Le mutilazioni genitali femminili nel Diritto Penale italiano

infibulazione
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Le mutilazioni genitali femminili nel Diritto Penale italiano

 

L'approccio del Legislatore italiano

Sartori (2007)[1] parla di una “tradizionale insensibilità del sistema italiano di fronte alla diversità etnico-culturale”. Detto approccio lacunoso, sempre secondo tale Autore, sarebbe cagionato dalla mancanza di una corretta percezione sociologica dei flussi migratori. Ossia, la società italiana non si è ancora resa conto che il territorio italico è irreversibilmente divenuto terra di immigrazione. Anzi, Sartori (ibidem)[2] afferma che esiste una “mono-culturalità del nostro tessuto sociale [la quale] non poteva non riflettersi anche sulla struttura del codice penale: non sono, infatti, ravvisabili, né nella parte generale né nella parte speciale, norme aperte al riconoscimento di altre culture etniche” A parere di chi redige, la prima svolta multi-culturalista è stata rappresentata solamente dalla L. n. 7 del 2006, introducente gli Artt. 583 bis e 583 ter CP sul tema dell'infibulazione e dell'escissione genitale delle bambine islamiche. Del resto, quando l'Italia non era ancora terra di migrazione passiva, Rocco, nella Relazione al Re (1930)[3] presupponeva e, forse, esaltava “l'unità non solo sociale, ma altresì etnica [quindi] di razza, di lingua, di costume, di tradizioni storiche, di moralità e di religione […] che caratterizza lo Stato italiano”. Pure Pannain (1962)[4], commentando taluni postulati di Rocco, asseriva la sostanziale “unità etnica” che, in effetti, ha caratterizzato il popolo italiano sino agli Anni Novanta del Novecento. Oggi, viceversa, la penisola italiana ospita le più svariate etnie che si possano immaginare. E' venuta meno quella che la Relazione al Re (ibidem)[5] qualificava come “integrità della stirpe”. P.e., come evidenziato da Viaro (1965)[6], anche il “delitto d'onore”, successivamente abrogato nel 1981, era anch'esso calato nell'omogeneo ed unitario contesto sociale italiano, senza alcun riferimento più o meno esotico a culture non autoctone. Dunque, come messo in risalto da Grosso (2006)[7], “solo recentemente l'omogeneità etnica del nostro sistema ha cominciato a mostrare serie incrinature: da pochi anni, infatti, importiamo immigrati e ci imbattiamo in contro-nazionalità, soprattutto di origine musulmana”. Malaugurevolmente, in Italia, l'incontro/scontro tra la cultura dominante e quella minoritaria ha per protagonista un gruppo religioso, quale l'Islam, che non nasconde la volontà di creare un nuovo Ordine islamista disposto a strumentalizzare o sostituire, in tutto o in parte, la Giuspenalistica indigena. Il mito coranico di un “impero islamico” minaccia l'integrità dei Diritti Penali nazionali europei.

 

Le mutilazioni genitali femminili

Come notato da Scolart (2003)[8], la ratio degli Artt. 583 bis e 583 ter CP è “l'eliminazione del rito dell'ablazione dei genitali femminili, una pratica antichissima, realizzata non per necessità terapeutica, ma per motivi culturali o religiosi, sia in società islamiche, sia in comunità non musulmane”. In buona sostanza, il fine dell'infibulazione consta nell'impedire che la donna provi piacere durante i rapporti intimi. L'anglofono Skaine (2005)[9] ha censito che, ogni anno, circa 130 milioni di bambine vengono infibulate in Africa, Asia e Medio-Oriente, ma siffatte mutilazioni sono diffuse anche in Europa, ove i centri islamici organizzano questi brutali interventi chirurgici. Trattasi di un mondo clandestino nascosto dietro parvenze di legalità e buonismo. Nella Dottrina criminologica internazionale, si parla di “ablazione genitale femminile”, ma taluni utilizzano i lemmi “circoncisione femminile”.

