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Tribunale di Catanzaro: diritto al nome e procedura di rettificazione

Il Tribunale di Catanzaro

riunito in Camera di Consiglio e composto dai sig.ri giudici:

dott. Alberto Nicola Filardo Presidente

dott.ssa Anna Maria Raschellà giudice

dott.ssa Giovanna Gioia giudice rel.

ha pronunciato il seguente

D E C R E T O

nel procedimento camerale iscritto al n. 399 dell’anno 2008 R.G.V.G.,

su richiesta di

UFFICIO DI PROCURA, in persona del Procuratore della Repubblica di Catanzaro,

avente ad oggetto

requisitoria per la rettifica di atto di stato civile

1.LA FATTISPECIE SOTTOPOSTA A GIUDIZIO

Il 00.00.2004, nasce, in Francia, a C da genitori italiani, un neonato di sesso femminile. I genitori decidono di chiamare la bambina “Andrea” (cognome: Z), nome che, in francese, ha valenza femminile.

Il Comune di A segnala di avere trascritto, su istanza del Consolato d’Italia di C (Francia), la nascita di X Andrea (registri degli atti di nascita ……), figlia di YY (padre), iscritto all’Anagrafe degli Italiani residenti all’Estero (AIRE) del medesimo Comune e di ZZ (madre).

Il Comune evidenzia che Andrea Z è di sesso femminile, essendo quel nome, in Francia, attribuito alle donne. In Italia, la trascrizione è avvenuta con indicazione di sesso femminile, essendo, tuttavia, il suddetto nome di valenza maschile (si cita, in tal senso, la Circ. Min. dell’interno, Dipartimento AA. II. TT. – Direzione Centrale per i Servizi demografici, Area III, Stato Civile n. 27 dell’1 giugno 2007).

Sulla base della segnalazione del Comune, la Procura propone istanza di rettificazione ai sensi dell’art. 100 d.P.R. 3 novembre 2000 n. 396. Il Procuratore chiede la rettificazione dell’iscrizione perché il certificato “è errato là dove dice: Z Andrea nata C il ….. di sesso femminile”.

Chiede, sostanzialmente, la modifica del nome attribuito.

Sussiste la competenza del giudice adito e sussiste la legittimazione attiva dell’Ufficio di Procura: il procuratore della Repubblica può in ogni tempo promuovere il procedimento di rettificazione (art. 95 d.P.R. 3.11.2000 n. 396).

Ciò premesso va l’istanza va qualificata come rettificazione.

Gli artt. 95 e ss. del d.P.R. 396/2000 prevedono due distinti procedimenti modificativi degli atti dello Stato civile: la rettifica nei casi in cui l’ atto non sia conforme alla realtà naturale e giuridica in modo tale che ne sia alterato lo stato della persona; la correzione, invece, quando si tratta di rimediare ad un mero errore materiale dell’ atto, tale da non incidere sullo stato della persona. Nel caso di specie, la modifica richiesta incide sul “sesso” e sul “nome”, segno ricognitivo della identità della persona fisica. Si richiede, perciò, rettificazione (cfr. anche Circolare del Ministero della Giustizia del 16 marzo 2001, n. 1827).

Risulta ad acta che Andrea Z è una bimba, nata il 00.00.2004 (v. certificato francese: “sexe: Fèminin = sesso: femminile”), da genitori residenti all’estero (comunque nell’Unione Europea).

2.LA DISCIPLINA DEL NOME NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

Ai sensi dell’art. 35 d.P.R. 396/2000, “il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso”. L’art. 34, comma I, del medesimo decreto, vieta l’assegnazione di “nomi ridicoli o vergognosi”. Dal combinato disposto delle suaccennate disposizioni, emerge chiaramente il divieto di attribuire ad un bambino di sesso maschile un nome da donna o ad una bambina di sesso femminile un nome da uomo. Ciò si tradurrebbe, infatti, nella violazione di entrambe le norme, posto che, in tali casi, l’identità della persona verrebbe esposta alla derisione altrui.

Verrebbe, comunque, in via diretta frustrato l’interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici e della identificazione delle persone, interesse che il Legislatore ha deciso di far prevalere sulla libera scelta del nome da parte dei genitori. Si tratta di un balancing costituzionale del tutto ragionevole che, soprattutto, non comprime il diritto del genitore ma lo condiziona. Tant’è, infatti, che è ben possibile adottare un nome di valenza equivoca (quanto al sesso) ove, però, sia preceduto da un nome, primario, che risponda al sesso del minore (tipico è il caso del nome Maria usato anche per gli uomini ma solo con anteposizione di un elemento onomastico maschile: es. Giovanni Maria, Francesco Maria, etc..).

Il veto legislativo non può essere superato neanche facendo ricorso ai nomi stranieri: ed, infatti, la valenza del nome viene valutata con riferimento alla tradizione italiana e nel suo rispetto. Ciò vuol dire che ad un minore italiano non può essere attribuito un nome straniero che, in Italia, non ne identifichi la sessualità in modo corretto.

Per verificare, dunque, se le disposizioni normative italiane siano (o non) state rispettate, occorre guardare alla tradizione italiana, non intesa quale consuetudine statica e cristallizzata nel tempo ma quale insieme di valori e costumi in continua evoluzione. Occorre, altresì, guardare, però, anche al diritto sovranazionale che, per come si dirà, non recede (sempre) dinnanzi alla traditio interna di uno Stato.

Nel caso di specie, dunque, occorre verificare, in primo luogo, se, nella tradizione italiana rebus sic stantibus, il nome ANDREA abbia o non esclusiva valenza maschile.

Si tratta, invero, di questione che ha dato adito ad un vivace dibattito, ove è intervenuto, di recente, il Ministero dell’interno.

La recente circolare del Min. dell’interno dell’1 giugno 2007 avverte che il nome Andrea, in Italia, ha valenza maschile essendo “Andreina” la versione femminile. Il testo della circolare, dunque, continua affermando che “anche nel caso in cui i genitori richiedano la registrazione del figlio/a con un nome che, nella tradizione italiana, non corrisponde al sesso del minore, l’ufficiale dello stato civile (…) dovrà procedere alla registrazione ma dovrà avvertire i genitori che, a seguito della segnalazione del caso al Procuratore della Repubblica, come previsto dalla legge, è possibile che si instauri un giudizio di rettificazione che potrebbe portare, anche con tempi lunghi, alla modifica del nome prescelto”. La circolare ribadisce come nulla osti a che un nome tradizionalmente maschile, es. Andrea, possa essere imposto ad una bambina purché dopo un elemento onomastico chiaramente femminile (es. Francesca Andrea).

