L’accesso civico e la sua attuale regolamentazione

L’accesso civico e la sua attuale regolamentazione
L’accesso civico e la sua attuale regolamentazione

Indice

1. La storia normativa dell’accesso civico

2. L’attuale disciplina dell’accesso civico

3. Le linee guida adottate dall’ANAC in tema di esclusioni e limiti all’accesso civico e il connesso regolamento dell’accesso civico e dell’accesso agli atti

4. Alcuni casi di pareri resi dal Garante per la protezione dei dati personali

5. Considerazioni finali

 

1. La storia normativa dell’accesso civico

L’istituto dell’accesso esordì nel nostro ordinamento con l’articolo 22 comma 1 della Legge 241/1990 sul procedimento amministrativo che lo configurò come il diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre copia di documenti amministrativi.

Il secondo comma dello stesso articolo definì a sua volta la categoria degli aventi diritto all’accesso, includendovi tutti i soggetti privati, compresi i portatori di interessi pubblici o diffusi, che avessero un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento rispetto al quale era chiesto l’accesso.

Un vero e proprio diritto soggettivo, dunque, che tuttavia era riconosciuto solo in presenza di un triplice requisito:

l’interesse proprio del suo titolare,

il collegamento a una situazione giuridica protetta e

il riferimento ad uno specifico documento della p.a.

Questa configurazione cambia radicalmente a distanza di quasi un quarto di secolo con il Decreto legislativo 33/2013, emesso allo scopo di riordinare la disciplina degli obblighi imposti alle pubbliche amministrazioni in tema di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni.

Il suo articolo 5 chiarisce infatti che “l’obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione”.

La trasformazione non poteva essere più netta.

L’accesso diventa civico e si trasforma in un diritto di portata generale il cui oggetto, pur continuando a comprendere i documenti, è esteso alle informazioni e ai dati che le p.a. hanno l’obbligo di divulgare mediante la pubblicazione.

Un diritto che presuppone l’inerzia delle p.a. e conferisce il potere di opporvisi, pretendendo la pubblicità necessaria per una società in cui le istituzioni devono agire all’insegna della trasparenza.

L’intensità di questo diritto è sottolineata dai successivi commi dell’articolo 5.

La richiesta di accesso non richiede infatti alcuna motivazione e non comporta alcun costo.

La p.a. che ne è destinataria è tenuta a pubblicare sul suo sito web istituzionale i documenti, informazioni o dati precedentemente omessi e li deve contestualmente trasmettere al richiedente o quantomeno lo deve informare dell’avvenuta pubblicazione.

L’opera di aggiornamento normativo prosegue con la Legge 124/2015 contenente deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.

Interessa in particolare il suo articolo 7 intitolato “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza” che delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per integrare e correggere il D. Lgs.33/2013 nelle materie della pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.

L’attenzione legislativa si focalizza sulle informazioni che servono ai cittadini per comprendere lo stato di salute e il grado di efficienza delle amministrazioni che li rappresentano come, ad esempio, i tempi medi di attesa per le prestazioni sanitarie rese dal SSN e per onorare i crediti dei fornitori di beni e servizi o le determinazioni degli organismi di valutazione.

Il 20 gennaio 2016 il Governo, sulla base della delega ricevuta, approva uno schema di decreto e lo trasmette al Consiglio di Stato (di seguito CDS) il quale, nell’adunanza del 24 febbraio 2016, formula un parere.

Il documento redatto dal CDS contiene interessanti osservazioni che meritano di essere segnalate.

I giudici amministrativi valutano positivamente l’intento legislativo di riformare unitariamente la pubblica amministrazione e superare finalmente l’idea di separazione che ha tradizionalmente caratterizzato ciascuna delle sue articolazioni.

Questa nuova visione unitaria non è fine a se stessa ma serve invece ad adempiere correttamente al dovere di considerare altrettanto unitariamente gli interessi e i diritti dei cittadini, di presentarsi ad essi “con una sola voce, coerente nel tempo” e di mettere “al centro il destinatario del servizio pubblico e non l’apparato che fornisce il servizio medesimo”.

