Le spese militari in Italia

Pubblichiamo un prospetto delle spese militari italiane a cura di Salvatore Liaci e Giacomo Ricciardi, uscito su «Osservatorio CPI»
spese militari
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di Salvatore Liaci e Giacomo Ricciardi

Negli ultimi quarant’anni, la spesa per la difesa in rapporto al Pil non ha subito grandi variazioni.

Dopo essersi ridotta lievemente rispetto agli anni ’80-’90, è tornata a crescere nel biennio 2020-2021 sino all’1,22 per cento del Pil, con parte dell’aumento dovuto alla caduta del Pil e parte dovuto all’aumento della spesa. Nonostante i progressi, al 2021 la composizione della spesa risultava ancora sbilanciata rispetto agli obiettivi fissati nella “riforma Di Paola” del 2012.

Infatti, la percentuale di spesa per il personale è ancora superiore all’obiettivo (così come la quota di sottufficiali), mentre la componente “esercizio” resta sotto-dimensionata.

Relativamente agli impegni assunti con la NATO, la spesa militare su Pil (calcolata secondo i parametri dell’Alleanza) è ancora al di sotto del 2 per cento. Tuttavia, l’Italia rispetta gli impegni legati alla spesa per investimenti e alla partecipazione a missioni internazionali.

Anche nel confronto internazionale, però, spendiamo molto per il personale e poco per l’addestramento.

 

Quanto spende l’Italia per la difesa?

Il Ministero della Difesa fornisce annualmente il bilancio della difesa nel Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa.

Tuttavia, per ottenere la spesa in ambito esclusivamente militare, bisogna (vedi Appendice): (i) sottrarre le spese destinate alla Funzione Sicurezza del Territorio, pertinente all’Arma dei Carabinieri;[1] (ii) aggiungere le spese militari incluse nel bilancio del Ministero dello Sviluppo Economico (es. per programmi ad alto contenuto tecnologico); e (iii) aggiungere quelle inserite nel bilancio del Ministero dell'Economia e delle Finanze che finanziano le missioni internazionali.[2]

 

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La spesa militare in rapporto al Pil non ha subito grandi variazioni nel corso degli ultimi quarant’anni (Fig. 1):

  • Dopo l’aumento all’inizio degli anni ‘80, è tendenzialmente scesa dopo la caduta del muro di Berlino, raggiungendo l’1,09 per cento del Pil nel 1995 (anche per le politiche di contenimento della spesa dopo la crisi valutaria del 1992). Nei due anni dopo, la spesa si è ripresa stabilizzandosi attorno all’1,29 per cento;
  • A partire dal 2002 si registra un nuovo calo, fino al minimo storico quattro anni dopo. Prima della pandemia, il rapporto si è stabilizzato su valori più bassi di quelli dei trent’anni precedenti;
  • L’aumento nel 2020 è dovuto sia all’incremento degli stanziamenti (circa 1,6 miliardi), sia alla caduta del Pil indotta dalla crisi Covid-19. Anche nel 2021 gli stanziamenti sono aumentati di altri 2,2 miliardi rispetto all’anno precedente. A causa dell’aumento delle risorse nel biennio 2020-2021, il rapporto sarebbe cresciuto anche in assenza della caduta del Pil (scenario senza pandemia in Fig. 1).

Nel contesto internazionale, nel 2020 l’Italia si collocava al centoduesimo posto (su 147 paesi considerati) per spesa militare su Pil, sotto tutti i G7 tranne il Giappone, e sotto la mediana UE (1,6 per cento) e NATO (1,8 per cento).[3]

 

Come è evoluta la composizione della spesa

La legge 31 dicembre 2012, n. 244 (cosiddetta “riforma Di Paola”) delegava il Governo a revisionare lo “strumento militare nazionale” con tre obiettivi:[4]

  1. Riequilibrio della composizione della spesa per la “Funzione difesa”: 50 per cento per il personale, 25 per cento per l’investimento militare (es. armamenti, tecnologie, ecc.) e 25 per cento per l’esercizio (es. addestramento e formazione, mantenimento dei mezzi e delle infrastrutture, ecc.).
  2. Riduzione da 176.200 a 150.000 unità del personale militare delle tre Forze armate (Esercito, Marina ed Aeronautica) entro il 2024;
  3. Riduzione del personale civile della difesa a 20.000 unità entro il 2024.

Al fine di attuare la riforma, il Governo ha emanato tre decreti legislativi: d. lgs. nn. 7 e 8 del 2014 e d. lgs. n. 91 del 2016.

