lento e non volenteroso, l'integrazione giurisprudenziale, in tema di lieve entità, è stata decisiva. Addirittura, Palazzo (2014)[10] si è spinto ad asserire che “l'opera interpretativa della Giurisprudenza ha contribuito a riempire la nozione discrezionalmente vuota dell'Art. 73 comma 5 TU 309/90, plasmandola sulla realtà”.

Negli Anni Duemila, ormai nessun Operatore dubita sul fatto che tutti i cinque criteri di cui al comma 5 Art. 73 TU 309/90 debbono essere valutati nella loro completezza e senza astrazioni de-contestualizzanti. La valutazione dei mezzi, della modalità, delle circostanze dell'azione, della qualità e quantità non deve ipostatizzare alcuna di queste cinque rationes e, in ogni caso, qualsivoglia interpretazione va calata nello specifico contesto concreto. P.e., Cass., sez. pen. VI, 17 gennaio 2013, n. 9723 precisa, a tal proposito, che “la valutazione deve assumere carattere complessivo e globale, senza che ad alcuno dei [cinque] criteri menzionati possa attribuirsi un aprioristico rango prevalente”. Anche Cass., sez. pen. VI, 9 maggio 2017, n. 29132 invita a non estrapolare alcuno dei cinque parametri ex comma 5 Art. 73 TU 309/90 dalla realtà concreta e fattuale della fattispecie giudicanda. Che nessuno dei cinque indicatori vada assolutizzato è ribadito pure, in Dottrina, da Insolera e Spangher (ibidem)[11], ad avviso dei quali “non è detto – come, invece, tendeva ad affermare la Giurisprudenza – che ogni singolo criterio debba poter essere qualificato in positivo come lieve: infatti, là dove uno fra gli indici rivesta carattere negativo, la sua presenza potrà essere controbilanciata e neutralizzata da indici di segno opposto, che facciano propendere per il riconoscimento del quinto comma”. Pertanto, come si può notare, il sostantivo “contestualizzazione” costituisce la “parola d'ordine” fondante pure gli asserti di Insolera & Spangher (ibidem)[12].

L'assolutizzazione e l'astrazione sono rigettate, in Giurisprudenza, pure da Cass., SS.UU., 27 settembre 2018, n. 51063, Murolo, ovverosia “[esiste] la possibilità che, tra i criteri di cui al quinto comma, si instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione in grado di consentire un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima facie contraddittorie in tal senso”. Nuovamente, Sezioni Unite Murolo 2018 esortano il Magistrato del merito a contestualizzare e non ad ipostatizzare uno o più dei cinque parametri contemplati dal comma 5 Art. 73 TU 309/90. Tutto dipende, infatti, dal contesto concreto ed irripetibile del singolo caso. Ciò premesso, tuttavia, è anche vero, come osservato da Sezioni Unite Rico 2010, che “uno tra i [cinque] criteri indicati [nel comma 5 Art. 73 TU 309/90] potrebbe rivestire un valore negativo tanto pregnante da porsi come assorbente e, dunque, prevalere su tutti gli altri al fine di escludere l'ipotesi di lieve entità”. Detta “assorbenza” assoluta e grave è ammessa anche da Cass., sez. pen. VI, 28 gennaio 2014, n. 9892, Cass., sez. pen. III, 19 marzo 2014, n. 27064 nonché da Cass., sez. pen. III, 21 luglio 2020, n. 25044. La “prevalenza negativa” di uno dei cinque indicatori fa anch'essa parte dell'analisi completa e razionale del contesto in cui opera, o, viceversa, non opera la lieve entità. Dunque, sussistono anche contesti nei quali uno dei cinque parametri viene a costituire causa ostativa ai fini del riconoscimento del fatto lieve.

