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L’asilo diplomatico come tradición latino-americana e sviluppi recenti: il caso Assange

asilo diplomatico
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Abstract:

Il presente articolo propone la trattazione dell’istituto dell’asilo diplomatico, considerato parte della tradizione giuridica degli Stati latinoamericani, che non è stato, però, in grado di condurre alla creazione di una norma consuetudinaria di natura regionale in materia. Il contributo fornisce, inoltre, un’analisi degli aspetti principali della Convenzione di Caracas sull’Asilo Diplomatico e una trattazione approfondita del caso Assange, con particolare riferimento al diritto diplomatico vigente.

This article deals with the analysis of the diplomatic asylum, an institute which is considered as part of Latin-American juridical tradition; however, this form of asylum was not be able to lead to the creation of a regional customary rule in the present area. Furthermore, the current contribution provides an analysis of the main aspects of the Caracas Convention on Diplomatic Asylum and an in-depth discussion about the Assange case, with particular reference to the existing diplomatic law.

 

Indice:

1. L’asilo diplomatico e la teoria dell’extraterritorialità della sede diplomatica

2. L’assenza di una consuetudine particolare latino-americana in relazione all’asilo diplomatico

3. La Convenzione di Caracas del 1954 sull’Asilo Diplomatico

4. La vicenda Assange e le posizioni dell’Ecuador e del Regno Unito

5. Conclusioni

 

1. L’asilo diplomatico e la teoria dell’extraterritorialità della sede diplomatica

Nel diritto internazionale, il termine “asilo diplomatico” viene generalmente utilizzato per indicare la protezione accordata da uno Stato ad un individuo al di fuori del proprio territorio, in particolare all’interno delle proprie sedi di missioni diplomatiche all’estero, di consolati o a bordo di navi situate nel mare territoriale di un altro Stato.

Si tratta di un discusso modello di protezione, in base al quale uno Stato decide di accogliere presso le proprie delegazioni o ambasciate individui ricercati o perseguitati per la commissione di delitti politici dallo Stato nel cui territorio sono situate fisicamente tali rappresentanze diplomatiche: il richiedente asilo diplomatico deve necessariamente trovarsi in una grave situazione di pericolo o di attentato alla sua libertà e/o alla sua stessa vita; inoltre, non deve avere nessuna possibilità di accedere ad un meccanismo alternativo che gli permetta di sfuggire dalla persecuzione.

L’istituto dell’asilo diplomatico si sviluppò principalmente in seguito allo stabilimento di missioni permanenti nei territori di Stati intrattenenti relazioni diplomatiche reciproche, con la conseguente concessione delle immunità previste dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, la quale corrisponde largamente al diritto internazionale consuetudinario.

In particolare, l’articolo 22 di tale Convenzione sancisce il principio dell’inviolabilità della sede diplomatica e del domicilio privato dell’agente diplomatico da parte delle autorità dello Stato territoriale ricevente (o Stato accreditatario), le quali non potranno procedere ad azioni coercitive senza il consenso del Capo missione dello Stato straniero di invio (o Stato accreditante).  

La protezione garantita dall’asilo diplomatico, oltre al principio dell’inviolabilità della sede diplomatica, si ricollega ulteriormente alla teoria dell’extraterritorialità della sede diplomatica straniera, in base alla quale quest’ultima si configurerebbe come parte integrante del territorio dello Stato di invio.

In tal modo, le sedi e le rappresentanze diplomatiche all’estero verrebbero in considerazione in qualità di arti, di veri e propri "prolungamenti" dello Stato accreditante, che potrà concedere asilo diplomatico all’individuo perseguitato per la commissione di delitti politici all’interno di esse, ritenute come porzioni del proprio territorio.

In realtà, la dottrina internazionalistica odierna (si veda, ad esempio, Focarelli C., Diritto Internazionale, CEDAM, 2015) è pienamente concorde nello stabilire che la sede diplomatica e il domicilio privato del diplomatico si trovino giuridicamente sul territorio dello Stato ricevente.

Pertanto, con l’abbandono progressivo della teoria della extraterritorialità, l’inviolabilità della sede diplomatica deve essere intesa come un privilegio concesso dallo Stato accreditatario sul proprio territorio allo scopo di permettere il regolare funzionamento delle attività diplomatiche, in quanto in nessuno caso è possibile legittimare la concezione secondo cui in tale Stato accreditatario possa esistere una parte di territorio non sottoposta alla sua sovranità̀, in ossequio al principio "quidquid est in territorio, est etiam de territorio” (Ferrari G., L’asilo nel diritto internazionale, 2016).