Del resto – osserva il CDS – è davvero ora che questo fine si realizzi: non solo a causa del fallimento delle precedenti politiche di semplificazione ma anche, e soprattutto, per il fortissimo impatto generato dalla digitalizzazione del settore pubblico e dalla proliferazione delle normative sulla trasparenza.

Queste caratteristiche della contemporaneità richiedono plurime misure tecniche quali il test di proporzionalità, la compliance analysis, il confronto costi-benefici, l’analisi dell’effettività della concorrenza, il potenziamento del ruolo e delle prerogative del consumatore e il monitoraggio costante dell’impatto delle riforme, condotto misurando i loro effetti concreti e le reazioni dei cittadini e degli operatori economici.

Si aggiunge ancora che la trasparenza perseguita dal legislatore deve certo servire al contrasto della corruzione pubblica, ma non può esaurirsi in esso poiché la sua finalità primaria è quella di “coniugare garanzie ed efficienza nello svolgimento dell’azione amministrativa” così da realizzare “l’aspirazione a una democrazia intesa come regime del potere visibile”.

Il diritto di accesso diretto e libero a dati e atti delle p.a. – si afferma – è parte integrante di questa prospettiva ma “deve arrestarsi di fronte alle posizioni giuridicamente tutelate degli individui”, all’insegna di un principio di proporzionalità nell’uso e trattamento dei dati.

Il CDS rileva che nella prospettiva della Legge delega l’accesso civico è ispirato ai principi del F.O.I.A. (acronimo dell’espressione statunitense Freedom of information act, ovvero Legge sulla libertà di informazione).

Osserva che lo schema di decreto aggiunge alla precedente trasparenza proattiva, realizzata imponendo alle p.a. l’obbligo di pubblicazione sui siti istituzionali dei dati e delle notizie indicati dalla legge, una trasparenza reattiva che si concreta nella risposta pubblica alle istanze di conoscenza dei privati: si attua in tal modo il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere o, se si preferisce la terminologia anglosassone, “from need to right to know (dal bisogno al diritto di conoscere)”.

Passando alle raccomandazioni tecniche e procedurali, il CDS suggerisce, a modifica dello schema sottopostogli, che la presentazione della domanda di accesso avvenga solo in forma telematica, che il rifiuto all’accesso non possa essere la risultante del silenzio della p.a. per 30 giorni e che debba quindi essere sempre motivato così che chi lo subisce non sia costretto al ricorso giurisdizionale già solo per conoscere le ragioni del mancato accoglimento della sua domanda.

Propone inoltre che si disciplinino in modo più chiaro e circoscritto le eccezioni all’obbligo di disclosure anche a mezzo di linee guida, che si chiarisca ulteriormente se gli atti endoprocedimentali siano accessibili o no, che si ragioni sull’opportunità di rivedere il periodo quinquennale di pubblicazione dei dati così da renderlo più flessibile.

Nella procedura preliminare all’adozione del Decreto legislativo si inserisce anche il parere rilasciato dal Garante per la protezione dei dati personali il 3 marzo 2016 il quale, come era ovvio che fosse, si focalizza sui dati personali e la loro tutela.

Il Garante valuta anzitutto in termini di inadeguatezza le proposizioni normative introdotte per razionalizzare gli obblighi di pubblicazione.

Il giudizio discende soprattutto dalla notevole compressione della protezione dei dati personali e dalla necessità, non correttamente soddisfatta, di trovare un corretto equilibrio tra interesse pubblico alla conoscenza dei dati e interesse individuale a proteggere taluni dati dall’indebita divulgazione.

Si rende quindi necessario un apposito regolamento che identifichi senza incertezze le tipologie di informazioni soggette al regime di trasparenza e le modalità e le caratteristiche dell’eventuale pubblicazione.

Il Garante ritiene inoltre opportuna una migliore definizione del concetto di trasparenza da intendersi come “accessibilità dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti fondamentali e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche, nei limiti del presente decreto”.