Le limitazioni non si applicano nel caso in cui il bambino acquisti la nazionalità del Paese di provenienza. In tal caso, infatti, in attuazione della normativa in materia di diritto internazionale privato (v. Legge n. 218/1995) si applicherà la Legge del Paese di nascita, posto che esplicitamente l’art. 24 l. cit. dispone che i diritti della personalità, tra i quali rientra il diritto al nome, sono regolati dalla legge nazionale del soggetto. La piccola Andrea Z non ha acquistato, tuttavia, la nationalité francese. La cittadinanza (nationalité) francese è disciplinata dal Codice civile, artt. 17 a 33-2; dalla legge n. 93-933 del 22 luglio 1993 e dai suoi decreti applicativi, n. 93-1362 del 30 dicembre 1993 e n. 98-720 del 20 agosto 1998; infine dalla legge 98-170 del 16 marzo 1998. Essendo Andrea nata da genitori italiani, acquisterà la cittadinanza francese solo risiedendo in Francia o avendo ivi risieduto senza interruzione fino ai diciotto anni.

La piccola Andrea è, dunque, cittadina Italia, anche se residente all’estero (ed, infatti, il padre è iscritto nel registri dell’AIRE).

3. L’ATTRIBUZIONE DEL NOME «ANDREA» AL FEMMINILE

Si pone, dunque, la questione relativa alla rettificazione del nome Andrea.

Si tratta di questione tuttora controversa in giurisprudenza, che non può dirsi risolta dalla circolare del Ministero, ove le direttive ermeneutiche da questi fornite non si rivelino condivisibili. Ed, infatti, il Ministero muove da un presupposto che è dato per acquisito: che il nome Andrea, nella tradizione italiana, abbia esclusiva valenza maschile. Presupposto che questo Tribunale è chiamato a verificare.

Ed, infatti, si registrano due orientamenti di giurisprudenza in netta contrapposizione.

Secondo una prima lettura interpretativa degli artt. 34 e 35 d.P.R. 396/2000, i genitori avrebbero facoltà di attribuire il nome Andrea ad un neonato di sesso femminile. Innanzitutto, si evidenzia che l’art. 34, comma II, d.P.R. cit. espressamente autorizza i genitori a scegliere nomi stranieri, come, per l’appunto, Andrea. In secondo luogo si segnala non essere più vero che in Italia, il nome Andrea è di esclusiva valenza maschile avendo questo acquisito anche connotazione femminile.

L’orientamento avverso disattende le motivazioni in esame. Quanto al diritto ad assegnare nomi stranieri, si precisa che ciò vale in quanto non si tratti di nomi che hanno già valenza nell’ordinamento interno (come Andrea); quanto alla diffusione della versione “femminile” di Andrea, si avverte che il dato non trova alcun riscontro e, comunque, non muta l’esigenza di salvaguardare esigenze di certezza nei rapporti giuridici. Si osserva, peraltro, che il nome Andrea ad una bimba, esporrebbe la medesima a derisione proprio come i nomi risibili.

Vi è, poi, in realtà, un indirizzo intermedio. Nel solco di siffatto orientamento si afferma: “ancorché per la tradizione italiana il nome " Andrea " sia riferito al sesso maschile, vi sono non pochi differenti ambiti territoriali in cui tale nome è riferito al sesso femminile: ciò ha comportato che anche nella nostra attuale società, sempre più multietnica, sia nome conosciuto anche come qualificante persona femminile. Con la conseguenza che là dove quel nome sia integrato con altro certamente corrispondente al sesso femminile (nella specie Alessia) sì che non possano esservi equivoci sulla identificazione della persona come soggetto di sesso femminile, è da escludersi la cancellazione del nome " Andrea " (cfr. Tribunale Milano, 20 febbraio 2003).

Secondo questa giurisprudenza, dunque, il nome Andrea sarebbe legittimo ma se preceduto da nome femminile italiano. Trattasi, invero, dell’indirizzo sposato dalla circolare del Min. dell’interno che conclude in tal modo.

Il nome Andrea deriva dal greco «ἀνήρ» che indica l’uomo con riferimento alla sua mascolinità; ed, infatti, lo si considera anche un derivato di «ἀνδρεία», termine che rievoca la virilità. In Italia, Andrea è, infatti, un nome proprio di persona maschile (così come in Albania).

In altre lingue, tuttavia, il nome è usato prevalentemente o esclusivamente al femminile: Ceco, Slovacco, Sloveno: maschile Andrej, femminile Andrea; Inglese: maschile Andrew (o Andreas), femminile Andrea; Spagnolo: maschile Andrés, femminile Andrea; Tedesco, Olandese, Danese: maschile Andreas, femminile: Andrea; Ungherese: maschile András, femminile Andrea. Andrea è nome femminile anche in America. Quanto alla Francia, che qui rileva: maschile André, femminile Andrée.

Quanto all’uso del nome Andrea in Italia, si può fare riferimento alla relazione dell’ISTAT, depositata l’1 luglio 2008, recante dati statistici in ordine a “natalità e fecondità della popolazione residente – Anno 2006”.

E’ significativo rilevare che “Andrea” è il terzo nome in Italia, per diffusione sul territorio trai nati residenti: in tutto 8.805 bambini nel 2006 pari al 3,1% dei nati residenti ed al 9.9% dei nati residenti cumulati. In questi casi – bene precisare – il nome è usato al maschile.

Non va, però, sottaciuto un altro dato: quello della presenza degli stranieri sul territorio italiano (intesi, non in senso tecnico, ma come non-italiani). L’Istat rileva che, negli ultimi 7 anni, l’incidenza dei nati stranieri sul totale dei nati residenti in Italia è quasi triplicata passando dal 4,0% del 1999 al 10,3% del 2006. Segnala, anche, l’aumento dei matrimoni misti: in media si ha il 21% circa di nati da almeno un genitore straniero al Nord e quasi il 17% al Centro, mentre nel Mezzogiorno si supera il 4%. Ciò vuol dire che vi è stato un notevole incremento di commistioni, in Italia, tra culture, tradizioni ed etnie. Si tratta, in realtà, di dati che lasciano emergere il volto una società divenuta multiculturale, partecipe, peraltro, di un organismo di diritto internazionale a base regionale come l’Unione Europea.

Quanto su segnalato rileva perché, in una società multiculturale, se è vero che il nome Andrea in Italia è usato quasi esclusivamente al maschile è anche vero che, sul medesimo territorio, per la presenza degli stranieri (sempre in senso lato), è possibile che il medesimo nome sia speso con valenza femminile.

Ed, allora, il dato statistico va collocato nel contesto sociale attuale.

