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La smaterializzazione di un ramo d’azienda non comporta anche la cessazione di un rapporto di lavoro subordinato

Con il provvedimento in commento, ordinanza relativa al procedimento n. 640/2007 pronunciata dal giudice del lavoro del Tribunale ordinario di Vicenza, ex art. 700 c.p.c., si perviene alla conclusione secondo la quale la cessazione di un’attività aziendale ed il trasferimento della stessa ad altra società non costituisce, per un dipendente, anche cessazione del contratto di lavoro la cui validità ed efficacia necessita del consenso del contraente il quale, in merito, né lo aveva richiesto né lo aveva manifestato nemmeno per facta concludentia.

Il caso de quo, prende le mosse da un ricorso in via d’urgenza, sussistendo i requisiti del periculum in mora e del fumus boni iuris, ex art. 700 c.p.c., promosso da un lavoratore dipendente di una società per azioni (GELS S.p.a.) a cui era stata recapitata, in data 14 febbraio 2007, una lettera con cui veniva comunicata la cessazione dell’attività ed il contestuale trasferimento del rapporto di lavoro subordinato ad una società a responsabilità limitata (GEL S.r.l.). Il ricorrente, fin da subito, aveva manifestamente espresso la propria opposizione, negando il proprio consenso, pur, tuttavia, rimanendo a disposizione della S.p.a. sua unica datrice di lavoro. Successivamente, la nuova società (GEL S.r.l.) gli comunicava una contestazione disciplinare, comprendente anche la mancata presentazione al lavoro presso le sue sedi, e, nel maggio 2007, gli intimava il licenziamento.

Il giudice di merito, territorialmente competente, ha accertato, con la pronuncia in esame, non solo l’invalidità della cessione del contratto di lavoro ma ha anche ordinato alla S.p.a. convenuta di ripristinare il rapporto di lavoro medesimo in ragione di un fondamentale principium iuris, già rilevato dalla Suprema Corte di Cassazione con sent. 6 giugno 2007 n. 3270 ([1]), secondo cui la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 2112, 1° comma, c.c. ossia la continuazione del rapporto di lavoro con l’acquirente di un’azienda, presuppone quale condicio essenziale ed ineludibile oltre il necessario consenso del contraente ceduto, ed è la stessa lettera dell’articolo citato a confermarlo, un “trasferimento di azienda” che la giurisprudenza della Cassazione ravvisa unicamente in un passaggio, dal dante causa all’avente causa, di un complesso di beni e servizi funzionalmente autonomo ed autosufficiente per l’esercizio dell’attività di impresa nella forma descritta dall’art. 2082 c.c. In altri termini, la Cassazione tende ad attribuire al trasferimento di ramo d’azienda un contenuto “sinottico” o “di insieme”, non relegato e circoscritto alla sola posizione ricoperta dal dipendente-ricorrente ma implicante, ha puntualizzato ed aggiunto il giudice di merito nell’ordinanza concernente il procedimento n. 640/2007, un quid pluris: “pluralità di rapporti giuridici, di lavoro e non, transitati dal cedente al cessionario anche con riferimento a contratti non solo di lavoro” ([2]). La stessa dottrina maggioritaria (Galgano) ha confermato questa impostazione, rilevando che, in quanto il termine “azienda” di cui all’art. 2555 c.c. non designa un bene a sé stante, distinto dai singoli beni aziendali ([3]), ogni suo trasferimento o concessione in godimento altro non significano, giuridicamente, “se non trasferire, o concedere in godimento una somma di beni” ([4]).

Non è pertanto ammissibile, nella prospettiva del giudice di merito ed alla luce della valutazioni e considerazioni fino ad ora condotte, un trasferimento avente ad oggetto un ramo aziendale in cui è impiegato un solo lavoratore il quale, per affermazione della stessa azienda convenuta in giudizio (GEL S.p.a.), disponeva, per l’espletamento delle proprie mansioni, di un telefonino mobile, un PC e materiale d’archivio. Per tutti questi motivi, il rapporto lavorativo tra il ricorrente-dipendente e la società GEL S.p.a. non è venuto meno con la conseguenza che spetterà alla medesima procedere eventualmente alla risoluzione, invocando, ad esempio, il “giustificato motivo in senso oggettivo” ([5]) riguardante scelte ed esigenze proprie dell’impresa (rectius del complesso aziendale) che possono non risultare disgiunte da una considerazione della persona del lavoratore e del suo specifico posto di lavoro ([6]).



[1] Per il testo integrale della sentenza, si veda il sito web www.cortedicassazione.it

[2] Si veda la parte dell’ordinanza “Osserva”.

[3] C’è chi ha parlato, nella letteratura, dell’azienda come di un bene immateriale identificabile nell’ “organizzazione” creata dall’imprenditore. In questo senso, FERRARA JR., Teoria giuridica dell’azienda, p.119 e ss.

[4] Cfr., F. GALGANO, Diritto Commerciale. L’Imprenditore, Bologna, Zannichelli, 2003, pp. 63-64.

[5] Ipotesi prevista dall’art. 3 della l. ordinaria dello Stato n. 604/1966.

[6] Così, G. SUPPIEJ-M. DE CRISTOFARO-C. CESTER, Diritto del Lavoro. Il rapporto individuale, Padova, Cedam, 1998, pp. 379-381.