Raccomanda inoltre una più accurata definizione del termine “pubblicazione”.

Quanto all’accesso civico, il Garante guarda con preoccupazione all’incertezza in cui si troveranno i detentori pubblici di grandi masse di dati personali, in assenza di un parametro chiaro che gli consenta di bilanciare correttamente l’interesse del richiedente e la protezione dei dati, tanto più se si considera che l’istanza di accesso non deve essere motivata riguardo alle finalità perseguite dal richiedente.

Propone pertanto un’aggiunta all’articolo 6 comma 2 così da permettere che le p.a., in tutti i casi in cui le domande di accesso civico comportino la pubblicazione di dati personali, le accolgano solo quando sia accertata la prevalenza dell’interesse del richiedente su quello del controinteressato e le rifiutino sempre ove si debbano comunicare dati sensibili o giudiziari o di minorenni.

Il Garante formula infine ulteriori proposte sulla procedura di accesso finalizzate a consentire un’effettiva tutela del diritto di opposizione del controinteressato.

 

2. L’attuale disciplina dell’accesso civico

Acquisiti i pareri previsti, il Governo adempie alla delega con l’emissione del Decreto Legislativo 97/2016 che modifica e innova in più punti il precedente Decreto 33/2013.

Il testo originario dell’articolo 5 è profondamente trasformato e arricchito e ad esso sono aggiunti gli artt. 5 bis e 5 ter.

Il diritto di accesso viene anzitutto configurato, come in passato, in corrispondenza ai documenti, dati e informazioni che le p.a. sono tenute pubblicare.

La riforma lo estende tuttavia anche ai dati e ai documenti non obbligatoriamente pubblicabili, comunque entro i limiti previsti dall’articolo 5 bis.

L’istanza di accesso non richiede alcuna motivazione ma deve indicare con chiarezza i dati (termine che d’ora in avanti è usato come espressivo di tutte le categorie di atti e informazioni cui l’accesso si riferisce) per i quali è presentata.

È consentito il suo deposito telematico ma non sono escluse modalità alternative.

La presentazione può essere fatta alternativamente presso l’ufficio detentore dei dati richiesti o l’ufficio addetto alle relazioni col pubblico o altro ufficio indicato ad hoc nella sezione “amministrazione trasparente” del sito web della p.a. interessata.

Il destinatario è invece il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (di seguito RPCT) se la richiesta riguarda dati da pubblicare obbligatoriamente.

La richiesta viene soddisfatta con il rilascio dei dati in formato elettronico o cartaceo e non comporta alcun costo, fatta eccezione per le spese di riproduzione dei dati su supporti materiali.

In tutti i casi in cui l’accesso è riferito a dati la cui pubblicazione non è obbligatoria e per i quali è individuata la presenza di controinteressati, la p.a. è tenuta a dargliene comunicazione con il mezzo postale o in via telematica.

Entro dieci giorni dalla comunicazione, i controinteressati possono motivatamente opporsi alla richiesta di accesso ed in tal caso il provvedimento conclusivo deve essere espresso entro trenta giorni dalla domanda, restando quindi esclusa la possibilità del silenzio, e motivato così che siano chiare le ragioni della decisione e sia l’istante che il controinteressato possano correttamente valutare l’opportunità di reagire legalmente al provvedimento non condiviso.

Se l’accesso è negato totalmente o parzialmente o non ha avuto risposta entro il termine di legge, l’istante può chiedere il riesame al RPCT il quale decide entro i successivi venti giorni con provvedimento motivato (avendo peraltro, nel caso di diniego o differimento disposti a tutela degli interessi specificati nell’articolo 5 bis, l’obbligo di consultare preventivamente il Garante per la protezione dei dati personali).

Contro la decisione della p.a. e del RPCT è ammesso il ricorso giurisdizionale al giudice amministrativo cui si aggiunge, se la p.a. è una Regione o altro ente locale, il ricorso al difensore civico insediato presso l’ente interessato o, in caso di assenza, presso l’ambito territoriale immediatamente superiore.

