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La pregiudiziale amministrativa, una storia quasi finita. Analisi di un contrasto in via d’estinzione

Nota a Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Ordinanza 23 dicembre 2008 n.30254
Massime:

- La L. 21 luglio 2000, n. 2005, all’art. 7 ha dato al giudice amministrativo la giurisdizione sulla domanda autonoma di risarcimento del danno, osservato come tutela risarcitoria autonoma significa tutela che spetta alla parte per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta richiede al giudice di accertare l’illegittimità di tale agire. Questo accertamento non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento né il diritto al risarcimento può essere di per sé disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ovvero la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimità. Dunque il rifiuto della tutela risarcitoria autonoma, motivato sotto gli aspetti indicati, si rivelerà sindacabile attraverso il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione.

- Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall’esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento.

Il 23 dicembre 2008 le Sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione sono ritornate, forse definitivamente, sulla tematica della pregiudiziale amministrativa e cioè sulla possibilità o meno per il privato leso nel proprio interesse legittimo dall’agire della Pubblica amministrazione di agire innanzi al giudice amministrativo per ottenere il relativo risarcimento del danno a prescindere dalla previa e tempestiva impugnazione dell’atto lesivo, che rappresenta una delle problematiche più discusse e attuali in materia di giurisdizione amministrativa e risarcimento del danno degli interessi legittimi, in riferimento alla quale si sono registrati forti contrasti in sede giurisprudenziale e no.

 Il Supremo consesso di legittimità, con l’ordinanza n. 30254/2008, ha ribadito l’assenza di una pregiudiziale amministrativa per la proposizione della domanda di risarcimento per lesione di interesse legittimo e, quindi, l’autonomia dell’azione risarcitoria rispetto all’annullamento dell’atto amministrativo lesivo, affermando che l’art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205 “ha dato al giudice amministrativo la giurisdizione sulla domanda autonoma di risarcimento del danno, osservato come tutela risarcitoria autonoma significa tutela che spetta alla parte per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta richiede al giudice di accertare l’illegittimità di tale agire” e che “questo accertamento non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento né il diritto al risarcimento può essere di per sé disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ovvero la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimità”.

  Tale pronunciato rapprensenta una conferma di quanto già le Sezioni unite avevano affermato nel 2006 con le due ordinanze gemelle nn. 13659 e 13660 nelle quali si legge che la “tutela risarcitoria autonoma significa tutela che spetta alla parte per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta richiede al giudice di accertare l’illegittimità di tale agire” e “questo accertamento non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento né il diritto al risarcimento può essere per sé disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ovvero la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimità”.

  Quest’impostazione, ancorchè proveniente dal giudice istituzionalmente deputato a sindacare la giurisdizione, non è stata avallata dai giudici amministrativi che, tra orientamenti non sempre univoci, hanno continuato a professare la tesi della pregiudizale amministrativa e, perciò, del necessario previo annullamento del provvedimento amministrativo determinativo delle lesioni lamentate e poste a fondamento della domanda risarcitoria in sede amministrativa. In particolare, il Supremo consesso amministrativo non ha mancato di porsi in aperto contrasto con quanto affermato dale Sezioni unite affermando, con decisione n. 12/2007 dell’Adunanza plenaria, che “posto che diritto ed interesse sono situazioni soggettive fortemente differenziate benché molto spesso partecipi di una assimilabile pretesa ad un c.d. bene della vita, il legislatore, con formula che privilegia le ritenute esigenze di concentrazione dei giudizi, ha fissato il criterio della consequenzialità (della tutela risarcitoria rispetto a quella di annullamento), sicché il provvedimento amministrativo lesivo di un interesse sostanziale può essere aggredito in via impugnatoria, per la sua demolizione, e “conseguenzialmente” in via risarcitoria, per i suoi effetti lesivi, ponendosi, nell’ uno e nell’altro caso, la questione della sua legittimità e ciò nel rispetto del vincolo della c.d. pregiudiziale amministrativa, che richiede il previo annullamento dell’atto amministrativo al fine dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno dinanzi allo stesso Giudice amministrativo”.

