La Cassazione torna a pronunciarsi sulla casa familiare concessa dal genitore in comodato
1. Le massime
Quando un terzo abbia concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento - pronunciato nel giudizio di separazione o di divorzio - di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, atteso che l’ordinamento non stabilisce una funzionalizzazione assoluta del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o postconiugale, con il conseguente ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario.
Il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, idoneo ad escludere uno dei coniugi dalla utilizzazione in atto e a "concentrare" (questo è il verbo utilizzato dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 454 del 1989, poi ripreso dalla giurisprudenza di legittimità successiva) il godimento del bene in favore della persona dell’assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Di conseguenza, occorre distinguere due ipotesi: 1) quella in cui il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a tempo indeterminato, in cui il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c.; 2) l’ipotesi in cui sia stato espressamente ed univocamente stabilito un termine finale, allo spirare del quale il vincolo contrattuale verrà automaticamente estinto.
Ove sia concesso in comodato un bene immobile perché sia destinato a casa familiare, per effetto della concorde volontà delle parti, si è impresso al comodato un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari (e perciò non solo e non tanto alle esigenze personali del comodatario) idoneo a conferire all’uso - cui la cosa deve essere destinata - il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la eventuale crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà del comodante.
2. Il caso
Tizio concedeva al figlio Caio in comodato un immobile di sua proprietà. Ivi, Caio e sua moglie Sempronia stabilivano la casa familiare. I due coniugi, tempo dopo, si separavano e l’abitazione coniugale veniva assegnata a Sempronia, affidataria della prole minore. Tizio, allora, agiva per il rilascio dell’immobile allegando un urgente ed impreveduto bisogno.
Il Tribunale adito rigettava la domanda argomentando che si versasse in ipotesi di comodato a tempo indeterminato: poiché l’immobile era stato dato in comodato per essere destinato a casa coniugale, una simile destinazione doveva ritenersi perdurante sino a che fossero permase le esigenze della famiglia, con conseguente opponibilità del provvedimento di assegnazione al comodante, salva solo la sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, necessità comunque bisognosa di un corredo probatorio nella specie ritenuto mancante.
Tizio proponeva appello. Il giudice di seconde cure, con analoghe argomentazioni, rigettava l’appello. Avverso la sentenza del giudice di appello, Tizio proponeva ricorso per Cassazione.
3. La decisione
Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte, muovendosi nel solco già tracciato da analogo dictum reso a Sezioni Unite nel 2004, assegna peculiare rilievo al profilo funzionale del comodato, riaffermando l’incompatibilità tra la precarietà del comodato e la sua originaria destinazione al soddisfacimento dei bisogni familiari. Laddove il comodato sia stato convenuto per venire incontro alle esigenze abitative della famiglia, nel delicato contemperamento delle ragioni del proprietario comodante e del soddisfacimento di quelle del comodatario, è riproposta la soluzione che, pur non riconoscendo un diritto incondizionato di recesso al primo, comunque consente al proprietario di ottenere il rilascio dell’immobile subordinatamente al ricorrere di un urgente ed impreveduto bisogno, giusta la previsione recata dall’art. 1809, co. 2, c.c.
L’interesse del tema deciso è dimostrato dalla sua rilevanza sociale, vale a dire dalla frequenza con cui genitori e parenti concedono in comodato d’uso immobili di loro proprietà in favore di giovani coppie onde soddisfare le necessità abitative della neocostituita famiglia; un simile interesse è stato peraltro ravvivato, in tempi recenti, da un pronunciamento della terza sezione della Suprema Corte, reso con sentenza n. 15986 del 7 luglio 2010, il quale si era posto in contrasto rispetto all’orientamento consolidato del Giudice nomofilattico ed aveva riconosciuto in capo al comodante, in ipotesi di comodato senza prederminazione di durata, una facoltà di richiedere in qualunque tempo la restituzione del bene, senza assegnare alcun giuridico rilievo alla destinazione della casa ad abitazione familiare e senza opporre alle libere determinazioni del comodante in merito alla restituzione del bene alcuna limitazione di sorta. Del dibattito svoltosi è traccia anche nei contributi apparsi sulla presente testata.
Come noto, la disciplina dell’assegnazione della casa familiare nella separazione e nel divorzio non contempla tutte le situazioni giuridiche e tutti i titoli con cui il provvedimento di assegnazione della casa familiare può venire ad interferire. Ipotesi espressamente considerata dal legislatore è quella di cui all’art. 6 della legge n. 392 del 1978 (così detta Legge sull’equo canone), laddove si prevede che in caso di separazione giudiziale, di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso, nel contratto di locazione succede al conduttore l’altro coniuge, se il diritto di abitare nella casa familiare sia stato attribuito dal giudice a quest’ultimo (art. 6, co. 1) e che in caso di separazione consensuale o di nullità matrimoniale al conduttore succede l’altro coniuge se tra i due si sia così convenuto (art. 6, co. 2).
