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La tutela penale del lavoratore

Tutela penale del lavoratore
Tutela penale del lavoratore

Abstract

La salvaguardia della salute del lavoratore, di rango costituzionale, ha progressivamente acquisito maggiore importanza sociale, fino a diventare un elemento primario di ogni rapporto di lavoro. Tuttavia la depenalizzazione di alcune fattispecie concernenti la tutela del lavoratore, ha indebolito il carattere deterrente delle norme disciplinanti tale materia. L’articolo analizza gli aspetti principali della disciplina vigente, ponendo l’accento sull’opera di depenalizzazione che il legislatore ha intrapreso negli ultimi anni, e sulla ripartizione di responsabilità dei soggetti coinvolti a vario titolo nel rapporto di lavoro.  

 

Indice

1. Tutela dell’integrità fisica del lavoratore

2. Le tutele del Codice Penale

3. La depenalizzazione

4. Ripartizione delle responsabilità

 

1. Tutela dell’integrità fisica del lavoratore

Nell’ambito della tutela dei diritti sul luogo di lavoro, ruolo primario è ricoperto dalla norma penale quale strumento per la salvaguardia dell’incolumità del prestatore di lavoro. Tuttavia le politiche degli ultimi decenni hanno fermamente intrapreso la strada della depenalizzazione delle sanzioni comminate al datore a tutela del lavoratore: l’inosservanza delle norme in materia di lavoro viene ormai generalmente configurata come un illecito di tipo amministrativo, mentre la sanzione penale è stata mantenuta soltanto per la repressione dei comportamenti ritenuti particolarmente gravi e pericolosi con riguardo alla salute, sicurezza ed igiene del lavoro, tutela del lavoro minorile e delle lavoratrici madri.

Sono state, pertanto, sottratte alla depenalizzazione soltanto quelle condotte che possano pregiudicare l’integrità psico-fisica del prestatore di lavoro, in sintonia con la tendenza nel nostro ordinamento a valersi delle sanzioni penali solo avverso quei comportamenti che provochino danni o mettano a rischio la persona.

Con legge n. 689/1981 è iniziata un’opera di depenalizzazione in materia di lavoro, mentre restano di rango penale molti degli illeciti riguardanti la sicurezza sul lavoro, la cui disciplina è contenuta nel Decreto Legislativo n. 81/2008 (testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro).

 

2. Le tutele del Codice Penale

I delitti puniti con reclusione riguardano generalmente la sicurezza sul lavoro e gli incidenti ad essa connessi.

A questi bisogna aggiungere i reati di schiavitù e sfruttamento. In un’epoca di forti flussi migratori verso l’Europa, di globalizzazione e crisi economiche, è accresciuto l’allarme sociale nei confronti di alcune fattispecie di reato ai danni di persone disposte a tutto pur di lavorare.

Si è infatti tornato a parlare sempre più insistentemente di riduzione in schiavitù o condizioni analoghe ad essa (articoli 600, 601, 602 Codice Penale), e di sfruttamento del lavoro approfittando della situazione di bisogno (603 bis).

L’articolo 600 Codice Penale, riscritto nel 2003 con legge n. 228 e successivamente novellato, punisce con la reclusione da otto a venti anni chiunque riduce o mantiene in schiavitù o servitù una persona, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento.

Stessa pena è prevista per il reato di tratta di persone, di cui all’articolo 601 Codice Penale, così come sostituito con Decreto Legislativo n. 24 del 2014, e di acquisto e alienazione di schiavi, articolo 602 Codice Penale

L’articolo 603 bis Codice Penale, inserito con legge n. 148 del 2011, punisce il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, comminando nei confronti di chi svolge attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone lo sfruttamento mediante violenza, minaccia o intimidazione, e approfittando dello stato di bisogno o necessità del lavoratore, la pena della reclusione compresa in una cornice edittale fra cinque e otto anni.

Particolari difficoltà potrebbero sorgere in sede di giudizio, nel provare lo sfruttamento del lavoro. A tale riguardo soccorre il secondo comma.