Nelle dinamiche del comma 5 Art. 73 TU 309/90, come evidenziato da Cass., sez. pen. VI, 20 febbraio 2018, n. 13982, “il dato ponderale rappresenta l'indice che, in concreto, riveste più di frequente valore assorbente rispetto agli altri”. Addirittura, entro tale ottica, Cass., sez. pen. VI, 16 ottobre 2008, n. 39931 giunge ad asserire che “laddove [la quantità] sia particolarmente esorbitante, non risulta neppure necessario vagliare la sussistenza degli ulteriori [quattro] indici. P.e., si faccia riferimento a quei casi nei quali il quantitativo di sostanza sia così elevato da configurare un pericolo di accumulo o a quei casi in cui è stata considerata sicuramente ostativa, rispetto alla lieve entità, la detenzione di un quantitativo pari a centinaia di dosi”. Tuttavia, a parere di chi redige, la tesi di Cass., sez. pen. VI, 16 ottobre 2008, n. 39931 non gode di precettività nella frequente fattispecie di un ingente quantitativo di sostanza qualitativamente priva di un tenore drogante. Del pari, fatta salva la variabile del “potere psicoattivo”, anche Miazzi (2014)[13] mette in risalto che “nei processi per stupefacenti, la pena [di solito] finisce per ancorarsi al tipo di droga ed alla quantità, essendo l'unico dato significativo conosciuto al momento della determinazione della pena spesso esclusivamente la quantità detenuta. Ciò è vero, in particolare, per lo spaccio di strada da parte di extracomunitari, reati rispetto ai quali non si sa quasi nulla sull'autore del fatto, a volte nemmeno il vero nome”. Di nuovo, ciononostante, che scrive richiama l'evenienza di una quantità sì notevole di stupefacente, ancorché priva di tenore drogante, soprattutto nella fattispecie del THC e dell'eroina di bassa qualità. A prescindere dalla pur fondamentale tematica della “potenzialità tossicovoluttuaria”, la quantità è un criterio basilare pure in Cass., sez. F., 18 agosto 2015, n. 35666 nonché in Cass., sez. pen. VI, n. 13982/2018.

Ognimmodo, nel comma 5 Art. 73 TU 309/90, riveste un ruolo importante pure la “qualità” della sostanza. A tal proposito, Insolera & Spangher (ibidem)[14] giustamente rilevano che “anche la qualità della sostanza ha un'importanza fondamentale, nella misura in cui il grado di purezza più elevato dello stupefacente può costituire un dato indicativo della maggiore pericolosità dell'attività di spaccio. Una minore percentuale di principio attivo, al contrario, garantendo un minor numero di dosi ricavabili, determina una più limitata diffusione della sostanza e, dunque, un minor pericolo per la salute pubblica, unitamente a poter essere considerata come indicativa dell'assenza dell'inserimento del soggetto in un organizzato contesto di spaccio”. P.e., non è raro lo spaccio di cannabis priva o quasi priva di THC. Eguale osservazione vale pure per la cocaina o l'eroina poco pure.

Altri due ulteriori indici della lieve entità sono i mezzi e le modalità dell'azione, i quali, nei Lavori Preparatori, sono considerati alla stregua di  “indici” della pericolosità anti-sociale ed anti-giuridica dello spaccio. Nella Giurisprudenza di legittimità, mezzi e modalità “rudimentali” aprono la strada al fatto lieve, mentre una maggiore organizzazione “professionale” fa prevalere la precettività del comma 1 Art. 73 TU 309/90. P.e., la presenza di un'associazione per delinquere esclude la lieve entità. Lo stesso vale, per la Suprema Corte, in presenza di una “[notevole] capacità di penetrazione nel mercato”. Il fatto non è lieve nemmeno in presenza di “modalità di occultamento della sostanza” semi-imprenditoriali e ben organizzate. P.e., un “coltivazione rudimentale” di piante di marjuana o haschisch denota “mezzi e modalità” che spostano l'ago della bilancia verso il campo applicativo del comma 5 Art. 73 TU 309/90. All'opposto, “non-lieve” è una coltura recata innanzi con metodologie “non domestiche”. Interessante è pure Cass., sez. pen. VI; n. 13982/2018, in cui la lieve entità è stata esclusa perché il reo era ben inserito all'interno di una rete di correi che lo riparava da eventuali controlli della PG. In buona sostanza, mezzi e modalità “professionali” fanno prevalere la ben più pesante applicazione del comma 1 Art. 73 TU 309/90.