  Tale impostazione del Consiglio di Stato, occorre osservare, non è stata sempre avallata in seno alla giurisprudenza amministrativa, che in non poche pronunce ha abbracciato l’orientamento delle Sezioni unite escludendo l’esistenza della necessità di una pregiudiziale amministrativa e riconoscendo la possibilità per il privato di proporre domanda risarcitoria autonoma ed a prescindere da un previo annullamento dell’atto amministrativo lesivo del suo interesse legittimo, ritenendo non preclusivo dell’accoglimento della stessa domanda di risarcimento l’inoppugnabilità del provvedimento (v. Corte di Giustizia amministrativa della Regione Sicilia, Sez. Giurisdizionale, decisioni nn. 762/2008 e 780/2008).

  Nella specie, il Consiglio di Stato, in palese critica dell’orientamento delle Sezioni unite della Cassazione, ha cercato di individuare una serie di argomenti su cui fondare la necessità della pregiudiziale amministrativa ed in particolare:

- che sotto il profilo letterale il novellato art. 7 legge TAR la tutela risarcitoria è qualificata come “conseguente” all’annullamento dell’atto,

- che la struttura della tutela del giudice amministrativo sarebbe, sia in sede di giurisdizione di legittimità sia in sede di giurisdizione esclusiva, di carattere impugnatorio, comportando perciò che il provvedimento amministrativo lesivo di un interesse sostanziale può essere aggredito sia in via impugnatoria, per la sua demolizione, che “conseguenzialmente” in via risarcitoria, per i suoi effetti lesivi, ponendosi, nell’uno e nell’altro caso, la questione della sua legittimità;

- che la c.d. presunzione di legittimità, che caratterizza il potere della pubblica amministrazione e i suoi provvedimenti (in riferimento ai crismi di efficacia e esecutorietà) si tramuta da relativa in assoluta allorché, nel termine di decadenza, si sia omessa l’impugnazione ovvero finché non sia intervenuto annullamento d’ufficio;

- che l’incidenza della “decadenza” determinerebbe perciò la non configurabilità, in presenza di un provvedimento inoppugnabile così come in presenza di un provvedimento inutilmente impugnato, stante la contraddizione legittimità-illeceità, di della ingiustizia del danno quale nucleo essenziale dell’illecito ai fini risarcitori;

- che l’inoppugnabilità del provvedimento amministrativo renderebbe impraticabile, tanto per il giudice amministrativo quanto a quello ordinario, la disapplicazione dello stesso al fine di riconoscere la sussistenza di un danno ingiusto ed accogliere l’azione risarcitoria.

  Questa impostazione del Consiglio di Stato, occorre osservare, non è stata sempre avallata in seno alla giurisprudenza amministrativa, che in non poche pronunce ha abbracciato l’orientamento delle Sezioni unite escludendo l’esistenza della necessità di una pregiudiziale amministrativa e riconoscendo la possibilità per il privato di proporre domanda risarcitoria autonoma ed a prescindere da un previo annullamento dell’atto amministrativo lesivo del suo interesse legittimo, ritenendo non preclusivo dell’accoglimento della stessa domanda di risarcimento l’inoppugnabilità del provvedimento (v. Corte di Giustizia amministrativa della Regione Sicilia, Sez. Giurisdizionale, decisioni nn. 762/2008 e 780/2008).

  Infine, a definitiva confutazione della tesi delle Sezioni unite, l’Adunanza plenaria, sempre nella decisione n. 12/2007, prende esplicita posizione sui limiti del sindacato che la Cassazione può esercitare in tema di giurisdizione avverso le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti (unico mezzo di gravame proponibile nei confronti delle stesse, che altrimenti sono inoppugnabili, ai sensi dell’art. 111 Cost.). In particolare, infatti, nelle ordinanze gemelle del 2006 delle Sezioni unite, nn. 13659 e 13660, i Giudici della Cassazione avevano statuito che “il rifiuto della tutela risarcitoria autonoma, motivato sotto gli aspetti indicati, si rivelerà sindacabile attraverso il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione” in quanto “il giudice amministrativo avrà infatti rifiutato di esercitare una giurisdizione che gli appartiene”. In risposta a ciò nella Adunanza plenaria n. 12/2007 sul punto si legge, invece, che “al reclamato potere regolatore della Corte di Cassazione che, secondo il correlato avvertimento della Corte Costituzionale (sent. 12 marzo 2007, n. 77), con la sua pronuncia può soltanto, a norma dell’art. 111, comma ottavo, Cost., vincolare il Consiglio di Stato e la Corte di Conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma certamente non può vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione” in quanto, prosegue il Consiglio di Stato, “ad analogo principio, (secondo) la Corte Costituzionale, si ispira l’art. 386 cod. proc. civ. applicabile anche ai ricorsi proposti a norma dell’ art. 362, comma primo cod. proc. civ., disponendo che la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda”; il tutto quasi a voler mettere in guardia per il futuro i Giudici della legittimità dall’intervenire sindacando il rigetto delle domande risarcitorie senza il rispetto della pregiudiziale da parte dei giudici amministrativi, pena, altrimenti, il conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale.