Come evidenziato in giurisprudenza, tuttavia, sussiste – tra le disposizioni richiamate e l’ipotesi di comodato – una identità delle ragioni di tutela che giustifica una applicazione analogica delle predette previsioni, atteso che del tutto analogo è l’interesse della prole a non abbandonare la casa familiare. L’adibizione dell’immobile a casa familiare giustifica l’estensione della portata applicativa delle norme menzionate ad ogni ipotesi in cui i coniugi si siano procurati l’uso dell’abitazione familiare in forza di un contratto di godimento.
Il profilo giuridico di maggiore interesse è proprio legato alla contrapposizione degli interessi coinvolti: da un lato, la tutela della comunità familiare e, specie con riferimento alla prole, la conservazione dell’ambiente domestico anche in ipotesi di crisi del rapporto coniugale e, dall’altro, le opposte istanze del titolare del bene, soggetto comunque estraneo al giudizio intercorso tra i coniugi ed interessato a recuperarne la disponibilità. Rileva, inoltre, il rapporto tra il titolo originario del godimento (il contratto di comodato) ed il successivo provvedimento con cui il giudice abbia disposto l’assegnazione in favore di uno dei coniugi.
Già le Sezioni Unite con la pronuncia del 2004 avevano sottolineato come il provvedimento di assegnazione non potesse in alcun modo consentire né una compressione dei diritti del proprietario, comunque soggetto estraneo al giudizio, né un ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario rispetto allo stesso proprietario.
Il provvedimento giudiziale costituisce, per il coniuge assegnatario, un nuovo ed autonomo titolo che non attribuisce un diritto reale di abitazione, bensì un diritto personale di godimento, connotato da elementi di atipicità e comunque modellato nel suo contenuto dalla disciplina del titolo negoziale preesistente. La normativa che regola il diritto del coniuge assegnatario è, perciò, quella dell’originaria convenzione, nella quale potrà rinvenirsi il complesso di diritti e doveri del coniuge rispetto al proprietario dell’immobile (si veda, sul punto, la sentenza S.U. 2002 n. 11096 e la giurisprudenza in essa riportata).
Come ha affermato la Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 454 del 1989, il giudice della separazione essenzialmente conserva la destinazione dell’immobile con il suo arredo nella funzione di residenza familiare, concentrandone la disponibilità nella sfera dei soggetti beneficiari, senza che ciò comporti alcuna modifica sulla natura del diritto preesistente, né – più specificamente - sui limiti che contrassegnavano detto diritto.
Peculiare rilevanza è attribuita al dato oggettivo della destinazione a casa familiare del bene dato in comodato. Una simile finalizzazione è diretta a consentire un godimento per definizione esteso a tutti i componenti della comunità familiare. Pertanto, il soggetto che formalmente assume la qualità di comodatario riceve il bene quale esponente della comunità familiare, non già e non soltanto come singolo.
Poiché, secondo l’iter argomentativo più sopra esposto, la disciplina diretta a regolare i rapporti tra comodante e comodatario rimane la medesima che avrebbe regolato detti rapporti ove non si fosse verificata la crisi coniugale, ne deriva che, così come l’originario comodatario avrebbe potuto validamente contrastare il recesso del comodante, per non essere ancora cessato l’uso al quale la cosa era stata destinata, allo stesso modo non potrà subirla il soggetto assegnatario. Salva la facoltà del comodante di chiedere la restituzione ove sopravvenga un bisogno segnato dai requisiti della urgenza e della non previsione.
4. I precedenti
I precedenti conformi richiamati in sentenza: Cass., Sezioni Unite, 21 luglio 2004, n. 13603; Cass., 13 febbraio 2006, n. 3072; Cass., 11 agosto 2010, n. 18619; Cass., 28 febbraio 2011, n. 49; Cass., 21 giugno 2011, n. 13592; Cass., 14 febbraio 2012, n. 2103.
Si vedano, altresì, sempre in senso conforme: Cass., 23 marzo 2005, n. 6278; Cass., 6 giugno 2006, n. 13260; Cass., 18 luglio 2008, n. 19939.
Precedenti difformi: Cass., 26 gennaio 1995, n. 929; Cass., 10 dicembre 1996, n. 10977; Cass., 20 ottobre 1997, n. 10258; Cass., 7 luglio 2010, n. 15986.