Da ultimo, come confermato da Consulta 333/1991, “le circostanze dell'azione sono tutti quegli elementi, letti dalla Giurisprudenza in chiave soggettiva, attinenti alla persona dell'autore, che concorrono ulteriormente a delineare l'offensività della condotta. Tra di esse rientrano, ad esempio, le finalità della condotta e lo stato [eventuale] di tossicodipendenza dell'imputato”. Anche, in Dottrina, Pastore & Levita (2014)[15] qualificano le circostanze dell'azione come “la finalità della condotta dell'agente”, il quale, sovente, è un tossicomane bisognoso di mantenersi la dose giornaliera attraverso lo spaccio di lieve entità. Insolera & Spangher (ibidem)[16] hanno ben puntualizzato che “tale circostanza soggettiva [delle circostanze dell'azione] dev'essere valorizzata alla luce del fatto concreto, valendo a configurare l'ipotesi di lieve entità laddove sia accertato che lo spaccio sia stato determinato dallo stato di tossicodipendenza, o che parte del quantitativo detenuto sia destinato a consumo personale e non alla cessione a terzi”. Come si nota, i predetti due Dottrinari sottolineano anch'essi lo stato di particolare fragilità dello spacciatore-tossicodipendente, spesso reputato meritevole di una speciale tutela ex comma 5 Art. 73 TU 309/90.

In buona sostanza, la lieve entità deve sempre accompagnarsi, per essere riconosciuta, alla minima lesività. A tal proposito, Consulta 40/2019 ha precisato, in tema di natura bagatellare dell'offesa anti-sociale, che “la fattispecie di lieve entità può essere riconosciuta laddove la condotta sia caratterizzata da una minima portata offensiva del bene giuridico della salute pubblica, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, sia in relazione ala qualità e quantità di principio attivo, che con riguardo agli altri [tre] indici di natura individuati dalla norma ed indicativi della capacità di diffusione della sostanza stupefacente tra i possibili assuntori […]. la fattispecie di lieve entità di cui all'Art. 73 comma 5 TU 309/90 può essere riconosciuta solo nell'ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri [tre] parametri richiamati dalla disposizione”. Tuttavia, negli ultimi anni, la Giurisprudenza di legittimità si è manifestata assai più indulgente ed elastica nel riconoscere il reato di lieve entità, che è spesso precettivo anche in ipotesi considerate “abbastanza gravi” sino a qualche decennio fa. P.e., in Dottrina, Di Giovine (ibidem)[17] si dichiara favorevole ad un ampliamento abolizionista del campo applicativo della lieve entità “[poiché], in materia di sostanze stupefacenti, la Giurisprudenza esercita un effetto cuscinetto, ammortizzatore del rigore legislativo [...]. Forse, in nessun altro ambito del Diritto Penale l'interpretazione giurisprudenziale appare così garantista”. Come si può notare, Di Giovine (ibidem)[18] esorta il giudice del merito ad “allargare” generosamente ed anti-proibizionisticamente le maglie precettive del comma 5 Art. 73 TU 309/90.