                                        

2. L’assenza di una consuetudine particolare latino-americana in relazione all’asilo diplomatico

Nato in qualità di pratica generalizzata in larga parte nel continente europeo, l’asilo diplomatico ben presto si evolse in una tipologia di protezione accordata quasi esclusivamente dai Paesi dell’America Latina, acquistando il carattere di un istituto proprio del diritto internazionale latino-americano (Imaz C., El asilo diplomático en la política exterior de México, Revista Mexicana de Política Exterior, n. 40-41, 1993).

A tal riguardo, si discute se tale concetto abbia dato vita ad una consuetudine particolare di natura regionale, ossia una consuetudine riguardante soltanto una determinata regione continentale.

L’esistenza di una consuetudine regionale concernente l’asilo diplomatico è stata ammessa e concepita in astratto dalla dottrina, ma esclusa nel caso di specie nella sentenza Diritto d’Asilo, risalente al 1950, in cui la Corte internazionale di Giustizia segnalò che non sussistevano prove sufficienti per constatare l’esistenza di una norma consuetudinaria di carattere regionale disciplinante gli aspetti fondamentali dell’istituto (Corte Internazionale di Giustizia, Diritto d’Asilo - Colombia v. Peru, 20 novembre 1950).

Allo stesso modo, nel 2018 la Corte interamericana dei Diritti dell’Uomo, nel parere consultivo 25/18, ha stabilito che, sulla base delle osservazioni presentate da alcuni Paesi, nella regione latinoamericana al giorno d’oggi non è possibile confermare l’esistenza di una prassi, cioè un comportamento costante e uniforme (l’usus, l’elemento oggettivo che costituisce una norma consuetudinaria) degli Stati latinoamericani che possa provare la sussistenza in concreto di una consuetudine particolare in materia di asilo diplomatico.

Di conseguenza, stando al parere della Corte, l’essenza giuridica di tale istituto si baserebbe esclusivamente sulle fonti convenzionali vigenti in materia, le quali vincolano unicamente gli Stati parte (Corte interamericana dei diritti dell’uomo, parere consultivo 25/18, 30 maggio 2018, par. 160). Tra le fonti suddette, la Convenzione di Caracas del 1954 sull’asilo diplomatico riveste un ruolo particolarmente rilevante nel contesto in esame.

 

3. La Convenzione di Caracas del 1954 sull’Asilo Diplomatico

La Convenzione di Caracas sull’Asilo Diplomatico fu adottata durante la X Conferenza interamericana svoltasi nella capitale venezuelana nel 1954; firmata da ben 20 Stati, la Convenzione è stata ratificata solo da 14 Paesi, e rappresenta tutt’oggi la principale fonte convenzionale in materia (Pastorino A. e Ippoliti M. R., A propósito del Asilo Diplomático, Revista de la Facultad de Derecho, n. 47, 2019).

La Convenzione di Caracas consacra il diritto di uno Stato parte di concedere asilo diplomatico ad individui in cerca di protezione in quanto perseguitati per motivi o delitti politici. Però, non essendo stata inserita una definizione chiara e precisa di "delitto politico" ai fini dell’applicazione di tale fonte convenzionale, l’articolo IV precisa che spetta allo Stato cha accoglie la richiesta di asilo il compito di determinare la natura giuridica del delitto commesso o dei motivi alla base della persecuzione; a tal riguardo, la Convenzione sancisce l’illegittimità assoluta del riconoscimento dell’asilo diplomatico ad individui accusati, processati o condannati per delitti comuni dinanzi a tribunali nazionali competenti (art. III).

Inoltre, l’articolo I della Convenzione stabilisce che l’asilo diplomatico può essere concesso all’interno di legazioni, navi da guerra, campi o aerei militari di uno Stato; in particolare, il termine "legazioni" si riferisce a tutte le sedi di una missione diplomatica, includendo la residenza del Capo della missione e i locali da esso adibiti a dimora degli asylees, quando il numero di quest’ultimi ecceda la capacità ordinaria di accoglienza degli edifici della missione diplomatica.

Un altro dettaglio fondamentale riguarda l’ulteriore requisito dell’urgenza: l’asilo diplomatico potrà essere concesso esclusivamente in casi di assoluta urgenza e soltanto per il tempo strettamente necessario affinché l’individuo possa lasciare la sede diplomatica ospitante "with the guarantees granted by the Government of the territorial State, to the end that his life, liberty, or personal Integrity may not be endangered, or that the asylee’s safety is ensured in some other way". (cfr. articolo V).

 

4. La vicenda Assange e le posizioni dell’Ecuador e del Regno Unito

La questione alquanto controversa dell’asilo diplomatico ha recentemente rivelato le proprie criticità nel caso relativo a Julian Assange, fondatore della piattaforma Wikileaks.

Nel 2010 il cittadino australiano Assange divenne noto all’opinione pubblica e alla giustizia americana per la pubblicazione di documenti governativi statunitensi segreti, tramite la sua piattaforma digitale. Nello stesso anno, lo Svezia spiccò un mandato di arresto internazionale nei confronti dell’attivista, che si trovava nel frattempo a Londra, motivato dal presunto compimento di reati sessuali.