Attualmente, l'espressione maggiormente diffusa, nella Medicina Legale, è quella di “mutilazione genitale femminile” (FGM o MGF). Dal canto suo, Gunning (2002)[10] sussume la FGM entro la categoria penale della “tortura”. Senza dubbio, l'FGM provoca un notevole dolore psico-fisico, soprattutto quando essa viene praticata da operatori/operatrici non sanitariamente accreditati/e. Drasticamente severa e proibizionista è pure l'OMS, la quale, come riferito da Brennan (1989)[11] definisce la MGF come “tutte quelle procedure che comportano la rimozione totale o parziale degli organi genitali femminili esterni, nonché ogni altra lesione prodotta a questi organi per motivi culturali, religiosi e, comunque, non terapeutici”. Più nel dettaglio, gli italiofoni Vanzan & Miazzi (2006)[12] distinguono le seguenti quattro varianti di MGF, ovverosia:

  1. Tipo I: escissione del prepuzio e del clitoride con o senza escissione parziale o totale del clitoride
  2. Tipo II: escissione del prepuzio e del clitoride con escissione parziale o totale delle piccole labbra
  3. Tipo III: escissione di parte o di tutti i genitali esterni con cucitura o riduzione del canale vaginale (infibulazione)
  4. Tipo IV: punzecchiatura, foratura o incisione del clitoride e/o delle labbra; cauterizzazione mediante bruciatura del clitoride e dei tessuti circostanti; raschiatura dei tessuti attorno all'orifizio vaginale (taglio c.d. “angurya”) o incisione della vagina (taglio c.d. “gishiri”); introduzione di sostanze corrosive nella vagina per provocarne il sanguinamento o di erbe con l'intento di stringerla o chiuderla; ogni altra pratica che rientri nella suddetta definizione di MGF

L'OMS, unitamente a tutta la Letteratura criminologica europea e nordamericana, ha sempre condannato la MGF, unanimemente descritta come barbarica e pure pericolosa per la salute psicofisica della donna. P.e., Wood (2001)[13] rimarca che “queste pratiche vengono realizzate in condizioni igieniche inadeguate, senza anestesia e con l'uso di strumenti chirurgici rudimentali e non sterili. Inoltre, lo stesso strumento è spesso usato per circoncidere diverse donne consecutivamente”. La cronaca giornalistica ha rivelato che la MGF è praticata, in Italia, presso ambulatori clandestini allestiti da responsabili di molte moschee apparentemente prive di ombre o sospetti di situazioni illegali. Le conseguenze psicofisiche della MGF sono drammatiche: P.e., La Monaca & Ausania & Scassellati Sforzolini (2004)[14] riferiscono postumi gravi, quali “emorragie, infezioni alle vie urinarie, incontinenza, infezioni pelviche, incapacità di completare il rapporto sessuale e formazione di cisti e di calcoli”. Sotto il profilo della salute mentale, le MGF cagionano “ansia, depressione, irritabilità cronica, frigidità e psicosi”.

Dunque, la Criminologia deve oggi fare i conti con un Islam non privo di zone grigie astutamente ben nascoste all'opinione pubblica occidentale. In effetti, giustamente, nel Diritto Penale italiano, Basile (2006)[15] ha definito le MGF alla stregua di “una violazione dei diritti umani”. Gentilomo (2007)[16] mette in evidenza le lacune legislative dei Paesi africani in tema di MGF. Viceversa, come notato da Rasmussen (2007)[17], l'Europa e le Americhe hanno dovuto affrontare seriamente la tematica “in seguito all'intensificarsi dei flussi migratori”. La pratica delle MGF, nel Diritto Internazionale Pubblico, è stata condannata dalla IV e V Conferenza ONU sulle donne del 1995 e del 2005. Si tratta, come prevedibile, di sterili declamazioni retoriche. Più cogenti sono state le Raccomandazioni del Consiglio d'Europa nn. 1371/1998 e 1450/2000. Da segnalare è pure la Risoluzione UE n. 2035/2001, ai sensi della quale la MGF è “reato autonomo, indipendentemente dal fatto che la donna interessata abbia prestato qualunque forma di consenso”. Una menzione merita anche la Risoluzione del Consiglio d'Europa A5-0285/2001 del 29/09/2001. Le predette Normazioni europee hanno recato, nel 2006, in Italia, all'adozione degli Artt. 583 bis e 583 ter CP