Del pari, Bray (2019)[19] spinge “nei casi di confine [tra comma 1 e comma 5 Art. 73 TU 309/90] ad operare delle forzature interpretative per ampliare l'ambito applicativo della fattispecie di lieve entità”. Come si può notare, sotto il profilo criminologico, Bray (ibidem)[20] si manifesta consapevole circa l'inopportunità di sanzionare troppo pesantemente un fenomeno giovanile ormai capillarmente diffuso quale è quello della tossicomania, cronica od episodica. L'apogeo di siffatta elasticizzazione amplificante dell'applicabilità del fatto lieve si è avuto con Cass., sez. pen. VI, n. 41090/2013, la quale ha statuito che “si può ricondurre al quinto comma anche l'ipotesi del piccolo spaccio che rivesta non un carattere meramente episodico od occasionale, ma che presenti una propria natura organizzata, estrinsecandosi in condotte comunque continuative e reiterate nel tempo, seppur di modesta portata offensiva. Uno spaccio, quindi, organizzato e professionale”. Di nuovo, in Cass., sez. pen. VI, n. 41090/2013, la normalità sociologica dello spaccio “discretamente organizzato” ha fatto prevalere il comma 5 sul comma 1 Art. 73 TU 309/90. Da notare è che Cass., sez. pen. VI, n. 41090/2013, nelle Motivazioni, reputa “lieve” lo spaccio organizzato di quartiere in tanto in quanto essa considera “non proporzionata” l'applicazione del comma 1 Art. 73 TU 309/90 ad una fattispecie troppo usuale e quotidiana per essere giudicata “grave”. Cass., sez. pen. VI, n. 41090/2013 si dimostra ben consapevole circa la normalità criminologica di condotte ormai costituenti la norma, specialmente all'interno dei gruppi giovanili. Tale summenzionato Precedente del 2013 rigetta l'eccessiva severità di un comma 1 Art. 73 TU 309/90 che non si attaglia alla “normalità” contemporanea dello spaccio non di calibro transnazionale.

Parimenti, in Dottrina, Palazzo (ibidem)[21] sostiene che “i giudici [del merito] debbono operare una relativizzazione [riduzionistica, ndr] del dato quantitativo, ammettendo, in primo luogo, il riconoscimento del fatto lieve anche a fronte di quantità non del tutto esigue di stupefacenti e, in secondo luogo, una variabilità del dato ponderale a fronte del carattere individuale ovvero associativo dello spaccio e della diversa qualità delle sostanze”. Come si può notare, anche Palazzo (ibidem)[22], nel solco di Cass., sez. pen. VI, n. 410902013, invita il Magistrato del merito a riconoscere la “ordinarietà” odierna, dunque la “lievità”, di uno spaccio “discretamente” organizzato all'interno di uno spazio semi-domestico come può essere quello del quartiere metropolitano. Di nuovo, la normalità criminologica fa prevalere il comma 5 sul troppo rigoroso comma 1 Art. 73 TU 309/90.

Un discorso correlato alla lieve entità, o meno, dello spaccio, è quello della “redditività”. Secondo Palazzo (ibidem)[23] è lieve “non lo spaccio che reca ad un vero e proprio accumulo di ricchezza, bensì quello che consente, semplicemente, il sostentamento del soggetto e della sua famiglia”. Maggiormente generosa è Cass., sez. pen. VI, n. 41090/2013, la quale afferma che “la possibilità di ricondurre al quinto comma anche condotte di detenzione di una provvista di sostanze stupefacenti per la vendita, provvista che non sia comunque superiore, a seconda del valore delle sostanze, a dosi conteggiate a decine […] […] Inoltre, essendo caratteristica del piccolo spaccio la sua [sufficiente o discreta, ndr] redditività, necessariamente deve ritenersi compatibile con la lieve entità il commercio di un certo numero, non del tutto esiguo, di dosi. Numero di dosi che, peraltro, sarà variabile a seconda della natura della sostanza: il venditore di droghe leggere, affinché la sua attività gli assicuri un certo profitto, dovrà commerciare un numero maggiore di dosi rispetto al venditore di droghe pesanti”.

Senza dubbio, con tali espressioni, Cass., sez. pen. VI, n. 41090/2013 rasenta i limiti dell'abolizionismo scandinavo, poiché, grazie al comma 5 Art. 73 TU 309/90, è manifestata la massima indulgenza, verso il piccolo spaccio, che sia mai stata esternata dalla Giurisprudenza in tema di stupefacenti. Nuovamente, l'ordinarietà criminologica prevale sulla non proporzionalità e sulla non ragionevolezza degli aspri limiti edittali pp. e pp. ex comma 1 Art. 73 TU 309/90. Entro tale medesima ottica ermeneutica, pure Cass., sez. pen. VI, 27 gennaio 2015, n. 15642 ha evidenziato che “[ormai, ndr] va sostenuta la necessità di adeguare il dato quantitativo alla forma organizzata dell'attività, ritenendo la configurabilità dell'ipotesi lieve anche a fronte della vendita di quantità non minimali”. Similmente, Cass., sez. pen. VI, 9 febbraio 2017, n. 28251 ha postulato che “il piccolo spaccio è connotato nei seguenti termini: complessiva minore portata dell'attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, ridotta circolazione di merce e di denaro, guadagni limitati e, infine, possibilità di detenere anche una provvista per la vendita [ma] non superiore a dosi conteggiate a decine”.

