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La nuova strategia dei controlli sugli enti locali

Da rivista "Regione Abruzzo" novembre - dicembre 1997.

LA NUOVA STRATEGIA DEI CONTROLLI SUGLI ENTI LOCALI

Con l’entrata in vigore della legge 127/97 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa dei procedimenti di decisione e di controllo), si delinea una riforma dei controlli sugli enti locali che presenta non poche zone d’ombra in un panorama che manifesta anche alcune luci.

Partiamo da queste ultime: sicuramente giuste e condivisibili appaiono le previsioni di cui all’art. 17 n. 34 e 35.

Con il n. 34 è stato correttamente reintrodotto, per le delibere di giunta, l’istituto del controllo eventuale a richiesta degli stessi deliberanti che - nel quadro di una riduzione dell’area dei controlli obbligatori - è stato giustamente salvaguardato anche per realizzare quell’"indirizzo collaborativo" fra Regione ed enti locali, su cui si può sostanziare un nuovo sistema di controlli che esalti l’autonomia di questi ultimi.

Nella stessa linea è stato previsto con il n. 35 che i CO.RE.CO possano attivare servizi di consulenza per gli enti locali: innovazione questa che è stata suggerita proprio dal Coordinamento degli organi regionali di controllo nel convegno di studi organizzato dal CNEL il 16-1-97.

Dobbiamo peraltro constatare che ad un esame complessivo prevalgono le zone buie che tendono a spegnere anche queste poche luci, avendo compiuto il legislatore scelte del tutto "strane", in contrasto non solo con la logica ma anche con quel principio del buon andamento della P.A. che l’art. 97 della Costituzione tutela (oltre che ovviamente con l’art. 130 almeno nel testo oggi vigente).

La prima di queste scelte strane è quella di affidare ai difensori civici comunali e provinciali, se istituiti, il controllo eventuale su richiesta delle minoranze (n.38) in materia di appalti e affidamento di servizi o forniture di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario ovvero in materia di assunzione del personale, piante organiche e relative variazioni.

Qui, oltre ovviamene all’art. 130 della Costituzione è stato violato ogni più elementare principio in materia di incompatibilità: dato che è il comune (o la provincia) a nominare il difensore civico, è il controllato quindi che si sceglie in qualche modo il proprio controllore.

Non solo ma vengono affidate ai difensori civici compiti estranei a quelli istituzionali di tale figura e che è nata, in tutte le democrazie occidentali, per tutelare gli interessi dei singoli cittadini davanti alla P.A.

Ci si domanda come si può conciliare tale veste, nelle materie di cui all’art. 17 n. 38 quando, in tali ipotesi il difensore civico ha diritto di decisione sulla legittimità del procedimento stesso.

Il contrasto è talmente palese e stridente che solo un orecchio scarsamente sensibile alla musica delle istituzioni può non avvertirlo. Senza dimenticare che il difensore civico, a differenza del CO.RE.CO. non deve avere necessariamente (e normalmente non ha) i requisiti di competenza giuridica per esercitare tali compiti e, comunque non ha i mezzi necessari.

Nella stessa linea appare assai discutibile l’assegnazione al difensore civico, stavolta regionale (n.45) della nomina dei commissari ad acta per la sostituzione degli organi degli enti locali inadempienti. Tale scelta peraltro contrasta con quella di cui al comma 91 del medesimo articolo 17 che prevede, in caso di mancata adozione da parte dell’ente dei regolamenti in tema di definizione del termine del procedimento, di responsabile del procedimento e di diritto di accesso, la "nomina di un commissario per la loro adozione da parte del comitato regionale di controllo.

Non è chiaro perché il controllo sostitutivo venga affidato al difensore civico e la nomina del commissario ad acta nel diritto d’accesso al CO.RE.CO.: la logica e la razionalità avrebbero imposto esattamente il contrario.