Il più volte citato articolo 5 bis individua a sua volta le esclusioni e i limiti all’accesso civico.

Esso è escluso tutte le volte che si debba evitare un pregiudizio concreto alla tutela degli interessi pubblici connessi a sicurezza pubblica e ordine pubblico, sicurezza nazionale, difesa e questioni militari, relazioni internazionali, politica e stabilità finanziaria e economica dello Stato, conduzione di indagini sui reati e loro perseguimento e il regolare svolgimento di attività ispettive.

La stessa esclusione opera per evitare un pregiudizio concreto a interessi privati quali la protezione dei dati personali conformemente alla vigente normativa, la libertà e la segretezza della corrispondenza e gli interessi economici e commerciali (tra questi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali) delle persone fisiche e giuridiche.

Ulteriori casi di esclusione ricorrono per i dati coperti dal segreto di Stato e ogni qualvolta esista un divieto normativo di accesso o divulgazione ovvero quando l’accesso è subordinato normativamente al rispetto di specifici limiti, condizioni o modalità.

Si prevede comunque, in generale, che le restrizioni all’accesso durino solo fintanto che la protezione dei dati sia giustificato in relazione alla loro natura ed ancora che siano limitate ai dati e documenti strettamente necessari, restando libero l’accesso per quelli non rientranti in tale ambito.

Si demanda infine all’Autorità nazionale anticorruzione (di seguito ANAC) l’adozione, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali, di linee guida per la definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico elencati dall’articolo 5 comma 2.

L’articolo 5 ter è introdotto per disciplinare l’accesso per fini scientifici ai dati elementari raccolti per finalità statistiche.

Vi si prevede che gli enti e gli uffici che compongono il Sistema statistico nazionale (di seguito SISTAN) possano appunto consentire l’accesso per fini scientifici ai dati elementari, tali da non consentire l’identificazione diretta delle unità statistiche, di cui sono titolari quando l’accesso sia stato chiesto da ricercatori e enti di ricerca pubblici o privati inseriti nell’elenco redatto da EUROSTAT (cioè l’autorità statistica dell’UE) o comunque in possesso di idonei requisiti specificati in un successivo comma dello stesso articolo 5.

La richiesta di accesso deve essere sottoscritto da chi è abilitato a rappresentare l’ente di ricerca e deve contenere un impegno di riservatezza e la specificazione delle modalità di uso dei dati e delle misure che saranno prese per salvaguardare la loro riservatezza.

La richiesta deve inoltre essere correlata a un progetto di ricerca la cui validità scientifica sia ritenuta adeguata dal SISTAN.

Se la richiesta è accolta, i dati, salve specifiche eccezioni, sono resi disponibili in forma di file cui sono applicati metodi che non permettono l’identificazione delle unità statistiche.

Si demanda al COMSTAT (Comitato di indirizzo e coordinamento dell’informazione statistica), d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e con il supporto dell’ISTAT, l’adozione di linee guida per l’attuazione in dettaglio della disciplina contenuta nell’articolo 5 ter e si indicano i criteri cui queste devono uniformarsi.

 

3. Le linee guida adottate dall’ANAC in tema di esclusioni e limiti all’accesso civico e il connesso regolamento dell’accesso civico e dell’accesso agli atti

In adempimento del compito assegnatole dall’articolo 5 bis esaminato nel paragrafo precedente, l’ANAC, previe le opportune consultazioni e acquisiti il parere della Conferenza unificata e l’intesa del Garante per la protezione dei dati personali, approva la delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016, contenente le linee guida che definiscono le esclusioni e i limiti all’accesso generalizzato.

