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La prova nel processo penale per corruzione: il caso di Nicolas Sarkozy

Confronto tra ordinamento francese ed italiano
nicolas sarkozy
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Abstract

 

La recente condanna dell’ex Presidente francese Nicolas Sarkozy a tre anni complessivi per corruzione attiva e traffico di influenze illecite è la seconda nella storia della Repubblica Francese. Prima di lui solo Jacques Chirac era stato condannato dal Tribunale di Parigi per appropriazione indebita di fondi pubblici e abuso di potere per fatti risalenti a quando era Sindaco della Capitale.

Il caso, interessante dal punto di vista politico – ricordiamo che l’ex Presidente è ancora assai influente in patria al punto che molto spesso viene ricevuto all’Eliseo e mantiene regolari rapporti con il Primo Ministro francese – offre spunti giuridici interessanti sul tema della corruzione e, soprattutto, relativamente all’utilizzo delle intercettazioni nel processo giudiziale.

Come noto, non solo nella confinante Repubblica Presidenziale, ma anche in Italia, i rispettivi codici di rito conferiscono un riparo giuridico dalle attività di indagine dei Magistrati inquirenti alle conversazioni che intercorrono fra cliente ed il proprio difensore.

Tuttavia, simile tutela non si è applicata anche al caso ivi in esame, lasciando che le conversazioni fra Nicolas Sarkozy e il suo legale, Thierry Herzog, anch’egli condannato, fossero trascritte e utilizzate in dibattimento ai fini della condanna. Il perché di una siffatta decisione, pur attenendo alle ragioni della giurisprudenza francese, può offrire interessanti riflessioni di confronto con il nostro ordinamento.

 

1. Nicolas Sarkozy: Sul fatto giudico

Preliminarmente si rende utile ripercorrere, seppur sommariamente, il caso, così da inquadrare meglio la vicenda giuridica in un contesto storico.

Era il Luglio del 2014, allorquando Nicolas Sarkozy veniva messo in stato di accusa, “mise en examen”, per corruzione e traffico d’influenza, stato di accusa poi successivamente confermato anche dalla Corte di Appello di Parigi e contro cui l’ex Presidente, susseguentemente, proponeva anche ricorso in Cassazione.

Nodo centrale dello stato di accusa erano proprio le intercettazioni telefoniche fra l’ex Presidente e il suo avvocato, nelle quali emergeva la volontà dei due di ottenere informazioni riservate, relative ad un altro procedimento che vedeva coinvolto lo stesso Sarkozy, da un magistrato della Corte di Cassazione francese, offrendo a quest’ultimo una carica di prestigio a Monaco.

Tutta quanta l’indagine era iniziata nella primavera del 2013 e riguardava un’altra questione: i presunti finanziamenti ricevuto da Sarkozy dall’ex dittatore libico Muhammar Gheddafi, al fine di finanziare la propria campagna presidenziale.

Nell’ambito di quell’indagine, nel settembre del 2013, i telefoni di Nicolas e del suo legale erano stati sottoposti a sorveglianza telefonica e lì si scopriva che l’ex Premier dell’Eliseo possedeva un secondo cellulare, acquistato sotto un falso nome, tale Paul Bismuth.

Emergevano così nuove ed incriminanti informazioni che portavano allo stato di accusa di cui sopra e all’apertura del procedimento ivi discusso.

Come si anticipava, dunque, la difesa di Sarkozy si è concentrata sul dimostrare l’inutilizzabilità di quelle conversazioni, non trovando, tuttavia, accoglimento alle proprie doglianze nemmeno in Cassazione e dovendo quindi accettare il rinvio al Tribunale, laddove le conversazioni telefoniche sono state utilizzate quale prova centrale e laddove proprio pochi giorni fa interveniva sentenza di condanna a tre anni, di cui due “sospesi”, ossia non eseguiti.

 

2. Sulle intercettazioni

Le intercettazioni sono un indispensabile strumento in mano alla magistratura inquirente, in ordine alla necessità di risalire ad una verità processuale il più possibile aderente a quella storica. Tuttavia, la sua forza invasiva fa sì che simile strumento si accompagni a tutta una serie di tutele in ordine all’utilizzo, tanto nel sistema francese che italiano.