 

Art. 583 bis CP – Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili

Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Ai fini del presente articolo, si intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili la clitoridectomia, l'escissione e l'infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo

Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è diminuita fino a due terzi se la lesione è di lieve entità

La pena è aumentata di un terzo quando le pratiche di cui al primo e al secondo comma sono commesse a danno di un minore, ovvero se il fatto è commesso per fini di lucro

La condanna, ovvero l'applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per il reato di cui al presente articolo comporta, qualora il fatto sia commesso dal genitore o dal tutore, rispettivamente:

  1. la decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale
  2. l'interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela ed all'amministrazione di sostegno

Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì quando il fatto è commesso all'estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia. In tal caso, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia

Art. 583 ter CP – Pena accessoria

La condanna contro l'esercente una professione sanitaria per taluno dei delitti previsti dall'Art. 583 bis importa la pena accessoria dell'interdizione dalla professione da tre a dieci anni. Della sentenza di condanna è data comunicazione all'Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri

 

Profili criminologici

Gli Artt. 583 bis e 583 ter CP sono stati aspramente criticati da Brunelli (2007)[18], in tanto in quanto, a parere di tale Autore, “sul piano politico-criminale, [bisogna] ribadire il rischio di ineffettività dell'incriminazione [ex Artt. 583 bis e 583 ter CP]. L'esperienza comparatistica ha dato ampia dimostrazione sul punto: in tutti i Sistemi che si sono attrezzati di norme repressive del tenore delle nostre, la pratica delle MGF non è stata né sradicata né contenuta, bensì è rimasta, in larga misura, occulta e clandestina”. Pertanto, Brunelli (ibidem)[19] non nasconde, nel nome del politicamente corretto, la doppiezza sotterranea di una civiltà islamica prepotente e refrattaria all'integrazione. Ciò è confermato dalla quotidiana cronaca giornalistica afferente alle MGF.

Parimenti, pure Guazzarotti (2002)[20], durante i Lavori Preparatori della L. 7/2006, ha evidenziato che “il nostro Legislatore, completamente a digiuno di Studi sul principio dell'effettività, ha voluto inserire nel Sistema un esempio di legislazione simbolica, tesa ad affermare l'ideologia ed i valori dell'Ordinamento di accoglienza. Di nuovo, quindi, Guazzarotti (ibidem)[21] non fa mistero dell'astuta identità camaleontica delle minoranze musulmane radicali. La ratio è sempre quella di costituire un”Dar el Islam” che annichilisca il Diritto Penale dei “cani infedeli”. Similmente, sedici anni prima dell'entrata in vigore del divieto codicistico delle MGF, Paliero (1990)[22] notava che “[la proibizione delle MGF] non [ha] effetti positivi, bensì una pluralità di effetti negativi”, poiché, secondo il summenzionato Dottrinario italiofono, era ed è quasi impossibile sradicare i delitti culturalmente motivati, soprattutto di fronte ad una comunità chiusa ed omertosa come quella islamica.