1. Le massime
Quando un terzo abbia concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento - pronunciato nel giudizio di separazione o di divorzio - di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, atteso che l’ordinamento non stabilisce una funzionalizzazione assoluta del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o postconiugale, con il conseguente ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario.
Il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, idoneo ad escludere uno dei coniugi dalla utilizzazione in atto e a "concentrare" (questo è il verbo utilizzato dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 454 del 1989, poi ripreso dalla giurisprudenza di legittimità successiva) il godimento del bene in favore della persona dell’assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Di conseguenza, occorre distinguere due ipotesi: 1) quella in cui il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a tempo indeterminato, in cui il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c.; 2) l’ipotesi in cui sia stato espressamente ed univocamente stabilito un termine finale, allo spirare del quale il vincolo contrattuale verrà automaticamente estinto.
Ove sia concesso in comodato un bene immobile perché sia destinato a casa familiare, per effetto della concorde volontà delle parti, si è impresso al comodato un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari (e perciò non solo e non tanto alle esigenze personali del comodatario) idoneo a conferire all’uso - cui la cosa deve essere destinata - il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la eventuale crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà del comodante.
2. Il caso
Tizio concedeva al figlio Caio in comodato un immobile di sua proprietà. Ivi, Caio e sua moglie Sempronia stabilivano la casa familiare. I due coniugi, tempo dopo, si separavano e l’abitazione coniugale veniva assegnata a Sempronia, affidataria della prole minore. Tizio, allora, agiva per il rilascio dell’immobile allegando un urgente ed impreveduto bisogno.
Il Tribunale adito rigettava la domanda argomentando che si versasse in ipotesi di comodato a tempo indeterminato: poiché l’immobile era stato dato in comodato per essere destinato a casa coniugale, una simile destinazione doveva ritenersi perdurante sino a che fossero permase le esigenze della famiglia, con conseguente opponibilità del provvedimento di assegnazione al comodante, salva solo la sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, necessità comunque bisognosa di un corredo probatorio nella specie ritenuto mancante.
Tizio proponeva appello. Il giudice di seconde cure, con analoghe argomentazioni, rigettava l’appello. Avverso la sentenza del giudice di appello, Tizio proponeva ricorso per Cassazione.
3. La decisione
Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte, muovendosi nel solco già tracciato da analogo dictum reso a Sezioni Unite nel 2004, assegna peculiare rilievo al profilo funzionale del comodato, riaffermando l’incompatibilità tra la precarietà del comodato e la sua originaria destinazione al soddisfacimento dei bisogni familiari. Laddove il comodato sia stato convenuto per venire incontro alle esigenze abitative della famiglia, nel delicato contemperamento delle ragioni del proprietario comodante e del soddisfacimento di quelle del comodatario, è riproposta la soluzione che, pur non riconoscendo un diritto incondizionato di recesso al primo, comunque consente al proprietario di ottenere il rilascio dell’immobile subordinatamente al ricorrere di un urgente ed impreveduto bisogno, giusta la previsione recata dall’art. 1809, co. 2, c.c.
L’interesse del tema deciso è dimostrato dalla sua rilevanza sociale, vale a dire dalla frequenza con cui genitori e parenti concedono in comodato d’uso immobili di loro proprietà in favore di giovani coppie onde soddisfare le necessità abitative della neocostituita famiglia; un simile interesse è stato peraltro ravvivato, in tempi recenti, da un pronunciamento della terza sezione della Suprema Corte, reso con sentenza n. 15986 del 7 luglio 2010, il quale si era posto in contrasto rispetto all’orientamento consolidato del Giudice nomofilattico ed aveva riconosciuto in capo al comodante, in ipotesi di comodato senza prederminazione di durata, una facoltà di richiedere in qualunque tempo la restituzione del bene, senza assegnare alcun giuridico rilievo alla destinazione della casa ad abitazione familiare e senza opporre alle libere determinazioni del comodante in merito alla restituzione del bene alcuna limitazione di sorta. Del dibattito svoltosi è traccia anche nei contributi apparsi sulla presente testata.
Come noto, la disciplina dell’assegnazione della casa familiare nella separazione e nel divorzio non contempla tutte le situazioni giuridiche e tutti i titoli con cui il provvedimento di assegnazione della casa familiare può venire ad interferire. Ipotesi espressamente considerata dal legislatore è quella di cui all’art. 6 della legge n. 392 del 1978 (così detta Legge sull’equo canone), laddove si prevede che in caso di separazione giudiziale, di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso, nel contratto di locazione succede al conduttore l’altro coniuge, se il diritto di abitare nella casa familiare sia stato attribuito dal giudice a quest’ultimo (art. 6, co. 1) e che in caso di separazione consensuale o di nullità matrimoniale al conduttore succede l’altro coniuge se tra i due si sia così convenuto (art. 6, co. 2).