In particolare, per quanto concerne l’ordinamento francese, la difesa di Sarkozy chiedeva, dinanzi alla Cassazione, l’inutilizzabilità delle intercettazioni, in quanto il loro utilizzo risulterebbe confliggente con gli articoli 6, 8 e 13 CEDU, nonché con vari articoli del codice di procedura francese inerenti alla disciplina “des interceptions de correspondances émises par la voie des communications électroniques”.

Un primo argomento avanzato dalla difesa criticava il Giudice istruttore per non aver informato il Presidente dell’Ordine degli Avvocati dell’intervenuta attività di intercettazione. L’articolo 100-7 del Code de procédure pénale, infatti, rappresenta una prima tutela da infiltrazioni della Magistratura inquirente nel rapporto avvocato-cliente, disponendo che nessuna intercettazione può intervenire su una linea telefonica di uno Studio Legale, ovvero domicilio di un avvocato, senza che prima venga informato il rispettivo Presidente dell’Ordine. Tuttavia, l’articolo in esame si riferisce solo alla linea telefonica dell’utilizzatore, di colui che ne dispone, non anche del suo interlocutore. Sul punto la giurisprudenza francese si muove unanime e dal momento che la linea telefonica rispondente al nome di Paul Bismuth – nome falso – era stata attivata, e veniva utilizzata, dall’ex Presidente francese, non si può dire operante l’articolo 100-7. Sulla linea sottoposta ad intercettazioni, infatti, l’avvocato Herzog era un semplice interlocutore.

Un secondo argomento, lamentava sempre la violazione dei summenzionati articoli CEDU, nonché dell’articolo 100-5 del Code de procédure pénale. Quest’ultimo dispone che, a pena di nullità, la corrispondenza con un avvocato relativa all’esercizio dei diritti di difesa non può essere trascritta. La Camera Penale francese, in linea con la passata giurisprudenza, ha consentito le trascrizioni affermando che queste fossero estranee ad un qualsiasi esercizio dei diritti di difesa.

La disciplina codicistica e giurisprudenziale d’oltralpe non risulta troppo dissimile da quella italiana. Nel nostro ordinamento la tutela delle conversazioni telefoniche tra cliente e avvocato è affidata dal dettato dell’articolo 103 codice procedura penale.

Al comma 5 si dispone quanto segue: “Non è consentita l'intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni [266 codice procedura penale] dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite.”

Alla luce di quanto sin qui detto, i rispettivi ordinamenti accordano le medesime tutele, fatta eccezione per un aspetto. A differenza di quanto accade in Italia, ove è necessario informare l’Ordine Forense solo in ordine all’attività di ispezione e non anche di intercettazione, il Code de procédure pénale all’articolo 100-7 dispone che il Presidente dell’Ordine sia informato dal giudice istruttore qualora intenda procedere ad attività captativa di un’utenza riferibile allo studio di un avvocato, ovvero suo domicilio.

Le medesimezze si ravvisano invece nelle rispettive giurisprudenze, a parere delle quali, la tutela non è estesa ad ogni attività telefonica del difensore in quanto tale, in virtù della sua sola qualifica, ma è circoscritta alle conversazioni attinenti all’attività professionale, concernenti ossia le funzioni del suo incarico professionale di difesa (Cfr. Cour de cassation, criminelle 22 mars 2016, 15-83.205; Cass. pen. n. 55253/2016).

A ciò si aggiunga che le trascrizioni delle conversazioni tra Sarkozy e il suo legale si sono rese possibili non solo per i summenzionati motivi, ma anche perché queste integravano un fatto suscettibile di qualificazione penale di cui lo stesso legale era partecipe.

Dello stesso avviso anche la nostra Suprema Corte, la quale afferma che “L'articolo 103, comma 5, codice procedura penale, nel vietare le intercettazioni delle conversazioni o comunicazioni dei difensori, mirando a garantire l'esercizio del diritto di difesa, ha ad oggetto le sole conversazioni o comunicazioni relative agli affari nei quali i legali esercitano la loro attività difensiva, e non si estende, quindi, alle conversazioni che integrino esse stesse reato” (Cass. pen. n. 35656/2003). In quest’ultimo caso le intercettazioni si erano rese ammissibili in quanto il legale del soggetto indagato aveva preavvertito il suo cliente delle iniziative assunte dalle forze di polizia, fornendo consigli su come evitare la cattura e commettendo così il reato di favoreggiamento, oltrepassando l’area di tutela circoscritta dal 103 codice procedura penale, relativa all’esercizio delle attività difensive.