Quanto in particolare, all’italiano residente all’estero, si verrebbe, peraltro, a creare un fenomeno di discriminazione inversa laddove lo Stato di residenza abbia in uso il nome Andrea al femminile: i residenti potrebbero dare alle proprie figlie il nome Andrea; gli italiano no.

L’argomento non è, però, indicativo ed, anzi, fuorviante.

Ed, infatti, laddove il nome Andrea è usato al femminile, non può, per converso, essere attribuito al maschile. Altrimenti detto: la possibilità di “usare” Andrea al femminile non è “un di più”, ma un qualcosa di diverso. Si è visto, infatti, che i Paesi che “usano” Andrea al femminile non lo usano al maschile. In Spagna, ad esempio, è vero che Andrea può essere attribuito alle donne, ma perché agli uomini viene assegnato il diverso “Andrés”. Non vi è, dunque, un diritto di latitudine diversa ma, semplicemente, un diritto sottoposto a regimi giuridici diversi che richiamano tradizioni popolari diverse. Quanto basta ad escludere che vi sia un pregiudizio per i cittadini italiani in quanto cittadini europei.

Ed, invero, la differenziazione del nome (maschile e femminile) si ricollega alla sua stessa essenza: il nome identifica il soggetto nei suoi tratti essenziali e lo fa riconoscere nel contesto di appartenenza. Quindi ne identifica, anche, il sesso. Il nome è, allora, un diritto per il minore che lo porta e non anche per i genitori che lo attribuiscono. Occorre, cioè, distinguere. Il diritto al nome è una situazione giuridica soggettiva incomprimibile e protetta dal diritto internazionale e comunitario quanto al soggetto che lo porta. Questo stesso soggetto, al momento della nascita, non è in grado di sceglierlo. Ed, allora, sono i suoi rappresentanti, secondo la Legislazione dello Stato membro, ad indicarlo. Questi, dunque, sono preposti a scegliere il nome del minore ma non tanto nel senso di vantare un diritto soggettivo quanto nel senso di avere il “potere-dovere”di farlo nell’orbita di un ufficio di diritto privato che è un munus.

Dovere sottoposto al controllo dello Stato. Non perché si tratti di ridimensionare il diritto al nome ma perché, essendo un diritto altrui, chi lo esercita deve farlo, per l’appunto, in modo funzionale al miglior soddisfacimento dell’interesse d’altri. Si vuol dire che non è consentito ai genitori di violare il contenuto “minimo” del diritto al nome che, per l’appunto, passa necessariamente per tre principi fondamentali: a) il nome non deve esporre il minore al ridicolo o alla vergogna; b) il nome deve rispecchiare il sesso del minore; c) il nome deve perseguire il fine di realizzare il diritto alla identità personale del minore.

Che il nome sia un diritto del minore (e non dei genitori) si ricava, espressamente, dall’art. 7, comma I, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 ove è statuito che “il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome”.

In definitiva, i genitori non hanno un diritto potestativo ad assegnare il nome che vogliono ma un potestà che li porta ad attribuire il nome che realizza la persona del minore. Ed, infatti, il comma II dell’art. 7 della Convenzione suaccennata, espressamente prevede che: “gli Stati parti vigilano affinché questi diritti siano attuati in conformità con la loro legislazione nazionale”.

Gli argomenti che precedono, inducono a dover ritenere che ogni Stato Membro della UE può regolare il diritto al nome dei minori suoi cittadini tenendo conto della tradizione interna, per determinare quando un nome abbia valenza maschile e quando femminile. E, sulla base di tale dato, se del caso, intervenire a rettificare la scelta dei genitori che possa arrecare pregiudizio all’interesse del minore stesso.

Occorre, allora, guardare alla discplina del nome “Andrea”

4. IL NOME «ANDREA» IN FRANCIA ED IN ITALIA

Come si è visto, il nome“Andrea” è il terzo nome maschile in Italia, ove una precisa influenza ha anche la religione cristiana, nel cui calendario il nome Andrea, portato dai Santi, è sempre maschile. Non esiste, infatti, una Santa “Andrea”.

Ma ciò che ha particolare incidenza, ai fini della decisione, è che, in Francia, “Andrea” non è tradizionalmente un nome di donna. Va segnalato, infatti, che, nello Stato suddetto (Francia), il nome Andrea non è in uso corrente nella versione in parola: ed, infatti, la versione francese è “André” al maschile ed “Andrée al femminile”. Il nome attribuito alla figlia del sig. Z non è, pertanto, “straniero” nei sensi di cui all’art. 34 comma II del d.P.R. 396/2000, ma italiano. Ciò si traduce, anche, nella non attualità ed influenza dell’argomento facente capo alla cd. discriminazione inversa, cui si è accennato. Si deve rilevare, inoltre, che in Francia, il nome “Andrè”, al maschile, è uno dei nomi più diffusi sul territorio con valenza maschile (trai primi dieci in utilizzo per i bambini). Al femminile, invece, compare, trai più diffusi, la versione “Andrée” ma non anche “Andrea”.

Ciò vuol dire che il Paese di provenienza non è di aiuto per la soluzione del quesito (diverse conclusioni potevano essere rassegnate se il Paese fosse stato, ad es., l’Olanda o la Spagna, dove “Andrea” è nome femminile in questa esatta forma letterale).

Occorre, dunque, verificare se il nome Andrea, in Italia, sia tradizionalmente associato ad un soggetto di sesso maschile.

5. IL NOME «ANDREA» NELLA TRADIZIONE ITALIANA

Secondo la circolare del Ministero dell’Interno, del 2007, Andrea è, nella tradizione italiana, un nome maschile. Alla luce dei rilievi che precedono, l’affermazione è corretta. Per tradizione si intende un contenuto culturale trasmesso dalle generazioni ma, anche, una consuetudine che trasmette un preciso patrimonio culturale, nel tempo.

I dati ISTAT del 2004 segnalavano che Andrea era il terzo nome maschile più diffuso in Italia. I dati ISTAT del 2006, depositati l’1 luglio 2008, segnalano che Andrea è, ancora, il terzo nome maschile d’Italia. Ciò vuol dire che la consuetudine di associare Andrea al sesso maschile perdura nel tempo e si trasmette da generazione in generazione. Tradizione rimasta insensibile alle influenze del multiculturalismo, se non in minima parte che non legittima, allo stato, il discostarsi dalle indicazioni ministeriali.

Né può dirsi che si tratti di tradizione che discrimina il genitore italiano in quanto cittadino europeo: è sufficiente richiamare le argomentazioni già svolte per far rilevare che in ogni Stato preso in considerazione, vi è sempre una espressa distinzione tra sostantivo maschile e sostantivo femminile.