L’unica spiegazione logica per tale infelice scelta sembra essere quella ispirata dal tentativo di evitare il referendum che pende sul controllo dei CO.RE.CO. ovvero di una particolare simpatia del Ministro per la Funzione Pubblica per l’"ombudsman".

Altra scelta assai strana ed in palese contrasto con l’art. 97 della Costituzione è la "tempistica" con riferimento all’esame dei bilanci e dei rendiconti.

Il controllo sui bilanci e sui rendiconti si troverà infatti tra l’incudine del termine di trasmissione ridotto a cinque giorni, ed il martello dei dieci giorni per la richiesta di eventuali chiarimenti.

I termini poi sono stati disposti in modo tale che gli enti invieranno bilanci e rendiconti ai CO.RE.CO. quasi contemporaneamente e questi ultimi dovranno procedere al loro esame entro dieci giorni, pena l’alternativa successiva di doversi muovere fra gli scoglio di Scilla - presa d’atto - e Cariddi - annullamento e viceversa.

Si aggiunga che il termine di 10 giorni per la richiesta di chiarimenti è di fatto inapplicabile se si conoscono le fasi di procedimento interno di controllo (protocollazione, assegnazione della sezione, esame istruttorio, proposta dell’ordine del giorno del CO.RE.CO., calendario delle sedute, formulazione e spedizione dell’ordinanza).

Se poi si ricordano le modalità di esame imposte dal n. 41 (coerenza interna degli atti, corrispondenza dati contabili con quelli delle deliberazioni e dei documenti giusitificativi) si vede che la realtà amministrativa non può consentire un tale esame in soli 10 giorni (si pensi ai bilanci dei grandi consumi).

La normativa in oggetto ha infine notevolmente ridotto il numero degli atti soggetti a controllo preventivo necessario (n. 33): sono rimasti solo gli statuti, i regolamenti di competenza del Consiglio, esclusi quelli attinenti all’autonomia organizzativa e contabile, i bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, ed il rendiconto di gestione.

Qui il legislatore avrebbe potuto esser sicuramente più innovativo e fantasioso.

Infatti il problema da risolvere non è quello di eliminare o di cercare di rendere meno efficaci i controlli, ma di adeguarli alle nuove realtà. Si tratta di stabilire quale sia lo scopo della legge e quindi di definire l’attività da svolgere. il controllo deve assicurare la stretta connessione tra l’attività amministrativa svolta e gli obiettivi indicati dal legislatore.

L’inadeguatezza del sistema attuale dei controlli non avrebbe dovuto comportare la loro sostanziale eliminazione, ma un ripensamento ed una maturazione evolutiva in funzione delle nuove finalità che lo Stato moderno si propone di eseguire.

Il controllo di legittimità resta sempre condizione essenziale allo svolgimento della gestione, ma non può essere più considerato attività fine a se stessa. Esso va correlato al concetto di funzionalità dell’Amministrazione pubblica.

D’altra parte, per quanto riguarda l’amministrazione, la recente evoluzione dei controlli amministrativi sembra orientarsi nel senso della riduzione dell’area del controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti a favore di quello successivo, preferibilmente verso forme di tipo gestionale.

Oggi, infatti, è sempre più sentita l’esigenza di introdurre controlli di efficienza, operanti come controlli impulso rivolti a favorire il conseguimento degli obiettivi programmatici, in contrapposizione ai controlli freno attualmente in funzione e che si limitano a passare al vaglio i singoli atti compiuti.

Per tale ragione, si fa sempre riferimento al controllo di gestione per indicare, appunto, che il suo oggetto non è più l’atto amministrativo singolarmente considerato, ma tutta la gestione amministrativa globalmente intesa, caratterizzata non solo dagli atti emanati ma anche da quelli omessi.

Il controllo di gestione, in altri termini, non si propone tanto di accertare la legittimità dei singoli atti amministrativi, quanto di valutare, a posteriori, sotto il profilo della buona amministrazione e della conformità agli obiettivi prefissati, l’intera gestione. In tale ipotesi più correttamente si dovrebbe parlare di controllo sulla gestione.