  A conchiusione, almeno per il momento, della diatriba giurisprudenziale tra i massimi consessi dei rispettivi ordini giurisdizionali, ordinario – Sezioni unite e amministrativo – Adunanza plenaria, sin qui evidenziata, è intervenuta l’ordinanza n. 30254/2008 della Cassazione a Sezione unite, che resta attualmente pur sempre la voce istituzionalmente più autorevole in punto di giurisdizione.

  I Giudici del Palazzaccio hanno preso posizione su tutti gli argomenti posti a fondamento dell’impostazione a favore della pregiudiziale del Consiglio di Stato, confutandoli uno ad uno nell’ordinanza n. 30254/2008 (ma v. anche le ordinanze gemelle nn. 13659 e 13660 del 2006) nella quale hanno chiarito:

- che il termine “conseguente” che il legislatore usa per la tutela risarcitoria anche nella giurisdizione esclusiva, non sta a significare reintroduzione della pregiudiziale amministrativa ma soltanto la riaffermazione del necessario nesso di causalità tra condotta (atto lesivo) e danno, per ammettere il privato al risarcimento;

- che “più indici normativi testimoniano della trasformazione in atto dello stesso giudizio sulla domanda di annullamento, da giudizio sul provvedimento in giudizio sul rapporto: ciò che è stato puntualmente messo in rilievo dalla dottrina, in riferimento all’impugnazione, con motivi aggiunti, dei provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso (art. 21, primo comma, legge TAR, modificato dall’art. 1 della legge 205 del 2000); al potere del giudice di negare l’annullamento dell’atto impugnato per vizi di violazione di norme sul procedimento, quando giudichi palese, per la natura vincolata del provvedimento, che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (art. 21-octies, comma 1, della legge 241 del 1990, introdotto dall’art. 21-bis della L. 11 febbraio 2005, n. 15); al potere del giudice amministrativo di conoscere della fondatezza dell’istanza nei casi di silenzio (art. 2, comma 5, della L. 241 del 1990, come modificato dalla L. 14 maggio 20”05, n. 80 in sede di conversione del D. L. 14 marzo 2005, n. 35”;

- che “nel diritto amministrativo, l’inoppugnabilità non si traduce in convalidazione del provvedimento illegittimo, di cui resta possibile l’annullamento dall’amministrazione che lo ha emesso” e “perciò se, per non esserne stata chiesta la sospensione, l’atto non perde efficacia e può continuare ad essere eseguito, il comportamento tenuto, prima nell’adottarlo e poi nell’eseguirlo, non perde i suoi tratti di comportamento illegittimo, fonte di responsabilità, per il fatto che dell’atto neppure sia stato poi chiesto l’annullamento”;

- che a proposito dell’illecito, proseguono le Sezioni unite, questo sussisterebbe nonostante la presunzione di legittimità in quanto consisterebbe nel “comportamento consistito nel mantenere l’atto o nel darvi esecuzione per essere mancata la domanda di annullamento, anche se il non averlo la parte chiesto può rilevare come comportamento che ha concorso a provocare il danno” perché “pensare diversamente significa trasformare l’onere della parte di attivarsi nel proprio interesse per l’annullamento in un dovere della parte di collaborare con l’amministrazione a renderla edotta della illegittimità dei propri atti”;

- che ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria l’accertamento incidentale che il giudice ha da fare in merito alla illegittimità del provvedimento amministrativo lesivo, quale elemento dell’illecito aquiliano, non è finalizzato alla sua disapplicazione in quanto per riconoscere la sussistenza del danno al privato dovrà, invece, proprio presupporre l’applicazione (l’esecuzione) dell’atto da parte dell’Amministrazione nonostanze la sua illegittimità; ergo non entra proprio in questione il potere di disapplicazione del Giudice amministrativo.