E’ vero, peraltro, che la tradizione di una collettività è in continua evoluzione e nulla esclude che un nome, nato con valenza maschile, possa acquisire, nel tempo, anche valenza femminile. Ma trattasi di dato che deve emergere e che non può essere solo ipotizzato o dichiarato.

Ed, allora, conclusivamente:

- nella tradizione italiana (ricavabile dai dati Istat dal 2004 ad oggi), il nome Andrea ha valenza maschile, essendo, infatti, il terzo nome di uomo più diffuso in Italia;

- in Francia, Paese di nascita della minore, il nome Andrea, nella forma letterale italiana, non è diffuso, essendo, trai nomi più attribuiti, “Andrè”, al maschile, ed “Andrée” al femminile;

- in mancanza di una tradizione italiana in cui Andrea abbia valenza maschile ed in mancanza di una corrispondente tradizione francese in cui Andrea sia in uso con valenza femminile, il nome “Andrea” , attribuito ad una cittadina italiana, va, rettificato.

6. LA RETTIFICA DEL NOME

Per salvaguardare, al massimo, la volontà dei genitori ed, altresì, l’identità della minore, ormai “Andrea” dal 2004, si reputa opportuno conservare il nome attribuito, anteponendogli, però, un elemento onomastico femminile secondo le istruzioni del Ministero degli interni.

Gli artt. 35, 95 d.P.R. 396/2000 nulla dicono, però, quanto al “metodo” di rettifica, nell’ipotesi di specie. E’ vero, in realtà, come vi siano specifiche prassi al riguardo, ricollegate, per lo più, anche alla natura di questo giudizio camerale, in cui trovano applicazione gli artt. 737 c.p.c. e segg. Altri giudici, pertanto, hanno, in genere, provveduto d’ufficio alla scelta del nome da anteporre al minore.

Questo Tribunale reputa che la scelta vada disattesa.

L’art. 96, comma III, del d.P.R. 396/2000, in punto di rettifica del nome, prevede che si applichino, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Ma, per l’appunto: “in quanto compatibili”.

Orbene, in materia di procedimenti che incidono sullo “status” dei fanciulli e, più in particolare, sui loro diritti fondamentali, nessuna decisione può essere assunta senza il coinvolgimento del minore, in via diretta o per il tramite dei suoi genitori.

Indicazioni precise provengono dalla legge 27 maggio 1991, n. 176 contenente “ratifica ed esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989”. All’art. 8 è previsto, infatti, che: “gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, così come sono riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali”.

Non è possibile, allora, che sia una Autorità giudiziaria a scegliere, nella fase di rettifica, il nome del minore.

Più nello specifico, l’art. 12 della Convenzione statuisce che “Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale”.

Ed, allora: compatibilmente con le regole di procedura (737 ss c.p.c.) occorre fare in modo che i rappresentanti del minore (di soli 4 anni) possano esprimere la loro opinione. Lo confermano anche le disposizioni previste dalla Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo, firmata a Strasburgo nel 1996 (ratifica in Italia con la legge 20 marzo 2003 n. 77) ove è previsto che nei processi decisionali che lo riguardano, il minore deve poter essere messo nelle condizioni di esprimere il proprio convincimento.

Non va, però, trascurato l’art. 7 della suddetta Convenzione: “nelle procedure che concernono un fanciullo, l’autorità giudiziaria deve procedere con prontezza evitando ogni inutile ritardo e deve potersi avvalere di procedure che assicurino una rapida esecuzione delle sue decisioni”.

Alla luce delle considerazioni che precedono, questo Tribunale reputa che debba essere adottata una decisione che salvaguardi il superiore interesse del minore. Si deve, allora, disporre la rettifica degli atti dello stato civile impugnati dall’Ufficio di Procura, indicando, in via provvisoria, il nome che costituirà l’onomastico femminile da anteporre. La modifica diventerà definitiva trascorso il termine di trenta giorni dalla notifica, ai genitori, da parte dell’Ufficiale dello Stato civile, dell’odierno decreto. Entro trenta giorni dalla notifica, i genitori, con ogni mezzo, hanno facoltà di indicare all’ufficiale dello Stato civile, un diverso nome femminile per l’anteposizione. Trascorso il termine, l’ufficiale provvederà alla modifica, in via definitiva, senza alcun indugio.

Evitando indebite ingerenze attribuite alla mera discrezionalità del giudice, quanto all’onomastico femminile da anteporre in via provvisoria, pare opportuno fare riferimento ad un dato oggettivo: il nome femminile più diffuso in Italia secondo i dati vigenti dell’Istat. In tal modo, la suesposta interpretazione, in combinato disposto con la circolare del Ministero degli Interni, riduce sensibilmente la discrezionalità dell’ufficio giudiziario fornendo, al contempo, significativi elementi di certezza.

Il terzo nome di donna più diffuso in Italia è Giulia.

La piccola Andrea Z va, perciò, in via di rettifica, registrata come Giulia Andrea Z. I genitori, entro il termine di trenta giorni dalla notifica del decreto, hanno facoltà di indicare un nome diverso.

Si deve provvedere con il presente decreto. L’art. 454 c.c., che richiedeva la pronuncia con sentenza, è stato abrogato dall’art. 110, comma III, del d.P.R. 396/2000.

Nulla per le spese.

P.Q.M.

visti gli artt. 34, 35, 95, 100 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396

DISPONE la rettificazione dell’atto di nascita di cui ai registri degli atti di nascita del Comune di Z, n. ……, relativo a “Andrea Z”, figlia di YY (padre), iscritto all’Anagrafe degli Italiani residenti all’Estero (AIRE) del medesimo Comune e di ZZ (madre): il nome Andrea Z va rettificato in GIULIA ANDREA Z.

ORDINA all’ufficiale dello Stato civile del Comune di A di notificare copia del presente decreto ai genitori della minore Andrea Z, invitandoli a scegliere un onomastico femminile da anteporre al nome “Andrea” entro e non oltre trenta giorni dalla notifica.

ORDINA all’ufficiale dello Stato civile del Comune di A, decorso il termine di cui sopra, di provvedere immediatamente alla rettificazione disposta, nei sensi indicati dai genitori della minore o, in mancanza, secondo le disposizioni di questo Tribunale.

MANDA alla cancelleria perché si trasmetta, ai sensi dell’art. 101 d.P.R. 396/00, per l’esecuzione, all’ufficiale dello stato civile competente, copia dell’odierno decreto.