Ora il controllo successivo sull’attività dell’ente locale non è previsto, ma neppure escluso, dal legislatore costituzionale (sull’ammissibilità costituzionale del controllo di gestione come controllo "atipico" cfr. A. Patumi, Studi per il decennale della sezione enti locali della Corte dei Conti, 1992, vol.1, p. 93; cfr. anche S. Buscema, Trattato di contabilità pubblica, vol. IV, Milano, 1987, p.628 e segg.) che forse non lo conosceva neppure.

Con riguardo a questa forma di sindacato, abbiamo visto sopra si parla appunto di controllo di gestione, per indicare che il suo oggetto non è più l’atto amministrativo singolarmente considerato, ma tutta la gestione amministrativa globalmente intesa, caratterizzata non solo dagli atti emanati ma anche da quelli omessi, e soprattutto, dai risultati raggiunti.

Dell’attività amministrativa si tratta di valutare l’efficacia e l’efficienza: la prima esprime l’idoneità a raggiungere gli obiettivi prefissati, la seconda attiene al rapporto tra risorse impiegate e risultati conseguiti.

Tale sistema avrebbe potuto ben essere affiancato ai tradizionali controlli di legittimità, che in forma maggiormente ridotta e razionalizzata anche rispetto a quella prevista dalla legge 142/90 potevano ancora svolgere un’utile funzione.

Entrambi avrebbero potuto essere affidati al CO.RE.CO. quale organo costituzionalmente previsto ed a ciò deputato dall’art. 130 della Costituzione.

In forza della nuova composizione ex L. 142/90 infatti i CO.RE.CO sono composti da componenti dotati di elevata e diversificata professionalità: professori universitari, avvocati, commercialisti, alti funzionari, tutte professionalità il cui impegno richiesto in forma privata comporterebbe spese non indifferenti per il bilancio degli enti (si pensi alle enormi spese sostenute dagli enti per ottenere qualificate consulenze).

Orbene, questo coacervo di elevate professionalità gli enti locali lo trovano a disposizione per un cifra simbolica (l’indennità) sostenuta dalla Regione.

Non solo ma proprio per la diversificazione delle professionalità, tale istituzione ha anche le più spiccate caratteristiche di flessibilità, per cui avrebbe potuto, senza alcun problema, passare dal controllo di gestione (operazione invece molto più difficoltosa per la Corte dei Conti che è formata dai magistrati aventi uniformi e specifiche competenze professionali consolidate nel tempo e quindi difficilmente mutuabili, senza voler considerare l’elevato costo che importa tale modifica atteso il rilevante importo della retribuzione dei magistrati medesimi).

Si poteva pensare anche ad un controllo di gestione impostato dapprima su tematiche (ad es. personale, contratti, servizi...) preventivamente scelte dall’organo di controllo per poter svolgere un esame approfondito sulla gestione in materia dell’ente locale.

Tale attività sarebbe stata di grande rilievo pratico e politico in quanto avrebbe consentito ai cittadini di avere un immediati rapporto sull’attività dell’ente locale (il CO.RE.CO. nel nostro sistema istituzionale è ormai il solo organo che si pronuncia in tempi brevissimi) e avrebbe configurato il CO.RE.CO. come una vera e propria banca dati delle autonomie, con evidenti benefici per l’efficacia e l’efficienza dell’attività di queste ultime e della stessa Regione.

La soluzione da noi proposta avrebbe potuto anche essere letta come un indispensabile adeguamento a livelli "europei" della nostra normativa in materia di controlli.

Si noti che oltre ad avvicinarci all’Europa, essa avrebbe consentito una notevole moralizzazione della nostra vita politica ed un vero controllo più imparziale e più efficace dell’azione amministrativa, nel totale rispetto peraltro delle autonomie locali e della carta costituzionale. Da rivista "Regione Abruzzo" novembre - dicembre 1997.

