x

x

La riforma del rito abbreviato: una riforma di civiltà

Violenza di genere
Violenza di genere

Filodiritto ospita, nella rubrica Mondovisione a cura di Angelo Lucarella, l’intervento di una delle maggiori esperte del panorama nazionale sul tema di violenza domestica e di genere.
 

La riforma del rito abbreviato: una riforma di civiltà

“Sono passati oltre tre anni da quando la riforma del rito abbreviato è diventata legge.

Pochi, tra coloro che quotidianamente combattono per le vittime di reato, potranno dimenticare quel giorno.

Dopo oltre due anni di battaglie parlamentari appoggiate da oltre 35.000 firme raccolte in tutta Italia e associazioni di vittime di reati violenti a sostegno della proposta di legge, tra cui l’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, il 2 aprile 2019 la Camera dei Deputati approvò il testo di legge, in base al quale chi viene rinviato a giudizio per reati punibili con l’ergastolo non può accedere al giudizio abbreviato. Introdotto nel 1988, esso fa parte della schiera dei cosiddetti “riti deflattivi”, ossia quei riti che, in cambio della rinuncia dell’imputato al processo ordinario e quindi come compenso per il risparmio concesso allo Stato in termini di costi e tempi per la sua celebrazione, concedono una riduzione di pena fino a un terzo.

L’abbreviato, peraltro, a differenza del cosiddetto “patteggiamento”, per il quale serve il consenso del Pubblico Ministero, se chiesto dall’imputato va concesso, e, fino all’entrata in vigore della riforma, si applicava a ogni genere di procedimento per il quale è prevista l’udienza preliminare o la citazione diretta a giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

Era il rito cui ricorrevano spesso gli imputati per delitti di sangue. Buona parte degli omicidi in àmbito domestico commessi prima della riforma, per esempio, erano giudicati accedendo a questo rito, richiesto quando le prove sono così schiaccianti che la garanzia dello sconto di pena diventa elemento dirimente nella decisione del rito da intraprendere.

Infatti, la percentuale di condanne supera abbondantemente il 70%, il che significa che raramente vi si accede quando si è certi di poter dimostrare la propria innocenza, bensì quando si decide di approfittare dello sconto “premiale” fino a un terzo, risolvendo tutto nell’udienza preliminare, evitando così le lungaggini di un processo ordinario.

Ebbene, la riforma in questione, entrata in vigore con la legge n. 33 del 20 aprile 2019, impedisce questo rito per i delitti puniti con la pena massima prevista dal nostro ordinamento (ossia l’ergastolo), come per esempio l’omicidio aggravato, per i quali si è ritenuto inconferente rispetto alla gravità del reato e a una giusta risposta da parte dello Stato, che chi compie un reato punito con la pena più grave, possa ottenere sconti di pena automatici per il solo fatto di scegliere un rito che comporta risparmio di tempo e costi all’amministrazione della giustizia. In questo caso, pertanto, dall’entrata in vigore di detta legge, non sarà più possibile fruire degli sconti di pena automatici connessi al rito (e neppure al rito), ma sarà necessario affrontare il processo ordinario, mentre va ricordato che coloro che sono imputati per delitti puniti con l’ergastolo commessi antecedentemente alla legge (ossia, prima del 20 aprile 2019), possono continuare ad accedere all’abbreviato, in virtù del principio della legge in vigore al momento della consumazione del fatto, calmierato dal principio del favor rei.

Peraltro, questo rito resta spesso utilizzato nei reati di violenza domestica e di genere, come i maltrattamenti in famiglia, gli atti persecutòri, la violenza sessuale, poiché, in presenza di elementi fortemente probanti ed essendo i tempi per raggiungere un’eventuale prescrizione (causa di estinzione del reato) assai lunghi, si preferisce optare per l’abbreviato e la garanzia di uno sconto di pena.

Come si concilia l’abbreviato con il principio sancito dal terzo comma dell’art. 27 della Costituzione, per il quale la pena deve tendere alla rieducazione del condannato? Di primo acchito, riesce difficile trovare una connessione, dal momento che uno sconto di pena automatico potrebbe infondere nel condannato il convincimento che il reato commesso non è, in realtà, connotato da quella caratteristica di disvalore giuridico e morale che giustifica la pena prevista dal codice penale. In realtà, la pena comunque da scontare, ancorché con misure alternative, dovrebbe essere connotata da caratteristiche che la rendono riabilitativa, in modo da garantire il pieno reinserimento sociale del condannato, una volta scontata la condanna. Purtroppo, i dati al riguardo sono piuttosto sconfortanti, se consideriamo che il 68% dei detenuti è recidivo, percentuale che scende al 19% tra coloro che vengono affidati a misure alternative.

Altra modifica al rito abbreviato è prevista dalla cosiddetta “riforma Cartabia”, una legge delega a firma del Ministro della Giustizia (n. 134/2021), che ha affidato al governo il compito di introdurre nuove forme di premialità all’interno della disciplina di questo tipo di giudizio, che comporterà un ulteriore sconto di pena di un sesto nel caso in cui l’imputato rinunci all’impugnazione della sentenza.

In sostanza, siamo di fronte a nuove evoluzioni di questo giudizio, molto delicato e complesso, che non può scollegarsi dalla necessità che la pena, comunque ridotta in forza del rito, debba essere connotata da quelle imprescindibili caratteristiche di riabilitazione e rieducazione, ancora più irrinunciabili se si considera che per molti delitti di violenza domestica, connotati da personalità prevaricanti e manipolatrici degli autori, si ricorre all’abbreviato per ottenere uno sconto di pena ed evitare che in un eventuale dibattimento si aggravi la posizione dell’imputato rispetto al contenuto delle denunce”.