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L’imposta di scopo: cosa non ha funzionato?

Imposta di scopo
Imposta di scopo

Indice:

1. Autonomia tributaria degli enti locali e imposta di scopo

2. Legge 27 dicembre 2006, n.296, l’istituzione dell’imposta di scopo

3. Decreto Legislativo 14 marzo 2011, n.23, la modifica dell’imposta di scopo

4. Conclusione sull’imposta di scopo

 

1. Autonomia tributaria degli enti locali e imposta di scopo

Quando si parla di autonomia tributaria degli enti locali e, in particolar modo, dei comuni, non possiamo non soffermarci sull’imposta di scopo che, sin dalla sua introduzione all’interno del nostro ordinamento giuridico, ha portato con sé l’obiettivo di accrescere l’autonomia tributaria degli enti locali. La storia ci dimostra, però, come, nonostante il nobile intento perseguito da parte del legislatore nazionale, gli enti locali ne abbiano fatto un uso davvero limitato. Comprendere la loro timidezza nel servirsene è ciò che si vuole analizzare con il presente lavoro.

Uno studio che non può, ovviamente, non considerare il dettato normativo della legge istitutiva della suddetta imposta e che, allo stesso tempo, focalizzerà l’attenzione sulle modifiche legislative intervenute successivamente alla sua entrata in vigore e caratterizzate dall’intento di accrescerne l’appetibilità per gli enti locali.

Ma a cosa è dovuta realmente questa timidezza dei comuni nel servirsi dell’imposta di scopo? Le successive modifiche legislative hanno spinto gli enti locali a servirsene?

 

2. Legge 27 dicembre 2006, n. 296, l’istituzione dell’imposta di scopo

Da molto tempo si parla di autonomia tributaria degli Enti locali sia a livello nazionale sia a livello comunitario. Gli enti locali stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante a livello comunitario, basti pensare anche all’istituzione del Comitato delle Regioni e alle funzioni demandatele.

Se considerassimo l’importanza data dal legislatore nazionale agli enti locali, potremmo soffermarci sulle numerose modifiche legislative che negli ultimi anni si sono succedute, forse anche in maniera disorganica, soprattutto in ambito tributario. Se tale importanza può essere spiegata riferendoci all’istituzione dei tributi di scopo, con onestà, bisogna, però, anche ammettere che non risulta essere una creazione del legislatore italiano poiché anche in Germania sono presenti delle imposte definite “speciali” in quanto non sono rivolte alla generalità dei contribuenti e istituite per fini specifici.

Non possiamo, in questa breve dissertazione, non partire dalla legge istitutiva, la Legge 27 dicembre 2006, n. 296 che, nell’articolo 1 e, precisamente, dai commi 145 al 151, ci indica i presupposti di questo tributo.

Il testo legislativo predisposto è molto chiaro, in quanto subordina l’istituzione comunale di un’imposta di scopo con regolamento ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, a partire dal primo gennaio 2007, con il preciso intento di coprire parzialmente le spese per la realizzazione di opere pubbliche.

Probabilmente, questa prima sintesi del contenuto normativo potrebbe invogliare i comuni a servirsene ma la legge presenta stringenti limiti per gli enti locali perché, nel comma 145, stabilisce che i comuni possono istituire un’imposta di scopo per la realizzazione di un’opera pubblica che non sia discrezionalmente individuata dal comune, ma che sia una delle opere pubbliche indicate nel regolamento appena citato ai sensi dell’articolo 1 comma 149 della presente Legge.

Possiamo affermare che, in base al dettato normativo, i comuni non godono di libertà totale di scelta dell’opera da realizzare per fruire dell’imposta di scopo e contestuale copertura parziale dell’opera derivante dal gettito fiscale, ma tale libertà risulta essere condizionata dal comma 149.

Tra le opere finanziabili parzialmente rientrano “opere per il trasporto pubblico urbano, opere viarie, con l’esclusione della manutenzione straordinaria ed ordinaria delle opere esistenti, opere particolarmente significative di arredo urbano e di maggior decoro dei luoghi, opere di risistemazione di aree dedicate a parchi e giardini, opere di realizzazione di parcheggi pubblici, opere di restauro, opere di conservazione dei beni artistici e architettonici, opere relative a nuovi spazi per eventi e attività culturali, allestimenti museali e biblioteche, opere di realizzazione e manutenzione straordinaria dell’edilizia scolastica.”.

Come già affermato, in realtà l’opera da costruire risulta finanziabile tramite l’imposta di scopo, soltanto parzialmente, precisamente fino al 30% dell’intero ammontare del costo.