LA NUOVA STRATEGIA DEI CONTROLLI SUGLI ENTI LOCALI

Con l’entrata in vigore della legge 127/97 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa dei procedimenti di decisione e di controllo), si delinea una riforma dei controlli sugli enti locali che presenta non poche zone d’ombra in un panorama che manifesta anche alcune luci.

Partiamo da queste ultime: sicuramente giuste e condivisibili appaiono le previsioni di cui all’art. 17 n. 34 e 35.

Con il n. 34 è stato correttamente reintrodotto, per le delibere di giunta, l’istituto del controllo eventuale a richiesta degli stessi deliberanti che - nel quadro di una riduzione dell’area dei controlli obbligatori - è stato giustamente salvaguardato anche per realizzare quell’"indirizzo collaborativo" fra Regione ed enti locali, su cui si può sostanziare un nuovo sistema di controlli che esalti l’autonomia di questi ultimi.

Nella stessa linea è stato previsto con il n. 35 che i CO.RE.CO possano attivare servizi di consulenza per gli enti locali: innovazione questa che è stata suggerita proprio dal Coordinamento degli organi regionali di controllo nel convegno di studi organizzato dal CNEL il 16-1-97.

Dobbiamo peraltro constatare che ad un esame complessivo prevalgono le zone buie che tendono a spegnere anche queste poche luci, avendo compiuto il legislatore scelte del tutto "strane", in contrasto non solo con la logica ma anche con quel principio del buon andamento della P.A. che l’art. 97 della Costituzione tutela (oltre che ovviamente con l’art. 130 almeno nel testo oggi vigente).

La prima di queste scelte strane è quella di affidare ai difensori civici comunali e provinciali, se istituiti, il controllo eventuale su richiesta delle minoranze (n.38) in materia di appalti e affidamento di servizi o forniture di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario ovvero in materia di assunzione del personale, piante organiche e relative variazioni.

Qui, oltre ovviamene all’art. 130 della Costituzione è stato violato ogni più elementare principio in materia di incompatibilità: dato che è il comune (o la provincia) a nominare il difensore civico, è il controllato quindi che si sceglie in qualche modo il proprio controllore.

Non solo ma vengono affidate ai difensori civici compiti estranei a quelli istituzionali di tale figura e che è nata, in tutte le democrazie occidentali, per tutelare gli interessi dei singoli cittadini davanti alla P.A.

Ci si domanda come si può conciliare tale veste, nelle materie di cui all’art. 17 n. 38 quando, in tali ipotesi il difensore civico ha diritto di decisione sulla legittimità del procedimento stesso.

Il contrasto è talmente palese e stridente che solo un orecchio scarsamente sensibile alla musica delle istituzioni può non avvertirlo. Senza dimenticare che il difensore civico, a differenza del CO.RE.CO. non deve avere necessariamente (e normalmente non ha) i requisiti di competenza giuridica per esercitare tali compiti e, comunque non ha i mezzi necessari.

Nella stessa linea appare assai discutibile l’assegnazione al difensore civico, stavolta regionale (n.45) della nomina dei commissari ad acta per la sostituzione degli organi degli enti locali inadempienti. Tale scelta peraltro contrasta con quella di cui al comma 91 del medesimo articolo 17 che prevede, in caso di mancata adozione da parte dell’ente dei regolamenti in tema di definizione del termine del procedimento, di responsabile del procedimento e di diritto di accesso, la "nomina di un commissario per la loro adozione da parte del comitato regionale di controllo.

Non è chiaro perché il controllo sostitutivo venga affidato al difensore civico e la nomina del commissario ad acta nel diritto d’accesso al CO.RE.CO.: la logica e la razionalità avrebbero imposto esattamente il contrario.