Negativo è pure il parere di Vanzan & Miazzi (ibidem)[23], ovverosia “l'incriminazione [p. e p. ex Artt. 583 bis e 583 ter CP] non è in grado di contenere quantitativamente il fenomeno, ma ne impone necessariamente la clandestinità […]. [Tale] incriminazione colpisce le donne socialmente svantaggiate e ne aumenta l'emarginazione”. A parere di chi scrive, detti Autori si abbandonano eccessivamente al politicamente corretto. Infatti, a parere di chi commenta, gli Artt. 583 bis e 583 ter CP costituiscono un'ottima tutela e sono destinati, del resto, alla protezione non di donne consenzienti, bensì di bambine o di giovanissime ragazze non in grado di manifestare alcun valido consenso. Il discorso circa la “ineffettività” della norma non inficia l'utilità del tentativo di politica criminale. Senza dubbio, ognimmodo, come messo in risalto da Brunelli (ibidem)[24], le MGF costituiscono un reato la cui perseguibilità è o sarà legata all'abbandono di barbariche tradizioni tribali. Pertanto, è e rimane essenziale, specialmente a livello scolastico, formare nelle bambine musulmane un rigetto dell'usanza delle MGF. La cogenza effettiva degli Artt. 583 bis e 583 ter CP dipende dalla forte auto-determinazione delle giovani donne provenienti da nuclei familiari islamici. Alla ribellione culturale corrisponderà l'efficacia concreta della L. 7/2006.

Del resto, sotto il profilo sociologico, Paliero (ibidem)[25] asseriva che “la MGF è considerata uno strumento di controllo della sessualità femminile ed un modo per assicurare la castità e la fedeltà della donna prima e durante il matrimonio. Il timore della sessualità femminile è enfatizzato dal collegamento che viene fatto, nelle culture di certi gruppi etnici, tra la concezione dell'onore della famiglia (irdh) e la castità delle donne che appartengono al gruppo”. Sempre sotto il profilo antropologico, Kratz (1994)[26] osserva che le MGF sono un “rito di iniziazione [e] segnano il passaggio della giovane dalla mera condizione di essere donna a quella di essere una donna che può negoziare matrimonio”. Analogamente, Shweder (2002)[27] afferma che “i genitali femminili non modificati sono considerati brutti e sporchi; di conseguenza, il matrimonio – l'unica carriera aperta in Africa alle donne – è largamente negato ad una  giovane non circoncisa. Non solo: il rifiuto di sottomettersi a MGF può provocare l'ostracismo e l'espulsione della donna dalla comunità”.

 

Le voci divergenti nella Medicina forense occidentale

Gli effetti psicofisici delle MGF sono stati qualificati, da quasi tutti i Dottrinari, come “devastanti”, ma non mancano talune, isolate voci dissenzienti. P.e., presso l'Università di Harvard, Obermeyer (1999)[28] ha sostenuto che “le affermazioni dei movimenti contrari alle MGF sono esagerate e prive di fondamento scientifico”. Detta Dottrinaria ha fondato il proprio parere sulla base di ben 435 Pubblicazioni accademiche nelle quali si è affrontata un'analisi non soltanto medica, ma anche demografica ed epidemiologica. Inoltre, la summenzionata Docente si è basata su tutti gli Articoli attinenti alle MGF e reperibili sui siti medico-legali Medline, Popline e Socioline. L'orribile e fuorviante conclusione di Obermeyer (ibidem)[29] è che “la maggior parte delle asserzioni contenute negli Articoli considerati sembra priva di riscontri probatori; i resoconti delle ricerche contenenti le prove dirette presentano evidenti vizi metodologici, perché fondati […] su pochi campioni non rappresentativi, e non su rigorosi controlli di gruppo; le descrizioni delle complicazioni sono spesso vaghe, ma, nonostante le loro deficienze, alcuni resoconti pubblicati hanno finito per acquisire un'apparenza di affidabilità, attraverso le ripetute ed acritiche citazioni”. Sempre Obermeyer (ibidem)[30] si dissocia dalla c.d. “letteratura femminista” e sostiene, costituendo un caso più unico che raro, che “[occorrono] modelli di rigoroso controllo per valutare le prove specifiche: un risultato non deve […] acquisire rilevanza in mancanza di una descrizione precisa dei metodi di campionatura, o in assenza di un'ampia indagine epidemiologica.