SI COMUNICHI all’Ufficio di Procura

Catanzaro 14 aprile 2009

IL PRESIDENTE

DOTT. ALBERTO FILARDO

L’estensore

Dott.ssa Giovanna Gioia

Il Tribunale di Catanzaro

riunito in Camera di Consiglio e composto dai sig.ri giudici:

dott. Alberto Nicola Filardo Presidente

dott.ssa Anna Maria Raschellà giudice

dott.ssa Giovanna Gioia giudice rel.

ha pronunciato il seguente

D E C R E T O

nel procedimento camerale iscritto al n. 399 dell’anno 2008 R.G.V.G.,

su richiesta di

UFFICIO DI PROCURA, in persona del Procuratore della Repubblica di Catanzaro,

avente ad oggetto

requisitoria per la rettifica di atto di stato civile

1.LA FATTISPECIE SOTTOPOSTA A GIUDIZIO

Il 00.00.2004, nasce, in Francia, a C da genitori italiani, un neonato di sesso femminile. I genitori decidono di chiamare la bambina “Andrea” (cognome: Z), nome che, in francese, ha valenza femminile.

Il Comune di A segnala di avere trascritto, su istanza del Consolato d’Italia di C (Francia), la nascita di X Andrea (registri degli atti di nascita ……), figlia di YY (padre), iscritto all’Anagrafe degli Italiani residenti all’Estero (AIRE) del medesimo Comune e di ZZ (madre).

Il Comune evidenzia che Andrea Z è di sesso femminile, essendo quel nome, in Francia, attribuito alle donne. In Italia, la trascrizione è avvenuta con indicazione di sesso femminile, essendo, tuttavia, il suddetto nome di valenza maschile (si cita, in tal senso, la Circ. Min. dell’interno, Dipartimento AA. II. TT. – Direzione Centrale per i Servizi demografici, Area III, Stato Civile n. 27 dell’1 giugno 2007).

Sulla base della segnalazione del Comune, la Procura propone istanza di rettificazione ai sensi dell’art. 100 d.P.R. 3 novembre 2000 n. 396. Il Procuratore chiede la rettificazione dell’iscrizione perché il certificato “è errato là dove dice: Z Andrea nata C il ….. di sesso femminile”.

Chiede, sostanzialmente, la modifica del nome attribuito.

Sussiste la competenza del giudice adito e sussiste la legittimazione attiva dell’Ufficio di Procura: il procuratore della Repubblica può in ogni tempo promuovere il procedimento di rettificazione (art. 95 d.P.R. 3.11.2000 n. 396).

Ciò premesso va l’istanza va qualificata come rettificazione.

Gli artt. 95 e ss. del d.P.R. 396/2000 prevedono due distinti procedimenti modificativi degli atti dello Stato civile: la rettifica nei casi in cui l’ atto non sia conforme alla realtà naturale e giuridica in modo tale che ne sia alterato lo stato della persona; la correzione, invece, quando si tratta di rimediare ad un mero errore materiale dell’ atto, tale da non incidere sullo stato della persona. Nel caso di specie, la modifica richiesta incide sul “sesso” e sul “nome”, segno ricognitivo della identità della persona fisica. Si richiede, perciò, rettificazione (cfr. anche Circolare del Ministero della Giustizia del 16 marzo 2001, n. 1827).

Risulta ad acta che Andrea Z è una bimba, nata il 00.00.2004 (v. certificato francese: “sexe: Fèminin = sesso: femminile”), da genitori residenti all’estero (comunque nell’Unione Europea).

2.LA DISCIPLINA DEL NOME NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

Ai sensi dell’art. 35 d.P.R. 396/2000, “il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso”. L’art. 34, comma I, del medesimo decreto, vieta l’assegnazione di “nomi ridicoli o vergognosi”. Dal combinato disposto delle suaccennate disposizioni, emerge chiaramente il divieto di attribuire ad un bambino di sesso maschile un nome da donna o ad una bambina di sesso femminile un nome da uomo. Ciò si tradurrebbe, infatti, nella violazione di entrambe le norme, posto che, in tali casi, l’identità della persona verrebbe esposta alla derisione altrui.

Verrebbe, comunque, in via diretta frustrato l’interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici e della identificazione delle persone, interesse che il Legislatore ha deciso di far prevalere sulla libera scelta del nome da parte dei genitori. Si tratta di un balancing costituzionale del tutto ragionevole che, soprattutto, non comprime il diritto del genitore ma lo condiziona. Tant’è, infatti, che è ben possibile adottare un nome di valenza equivoca (quanto al sesso) ove, però, sia preceduto da un nome, primario, che risponda al sesso del minore (tipico è il caso del nome Maria usato anche per gli uomini ma solo con anteposizione di un elemento onomastico maschile: es. Giovanni Maria, Francesco Maria, etc..).

Il veto legislativo non può essere superato neanche facendo ricorso ai nomi stranieri: ed, infatti, la valenza del nome viene valutata con riferimento alla tradizione italiana e nel suo rispetto. Ciò vuol dire che ad un minore italiano non può essere attribuito un nome straniero che, in Italia, non ne identifichi la sessualità in modo corretto.

Per verificare, dunque, se le disposizioni normative italiane siano (o non) state rispettate, occorre guardare alla tradizione italiana, non intesa quale consuetudine statica e cristallizzata nel tempo ma quale insieme di valori e costumi in continua evoluzione. Occorre, altresì, guardare, però, anche al diritto sovranazionale che, per come si dirà, non recede (sempre) dinnanzi alla traditio interna di uno Stato.

Nel caso di specie, dunque, occorre verificare, in primo luogo, se, nella tradizione italiana rebus sic stantibus, il nome ANDREA abbia o non esclusiva valenza maschile.

Si tratta, invero, di questione che ha dato adito ad un vivace dibattito, ove è intervenuto, di recente, il Ministero dell’interno.

La recente circolare del Min. dell’interno dell’1 giugno 2007 avverte che il nome Andrea, in Italia, ha valenza maschile essendo “Andreina” la versione femminile. Il testo della circolare, dunque, continua affermando che “anche nel caso in cui i genitori richiedano la registrazione del figlio/a con un nome che, nella tradizione italiana, non corrisponde al sesso del minore, l’ufficiale dello stato civile (…) dovrà procedere alla registrazione ma dovrà avvertire i genitori che, a seguito della segnalazione del caso al Procuratore della Repubblica, come previsto dalla legge, è possibile che si instauri un giudizio di rettificazione che potrebbe portare, anche con tempi lunghi, alla modifica del nome prescelto”. La circolare ribadisce come nulla osti a che un nome tradizionalmente maschile, es. Andrea, possa essere imposto ad una bambina purché dopo un elemento onomastico chiaramente femminile (es. Francesca Andrea).