L’unica spiegazione logica per tale infelice scelta sembra essere quella ispirata dal tentativo di evitare il referendum che pende sul controllo dei CO.RE.CO. ovvero di una particolare simpatia del Ministro per la Funzione Pubblica per l’"ombudsman".

Altra scelta assai strana ed in palese contrasto con l’art. 97 della Costituzione è la "tempistica" con riferimento all’esame dei bilanci e dei rendiconti.

Il controllo sui bilanci e sui rendiconti si troverà infatti tra l’incudine del termine di trasmissione ridotto a cinque giorni, ed il martello dei dieci giorni per la richiesta di eventuali chiarimenti.

I termini poi sono stati disposti in modo tale che gli enti invieranno bilanci e rendiconti ai CO.RE.CO. quasi contemporaneamente e questi ultimi dovranno procedere al loro esame entro dieci giorni, pena l’alternativa successiva di doversi muovere fra gli scoglio di Scilla - presa d’atto - e Cariddi - annullamento e viceversa.

Si aggiunga che il termine di 10 giorni per la richiesta di chiarimenti è di fatto inapplicabile se si conoscono le fasi di procedimento interno di controllo (protocollazione, assegnazione della sezione, esame istruttorio, proposta dell’ordine del giorno del CO.RE.CO., calendario delle sedute, formulazione e spedizione dell’ordinanza).

Se poi si ricordano le modalità di esame imposte dal n. 41 (coerenza interna degli atti, corrispondenza dati contabili con quelli delle deliberazioni e dei documenti giusitificativi) si vede che la realtà amministrativa non può consentire un tale esame in soli 10 giorni (si pensi ai bilanci dei grandi consumi).

La normativa in oggetto ha infine notevolmente ridotto il numero degli atti soggetti a controllo preventivo necessario (n. 33): sono rimasti solo gli statuti, i regolamenti di competenza del Consiglio, esclusi quelli attinenti all’autonomia organizzativa e contabile, i bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, ed il rendiconto di gestione.

Qui il legislatore avrebbe potuto esser sicuramente più innovativo e fantasioso.

Infatti il problema da risolvere non è quello di eliminare o di cercare di rendere meno efficaci i controlli, ma di adeguarli alle nuove realtà. Si tratta di stabilire quale sia lo scopo della legge e quindi di definire l’attività da svolgere. il controllo deve assicurare la stretta connessione tra l’attività amministrativa svolta e gli obiettivi indicati dal legislatore.

L’inadeguatezza del sistema attuale dei controlli non avrebbe dovuto comportare la loro sostanziale eliminazione, ma un ripensamento ed una maturazione evolutiva in funzione delle nuove finalità che lo Stato moderno si propone di eseguire.

Il controllo di legittimità resta sempre condizione essenziale allo svolgimento della gestione, ma non può essere più considerato attività fine a se stessa. Esso va correlato al concetto di funzionalità dell’Amministrazione pubblica.

D’altra parte, per quanto riguarda l’amministrazione, la recente evoluzione dei controlli amministrativi sembra orientarsi nel senso della riduzione dell’area del controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti a favore di quello successivo, preferibilmente verso forme di tipo gestionale.

Oggi, infatti, è sempre più sentita l’esigenza di introdurre controlli di efficienza, operanti come controlli impulso rivolti a favorire il conseguimento degli obiettivi programmatici, in contrapposizione ai controlli freno attualmente in funzione e che si limitano a passare al vaglio i singoli atti compiuti.

Per tale ragione, si fa sempre riferimento al controllo di gestione per indicare, appunto, che il suo oggetto non è più l’atto amministrativo singolarmente considerato, ma tutta la gestione amministrativa globalmente intesa, caratterizzata non solo dagli atti emanati ma anche da quelli omessi.

Il controllo di gestione, in altri termini, non si propone tanto di accertare la legittimità dei singoli atti amministrativi, quanto di valutare, a posteriori, sotto il profilo della buona amministrazione e della conformità agli obiettivi prefissati, l’intera gestione. In tale ipotesi più correttamente si dovrebbe parlare di controllo sulla gestione.