Come evidenziato in giurisprudenza, tuttavia, sussiste – tra le disposizioni richiamate e l’ipotesi di comodato – una identità delle ragioni di tutela che giustifica una applicazione analogica delle predette previsioni, atteso che del tutto analogo è l’interesse della prole a non abbandonare la casa familiare. L’adibizione dell’immobile a casa familiare giustifica l’estensione della portata applicativa delle norme menzionate ad ogni ipotesi in cui i coniugi si siano procurati l’uso dell’abitazione familiare in forza di un contratto di godimento.
Il profilo giuridico di maggiore interesse è proprio legato alla contrapposizione degli interessi coinvolti: da un lato, la tutela della comunità familiare e, specie con riferimento alla prole, la conservazione dell’ambiente domestico anche in ipotesi di crisi del rapporto coniugale e, dall’altro, le opposte istanze del titolare del bene, soggetto comunque estraneo al giudizio intercorso tra i coniugi ed interessato a recuperarne la disponibilità. Rileva, inoltre, il rapporto tra il titolo originario del godimento (il contratto di comodato) ed il successivo provvedimento con cui il giudice abbia disposto l’assegnazione in favore di uno dei coniugi.
Già le Sezioni Unite con la pronuncia del 2004 avevano sottolineato come il provvedimento di assegnazione non potesse in alcun modo consentire né una compressione dei diritti del proprietario, comunque soggetto estraneo al giudizio, né un ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario rispetto allo stesso proprietario.
Il provvedimento giudiziale costituisce, per il coniuge assegnatario, un nuovo ed autonomo titolo che non attribuisce un diritto reale di abitazione, bensì un diritto personale di godimento, connotato da elementi di atipicità e comunque modellato nel suo contenuto dalla disciplina del titolo negoziale preesistente. La normativa che regola il diritto del coniuge assegnatario è, perciò, quella dell’originaria convenzione, nella quale potrà rinvenirsi il complesso di diritti e doveri del coniuge rispetto al proprietario dell’immobile (si veda, sul punto, la sentenza S.U. 2002 n. 11096 e la giurisprudenza in essa riportata).
Come ha affermato la Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 454 del 1989, il giudice della separazione essenzialmente conserva la destinazione dell’immobile con il suo arredo nella funzione di residenza familiare, concentrandone la disponibilità nella sfera dei soggetti beneficiari, senza che ciò comporti alcuna modifica sulla natura del diritto preesistente, né – più specificamente - sui limiti che contrassegnavano detto diritto.
Peculiare rilevanza è attribuita al dato oggettivo della destinazione a casa familiare del bene dato in comodato. Una simile finalizzazione è diretta a consentire un godimento per definizione esteso a tutti i componenti della comunità familiare. Pertanto, il soggetto che formalmente assume la qualità di comodatario riceve il bene quale esponente della comunità familiare, non già e non soltanto come singolo.
Poiché, secondo l’iter argomentativo più sopra esposto, la disciplina diretta a regolare i rapporti tra comodante e comodatario rimane la medesima che avrebbe regolato detti rapporti ove non si fosse verificata la crisi coniugale, ne deriva che, così come l’originario comodatario avrebbe potuto validamente contrastare il recesso del comodante, per non essere ancora cessato l’uso al quale la cosa era stata destinata, allo stesso modo non potrà subirla il soggetto assegnatario. Salva la facoltà del comodante di chiedere la restituzione ove sopravvenga un bisogno segnato dai requisiti della urgenza e della non previsione.
4. I precedenti
I precedenti conformi richiamati in sentenza: Cass., Sezioni Unite, 21 luglio 2004, n. 13603; Cass., 13 febbraio 2006, n. 3072; Cass., 11 agosto 2010, n. 18619; Cass., 28 febbraio 2011, n. 49; Cass., 21 giugno 2011, n. 13592; Cass., 14 febbraio 2012, n. 2103.
Si vedano, altresì, sempre in senso conforme: Cass., 23 marzo 2005, n. 6278; Cass., 6 giugno 2006, n. 13260; Cass., 18 luglio 2008, n. 19939.
Precedenti difformi: Cass., 26 gennaio 1995, n. 929; Cass., 10 dicembre 1996, n. 10977; Cass., 20 ottobre 1997, n. 10258; Cass., 7 luglio 2010, n. 15986.