La denominazione scelta dall’ANAC è così spiegata: questo tipo di accesso non è condizionato dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti e riguarda tutti i dati e i documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli per i quali è stabilito un obbligo di pubblicazione; è dunque opportuno identificarlo come accesso generalizzato perché “si delinea come affatto autonomo ed indipendente da presupposti obblighi di pubblicazione e come espressione, invece, di una libertà che incontra, quali unici limiti, da una parte, il rispetto della tutela degli interessi pubblici e/o privati indicati all’articolo 5 bis, commi 1 e 2, e dall’altra, il rispetto delle norme che prevedono specifiche esclusioni (articolo 5 bis, comma 3)”.

È bene quindi, nell’opinione dell’ANAC, riservare la denominazione di accesso civico al diritto più ristretto definito dall’articolo 5 comma 1 che non è stato modificato dal D. Lgs. 97/2016 e continua quindi ad essere speculare all’obbligo di pubblicazione delle p.a.

L’accesso generalizzato deve essere inoltre distinto dal più vecchio istituto dell’accesso agli atti (o accesso documentale, nella terminologia coniata dall’ANAC) regolato dagli artt. 22 e ss. della Legge 241/1990 sul procedimento amministrativo ed esclusivamente finalizzato a “porre i soggetti interessati in grado di esercitare al meglio le facoltà - partecipative e/o oppositive e difensive – che l'ordinamento attribuisce loro a tutela delle posizioni giuridiche qualificate di cui sono titolari”.

Coesistono dunque nell’ordinamento tre diverse forme di accesso (generalizzato, civico e documentale), ognuna delle quali ha discipline e scopi distinti dalle altre.

La delibera ANAC definisce di seguito l’ambito soggettivo degli organismi verso i quali è esercitabile l’accesso generalizzato.

Vi fa rientrare, conformemente alle indicazioni legislative, le p.a., gli enti pubblici economici, gli ordini professionali, le società a controllo pubblico e a partecipazione pubblica e gli enti di diritto privato assimilati a tali società.

L’ambito oggettivo, sbrigativamente definito dal legislatore con l’espressione “dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione”, offre all’ANAC l’occasione per chiarire il significato di ciascuno dei tre elementi che lo compongono.

Sono documenti quelli propriamente amministrativi.

I dati richiamano un più ampio concetto informativo che si riferisce ad elementi conoscitivi a prescindere dal contenitore formale che li ospita o incorpora.

Le informazioni sono la rielaborazione di dati detenuti dalle p.a., ancorché contenuti in distinti documenti.

Le linee guida si focalizzano di seguito sulla distinzione tra le eccezioni propriamente dette all’accesso (eccezioni assolute) e i limiti (eccezioni relative o qualificate).

Ricorrono le eccezioni assolute allorché una norma di legge, espressiva di una valutazione preventiva e generale e posta a tutela di interessi prioritari e fondamentali, esclude con certezza l’accessibilità di documenti, dati e informazioni o la consente secondo particolari condizioni, modalità o limiti.

Sono invece limiti (o, se si preferisce, eccezioni relative o qualificate) quelli posti a tutela di interessi pubblici e privati di particolare rilievo giuridico e per i quali, in assenza di una valutazione preventiva e generale, spetta alle p.a. individuare il più adeguato equilibrio tra l’interesse collettivo alla pubblicazione e gli interessi contrapposti dotati di rilievo giuridico che, secondo un giudizio probabilistico e non di mera possibilità, potrebbero essere concretamente pregiudicati dalla pubblicazione.

Un equilibrio – specifica l’ANAC – che deve essere esplicitato attraverso una congrua e completa motivazione.

Nella tipologia delle eccezioni assolute, l’ANAC comprende correttamente il segreto di Stato richiamandosi alla definizione che ne ha dato la Legge 124/2007 ma non chiarisce, come sarebbe stato forse opportuno, se il divieto di accesso generalizzato presupponga la formale apposizione del segreto ad opera dell’unico soggetto legittimato, cioè il Presidente del Consiglio dei ministri, oppure sia sufficiente l’astratta assoggettabilità di un dato al segreto stesso.