Con il provvedimento in commento, ordinanza relativa al procedimento n. 640/2007 pronunciata dal giudice del lavoro del Tribunale ordinario di Vicenza, ex art. 700 c.p.c., si perviene alla conclusione secondo la quale la cessazione di un’attività aziendale ed il trasferimento della stessa ad altra società non costituisce, per un dipendente, anche cessazione del contratto di lavoro la cui validità ed efficacia necessita del consenso del contraente il quale, in merito, né lo aveva richiesto né lo aveva manifestato nemmeno per facta concludentia.

Il caso de quo, prende le mosse da un ricorso in via d’urgenza, sussistendo i requisiti del periculum in mora e del fumus boni iuris, ex art. 700 c.p.c., promosso da un lavoratore dipendente di una società per azioni (GELS S.p.a.) a cui era stata recapitata, in data 14 febbraio 2007, una lettera con cui veniva comunicata la cessazione dell’attività ed il contestuale trasferimento del rapporto di lavoro subordinato ad una società a responsabilità limitata (GEL S.r.l.). Il ricorrente, fin da subito, aveva manifestamente espresso la propria opposizione, negando il proprio consenso, pur, tuttavia, rimanendo a disposizione della S.p.a. sua unica datrice di lavoro. Successivamente, la nuova società (GEL S.r.l.) gli comunicava una contestazione disciplinare, comprendente anche la mancata presentazione al lavoro presso le sue sedi, e, nel maggio 2007, gli intimava il licenziamento.

Il giudice di merito, territorialmente competente, ha accertato, con la pronuncia in esame, non solo l’invalidità della cessione del contratto di lavoro ma ha anche ordinato alla S.p.a. convenuta di ripristinare il rapporto di lavoro medesimo in ragione di un fondamentale principium iuris, già rilevato dalla Suprema Corte di Cassazione con sent. 6 giugno 2007 n. 3270 ([1]), secondo cui la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 2112, 1° comma, c.c. ossia la continuazione del rapporto di lavoro con l’acquirente di un’azienda, presuppone quale condicio essenziale ed ineludibile oltre il necessario consenso del contraente ceduto, ed è la stessa lettera dell’articolo citato a confermarlo, un “trasferimento di azienda” che la giurisprudenza della Cassazione ravvisa unicamente in un passaggio, dal dante causa all’avente causa, di un complesso di beni e servizi funzionalmente autonomo ed autosufficiente per l’esercizio dell’attività di impresa nella forma descritta dall’art. 2082 c.c. In altri termini, la Cassazione tende ad attribuire al trasferimento di ramo d’azienda un contenuto “sinottico” o “di insieme”, non relegato e circoscritto alla sola posizione ricoperta dal dipendente-ricorrente ma implicante, ha puntualizzato ed aggiunto il giudice di merito nell’ordinanza concernente il procedimento n. 640/2007, un quid pluris: “pluralità di rapporti giuridici, di lavoro e non, transitati dal cedente al cessionario anche con riferimento a contratti non solo di lavoro” ([2]). La stessa dottrina maggioritaria (Galgano) ha confermato questa impostazione, rilevando che, in quanto il termine “azienda” di cui all’art. 2555 c.c. non designa un bene a sé stante, distinto dai singoli beni aziendali ([3]), ogni suo trasferimento o concessione in godimento altro non significano, giuridicamente, “se non trasferire, o concedere in godimento una somma di beni” ([4]).

Non è pertanto ammissibile, nella prospettiva del giudice di merito ed alla luce della valutazioni e considerazioni fino ad ora condotte, un trasferimento avente ad oggetto un ramo aziendale in cui è impiegato un solo lavoratore il quale, per affermazione della stessa azienda convenuta in giudizio (GEL S.p.a.), disponeva, per l’espletamento delle proprie mansioni, di un telefonino mobile, un PC e materiale d’archivio. Per tutti questi motivi, il rapporto lavorativo tra il ricorrente-dipendente e la società GEL S.p.a. non è venuto meno con la conseguenza che spetterà alla medesima procedere eventualmente alla risoluzione, invocando, ad esempio, il “giustificato motivo in senso oggettivo” ([5]) riguardante scelte ed esigenze proprie dell’impresa (rectius del complesso aziendale) che possono non risultare disgiunte da una considerazione della persona del lavoratore e del suo specifico posto di lavoro ([6]).



[1] Per il testo integrale della sentenza, si veda il sito web www.cortedicassazione.it

[2] Si veda la parte dell’ordinanza “Osserva”.

[3] C’è chi ha parlato, nella letteratura, dell’azienda come di un bene immateriale identificabile nell’ “organizzazione” creata dall’imprenditore. In questo senso, FERRARA JR., Teoria giuridica dell’azienda, p.119 e ss.

[4] Cfr., F. GALGANO, Diritto Commerciale. L’Imprenditore, Bologna, Zannichelli, 2003, pp. 63-64.

[5] Ipotesi prevista dall’art. 3 della l. ordinaria dello Stato n. 604/1966.

[6] Così, G. SUPPIEJ-M. DE CRISTOFARO-C. CESTER, Diritto del Lavoro. Il rapporto individuale, Padova, Cedam, 1998, pp. 379-381.