Gli studi dotati di validità scientifica sulle MGF sono dunque pochi (otto all'epoca dell'indagine [del 1999, di Obermeyer] e sembrano smentire le sensazionali rivendicazioni della letteratura femminista: le complicazioni denunciate sono l' eccezione, non la regola. Piaccia o non piaccia, le pratiche di circoncisione non sono incompatibili con il piacere sessuale”. A parere di chi commenta, Obermeyer (ibidem)[31] mette in pericolo la salute fisica e mentale delle bambine al solo fine di non opporsi ad una tradizione islamica ripugnante e primitiva. L'Autrice qui in parola esaspera il politicamente corretto nel nome di una malconcepita libertà etnico-religiosa. A parere di chi redige, le MGF sono e rimangono un grave reato, sebbene culturalmente motivato. La delittuosità etnica non può essere giustificata od attenuata per impedire attriti sociali tra la maggioranza autoctona e la minoranza immigrata.

Addirittura, anche in Amnesty International non sono mancati antropologi che invitano al rispetto ingenuo delle tradizioni dell'Islam africano, diminuendo, per tal via, la natura categorica della condanna internazionale delle MGF. Del pari, Shweder (ibidem)[32] invita a non ipostatizzare il problema delle MGF, in tanto in quanto l'attenzione andrebbe piuttosto concentrata su tematiche quali la guerra, la fame e le malattie infantili. Di nuovo, ecco un malinteso “rispetto” verso tradizioni universalmente condannabili.

Maggiormente cauto è l'italiofono Fabietti (2002)[33], a parere del quale “le asserzioni [di Obermeyer] sono impegnative, da considerare con prudenza. In ogni caso, per dovere di completezza, non va trascurato come, già da qualche anno, parte della Letteratura specialistica stia mettendo in evidenza quanto le rappresentazioni occidentali delle MGF e, più in generale, delle donne nella società islamica siano cariche di preconcetti, e quanto riflettano una visione spudoratamente colonialista della storia”. Come si nota, di nuovo, Fabietti (ibidem)[34] reca una visione eccessivamente elastica dei reati culturalmente motivati pp. e pp. ex Artt. 583 bis e 583 ter CP. Similmente, Oba (2008)[35] sostiene che “il dibattito occidentale sulle MGF è una manifestazione di imperialismo culturale”. Il tentativo, più o meno esplicito, è pur sempre quello di attenuare la delinquenza minoritaria etnica nel nome di una erronea ratio di “accoglienza” acritica ed illimitata. Ehrenreich & Barr (2005)[36] mettono in risalto che “l'opzione assimilazionista-discriminatoria [che contraddistingue in particolare il Legislatore italiano con la previsione del reato di cui all'Art. 583 bis CP, ndr] presuppone evidentemente un concetto di superiorità della razza e della cultura occidentale rispetto alle culture diverse; in altre parole, il Legislatore muove dalla premessa che la comprensione occidentale del corpo sia razionale, civilizzata e basata su dati scientifici, mentre quella africana sarebbe basata su superstizioni, riti barbari, credenze incivili. Dietro questa scelta iperpunitiva [degli Artt. 583 bis e 583 ter CP, nel caso dell'Italia, ndr] si intravvede una grossolana contrapposizione: quella tra scienza e cultura. La prima sarebbe l'ovvia prerogativa delle società occidentali, la seconda sarebbe il connotato identificante di quelle africane, o, meglio, musulmane”.

Senza dubbio, a parere di chi redige, l'incontro/scontro tra Islam e culture occidentali non è agevole da risolvere. Tuttavia, sarebbe altrettanto fuorviante scegliere la via buonista di un'accoglienza oltranzista disposta a negare l'anti-socialità e l'etero-lesività di gravi reati etnicamente motivati, quali sono le MGF. E' normale, meta-geografico e meta-temporale che il gruppo sociale maggioritario imponga un Diritto Penale vincolante in tutto il territorio dello Stato ospitante. Mediare tra le differenze non deve significare rinnegare le proprie radici e le proprie costumanze. I conflitti culturali non debbono generare sotto-gruppi legislativamente autonomi

 

[1]Sartori, Pluralismo, multiculturalismo ed estranei. Saggio sulla società multietnica, 2007

 

[2]Sartori, op. cit.