  Con riferimento, poi, al punto più scottante del contrasto giurisprudenziale con i Giudici di Palazzo Spada, in merito cioè ai limiti del sindacato della Cassazione sulla giurisdizione, le Sezioni unite hanno affermato che “proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall’esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento”.

  Più nello specifico, sul punto le Sezioni unite affermano che “giurisdizione, nella Costituzione, per quanto interessa qui, è termine che va inteso nel senso di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi e dunque in un senso che comprende le diverse tutele che l’ordinamento assegna ai diversi giudici per assicurare l’effettività dell’ordinamento” e di conseguenza, prosegue il Supremo consesso, “se attiene alla giurisdizione l’interpretazione della norma che l’attribuisce, vi attiene non solo in quanto riparte tra gli ordini di giudici tipi di situazioni soggettive e settori di materia, ma vi attiene pure in quanto descrive da un lato le forme di tutela, che dai giudici si possono impartire per assicurare che la protezione promessa dall’ordinamento risulti realizzata, dall’altro i presupposti del loro esercizio”.

  Inoltre, continua la Cassazione, “è norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che dà contenuto al potere stabilendo attraverso quali forme di tutela esso si estrinseca”; e con riferimento a quest’ultimo profilo “quando dal giudice amministrativo si afferma che la tutela risarcitoria può essere somministrata dal quel giudice, in presenza di atti illegittimi della pubblica amministrazione, solo se gli stessi siano stati previamente annullati in sede giurisdizionale o di autotutela, si finisce col negare in linea di principio che la giurisdizione del giudice amministrativo includa nel suo bagaglio una tutela risarcitoria autonoma, oltre ad una tutela risarcitoria di completamento”. Pertanto, dato per presupposto “che rientri nei poteri del giudice amministrativo erogare la tutela risarcitoria autonoma, il rigetto della relativa domanda, si risolve in un rifiuto di erogare la relativa tutela” in quanto “tale rifiuto dipenderebbe non da determinanti del caso concreto sul piano processuale o sostanziale, ma da un’interpretazione della norma attributiva del potere di condanna al risarcimento del danno, che approda ad una conformazione della giurisdizione da cui ne resta esclusa una possibile forma”, con la conseguenza che “ciò si traduce in menomazione della tutela giurisdizionale spettante al cittadino di fronte all’esercizio illegittimo della funzione amministrativa ed in una perdita di quella effettività, che ne ha giustificato l’attribuzione al giudice amministrativo”.

  “Rientra d’altra parte nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l’operazione che consiste nell’interpretare la norma attributiva di tutela, per verificare se il giudice amministrativo non rifiuti lo stesso esercizio della giurisdizione, quando assume della norma un’interpretazione che gli impedisce di erogare la tutela per come essa è strutturata, cioè come tutela risarcitoria autonoma” ed “è pacifico, invero, che possibile oggetto di sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione sia anche la decisione che neghi la giurisdizione del giudice adito

  In conclusione, “postulare che la norma che attribuisce ad un giudice una forma di tutela lo faccia sulla base di un determinato presupposto positivo o negativo, dalla cui presenza ne dipenda l’erogazione, per un verso, come si è visto, inerisce al giudizio che quel giudice deve compiere per stabilire in che limiti la giurisdizione gli è attribuita” e “per altro verso, il sindacato che assume a suo oggetto questo tratto si arresta e non oltrepassa il limite oltre il quale non può essere esercitato, perché si appunta su un aspetto della norma e si traduce in una decisione della Cassazione, che vincola ad esercitare la giurisdizione rispettando i tratti essenziali della forma di tutela in questione, senza pretendere di costringere a riconoscere rispettati dalla domanda né le condizioni processuali d’una decisione di merito né ì fatti che danno in concreto diritto alla tutela richiesta”.

  Attraverso queste argomentazioni le Sezioni unite giungono con l’affermare che dall’art. 24 Cost., primo comma, nella parte in cui dispone che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, “non pare sia possibile trarre se non il significato che dei diritti e degli interessi, di cui è titolare, ognuno è arbitro di chiedere tutela e che perciò a ciascuno spetta non solo di scegliere se chiedere tutela giurisdizionale, ma anche di scegliere di quale avvalersi, tra le diverse forme di tutela apprestate dall’ordinamento, per reagire al fatto che l’interesse sostanziale della parte, protetto dall’ordinamento, sia rimasto insoddisfatto”.