Ora il controllo successivo sull’attività dell’ente locale non è previsto, ma neppure escluso, dal legislatore costituzionale (sull’ammissibilità costituzionale del controllo di gestione come controllo "atipico" cfr. A. Patumi, Studi per il decennale della sezione enti locali della Corte dei Conti, 1992, vol.1, p. 93; cfr. anche S. Buscema, Trattato di contabilità pubblica, vol. IV, Milano, 1987, p.628 e segg.) che forse non lo conosceva neppure.

Con riguardo a questa forma di sindacato, abbiamo visto sopra si parla appunto di controllo di gestione, per indicare che il suo oggetto non è più l’atto amministrativo singolarmente considerato, ma tutta la gestione amministrativa globalmente intesa, caratterizzata non solo dagli atti emanati ma anche da quelli omessi, e soprattutto, dai risultati raggiunti.

Dell’attività amministrativa si tratta di valutare l’efficacia e l’efficienza: la prima esprime l’idoneità a raggiungere gli obiettivi prefissati, la seconda attiene al rapporto tra risorse impiegate e risultati conseguiti.

Tale sistema avrebbe potuto ben essere affiancato ai tradizionali controlli di legittimità, che in forma maggiormente ridotta e razionalizzata anche rispetto a quella prevista dalla legge 142/90 potevano ancora svolgere un’utile funzione.

Entrambi avrebbero potuto essere affidati al CO.RE.CO. quale organo costituzionalmente previsto ed a ciò deputato dall’art. 130 della Costituzione.

In forza della nuova composizione ex L. 142/90 infatti i CO.RE.CO sono composti da componenti dotati di elevata e diversificata professionalità: professori universitari, avvocati, commercialisti, alti funzionari, tutte professionalità il cui impegno richiesto in forma privata comporterebbe spese non indifferenti per il bilancio degli enti (si pensi alle enormi spese sostenute dagli enti per ottenere qualificate consulenze).

Orbene, questo coacervo di elevate professionalità gli enti locali lo trovano a disposizione per un cifra simbolica (l’indennità) sostenuta dalla Regione.

Non solo ma proprio per la diversificazione delle professionalità, tale istituzione ha anche le più spiccate caratteristiche di flessibilità, per cui avrebbe potuto, senza alcun problema, passare dal controllo di gestione (operazione invece molto più difficoltosa per la Corte dei Conti che è formata dai magistrati aventi uniformi e specifiche competenze professionali consolidate nel tempo e quindi difficilmente mutuabili, senza voler considerare l’elevato costo che importa tale modifica atteso il rilevante importo della retribuzione dei magistrati medesimi).

Si poteva pensare anche ad un controllo di gestione impostato dapprima su tematiche (ad es. personale, contratti, servizi...) preventivamente scelte dall’organo di controllo per poter svolgere un esame approfondito sulla gestione in materia dell’ente locale.

Tale attività sarebbe stata di grande rilievo pratico e politico in quanto avrebbe consentito ai cittadini di avere un immediati rapporto sull’attività dell’ente locale (il CO.RE.CO. nel nostro sistema istituzionale è ormai il solo organo che si pronuncia in tempi brevissimi) e avrebbe configurato il CO.RE.CO. come una vera e propria banca dati delle autonomie, con evidenti benefici per l’efficacia e l’efficienza dell’attività di queste ultime e della stessa Regione.

La soluzione da noi proposta avrebbe potuto anche essere letta come un indispensabile adeguamento a livelli "europei" della nostra normativa in materia di controlli.

Si noti che oltre ad avvicinarci all’Europa, essa avrebbe consentito una notevole moralizzazione della nostra vita politica ed un vero controllo più imparziale e più efficace dell’azione amministrativa, nel totale rispetto peraltro delle autonomie locali e della carta costituzionale.