A parere dello scrivente il comma 2 dell’articolo 603 bis Codice Penale dovrebbe essere utilizzato anche per altre fattispecie riguardanti la tutela penale del lavoratore, in quanto fissa degli indici presuntivi dello sfruttamento.

Stabilisce, infatti, il comma in questione, che costituisce indice di sfruttamento:

sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o sproporzionato rispetto a quantità e qualità del lavoro svolto;

sistematica violazione della normativa sull’orario di lavoro, riposo settimanale e ferie;

violazione della normativa in materia di sicurezza e igiene;

sottoposizione del lavoratore a condizioni particolarmente degradanti e metodi di sorveglianza.

Costituisce, infine, aggravante il reclutamento di un numero di lavoratori superiore a tre, l’età non lavorativa dei soggetti e l’esporre i lavoratori a grave pericolo.

In caso di incidenti sul luogo di lavoro a cui consegua il ferimento o la morte del lavoratore, viene ritenuto responsabile il datore di lavoro, ove, come afferma l’articolo 43 Codice Penale, “l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.

In tali casi verranno applicati rispettivamente l’articolo 590 Codice Penale lesioni personali colpose, e l’articolo 589 Codice Penale, omicidio colposo.

È quindi necessario che il datore adotti tutte quelle misure antinfortunistiche e le precauzioni previste dalle normative, per far sì che un evento nefasto sul luogo di lavoro rientri nel limite del c.d. ‘rischio consentito’, evitando che possa essere attribuito ad una sua negligenza, imprudenza o imperizia, che lo renda suscettibile di condanna fino a un massimo di anni cinque di reclusione.

Altra norma rilevante per la legislazione del lavoro è l’articolo 437 Codice Penale secondo cui chiunque omette di collocare impianti destinati a prevenire infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni, mentre se dal fatto deriva l’infortunio, la pena sarà compresa fra tre e dieci anni.

Il reato sembrerebbe comune, quindi non solo diretto all’imprenditore o ad altro responsabile. In realtà la norma sanziona due differenti condotte, una commissiva che può essere integrata da chiunque rimuova o danneggi dispositivi antinfortunistici, l’altra omissiva, rivolta solo a coloro che hanno l’obbligo giuridico di collocare tali dispositivi.

Se l’evento dell’infortunio non avviene si ha un classico reato a consumazione anticipata, se invece si verifica, la pena sarà considerevolmente più alta (reato aggravato dall’evento).

La condotta penalmente rilevante riguarda la messa in pericolo anche di un singolo lavoratore, giacché la pubblica incolumità, oggetto giuridico del reato, è un concetto astratto non legato ad un numero di soggetti specifico. Secondo la dottrina maggioritaria l’applicazione dell’articolo 437 Codice Penale non è limitata ai soli lavoratori dell’azienda, ma è estesa anche ai soggetti estranei, in quanto la ratio della norma è prevenire non gli infortuni del lavoratore ma gli infortuni sul lavoro.

Nell’ipotesi non aggravata, la pena nel massimo fino a cinque anni di reclusione permette all’autore del reato di cui all’articolo 437 Codice Penale di beneficiare, nel rispetto di tutti gli altri parametri previsti, dell’applicazione dell’articolo 131 bis, ossia dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

Dello stesso tenore dell’articolo 437 è l’articolo 451 Codice Penale, con la differenza che l’omissione avvenga per colpa: in tal caso la pena sarà della reclusione fino ad un anno. In questa ipotesi, perciò, ove non vi fosse una recidiva, non vi sarebbe detenzione in carcere del soggetto attivo.