Massime:

- La L. 21 luglio 2000, n. 2005, all’art. 7 ha dato al giudice amministrativo la giurisdizione sulla domanda autonoma di risarcimento del danno, osservato come tutela risarcitoria autonoma significa tutela che spetta alla parte per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta richiede al giudice di accertare l’illegittimità di tale agire. Questo accertamento non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento né il diritto al risarcimento può essere di per sé disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ovvero la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimità. Dunque il rifiuto della tutela risarcitoria autonoma, motivato sotto gli aspetti indicati, si rivelerà sindacabile attraverso il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione.

- Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall’esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento.

Il 23 dicembre 2008 le Sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione sono ritornate, forse definitivamente, sulla tematica della pregiudiziale amministrativa e cioè sulla possibilità o meno per il privato leso nel proprio interesse legittimo dall’agire della Pubblica amministrazione di agire innanzi al giudice amministrativo per ottenere il relativo risarcimento del danno a prescindere dalla previa e tempestiva impugnazione dell’atto lesivo, che rappresenta una delle problematiche più discusse e attuali in materia di giurisdizione amministrativa e risarcimento del danno degli interessi legittimi, in riferimento alla quale si sono registrati forti contrasti in sede giurisprudenziale e no.

 Il Supremo consesso di legittimità, con l’ordinanza n. 30254/2008, ha ribadito l’assenza di una pregiudiziale amministrativa per la proposizione della domanda di risarcimento per lesione di interesse legittimo e, quindi, l’autonomia dell’azione risarcitoria rispetto all’annullamento dell’atto amministrativo lesivo, affermando che l’art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205 “ha dato al giudice amministrativo la giurisdizione sulla domanda autonoma di risarcimento del danno, osservato come tutela risarcitoria autonoma significa tutela che spetta alla parte per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta richiede al giudice di accertare l’illegittimità di tale agire” e che “questo accertamento non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento né il diritto al risarcimento può essere di per sé disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ovvero la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimità”.

  Tale pronunciato rapprensenta una conferma di quanto già le Sezioni unite avevano affermato nel 2006 con le due ordinanze gemelle nn. 13659 e 13660 nelle quali si legge che la “tutela risarcitoria autonoma significa tutela che spetta alla parte per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta richiede al giudice di accertare l’illegittimità di tale agire” e “questo accertamento non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento né il diritto al risarcimento può essere per sé disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ovvero la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimità”.

  Quest’impostazione, ancorchè proveniente dal giudice istituzionalmente deputato a sindacare la giurisdizione, non è stata avallata dai giudici amministrativi che, tra orientamenti non sempre univoci, hanno continuato a professare la tesi della pregiudizale amministrativa e, perciò, del necessario previo annullamento del provvedimento amministrativo determinativo delle lesioni lamentate e poste a fondamento della domanda risarcitoria in sede amministrativa. In particolare, il Supremo consesso amministrativo non ha mancato di porsi in aperto contrasto con quanto affermato dale Sezioni unite affermando, con decisione n. 12/2007 dell’Adunanza plenaria, che “posto che diritto ed interesse sono situazioni soggettive fortemente differenziate benché molto spesso partecipi di una assimilabile pretesa ad un c.d. bene della vita, il legislatore, con formula che privilegia le ritenute esigenze di concentrazione dei giudizi, ha fissato il criterio della consequenzialità (della tutela risarcitoria rispetto a quella di annullamento), sicché il provvedimento amministrativo lesivo di un interesse sostanziale può essere aggredito in via impugnatoria, per la sua demolizione, e “conseguenzialmente” in via risarcitoria, per i suoi effetti lesivi, ponendosi, nell’ uno e nell’altro caso, la questione della sua legittimità e ciò nel rispetto del vincolo della c.d. pregiudiziale amministrativa, che richiede il previo annullamento dell’atto amministrativo al fine dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno dinanzi allo stesso Giudice amministrativo”.