Analoga è pure Cass., sez. pen. III; 3 dicembre 2021, n. 10733, la quale mette in risalto che il piccolo spaccio reca un'offensione minimale alla ratio della tutela della salute individuale e collettiva ex comma 1 Art. 32 Cost. . Similmente, Cass., sez. pen. VI, n. 13982/2018 specifica che “il piccolo spaccio è una forma socialmente tipica di attività illecita, di per sé tale da collocarsi sul gradino inferiore della scala dell'offensività [se] compatibile con la detenzione di dosi di droga conteggiabili a decine”. A parere di chi commenta, vale la pena di notare che tutte le testé menzionate Sentenze riconoscono, in epoca attuale, la “ordinarietà” del piccolo spaccio discretamente organizzato, il che fa prevalere il comma 5 Art. 73 TU 309/90 sulla severità “unreasonable” ed abnorme del comma 1 Art. 73 TU 309/90. Dunque, la Giurisprudenza di legittimità ha scelto di non censurare fenomeni giovanili divenuti abituali, dunque non più reprimibili da un troppo severo Stato di Polizia. La gravità sanitaria rimane intatta, ma quella sociale non è più percepita.

Ognimmodo, anche il piccolo spaccio va accuratamente contestualizzato all'interno del singolo caso concreto, in tanto in quanto la pericolosità anti-sociale ed anti-normativa del fatto non è mai astrattamente definibile. P.e., Cass., sez. pen. III, 6 ottobre 2015, n. 6871 specifica che “nonostante astrattamente sia qualificabile come di lieve entità anche un'attività di spaccio che rivesta un carattere in una certa misura organizzato, sarà sempre la verifica di come in concreto si sia atteggiata la condotta, nel suo complesso, ad essere dirimente ai fini della qualificazione del fatto. [Ad esempio] […] la circostanza che sia stata accertata la cessione di una sola dose o un'unica cessione di un quantitativo non certo di stupefacente, non determinerà automaticamente l'applicabilità del comma quinto. Il fatto lieve dovrà infatti essere escluso laddove venga provato che tale cessione rappresenti la manifestazione effettiva di una più ampia capacità del soggetto di immettere la sostanza nel mercato e di porre in essere un'attività avente natura sistematica”. Del pari, anche Cass., sez. pen. VI. n. 13982/2018 invita il Magistrato del merito alla perenne e fondamentale ratio della “contestualizzazione”, giacché ogni fattispecie delittuosa manifesta una propria, irripetibile specificità. Oppure ancora, in tema di “concretizzazione”, Cass., sez. pen. VI, n. 13982/2018 mette in evidenza che “saranno da valutare [nel singolo, specifico caso, ndr] le relazioni dell'agente con il mercato dello stupefacente, il quantitativo ceduto in un determinato lasso di tempo, il numero di assuntori riforniti, le modalità della condotta al fine di impedire od ostacolare i controlli delle forze dell'ordine”. Come si nota, non esistono griglie ermeneutiche universalmente valide ed onnicomprensive. P.e., sempre in Cass., sez. pen. VI, n. 13982/2018, la cessione di una minima quantità di sostanza è stata valutata incompatibile con il “fatto lieve” a causa della presenza del supporto di una ben ramificata associazione per delinquere.