A che punto siamo?

Nel 2012 la composizione della spesa era distante dai target fissati: 70 per cento per il personale, 18 per cento per l’investimento e 12 per cento per l’esercizio (Fig. 2). Al 2021, la quota di spesa per il personale è calata al 62 per cento; in aggiunta, le risorse per l’investimento hanno quasi raggiunto il target (24 per cento), ma la spesa per l’esercizio è ancora lontana (14 per cento).[5]

Insomma, armi ci sono, ma non c’è abbastanza addestramento per usarle.

 

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Riguardo al secondo obiettivo, tra il 2012 e il 2021 il personale si è ridotto di 13.600 unità, arrivando a 162.600 (Tav. 1).

Per il 2023 sono previste circa 161.000 unità, rimanendo quindi ben lontani dal target di 150.000 unità fissato dalla legge del 2012. Inoltre, la quota di sottufficiali (marescialli e sergenti) è pari al 37,6 per cento, anch’essa molto lontana da quanto previsto per il 2024 (27 per cento, ossia 18.500 marescialli e 22.170 sergenti).

Come riportato dall’ultimo Documento Programmatico disponibile, tuttavia, si sta valutando la coerenza e l’eventuale differimento temporale dell’obiettivo prefissato alla luce dei nuovi scenari internazionali.

 

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Riguardo al terzo obiettivo, l’organico civile è stato ridotto dalle 30.000 unità del 2012 alle 22.700 del 2021; si è quindi prossimi al raggiungimento completo dell’obiettivo (20.000), previsto per il 2024.[6]

 

La spesa militare italiana in chiave NATO

Così come gli altri membri della NATO, entro il 2024 l’Italia si è impegnata a rispettare i seguenti punti del Defence Investment Pledge (DIP):

  1. Spesa per la difesa rispetto al Pil del 2 per cento;
  2. Componente di investimento militare del 20 per cento (secondo le definizioni NATO, vedi sotto);
  3. Partecipazione alle missioni, operazioni e altre attività di sicurezza internazionale.

Il bilancio previsionale per il 2021, rivisto secondo le definizioni NATO, ammonta a 24,4 miliardi di euro (1,37 per cento del Pil). Rispetto alla definizione di spesa militare usata sopra, tale importo aggiunge la spesa pensionistica del personale militare e civile sostenuta dall’INPS.

Sulla base di queste definizioni, a che punto siamo nel rispettare gli impegni del DIP?

Il primo impegno è lontano dall’essere raggiunto. Mentre paesi come Stati Uniti, Regno Unito e Francia hanno già raggiunto l’obiettivo della spesa su Pil al 2 per cento, l’Italia è ancora molto al di sotto. Mancano circa 16,5 miliardi rispetto al 2021.

Il secondo impegno (20 per cento della spesa in “investimenti”, ossia in armamenti) è stato raggiunto. Utilizzando la definizione NATO (che, come detto, include anche le pensioni sostenute dall’INPS e i fondi aggiuntivi di MISE e MEF) è possibile effettuare un confronto internazionale sulla composizione della spesa, anche se le categorie di spesa sono lievemente diverse da quelle utilizzate precedentemente:

  • “Personale”: stipendi, contributi versati dal datore di lavoro e spesa per pensioni; 
  • “Investimenti”: armamenti (missili, aerei, artiglieria, ecc.) e ricerca e sviluppo destinata ad essi;
  • “Altro”: munizioni, esplosivi, spese per manutenzione, addestramento (assimilabile quindi alla voce “esercizio”);
  • “Infrastrutture”: costruzioni a scopo militare nazionali e comuni.

La quota di spesa impiegata per investimenti è più alta dell’obiettivo (20 per cento) e della mediana NATO.[7]

 

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Nonostante l’obiettivo sulla quota di investimenti sia stato raggiunto, la composizione della spesa resta anomala.

L’Italia è il secondo paese membro per quota di spesa per personale dopo il Portogallo, con percentuali anche maggiori di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania (Tav. 2). Anche nel confronto internazionale, spendiamo molto meno degli altri paesi per addestramento all’uso degli armamenti.

L’impegno relativo al contributo alle missioni internazionali è rispettato grazie alla partecipazione italiana in ben 9 missioni NATO nel 2021.

 

Appendice

Nella Tav. 3 sono presenti le precisazioni metodologiche riguardo la ricostruzione della serie storica relativa alla spesa militare italiana.

 

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«Osservatorio CPI» – articolo a cura di Salvatore Liaci e Giacomo Ricciardi, 11 marzo 2022