  Tale impostazione del Consiglio di Stato, occorre osservare, non è stata sempre avallata in seno alla giurisprudenza amministrativa, che in non poche pronunce ha abbracciato l’orientamento delle Sezioni unite escludendo l’esistenza della necessità di una pregiudiziale amministrativa e riconoscendo la possibilità per il privato di proporre domanda risarcitoria autonoma ed a prescindere da un previo annullamento dell’atto amministrativo lesivo del suo interesse legittimo, ritenendo non preclusivo dell’accoglimento della stessa domanda di risarcimento l’inoppugnabilità del provvedimento (v. Corte di Giustizia amministrativa della Regione Sicilia, Sez. Giurisdizionale, decisioni nn. 762/2008 e 780/2008).

  Nella specie, il Consiglio di Stato, in palese critica dell’orientamento delle Sezioni unite della Cassazione, ha cercato di individuare una serie di argomenti su cui fondare la necessità della pregiudiziale amministrativa ed in particolare:

- che sotto il profilo letterale il novellato art. 7 legge TAR la tutela risarcitoria è qualificata come “conseguente” all’annullamento dell’atto,

- che la struttura della tutela del giudice amministrativo sarebbe, sia in sede di giurisdizione di legittimità sia in sede di giurisdizione esclusiva, di carattere impugnatorio, comportando perciò che il provvedimento amministrativo lesivo di un interesse sostanziale può essere aggredito sia in via impugnatoria, per la sua demolizione, che “conseguenzialmente” in via risarcitoria, per i suoi effetti lesivi, ponendosi, nell’uno e nell’altro caso, la questione della sua legittimità;

- che la c.d. presunzione di legittimità, che caratterizza il potere della pubblica amministrazione e i suoi provvedimenti (in riferimento ai crismi di efficacia e esecutorietà) si tramuta da relativa in assoluta allorché, nel termine di decadenza, si sia omessa l’impugnazione ovvero finché non sia intervenuto annullamento d’ufficio;

- che l’incidenza della “decadenza” determinerebbe perciò la non configurabilità, in presenza di un provvedimento inoppugnabile così come in presenza di un provvedimento inutilmente impugnato, stante la contraddizione legittimità-illeceità, di della ingiustizia del danno quale nucleo essenziale dell’illecito ai fini risarcitori;

- che l’inoppugnabilità del provvedimento amministrativo renderebbe impraticabile, tanto per il giudice amministrativo quanto a quello ordinario, la disapplicazione dello stesso al fine di riconoscere la sussistenza di un danno ingiusto ed accogliere l’azione risarcitoria.

  Questa impostazione del Consiglio di Stato, occorre osservare, non è stata sempre avallata in seno alla giurisprudenza amministrativa, che in non poche pronunce ha abbracciato l’orientamento delle Sezioni unite escludendo l’esistenza della necessità di una pregiudiziale amministrativa e riconoscendo la possibilità per il privato di proporre domanda risarcitoria autonoma ed a prescindere da un previo annullamento dell’atto amministrativo lesivo del suo interesse legittimo, ritenendo non preclusivo dell’accoglimento della stessa domanda di risarcimento l’inoppugnabilità del provvedimento (v. Corte di Giustizia amministrativa della Regione Sicilia, Sez. Giurisdizionale, decisioni nn. 762/2008 e 780/2008).

  Infine, a definitiva confutazione della tesi delle Sezioni unite, l’Adunanza plenaria, sempre nella decisione n. 12/2007, prende esplicita posizione sui limiti del sindacato che la Cassazione può esercitare in tema di giurisdizione avverso le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti (unico mezzo di gravame proponibile nei confronti delle stesse, che altrimenti sono inoppugnabili, ai sensi dell’art. 111 Cost.). In particolare, infatti, nelle ordinanze gemelle del 2006 delle Sezioni unite, nn. 13659 e 13660, i Giudici della Cassazione avevano statuito che “il rifiuto della tutela risarcitoria autonoma, motivato sotto gli aspetti indicati, si rivelerà sindacabile attraverso il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione” in quanto “il giudice amministrativo avrà infatti rifiutato di esercitare una giurisdizione che gli appartiene”. In risposta a ciò nella Adunanza plenaria n. 12/2007 sul punto si legge, invece, che “al reclamato potere regolatore della Corte di Cassazione che, secondo il correlato avvertimento della Corte Costituzionale (sent. 12 marzo 2007, n. 77), con la sua pronuncia può soltanto, a norma dell’art. 111, comma ottavo, Cost., vincolare il Consiglio di Stato e la Corte di Conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma certamente non può vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione” in quanto, prosegue il Consiglio di Stato, “ad analogo principio, (secondo) la Corte Costituzionale, si ispira l’art. 386 cod. proc. civ. applicabile anche ai ricorsi proposti a norma dell’ art. 362, comma primo cod. proc. civ., disponendo che la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda”; il tutto quasi a voler mettere in guardia per il futuro i Giudici della legittimità dall’intervenire sindacando il rigetto delle domande risarcitorie senza il rispetto della pregiudiziale da parte dei giudici amministrativi, pena, altrimenti, il conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale.