Le soluzioni delineate da entrambe le giurisprudenze appaiono di buon senso e dispongono un sapiente bilanciamento fra l’inviolabilità del diritto difensivo dell’indagato/imputato e l’attività inquirente. Accordare una più pregnante inviolabilità dei diritti difensivi in tema di intercettazioni renderebbe, infatti, del tutto immuni gli esercenti la professione dell’avvocato da qualsivoglia ingerenza investigativa, anche quando l’avvocato stesso si renda colpevole di fattispecie delittuose.

 

3. Sull’asserito fatto corruttivo

Il secondo punto di discussione offerto dalla vicenda in esame riguarda il reato di corruzione.

Consapevoli che ai fini della configurazione del reato sia sufficiente dimostrare l’esistenza di un “patto corruttivo”, proprio come accade nel nostro ordinamento, i legali del politico francese hanno tentato di negare l’esistenza di un accordo che, a parere del procuratore, emergerebbe chiaramente da tutta una serie di indizi precisi, seri e concordanti.

Come anche in Italia, infatti, perché il reato di corruzione possa dirsi consumato è sufficiente che venga in essere il c.d. “pactum sceleris” e non anche che simile accordo sfoci in un perfezionamento materiale, nel conseguimento degli obiettivi dell’accordo.

Quanto detto rende, pertanto, le conversazioni telefoniche incriminate, lo stretto legame fra le parti e il loro rapporto di amicizia, a parere del tribunale, sufficienti per ritenere esistente un accordo illecito, ma non solo. Anche qualora l’accordo non si fosse realizzato, il reato di corruzione attiva si sarebbe in ugual modo perfezionato congruamente a quanto disposto dall’articolo 433-1 del Code.  

Quest’ultimo dispone che “è punito […] il fatto da parte di chiunque di proporre senza diritto” offerte, regali, vantaggi, doni. L’utilizzo del verbo “proporre”, o meglio “proposer”, comporta che anche la semplice proposta, seppur non accolta dal terzo, integri già il reato di corruzione attiva, senza che si contempli il tentativo, ovvero l’istigazione, come accade nell’ordinamento italiano all’articolo 322 codice penale rubricato “istigazione alla corruzione”.

Se, dunque, lo schema del reato corruttivo ex articolo 318 codice penale e ss. prevede una struttura bilaterale a concorso necessario, quello ideato nel Paese d’oltralpe, non contemplando il tentativo in una fattispecie autonoma a sé stante, può realizzarsi anche senza il concorso dell’altra parte.

Quanto sin qui ora discorso riguarda la c.d. “corruzione attiva” contemplata dall’ordinamento francese. La distinzione fra le due fattispecie delittuose – corruzione attiva e passiva – attiene semplicemente alla qualifica rivestita dall’agente che partecipa alla formazione del patto corruttivo. Si suol dire che l’agente passivo è il corrotto, mentre quello attivo è il corruttore. Pertanto, nello schema del reato il corruttore può essere “qualsiasi soggetto”, mentre il corrotto, ossia colui che può macchiarsi del reato di corruzione passiva ex articolo 432-11 del Code Pénal, è necessariamente un soggetto che riveste una determinata qualifica tra le seguenti:

-          pubblico ufficiale (articolo 432-11 comma 1 ° Code Pénal): soggetto titolare di pubblici poteri, incaricato di un pubblico servizio o investito di un pubblico mandato elettivo;

-          Agente di giustizia (articolo 434-9, comma 1 Code Pénal): giudice, giuria, persona che ricopre un collegio giurisdizionale, un funzionario della cancelleria, esperto, persona con una missione conciliazione o mediazione o arbitro;

-          agente privato (articolo 445-2 Code Pénal): chiunque non sia soggetto alle categorie precedenti; nota: l’agente sportivo, nell'ambito delle scommesse sportive, è specificamente richiamato dall'articolo 445-2-1 del codice penale;

-          pubblico ufficiale straniero o internazionale (articolo 435-1 Code Pénal): qualsiasi pubblico ufficiale che opera per conto di uno Stato straniero o di un’organizzazione internazionale;

-          funzionario della giustizia internazionale (articolo 435-7 Code Pénal): funzionario della cancelleria, esperto, arbitro, incaricato di una missione di conciliazione o mediazione e qualsiasi responsabile di funzioni giudiziarie in uno Stato estero o con un tribunale internazionale.