Le limitazioni non si applicano nel caso in cui il bambino acquisti la nazionalità del Paese di provenienza. In tal caso, infatti, in attuazione della normativa in materia di diritto internazionale privato (v. Legge n. 218/1995) si applicherà la Legge del Paese di nascita, posto che esplicitamente l’art. 24 l. cit. dispone che i diritti della personalità, tra i quali rientra il diritto al nome, sono regolati dalla legge nazionale del soggetto. La piccola Andrea Z non ha acquistato, tuttavia, la nationalité francese. La cittadinanza (nationalité) francese è disciplinata dal Codice civile, artt. 17 a 33-2; dalla legge n. 93-933 del 22 luglio 1993 e dai suoi decreti applicativi, n. 93-1362 del 30 dicembre 1993 e n. 98-720 del 20 agosto 1998; infine dalla legge 98-170 del 16 marzo 1998. Essendo Andrea nata da genitori italiani, acquisterà la cittadinanza francese solo risiedendo in Francia o avendo ivi risieduto senza interruzione fino ai diciotto anni.

La piccola Andrea è, dunque, cittadina Italia, anche se residente all’estero (ed, infatti, il padre è iscritto nel registri dell’AIRE).

3. L’ATTRIBUZIONE DEL NOME «ANDREA» AL FEMMINILE

Si pone, dunque, la questione relativa alla rettificazione del nome Andrea.

Si tratta di questione tuttora controversa in giurisprudenza, che non può dirsi risolta dalla circolare del Ministero, ove le direttive ermeneutiche da questi fornite non si rivelino condivisibili. Ed, infatti, il Ministero muove da un presupposto che è dato per acquisito: che il nome Andrea, nella tradizione italiana, abbia esclusiva valenza maschile. Presupposto che questo Tribunale è chiamato a verificare.

Ed, infatti, si registrano due orientamenti di giurisprudenza in netta contrapposizione.

Secondo una prima lettura interpretativa degli artt. 34 e 35 d.P.R. 396/2000, i genitori avrebbero facoltà di attribuire il nome Andrea ad un neonato di sesso femminile. Innanzitutto, si evidenzia che l’art. 34, comma II, d.P.R. cit. espressamente autorizza i genitori a scegliere nomi stranieri, come, per l’appunto, Andrea. In secondo luogo si segnala non essere più vero che in Italia, il nome Andrea è di esclusiva valenza maschile avendo questo acquisito anche connotazione femminile.

L’orientamento avverso disattende le motivazioni in esame. Quanto al diritto ad assegnare nomi stranieri, si precisa che ciò vale in quanto non si tratti di nomi che hanno già valenza nell’ordinamento interno (come Andrea); quanto alla diffusione della versione “femminile” di Andrea, si avverte che il dato non trova alcun riscontro e, comunque, non muta l’esigenza di salvaguardare esigenze di certezza nei rapporti giuridici. Si osserva, peraltro, che il nome Andrea ad una bimba, esporrebbe la medesima a derisione proprio come i nomi risibili.

Vi è, poi, in realtà, un indirizzo intermedio. Nel solco di siffatto orientamento si afferma: “ancorché per la tradizione italiana il nome " Andrea " sia riferito al sesso maschile, vi sono non pochi differenti ambiti territoriali in cui tale nome è riferito al sesso femminile: ciò ha comportato che anche nella nostra attuale società, sempre più multietnica, sia nome conosciuto anche come qualificante persona femminile. Con la conseguenza che là dove quel nome sia integrato con altro certamente corrispondente al sesso femminile (nella specie Alessia) sì che non possano esservi equivoci sulla identificazione della persona come soggetto di sesso femminile, è da escludersi la cancellazione del nome " Andrea " (cfr. Tribunale Milano, 20 febbraio 2003).

Secondo questa giurisprudenza, dunque, il nome Andrea sarebbe legittimo ma se preceduto da nome femminile italiano. Trattasi, invero, dell’indirizzo sposato dalla circolare del Min. dell’interno che conclude in tal modo.

Il nome Andrea deriva dal greco «ἀνήρ» che indica l’uomo con riferimento alla sua mascolinità; ed, infatti, lo si considera anche un derivato di «ἀνδρεία», termine che rievoca la virilità. In Italia, Andrea è, infatti, un nome proprio di persona maschile (così come in Albania).

In altre lingue, tuttavia, il nome è usato prevalentemente o esclusivamente al femminile: Ceco, Slovacco, Sloveno: maschile Andrej, femminile Andrea; Inglese: maschile Andrew (o Andreas), femminile Andrea; Spagnolo: maschile Andrés, femminile Andrea; Tedesco, Olandese, Danese: maschile Andreas, femminile: Andrea; Ungherese: maschile András, femminile Andrea. Andrea è nome femminile anche in America. Quanto alla Francia, che qui rileva: maschile André, femminile Andrée.

Quanto all’uso del nome Andrea in Italia, si può fare riferimento alla relazione dell’ISTAT, depositata l’1 luglio 2008, recante dati statistici in ordine a “natalità e fecondità della popolazione residente – Anno 2006”.

E’ significativo rilevare che “Andrea” è il terzo nome in Italia, per diffusione sul territorio trai nati residenti: in tutto 8.805 bambini nel 2006 pari al 3,1% dei nati residenti ed al 9.9% dei nati residenti cumulati. In questi casi – bene precisare – il nome è usato al maschile.

Non va, però, sottaciuto un altro dato: quello della presenza degli stranieri sul territorio italiano (intesi, non in senso tecnico, ma come non-italiani). L’Istat rileva che, negli ultimi 7 anni, l’incidenza dei nati stranieri sul totale dei nati residenti in Italia è quasi triplicata passando dal 4,0% del 1999 al 10,3% del 2006. Segnala, anche, l’aumento dei matrimoni misti: in media si ha il 21% circa di nati da almeno un genitore straniero al Nord e quasi il 17% al Centro, mentre nel Mezzogiorno si supera il 4%. Ciò vuol dire che vi è stato un notevole incremento di commistioni, in Italia, tra culture, tradizioni ed etnie. Si tratta, in realtà, di dati che lasciano emergere il volto una società divenuta multiculturale, partecipe, peraltro, di un organismo di diritto internazionale a base regionale come l’Unione Europea.

Quanto su segnalato rileva perché, in una società multiculturale, se è vero che il nome Andrea in Italia è usato quasi esclusivamente al maschile è anche vero che, sul medesimo territorio, per la presenza degli stranieri (sempre in senso lato), è possibile che il medesimo nome sia speso con valenza femminile.

Ed, allora, il dato statistico va collocato nel contesto sociale attuale.