  A conchiusione, almeno per il momento, della diatriba giurisprudenziale tra i massimi consessi dei rispettivi ordini giurisdizionali, ordinario – Sezioni unite e amministrativo – Adunanza plenaria, sin qui evidenziata, è intervenuta l’ordinanza n. 30254/2008 della Cassazione a Sezione unite, che resta attualmente pur sempre la voce istituzionalmente più autorevole in punto di giurisdizione.

  I Giudici del Palazzaccio hanno preso posizione su tutti gli argomenti posti a fondamento dell’impostazione a favore della pregiudiziale del Consiglio di Stato, confutandoli uno ad uno nell’ordinanza n. 30254/2008 (ma v. anche le ordinanze gemelle nn. 13659 e 13660 del 2006) nella quale hanno chiarito:

- che il termine “conseguente” che il legislatore usa per la tutela risarcitoria anche nella giurisdizione esclusiva, non sta a significare reintroduzione della pregiudiziale amministrativa ma soltanto la riaffermazione del necessario nesso di causalità tra condotta (atto lesivo) e danno, per ammettere il privato al risarcimento;

- che “più indici normativi testimoniano della trasformazione in atto dello stesso giudizio sulla domanda di annullamento, da giudizio sul provvedimento in giudizio sul rapporto: ciò che è stato puntualmente messo in rilievo dalla dottrina, in riferimento all’impugnazione, con motivi aggiunti, dei provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso (art. 21, primo comma, legge TAR, modificato dall’art. 1 della legge 205 del 2000); al potere del giudice di negare l’annullamento dell’atto impugnato per vizi di violazione di norme sul procedimento, quando giudichi palese, per la natura vincolata del provvedimento, che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (art. 21-octies, comma 1, della legge 241 del 1990, introdotto dall’art. 21-bis della L. 11 febbraio 2005, n. 15); al potere del giudice amministrativo di conoscere della fondatezza dell’istanza nei casi di silenzio (art. 2, comma 5, della L. 241 del 1990, come modificato dalla L. 14 maggio 20”05, n. 80 in sede di conversione del D. L. 14 marzo 2005, n. 35”;

- che “nel diritto amministrativo, l’inoppugnabilità non si traduce in convalidazione del provvedimento illegittimo, di cui resta possibile l’annullamento dall’amministrazione che lo ha emesso” e “perciò se, per non esserne stata chiesta la sospensione, l’atto non perde efficacia e può continuare ad essere eseguito, il comportamento tenuto, prima nell’adottarlo e poi nell’eseguirlo, non perde i suoi tratti di comportamento illegittimo, fonte di responsabilità, per il fatto che dell’atto neppure sia stato poi chiesto l’annullamento”;

- che a proposito dell’illecito, proseguono le Sezioni unite, questo sussisterebbe nonostante la presunzione di legittimità in quanto consisterebbe nel “comportamento consistito nel mantenere l’atto o nel darvi esecuzione per essere mancata la domanda di annullamento, anche se il non averlo la parte chiesto può rilevare come comportamento che ha concorso a provocare il danno” perché “pensare diversamente significa trasformare l’onere della parte di attivarsi nel proprio interesse per l’annullamento in un dovere della parte di collaborare con l’amministrazione a renderla edotta della illegittimità dei propri atti”;

- che ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria l’accertamento incidentale che il giudice ha da fare in merito alla illegittimità del provvedimento amministrativo lesivo, quale elemento dell’illecito aquiliano, non è finalizzato alla sua disapplicazione in quanto per riconoscere la sussistenza del danno al privato dovrà, invece, proprio presupporre l’applicazione (l’esecuzione) dell’atto da parte dell’Amministrazione nonostanze la sua illegittimità; ergo non entra proprio in questione il potere di disapplicazione del Giudice amministrativo.