Il giornalista australiano ha sempre rigettato le accuse a suo carico, sostenendo di aver intrattenuto esclusivamente rapporti sessuali consenzienti; tali dichiarazioni, però, non sortirono l’effetto sperato e Assange dovette scontare nove giorni di detenzione nel Regno Unito, per poi esser sottoposto al regime di libertà vigilata.

Nel febbraio del 2011, la richiesta di estradizione in Svezia venne accolta dai giudici britannici; l’attivista, spinto dal timore di poter essere estradato non solo in Svezia, ma soprattutto negli U.S.A, dove poteva essere gravemente accusato di spionaggio, si rifugiò presso l’Ambasciata della Repubblica di Ecuador a Londra, ottenendo asilo diplomatico.

A ben vedere, siffatta vicenda ha evidenziato, da un punto di vista del diritto internazionale generale, il comportamento illecito di Quito: la Convenzione di Vienna del 1961, oltre a sancire l’inviolabilità della sede diplomatica come previamente analizzato, dichiara che le stanze della missione non saranno adoperate in maniera incompatibile con le funzioni della missione, quali sono menzionate nella presente Convenzione, in altre regole del diritto internazionale generale o in accordi particolari vigenti tra lo Stato accreditante e lo Stato accreditatario. (art. 41, par.3). Di conseguenza, la condotta dell’Ecuador, nella misura in cui si traduce in un utilizzo abusivo dei locali della missione, costituisce un illecito internazionale ai sensi di quanto disposto dalla Convenzione sulle relazioni diplomatiche.

Allo stesso modo, il Regno Unito non avrebbe potuto reagire a tale illecito violando le norme poste a garanzia dell’inviolabilità della sede diplomatica, in quanto uno Stato che ricorra a contromisure non è esentato dall’adempiere ai propri obblighi come quello di rispettare l’inviolabilità di agenti, locali, archivi e documenti diplomatici o consolari (articolo 50 del Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale dello Stato, Commissione del Diritto internazionale, 2001).

Piuttosto, in ossequio delle norme internazionalistiche, il governo di Londra avrebbe potuto avvalersi delle conseguenze specifiche previste dal diritto diplomatico (che, come sapientemente affermato dal Focarelli, costituisce un self-contained regime, ossia un regime giuridico autosufficiente) in caso di violazioni, ricorrendo, ad esempio, alla dichiarazione di persona non grata, all’espulsione dell’ambasciatore ecuadoregno dal Regno Unito e/o la rottura delle relazioni diplomatiche.

Nel caso di specie, le autorità londinesi, attraverso negoziati, hanno concluso un accordo con il governo di Quito per l’espulsione di Assange dalla sede diplomatica in territorio britannico, giustificando la violazione da parte dell’attivista dei termini del suo asilo.

Cadute le accuse di violenza sessuale da parte degli inquirenti svedesi, il fondatore di Wikileaks venne arrestato nel 2019 da Scotland Yard e, contestualmente, il Dipartimento di Giustizia statunitense dichiarò ben 18 capi di accusa nei confronti di Assange, incluso il tanto temuto spionaggio.

Circa un anno fa, si dette avvio al processo per l’estradizione dell’attivista negli USA, bloccato all’inizio del 2021 dalla decisione della giudice britannica Baraitser, la quale ha riscontrato un peggioramento delle condizioni psicologiche di Assange e l’elevato rischio di suicidio, nel caso in cui fosse sottoposto al carcere duro previsto dall’ordinamento americano. Tuttavia, la giustizia del Regno Unito ha negato il rilascio immediato del giornalista australiano, che rimane attualmente detenuto in un carcere di massima sicurezza (Change the future.it, Chi custodisce il custode? Il caso Assange, 2020).

 

5. Conclusioni

Dalle analisi fin qui condotte e alla luce dei recenti sviluppi della vicenda Assange, è possibile concludere che, nonostante l’asilo diplomatico faccia parte della tradizione latino-americana grazie anche alle norme sancite della Convenzione di Caracas del 1954, non è possibile constatare l’esistenza di una consuetudine regionale a tal riguardo; non bisogna comunque dimenticare che la rilevazione della consuetudine internazionale, sia essa generale che particolare, è un’operazione particolarmente complessa, come si può facilmente dedurre dallo studio della materia in esame.

La concessione dell’asilo diplomatico, non di meno, sembrerebbe contrastare con le prescrizioni stabilite da importanti e avvalorate fonti internazionali in materia di diritto diplomatico, trovando la sua giustificazione giuridica d’esistenza esclusivamente nella Convenzione dell’Organizzazione degli Stati americani in questa sede esaminata.