Proprio come nell’ordinamento italiano la differenza attiene, pertanto, solamente alla qualifica attribuita al soggetto agente, non rilevando che l’iniziativa provenga da una parte piuttosto che dall’altra. Le differenze, volendo ravvisarne alcune, attengono semmai alla forma adottata dai rispettivi codici. Quello francese contempla due distinti articoli, autonomi, sia per i corrotti che i corruttori, mentre il Codice di Rito italiano effettua un semplice richiamo operato dall’articolo 321 codice penale, così da estendere quanto stabilito dagli articoli 318 codice penale e ss. anche al soggetto corruttore.

 

4. Sull’asserito traffico d’influenze

L’ex Presidente francese è stato condannato sia per corruzione (articolo 433-1) che per traffico d’influenze (433-2).

Al di là della rubrica simile, non vi è da confondere la fattispecie ex 433-2 francese con quella propria del nostro ordinamento, rubricata “traffico di influenze illecite” e disciplinata ex articolo 346-bis. Quest’ultima norma, di recente introduzione, nasce con l’intento di punire l’opera di intermediazione di soggetti terzi nell’ambito dei rapporti corruttivi. Prima della sua introduzione, infatti, essendo il rapporto corruttivo tassativamente individuato nel rapporto di sinallagmaticità fra corrotto e corruttore, non dava spazio ad interpretazioni estensive che consentissero di inserire nella sì individuata struttura criminosa un soggetto terzo, l’intermediario.

L’articolo 433-2 del Code, invece, intende punire la compravendita del funzionario pubblico, o meglio, l’influenza che quest’ultimo è in grado di esercitare.

Nel sistema francese, ciò che distingue la corruzione attiva dal traffico di influenze attivo, è l’oggetto materiale del reato. Nel primo si acquista il compimento di un atto proprio della funzione del pubblico ufficiale, ovvero la sua astensione dal compimento, nel secondo l’oggetto di scambio si concretizza in posti di lavoro, contratti o qualsiasi altra decisione favorevole.

La prima incriminazione, corruzione, rileva il Tribunale di Parigi, differisce dalla seconda, traffico di influenze, in quanto il vantaggio indebito ha come controparte non il compimento o il mancato compimento di un atto della funzione o di un atto facilitato dalla funzione, m l’abuso di un’influenza reale o presunta per ottenere una decisione favorevole da un’autorità pubblica.

I fatti addebitati a Sarkozy, secondo la Corte, non procedono inseparabilmente come un unico atto caratterizzato da un unico intento colposo. Se così fosse si sarebbe in presenza di una violazione del principio del ne bis in idem.

Secondo di Giudici, infatti, pur essendo la controprestazione offerta dal presidente la medesima – un posto di prestigio presso l’Istituto Giudiziario del Principato di Monaco – le finalità delle due fattispecie sono differenti. L’atto corruttivo aveva quale fine l’ottenimento di informazioni sui casi riguardanti Sarkozy, mentre il traffico di influenze aveva quale scopo lo sfruttamento dell’influenza reale o presunta esercitabile da Gilbert Azibert presso la Corte di Cassazione per l’ottenimento di una decisione favorevole.

 

5. Sulle considerazioni finali

Una volta pronunciata la sentenza, nessuno dei tre condannati ha voluto fare una dichiarazione. 

L'accusa aveva chiesto quattro anni di reclusione, due dei quali sospesi nei confronti dei tre uomini. Nella sua sentenza, il tribunale ha riclassificato per il signor Azibert i fatti di corruzione passiva da persona che detiene un potere di pubblica autorità in termini di corruzione passiva di magistrato, reato previsto e punito dagli articoli 434-9 e 434-44 del Code

Nei confronti di Herzog e Sarkozy, il Tribunale parigino ha riclassificato i fatti di corruzione attiva da privato a persona che detiene l’autorità pubblica in termini di corruzione attiva nei confronti di un magistrato.

La vicenda, ad ogni modo, non termina qui, avendo già annunciato Sarkozy e la sua squadra che procederanno a presentare ricorso. Così facendo, la pena attualmente rimane sospesa così come l’interdizione dai pubblici uffici. Seguiremo il caso e daremo seguito a quanto qui annotato.