Quanto in particolare, all’italiano residente all’estero, si verrebbe, peraltro, a creare un fenomeno di discriminazione inversa laddove lo Stato di residenza abbia in uso il nome Andrea al femminile: i residenti potrebbero dare alle proprie figlie il nome Andrea; gli italiano no.

L’argomento non è, però, indicativo ed, anzi, fuorviante.

Ed, infatti, laddove il nome Andrea è usato al femminile, non può, per converso, essere attribuito al maschile. Altrimenti detto: la possibilità di “usare” Andrea al femminile non è “un di più”, ma un qualcosa di diverso. Si è visto, infatti, che i Paesi che “usano” Andrea al femminile non lo usano al maschile. In Spagna, ad esempio, è vero che Andrea può essere attribuito alle donne, ma perché agli uomini viene assegnato il diverso “Andrés”. Non vi è, dunque, un diritto di latitudine diversa ma, semplicemente, un diritto sottoposto a regimi giuridici diversi che richiamano tradizioni popolari diverse. Quanto basta ad escludere che vi sia un pregiudizio per i cittadini italiani in quanto cittadini europei.

Ed, invero, la differenziazione del nome (maschile e femminile) si ricollega alla sua stessa essenza: il nome identifica il soggetto nei suoi tratti essenziali e lo fa riconoscere nel contesto di appartenenza. Quindi ne identifica, anche, il sesso. Il nome è, allora, un diritto per il minore che lo porta e non anche per i genitori che lo attribuiscono. Occorre, cioè, distinguere. Il diritto al nome è una situazione giuridica soggettiva incomprimibile e protetta dal diritto internazionale e comunitario quanto al soggetto che lo porta. Questo stesso soggetto, al momento della nascita, non è in grado di sceglierlo. Ed, allora, sono i suoi rappresentanti, secondo la Legislazione dello Stato membro, ad indicarlo. Questi, dunque, sono preposti a scegliere il nome del minore ma non tanto nel senso di vantare un diritto soggettivo quanto nel senso di avere il “potere-dovere”di farlo nell’orbita di un ufficio di diritto privato che è un munus.

Dovere sottoposto al controllo dello Stato. Non perché si tratti di ridimensionare il diritto al nome ma perché, essendo un diritto altrui, chi lo esercita deve farlo, per l’appunto, in modo funzionale al miglior soddisfacimento dell’interesse d’altri. Si vuol dire che non è consentito ai genitori di violare il contenuto “minimo” del diritto al nome che, per l’appunto, passa necessariamente per tre principi fondamentali: a) il nome non deve esporre il minore al ridicolo o alla vergogna; b) il nome deve rispecchiare il sesso del minore; c) il nome deve perseguire il fine di realizzare il diritto alla identità personale del minore.

Che il nome sia un diritto del minore (e non dei genitori) si ricava, espressamente, dall’art. 7, comma I, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 ove è statuito che “il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome”.

In definitiva, i genitori non hanno un diritto potestativo ad assegnare il nome che vogliono ma un potestà che li porta ad attribuire il nome che realizza la persona del minore. Ed, infatti, il comma II dell’art. 7 della Convenzione suaccennata, espressamente prevede che: “gli Stati parti vigilano affinché questi diritti siano attuati in conformità con la loro legislazione nazionale”.

Gli argomenti che precedono, inducono a dover ritenere che ogni Stato Membro della UE può regolare il diritto al nome dei minori suoi cittadini tenendo conto della tradizione interna, per determinare quando un nome abbia valenza maschile e quando femminile. E, sulla base di tale dato, se del caso, intervenire a rettificare la scelta dei genitori che possa arrecare pregiudizio all’interesse del minore stesso.

Occorre, allora, guardare alla discplina del nome “Andrea”

4. IL NOME «ANDREA» IN FRANCIA ED IN ITALIA

Come si è visto, il nome“Andrea” è il terzo nome maschile in Italia, ove una precisa influenza ha anche la religione cristiana, nel cui calendario il nome Andrea, portato dai Santi, è sempre maschile. Non esiste, infatti, una Santa “Andrea”.

Ma ciò che ha particolare incidenza, ai fini della decisione, è che, in Francia, “Andrea” non è tradizionalmente un nome di donna. Va segnalato, infatti, che, nello Stato suddetto (Francia), il nome Andrea non è in uso corrente nella versione in parola: ed, infatti, la versione francese è “André” al maschile ed “Andrée al femminile”. Il nome attribuito alla figlia del sig. Z non è, pertanto, “straniero” nei sensi di cui all’art. 34 comma II del d.P.R. 396/2000, ma italiano. Ciò si traduce, anche, nella non attualità ed influenza dell’argomento facente capo alla cd. discriminazione inversa, cui si è accennato. Si deve rilevare, inoltre, che in Francia, il nome “Andrè”, al maschile, è uno dei nomi più diffusi sul territorio con valenza maschile (trai primi dieci in utilizzo per i bambini). Al femminile, invece, compare, trai più diffusi, la versione “Andrée” ma non anche “Andrea”.

Ciò vuol dire che il Paese di provenienza non è di aiuto per la soluzione del quesito (diverse conclusioni potevano essere rassegnate se il Paese fosse stato, ad es., l’Olanda o la Spagna, dove “Andrea” è nome femminile in questa esatta forma letterale).

Occorre, dunque, verificare se il nome Andrea, in Italia, sia tradizionalmente associato ad un soggetto di sesso maschile.

5. IL NOME «ANDREA» NELLA TRADIZIONE ITALIANA

Secondo la circolare del Ministero dell’Interno, del 2007, Andrea è, nella tradizione italiana, un nome maschile. Alla luce dei rilievi che precedono, l’affermazione è corretta. Per tradizione si intende un contenuto culturale trasmesso dalle generazioni ma, anche, una consuetudine che trasmette un preciso patrimonio culturale, nel tempo.

I dati ISTAT del 2004 segnalavano che Andrea era il terzo nome maschile più diffuso in Italia. I dati ISTAT del 2006, depositati l’1 luglio 2008, segnalano che Andrea è, ancora, il terzo nome maschile d’Italia. Ciò vuol dire che la consuetudine di associare Andrea al sesso maschile perdura nel tempo e si trasmette da generazione in generazione. Tradizione rimasta insensibile alle influenze del multiculturalismo, se non in minima parte che non legittima, allo stato, il discostarsi dalle indicazioni ministeriali.

Né può dirsi che si tratti di tradizione che discrimina il genitore italiano in quanto cittadino europeo: è sufficiente richiamare le argomentazioni già svolte per far rilevare che in ogni Stato preso in considerazione, vi è sempre una espressa distinzione tra sostantivo maschile e sostantivo femminile.