Per gli altri casi di segreto o divieto di divulgazione, l’ANAC, pur menzionandone alcuni a titolo esemplificativo e tra questi tutti i divieti attinenti ai cosiddetti dati sensibili, sceglie di rinviare alle disposizioni normative di dettaglio.

Le linee guida si premurano comunque di ricordare che la richiesta di accesso generalizzato a dati personali che sia stata rigettata può essere ripresentata come richiesta di accesso documentale sempre che l’istante rappresenti l’esistenza dei requisiti previsti dagli appositi articoli della Legge 241/1990.

In tema di limiti e dei connessi interessi pubblici da tutelare (sicurezza e ordine pubblico e tutti gli altri indicati specificamente dal legislatore), la delibera ANAC si assume un compito essenzialmente definitorio di ciascuno di essi al duplice scopo di fornire un primo supporto alle p.a. e di evitare interpretazioni che restringano ingiustificatamente il diritto di accesso generalizzato.

Lo stesso impegno è riservato alla definizione degli interessi privati, a partire dalla protezione dei dati personali che vengono intesi come “qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale” e per i quali le linee guida si dilungano per consentire alle amministrazioni un’adeguata ponderazione di tutte le esigenze da tenere nella giusta considerazione per non sacrificare la salvaguardia della sfera del titolare.

Le linee guida avvertono che l’accesso generalizzato deve essere applicato a partire dal 23 dicembre 2016, data indicata dal legislatore, il che rende opportune l’immediata adozione da parte di tutte le amministrazioni interessate di una disciplina interna sul procedimento di accesso e l’istituzione di un registro delle richieste.

Il documento ANAC si conclude con la precisazione che l’Autorità ha intenzione di predisporre un monitoraggio sulla casistica delle decisioni assunte dalle amministrazioni il quale a sua volta richiede che queste curino l’aggiornamento del registro delle richieste e vi annotino le decisioni assunte.

Alla delibera è allegata una guida riepilogativa che riassume in proposizioni sintetiche i chiarimenti e suggerimenti operativi contenuti nel testo principale.

Va infine ricordato che l’ANAC non si limita all’adozione delle linee guida ma, sulla base di queste, emette contestualmente un regolamento che disciplina sia l’accesso civico che l’accesso agli atti.

Il contenuto dell’atto regolamentare è ovviamente concepito secondo una continuità contenutistica e logica rispetto alle linee guida.

Spicca tuttavia l’introduzione di concetti e regole, come ad esempio i casi di inammissibilità della domanda di accesso (articolo 8), che non hanno riscontro nella disciplina normativa e paiono perciò configurarsi come esercizio di poteri che esorbitano rispetto al mandato ricevuto dal legislatore delegato e comunque non consentiti a un’autorità indipendente.

4. Alcuni casi di pareri resi dal Garante per la protezione dei dati personali

Si è in precedenza ricordato che al RPCT sono attribuiti, a determinate condizioni, poteri decisionali in materia di accesso civico che tuttavia sono esercitabili solo dopo avere chiesto e ottenuto il parere del Garante per la protezione dei dati personali.

Sul sito web istituzionale dell’autorità in questione sono pubblicati alcuni di questi pareri ed è interessante analizzarne le linee direttrici.

Si prendono in considerazione due di questi pareri.

Il primo si identifica come documento web n. 6057387 del 16 febbraio 2017.

La questione sottostante trae origine da una richiesta di accesso tendente a conoscere l’elenco degli esercizi commerciali che avevano ricevuto sanzioni amministrative per avere violato la normativa sull’igiene e sulla sicurezza alimentare.

L’amministrazione accoglie l’accesso, omettendo però di fornire i nominativi delle persone sanzionate, a tutela dei loro dati personali e degli interessi economici e commerciali.

L’istante chiede il riesame al RPCT il quale, trasmettendo gli atti al Garante, invita a chiarire se il caso possa essere assimilato alla richiesta massiva, dato l’elevato numero dei controinteressati, così da esentare la p.a. dall’accesso.