 

3. La depenalizzazione

Il datore di lavoro è garante dell’incolumità del lavoratore. In qualità di dominus dell’impresa ha dovere di prevenzione e vigilanza, onde evitare incidenti ed infortuni. Se non ottempera agli obblighi di tutela, l’evento lesivo conseguente alla violazione gli viene imputato per effetto degli articoli 2087 Codice Civile e 40 comma 2 Codice Penale

Per l’articolo 2087 Codice Civile infatti, l’imprenditore è tenuto ad adottare misure a tutela dell’integrità fisica e personalità morale del lavoratore, mentre per l’articolo 40 comma 2 Codice Penale non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. Se l’evento non si verifica sarà responsabile solo del mancato ottemperamento agli obblighi di tutela. Se invece l’evento dannoso avviene, dovrà rispondere di un reato colposo.

Per la Cassazione (sezione IV penale, n. 2626 del 2014), l’articolo 2087 Codice Civile “obbliga il datore di lavoro non solo al rispetto delle particolari misure imposte da leggi e regolamenti in materia anti infortunistica, ma anche all’adozione di tutte le altre misure che risultino, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratore, salvi i casi di comportamenti o atti abnormi ed imprevedibili del lavoratore medesimo, ma non di colpa di quest’ultimo”. Il datore di lavoro è, perciò, sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, se omette di adottare le idonee misure protettive o non vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso.

A differenza delle norme del codice penale in materia di lavoro di cui sopra, le norme antinfortunistiche della legislazione speciale hanno nella quasi totalità dei casi una natura tipicamente contravvenzionale e sono preordinate alla tutela dell’integrità psico-fisica, secondo lo schema del reato di pericolo astratto.

Il Decreto Legislativo n. 276/2003 (Riforma Biagi) punisce numerose manifestazioni della c.d. interposizione illecita di manodopera, fra cui somministrazione di lavoro abusiva, somministrazione di lavoro fraudolenta, il c.d. pseudo-appalto e il distacco illecito: tali reati prevedono la sola pena dell’ammenda, ma hanno il pregio di sottoporre alla sanzione anche l’effettivo utilizzatore delle prestazioni dei lavoratori.   

Il Decreto Legislativo n. 8/2016 ha continuato sulla strada della depenalizzazione dei reati nell’ambito del diritto del lavoro e legislazione sociale. I reati che prevedono una pena pecuniaria sono stati depenalizzati a illecito amministrativo e puniti con la sola sanzione economica.

Sono esclusi dalla depenalizzazione i predetti reati del codice penale, così come quelli che uniscono alla pena pecuniaria forme aggravate, nonché quei reati contemplati dal Decreto Legislativo 81/2008 in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Gli illeciti in esso previsti mantengono, pertanto, la loro natura di tipo penale.

La depenalizzazione di alcuni reati di minor entità può essere condivisibile in un Paese come l’Italia, con un carico giudiziario eccessivo.

L’altissimo numero di processi penali, con conseguenti tempi della giustizia esageratamente lunghi, ha fatto sì che l’Italia venisse condannata in varie occasioni dalla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo).

Tuttavia in una materia importante come il diritto penale del lavoro, specialmente qualora si parla di tutela dei diritti e del benessere dei lavoratori, la depenalizzazione non sembra la soluzione ideale, neanche ove i reati siano di minore gravità, ovvero ove la posizione del soggetto attivo sia soltanto marginale.

Nel mondo dell’imprenditoria e del lavoro basato quasi esclusivamente sull’interesse economico, tale orientamento fa sì che la norma perda la sua funzione deterrente, divenendo poco credibile ed inefficace.

In un’ottica positiva deve invece essere considerato l’attuale orientamento verso una tutela penale antinfortunistica con tendenza precauzionale, volta in particolare ad incentivare la prevenzione per neutralizzare possibili rischi del lavoratore. Da valutare positivamente anche l’allargamento delle ipotesi di adozione del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, attuato dal Decreto Legislativo 81/2008.

 

4. Ripartizione delle responsabilità

Grande interesse ha mostrato la giurisprudenza riguardo la ripartizione delle responsabilità nell’ambiente di lavoro. Il riconoscimento del datore di lavoro come figura di garanzia della tutela e integrità psicofisica del lavoratore, non esclude che altri soggetti siano gravati da responsabilità sulla sicurezza dei lavoratori.