E’ vero, peraltro, che la tradizione di una collettività è in continua evoluzione e nulla esclude che un nome, nato con valenza maschile, possa acquisire, nel tempo, anche valenza femminile. Ma trattasi di dato che deve emergere e che non può essere solo ipotizzato o dichiarato.

Ed, allora, conclusivamente:

- nella tradizione italiana (ricavabile dai dati Istat dal 2004 ad oggi), il nome Andrea ha valenza maschile, essendo, infatti, il terzo nome di uomo più diffuso in Italia;

- in Francia, Paese di nascita della minore, il nome Andrea, nella forma letterale italiana, non è diffuso, essendo, trai nomi più attribuiti, “Andrè”, al maschile, ed “Andrée” al femminile;

- in mancanza di una tradizione italiana in cui Andrea abbia valenza maschile ed in mancanza di una corrispondente tradizione francese in cui Andrea sia in uso con valenza femminile, il nome “Andrea” , attribuito ad una cittadina italiana, va, rettificato.

6. LA RETTIFICA DEL NOME

Per salvaguardare, al massimo, la volontà dei genitori ed, altresì, l’identità della minore, ormai “Andrea” dal 2004, si reputa opportuno conservare il nome attribuito, anteponendogli, però, un elemento onomastico femminile secondo le istruzioni del Ministero degli interni.

Gli artt. 35, 95 d.P.R. 396/2000 nulla dicono, però, quanto al “metodo” di rettifica, nell’ipotesi di specie. E’ vero, in realtà, come vi siano specifiche prassi al riguardo, ricollegate, per lo più, anche alla natura di questo giudizio camerale, in cui trovano applicazione gli artt. 737 c.p.c. e segg. Altri giudici, pertanto, hanno, in genere, provveduto d’ufficio alla scelta del nome da anteporre al minore.

Questo Tribunale reputa che la scelta vada disattesa.

L’art. 96, comma III, del d.P.R. 396/2000, in punto di rettifica del nome, prevede che si applichino, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Ma, per l’appunto: “in quanto compatibili”.

Orbene, in materia di procedimenti che incidono sullo “status” dei fanciulli e, più in particolare, sui loro diritti fondamentali, nessuna decisione può essere assunta senza il coinvolgimento del minore, in via diretta o per il tramite dei suoi genitori.

Indicazioni precise provengono dalla legge 27 maggio 1991, n. 176 contenente “ratifica ed esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989”. All’art. 8 è previsto, infatti, che: “gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, così come sono riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali”.

Non è possibile, allora, che sia una Autorità giudiziaria a scegliere, nella fase di rettifica, il nome del minore.

Più nello specifico, l’art. 12 della Convenzione statuisce che “Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale”.

Ed, allora: compatibilmente con le regole di procedura (737 ss c.p.c.) occorre fare in modo che i rappresentanti del minore (di soli 4 anni) possano esprimere la loro opinione. Lo confermano anche le disposizioni previste dalla Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo, firmata a Strasburgo nel 1996 (ratifica in Italia con la legge 20 marzo 2003 n. 77) ove è previsto che nei processi decisionali che lo riguardano, il minore deve poter essere messo nelle condizioni di esprimere il proprio convincimento.

Non va, però, trascurato l’art. 7 della suddetta Convenzione: “nelle procedure che concernono un fanciullo, l’autorità giudiziaria deve procedere con prontezza evitando ogni inutile ritardo e deve potersi avvalere di procedure che assicurino una rapida esecuzione delle sue decisioni”.

Alla luce delle considerazioni che precedono, questo Tribunale reputa che debba essere adottata una decisione che salvaguardi il superiore interesse del minore. Si deve, allora, disporre la rettifica degli atti dello stato civile impugnati dall’Ufficio di Procura, indicando, in via provvisoria, il nome che costituirà l’onomastico femminile da anteporre. La modifica diventerà definitiva trascorso il termine di trenta giorni dalla notifica, ai genitori, da parte dell’Ufficiale dello Stato civile, dell’odierno decreto. Entro trenta giorni dalla notifica, i genitori, con ogni mezzo, hanno facoltà di indicare all’ufficiale dello Stato civile, un diverso nome femminile per l’anteposizione. Trascorso il termine, l’ufficiale provvederà alla modifica, in via definitiva, senza alcun indugio.

Evitando indebite ingerenze attribuite alla mera discrezionalità del giudice, quanto all’onomastico femminile da anteporre in via provvisoria, pare opportuno fare riferimento ad un dato oggettivo: il nome femminile più diffuso in Italia secondo i dati vigenti dell’Istat. In tal modo, la suesposta interpretazione, in combinato disposto con la circolare del Ministero degli Interni, riduce sensibilmente la discrezionalità dell’ufficio giudiziario fornendo, al contempo, significativi elementi di certezza.

Il terzo nome di donna più diffuso in Italia è Giulia.

La piccola Andrea Z va, perciò, in via di rettifica, registrata come Giulia Andrea Z. I genitori, entro il termine di trenta giorni dalla notifica del decreto, hanno facoltà di indicare un nome diverso.

Si deve provvedere con il presente decreto. L’art. 454 c.c., che richiedeva la pronuncia con sentenza, è stato abrogato dall’art. 110, comma III, del d.P.R. 396/2000.

Nulla per le spese.

P.Q.M.

visti gli artt. 34, 35, 95, 100 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396

DISPONE la rettificazione dell’atto di nascita di cui ai registri degli atti di nascita del Comune di Z, n. ……, relativo a “Andrea Z”, figlia di YY (padre), iscritto all’Anagrafe degli Italiani residenti all’Estero (AIRE) del medesimo Comune e di ZZ (madre): il nome Andrea Z va rettificato in GIULIA ANDREA Z.

ORDINA all’ufficiale dello Stato civile del Comune di A di notificare copia del presente decreto ai genitori della minore Andrea Z, invitandoli a scegliere un onomastico femminile da anteporre al nome “Andrea” entro e non oltre trenta giorni dalla notifica.

ORDINA all’ufficiale dello Stato civile del Comune di A, decorso il termine di cui sopra, di provvedere immediatamente alla rettificazione disposta, nei sensi indicati dai genitori della minore o, in mancanza, secondo le disposizioni di questo Tribunale.

MANDA alla cancelleria perché si trasmetta, ai sensi dell’art. 101 d.P.R. 396/00, per l’esecuzione, all’ufficiale dello stato civile competente, copia dell’odierno decreto.

SI COMUNICHI all’Ufficio di Procura

Catanzaro 14 aprile 2009

IL PRESIDENTE

DOTT. ALBERTO FILARDO

L’estensore

Dott.ssa Giovanna Gioia