La risposta del Garante è piuttosto deludente poiché è per intero parametrata sulle linee guida ANAC, senza alcun guizzo di autonomia, e si risolve nell’indicazione che spetta all’amministrazione valutare l’esistenza (o il rischio) di un pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali e, in caso positivo, rigettare la richiesta oppure accoglierla oscurando i dati nominativi.

Nulla di più e nulla di meno di quanto previsto dall’ANAC.

 

Il secondo parere del Garante risale al 24 maggio 2017 ed è identificato come documento web n. 6495600.

In questo caso l’istante chiede l’accesso alla copia delle prove scritte corrette e valutate redatte dai candidati di un concorso pubblico.

La richiesta è rigettata poiché gli atti delle procedure concorsuali non rientrano tra quelli per i quali è possibile l’accessibilità totale, non essendo prevista la loro pubblicazione.

Per di più il richiedente non è tra i candidati e non ha quindi alcun interesse qualificato, attuale e concreto.

Il Garante osserva che gli elaborati scritti sono idonei a rivelare molteplici aspetti della personalità di chi li redige (preparazione, cultura, capacità espressiva, carattere) e fornire informazioni su convinzioni che potrebbero rientrare tra i dati sensibili.

Per di più, gli elaborati, in quanto redatti di pugno dai candidati, potrebbero consentire la loro identificazione ove la loro grafia sia conosciuta dal richiedente.

Il Garante prospetta infine un possibile conflitto tra l’accesso e altri interessi legati alla proprietà intellettuale e al diritto d’autore.

Francamente non sembra che un parere del genere sia perfettamente in linea con una normativa che considera la disclosure dei dati la regola e il loro oscuramento l’eccezione.

 

5. Considerazioni finali

È senz’altro una conquista civica, e di questo va dato merito al legislatore, l’affermazione del principio che equipara le istituzioni a case di vetro e consente quindi ad ognuno e senza sforzi di capire cosa si dica e si faccia in quelle case.

L’accesso civico è uno dei più potenti strumenti in questa direzione e non si può che dargli il benvenuto.

La riforma del 2016 presenta tuttavia più di una sbavatura che potrebbe rallentarne gli effetti o creare situazioni di incertezza applicativa.

Un tema primario è sicuramente il ruolo attribuito all’ANAC.

Si ricorderà che il CDS nel suo parere aveva raccomandato di focalizzare l’accesso civico non solo sulla prevenzione alla corruzione ma anche e soprattutto sull’efficienza e le garanzie dell’attività amministrative.

Il legislatore ha invece preferito accentuare il primo aspetto e affidare all’ANAC un ruolo centrale nella configurazione pratica dell’accesso civico, demandandogli le linee guida in tema di esclusioni e limiti che, come si è visto, stanno già diventando la bibbia delle amministrazioni ed anche delle altre autorità indipendenti che hanno voce in capitolo.

Emblematica della speciale importanza riservata all’ANAC è la palese differenza di trattamento tra le linee guida affidate a tale organismo e quelle demandate al COMSTAT per l’accesso a fini scientifici: senza nessun criterio preventivo e vincolante per l’ANAC, con una rigorosa predeterminazione di criteri per l’altro ente.

La regolamentazione dell’accesso resta ancora oggi piuttosto complessa e di difficile interpretazione in più di un caso, soprattutto quando vi sia un potenziale o reale conflitto tra diritto all’accesso e diritto alla protezione dei dati personali.

È facile prevedere che si creeranno per questa ragione prassi applicative differenziate e ci sarà un contenzioso di non poco momento.

Altri dubbi sull’efficienza complessiva della riforma derivano dai poteri attribuiti alle autorità indipendenti, in questo caso soprattutto all’ANAC, che ormai sfiorano e talvolta sconfinano nell’area riservata al legislatore e dall’accumulo progressivo di competenze in capo alle stesse autorità che potrebbero distoglierle dai loro compiti essenziali o renderne più difficile e lento il disbrigo.

È un quadro con luci e ombre come spesso succede nella convulsa legislazione di questi anni.