 

[3]Relazione al Re,  del Ministro Guardasigilli sul nuovo Codice Penale, in GU, 26 ottobre 1930

 

[4]Pannain, Integrità e sanità della stirpe, voce in Nuovissimo Digesto italiano, VIII, 1962

 

[5]Relazione al Re, op. cit.

 

[6]Viaro, Onore (diritto penale). Voce in Nuovissimo Digesto italiano, XI, 1965

 

[7]Grosso, Multiculturalismo e diritti fondamentali nella Costituzione italiana, in Bernardi, Multiculturalismo, diritti umani, pena, 2006

 

[8]Scolart, Riflessioni sulle mutilazioni genitali femminili, in D'Agostino, Corpo esibito, corpo violato, corpo venduto, corpo donato, 2003

[9]Skaine, Female Genital Mutilation. Legal Cultural and Medical Issues, 2005

 

[10]Gunning, Female Genital Surgeries: Eradication Measures at the Western Local Level. A Cautionary Tale, in James & Robertson, Genital Cutting and Transational Sisterhood, 2002

 

[11]Brennan, The Influence of Cultural Relativism on International Human Rights Law: Female Circumcision as a Case Study, in Law and Inequality, 1989

 

[12]Vanzan & Miazzi, modificazioni genitali: tradizioni culturali, strategie di contrasto e nuove norme penali, in Diritto dell'immigrazione e della cittadinanza, 2006

 

[13]Wood, A Cultural Rite of Passage or a Form of Torture: Female Genital Mutilation from an International Law Perspective, in Hastings Women, L. J., 2001

 

[14]La Monaca & Ausania & Scassellati Sforzolini, Le mutilazioni genitali femminili. Aspetti socio-antropologici, giuridici e medico-legali e contributo casistico, in Rivista italiana di Medicina Legale, 2004

 

[15]Basile, La nuova incriminazione delle pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, Diritto penale e di procedura penale, 2006

 

[16]Gentilomo, Mutilazioni genitali femminili: La risposta giudiziaria e le questioni connesse, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, maggio 2007 (reperibile online)

 

[17]Rasmussen, Innocence Lost: The Evolution of a Successful Antifemale Genital Mutilation Program, in Val. U. L. Review, 2007

[18]Brunelli, Prevenzione e divieto delle mutilazioni genitali femminili: genealogia e limiti di una legge, Quaderni costituzionali, 2007

 

[19]Brunelli, op. cit.

 

[20]Guazzarotti, Giudici e Islam. La soluzione giurisprudenziale dei conflitti culturali, in St. iuris, 2002

 

[21]Guazzarotti, op. cit.

 

[22]Paliero, Il principio di effettività del diritto penale, in Rivista italiana di diritto processuale penale, 1990

 

[23]Vanzan & Miazzi, op. cit.

 

[24]Brunelli, op. cit.

 

[25]Paliero, op. cit.

 

[26]Kratz, Affecting Performance: Meaning, Movement and Experience in Okiek Women's Initiation, 1994

 

[27]Shweder, What about Female Genital Mutilation ? And Why Understanding Culture Matters in the First Place, in Shweder & Minow & Markus, Engaging Cultural Differences, 2002

 

[28]Obermeyer, Female Genital Surgeries, in Med. Anth. Q., 1999

 

[29]Obermeyer, op. cit.

 

[30]Obermeyer, op. cit.

 

[31]Obermeyer, op. cit.

 

[32]Shweder, op. cit.

 

[33]Fabietti, Culture in bilico. Antropologia del Medio Oriente, 2002

 

[34]Fabietti, op. cit.

 

[35]Oba, Female Circumcision as Female Genital Mutilation: Human Rights or Cultural Imperialism ? In Global jurist, 2008

 

[36]Ehrenreich & Barr, Intersex Surgery, Female Genital Cutting, and the Selective Condemnation of Cultural Practices, in Harvard C.R.-C L. L. Review, 2005