Assai riduzionistica è stata pure Sezioni Unite Murolo 2018, ai sensi della quale “la lieve entità può sussistere anche nell'ipotesi della contemporanea detenzione, da parte del medesimo soggetto [spacciatore] di sostanze eterogenee, dunque di droghe sia leggere sia pesanti”. Contro Sezioni Unite Murolo 2018, tuttavia, rimane il parere della pregressa Cass., sez. pen. III,  10 dicembre 2013, n. 4671, a parere della quale “è maggiore la pericolosità del soggetto che è capace di procurarsi più sostanze tra di loro diverse [poiché egli] è in grado di rifornire assuntori di sostanze stupefacenti di differente natura [e] quindi egli risulta capace di cagionare un danno al bene giuridico della salute pubblica troppo ampio per ritenere la condotta compatibile con l'ipotesi della lieve entità”. All'opposto, Sezioni Unite Murolo 2018 è appoggiata da Cass., sez. pen. IV, 13 luglio 2017, n. 49153, per la quale “la mera circostanza di detenere diverse tipologie di stupefacenti non può considerarsi, per ciò solo, ostativa all'applicabilità del comma 5, potendo l'ipotesi di lieve entità essere riconosciuta dopo aver proceduto ad una valutazione globale e concreta del fatto, da cui può emergere una complessiva minore portata dell'attività svolta dallo spacciatore”. Come si evidenzia, di nuovo, in Cass., sez. pen. IV, 13 luglio 2017, n. 49153 torna la centralità assoluta della “contestualizzazione”. Contro la pericolosità astratta dello spaccio di sostanze variegate è pure Cass., sez. pen. VI, 19 settembre 2017, n. 46495, che anticipa di poco Sezioni Unite Murolo 2018. Anche in Dottrina, Martin (2020)[24] reputa lieve lo spaccio simultaneo di più tipologie di sostanze alla luce delle odierne mode poli-tossicomaniche giovanili.

 

[1]Russo, Il nuovo che avanza … confronto tra opposti orizzonti legislativi in tema di piccolo spaccio (Art. 73 comma V DPR n. 309 del 1990), in Giustizia insieme, 2020

 

[2]Di Giovine, Stupefacenti: meglio di tutta l'erba un fascio oppure un fascio per ogni erba ?, in Legislazione Penale, 2020

 

[3]Antonucci, Spaccio, traffico e dipendenze. Il motore primo della carcerazione, XV Rapporto sulle condizioni di detenzione, 2018

 

[4]Zuffa & Anastasia & Corleone, IX Libro Bianco sulle Droghe. 2018

 

[5]Cianchella, Il nesso tra droga e crimine secondo Goldstein nel sistema penale italiano, in Studi sulla questione criminale, n. 3, 2018

[6]Insolera & Spangher, I reati in materia di stupefacenti, 2019

 

[7]Insolera & Spangher, op. cit.

[8]Russo, op. cit.

 

[9]Russo, op. cit.

 

[10]Palazzo, Il piccolo spaccio di stupefacenti può essere organizzato, in Diritto penale e processo, 2014

 

[11]Insolera & Spangher, op. cit.

 

[12]Insolera & Spangher, op. cit.

 

[13]Miazzi, Determinazione della pena in materia di stupefacenti: è possibile elaborare delle linee-guida, in Diritto penale contemporaneo, 2014

 

[14]Insolera & Spangher, op. cit.

[15]Pastore & Levita, La disciplina degli stupefacenti alla luce della recente giurisprudenza costituzionale, in Gazzetta forense, n. 4, 2014

 

[16]Insolera & Spangher, op. cit.

 

[17]Di Giovine, op. cit.

 

[18]Di Giovine, op. cit.

 

[19]Bray, Stupefacenti: la Corte Costituzionale dichiara sproporzionata la pena minima di otto anni di reclusione per i fatti di non lieve entità aventi ad oggetto le droghe pesanti, in Diritto penale contemporaneo, 2019

 

[20]Bray, op. cit.

 

[21]Palazzo, op. cit.

 

[22]Palazzo, op. cit.

 

[23]Palazzo, op. cit.

[24]Martin, Contemporanea detenzione di droghe pesanti e leggere: consentito inquadrare il fatto nella lieve entità, in Cammini Diritto, 2020