Mentre il datore ha l’obbligo di accertarsi del rispetto delle norme antinfortunistiche, alla cui violazione conseguono le sanzioni previste dall’articolo 56 Decreto Legislativo n. 81/2008, il dirigente ha il compito di attuare le direttive impartite dal datore di lavoro, vigilando su eventuali fonti di pericolo.

Come datore di lavoro e dirigente, anche il preposto è destinatario delle norme antinfortunistiche, con funzioni di supervisione e controllo, ed obbligo di attuare le misure di sicurezza e rimozione delle situazioni di pericolo, come si può evincere dall’articolo articolo 19 Decreto Legislativo n. 81/2008.

All’articolo 56 Decreto Legislativo 81/2008 sono stabilite le sanzioni nei suoi confronti per l’inosservanza alla normativa precauzionale.

Egli è tenuto a segnalare tempestivamente al datore di lavoro le deficienze di mezzi e dispositivi di protezione, ed ogni altra condizione di pericolo.

Insieme al dirigente, anche la figura del preposto è chiamata a condividere la responsabilità a titolo di culpa in vigilando.

L’individuazione di figure responsabili della sicurezza dei lavoratori, diventa complessa nei cantieri ove si avvicendano più imprese.

Sul punto è intervenuta la giurisprudenza di legittimità (Cassazione n. 16420/2007), che ha affermato il principio per cui gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, nell’esecuzione di lavori in appalto in un cantiere edile, gravano su tutti coloro che esercitano i lavori, quindi anche sull’eventuale subappaltatore, con la responsabilità del coordinatore per la progettazione, che ha il compito di redigere il piano di sicurezza e coordinamento con la valutazione dei rischi, e del coordinatore per l’esecuzione dei lavori che ha il compito di verificare l’applicazione delle disposizioni di sicurezza.

Le posizioni di garanzia gravanti sulle figure di coordinamento nei cantieri, non si sostituiscono a quelle degli altri soggetti responsabili della sicurezza sul lavoro, ma si affiancano ad esse.

Al consolidamento della tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori si ispirano anche le responsabilità del direttore dei lavori o del responsabile per la sicurezza, che devono cooperare con l’appaltatore all’attuazione delle misure di prevenzione che questi adotta in favore dei lavoratori con una posizione autonoma rispetto a quella dei coordinatori.

Poiché non è possibile per il committente esigere dall’appaltatore un controllo capillare sull’organizzazione dell’impresa, la giurisprudenza è orientata verso un’attenta analisi della concreta possibilità di conoscere eventuali situazioni di pericolo, per verificarne il nesso di causalità con l’evento.

Con sentenza n. 13858/2015 la Cassazione penale ha affermato che “il direttore dello stabilimento di una società per azioni è destinatario iure proprio, al pari del datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni, in quanto, in virtù della posizione apicale ricoperta, assume una posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti”. 

Egli non ha soltanto il compito di predisporre protocolli operativi e mezzi di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, ma altresì di accertare l’effettiva esecuzione delle disposizioni ed intervenire per evitare incidenti.

La Cassazione ha inoltre rilevato che “nelle imprese di grandi dimensioni non può individuarsi il soggetto responsabile, automaticamente, in colui o in coloro che occupano la posizione di vertice, occorrendo un puntuale accertamento, in concreto, dell'effettiva situazione in cui lo stesso ha dovuto operare”.

La sentenza della Suprema Corte n. 8883 del 2016 precisa che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto da un modello ‘iperprotettivo’ che vede il datore di lavoro quale soggetto garante dell’incolumità dei lavoratori, ad un modello ‘collaborativo’ in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori.

Il datore di lavoro che ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde perciò delle lesioni personali derivate da una condotta colposa del lavoratore.

Letture consigliate

- A. Morrone “Diritto penale del lavoro. Nuove figure e questioni controverse”, Giuffrè.

- A cura di F. Giunta, D. Micheletti “Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro”, Giuffrè.

- P. Rausei “Sicurezza sul lavoro. Responsabilità. Illeciti. Sanzioni.”, Ipsoa.