  Con riferimento, poi, al punto più scottante del contrasto giurisprudenziale con i Giudici di Palazzo Spada, in merito cioè ai limiti del sindacato della Cassazione sulla giurisdizione, le Sezioni unite hanno affermato che “proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall’esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento”.

  Più nello specifico, sul punto le Sezioni unite affermano che “giurisdizione, nella Costituzione, per quanto interessa qui, è termine che va inteso nel senso di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi e dunque in un senso che comprende le diverse tutele che l’ordinamento assegna ai diversi giudici per assicurare l’effettività dell’ordinamento” e di conseguenza, prosegue il Supremo consesso, “se attiene alla giurisdizione l’interpretazione della norma che l’attribuisce, vi attiene non solo in quanto riparte tra gli ordini di giudici tipi di situazioni soggettive e settori di materia, ma vi attiene pure in quanto descrive da un lato le forme di tutela, che dai giudici si possono impartire per assicurare che la protezione promessa dall’ordinamento risulti realizzata, dall’altro i presupposti del loro esercizio”.

  Inoltre, continua la Cassazione, “è norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che dà contenuto al potere stabilendo attraverso quali forme di tutela esso si estrinseca”; e con riferimento a quest’ultimo profilo “quando dal giudice amministrativo si afferma che la tutela risarcitoria può essere somministrata dal quel giudice, in presenza di atti illegittimi della pubblica amministrazione, solo se gli stessi siano stati previamente annullati in sede giurisdizionale o di autotutela, si finisce col negare in linea di principio che la giurisdizione del giudice amministrativo includa nel suo bagaglio una tutela risarcitoria autonoma, oltre ad una tutela risarcitoria di completamento”. Pertanto, dato per presupposto “che rientri nei poteri del giudice amministrativo erogare la tutela risarcitoria autonoma, il rigetto della relativa domanda, si risolve in un rifiuto di erogare la relativa tutela” in quanto “tale rifiuto dipenderebbe non da determinanti del caso concreto sul piano processuale o sostanziale, ma da un’interpretazione della norma attributiva del potere di condanna al risarcimento del danno, che approda ad una conformazione della giurisdizione da cui ne resta esclusa una possibile forma”, con la conseguenza che “ciò si traduce in menomazione della tutela giurisdizionale spettante al cittadino di fronte all’esercizio illegittimo della funzione amministrativa ed in una perdita di quella effettività, che ne ha giustificato l’attribuzione al giudice amministrativo”.

  “Rientra d’altra parte nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l’operazione che consiste nell’interpretare la norma attributiva di tutela, per verificare se il giudice amministrativo non rifiuti lo stesso esercizio della giurisdizione, quando assume della norma un’interpretazione che gli impedisce di erogare la tutela per come essa è strutturata, cioè come tutela risarcitoria autonoma” ed “è pacifico, invero, che possibile oggetto di sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione sia anche la decisione che neghi la giurisdizione del giudice adito

  In conclusione, “postulare che la norma che attribuisce ad un giudice una forma di tutela lo faccia sulla base di un determinato presupposto positivo o negativo, dalla cui presenza ne dipenda l’erogazione, per un verso, come si è visto, inerisce al giudizio che quel giudice deve compiere per stabilire in che limiti la giurisdizione gli è attribuita” e “per altro verso, il sindacato che assume a suo oggetto questo tratto si arresta e non oltrepassa il limite oltre il quale non può essere esercitato, perché si appunta su un aspetto della norma e si traduce in una decisione della Cassazione, che vincola ad esercitare la giurisdizione rispettando i tratti essenziali della forma di tutela in questione, senza pretendere di costringere a riconoscere rispettati dalla domanda né le condizioni processuali d’una decisione di merito né ì fatti che danno in concreto diritto alla tutela richiesta”.

  Attraverso queste argomentazioni le Sezioni unite giungono con l’affermare che dall’art. 24 Cost., primo comma, nella parte in cui dispone che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, “non pare sia possibile trarre se non il significato che dei diritti e degli interessi, di cui è titolare, ognuno è arbitro di chiedere tutela e che perciò a ciascuno spetta non solo di scegliere se chiedere tutela giurisdizionale, ma anche di scegliere di quale avvalersi, tra le diverse forme di tutela apprestate dall’ordinamento, per reagire al fatto che l’interesse sostanziale della parte, protetto dall’ordinamento, sia rimasto insoddisfatto”.