Non è da trascurare quest’ultimo aspetto, in quanto i comuni, in base al primo dettato normativo dato dalla Finanziaria 2007, erano tenuti a ricercare nuovi introiti e finanziamenti, a livello locale o comunitario e in maniera non inferiore al 70% del costo, per far fronte agli impegni economici derivanti dalla realizzazione dell’opera.

Essendo stato dimostrato che su un totale di ottomila comuni soltanto trenta hanno deciso di istituire un’imposta di scopo per far fronte al parziale finanziamento di opere pubbliche, ciò che probabilmente ha spinto i comuni, soprattutto inizialmente, a non servirsi dell’imposta di scopo lo si può desumere dal comma 151, a norma del quale: “Nel caso di mancato inizio dell’opera pubblica entro due anni dalla data prevista dal progetto esecutivo i comuni sono tenuti al rimborso dei versamenti effettuati dai contribuenti entro i due anni successivi”.

Un’ulteriore problematica relativa alla legge istitutiva dell’imposta di scopo, che la dottrina ha evidenziato e che condividiamo, riguarda il metodo di calcolo della suddetta imposta, essendo stabilito che è dovuta per cinque anni e si calcola applicando alla base imponibile dell’imposta comunale sugli immobili un’aliquota nella misura massima dello 0,5 per mille: se l’imposta non è istituita per la generalità dei contribuenti, come dapprima evidenziato, ma soltanto per coloro i quali hanno un immobile nel territorio del comune, con il fine della partecipazione alla spesa per l’opera pubblica da realizzare e di cui andrebbero ad avvantaggiarsi, notiamo una disparità di trattamento tra chi risulta titolare di immobile in territorio comunale e vi vive quotidianamente e chi risulta titolare soltanto di seconda casa in quel dato territorio comunale, non ricevendo alcun beneficio – o comunque un beneficio inferiore – dalla costruzione dell’opera stessa.

Da una prima disamina della presente disposizione normativa possiamo anche comprendere la timidezza degli enti locali di servirsene ma, da un altro angolo di visuale, possiamo comprendere l’inserimento nell’articolo 1 della presente legge del comma 151 precedentemente enunciato, in quanto conferisce un maggior controllo da parte dei contribuenti sull’operato amministrativo degli enti locali e, in particolar modo, delle risorse ad essi conferiti.  

 

3. Decreto Legislativo 14 marzo 2011, n. 23, la modifica dell’imposta di scopo

Data l’iniziale timidezza da parte degli Enti locali di servirsi dell’imposta di scopo per una copertura parziale delle opere pubbliche da realizzare, il legislatore ha deciso di intervenire con l’intento di modificare la trama legislativa istitutiva dell’imposta suddetta con il chiaro intento di incentivare i comuni nel servirsene.

Tra le modifiche apportate, dobbiamo mettere in risalto il Decreto Legislativo 14 marzo 2011, n. 23, che già dal titolo “Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale” suggerisce un chiaro intervento volto ad incrementare l’autonomia tributaria comunale. L’articolo 6 presenta le modifiche che vengono apportate alla previgente disciplina dell’imposta di scopo.

Probabilmente il legislatore nazionale aveva avvertito che il mancato ricorso da parte dei comuni a tale imposta fosse in realtà dovuto, da una parte, alla mancanza di una libertà totale degli enti locali di scelta dell’opera pubblica da realizzare, avendo notato che il comma 149 prevedeva, in modo tassativo, le opere pubbliche da poter finanziare, dall’altra alla possibilità di ricevere dal gettito fiscale, derivante dall’istituzione di un’imposta di scopo, una copertura soltanto parziale, non oltre il 30%, dovendosi l’ente locale impegnare nel ricercare la residua parte del costo totale dell’opera, in misura non inferiore al 70%.

Non è un caso, quindi, che l’intervento legislativo del 2011 conferisce la possibilità agli enti locali di poter “individuare opere pubbliche ulteriori rispetto a quelle indicate nell’articolo 1, comma 149, della citata legge n. 296 del 2006” e, inoltre, “la possibilità che il gettito dell’imposta finanzi l’intero ammontare della spesa per l’opera pubblica da realizzare”. Inoltre, con il Decreto Legislativo viene aumentata la possibile durata dell’imposta da parte del Comune da cinque anni fino a dieci anni.

Ciò su cui vorrei soffermarmi però riguarda la conferma, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, dell’obbligo restitutorio delle somme percepite tramite imposta di scopo se nel termine di due anni dal progetto esecutivo non ha inizio la realizzazione dell’opera pubblica. Probabilmente, è proprio l’obbligo restitutorio che porta i comuni ad essere titubanti nel servirsi di tale imposta.

 

4. Conclusione sull’imposta di scopo

Come già riferito precedentemente, possiamo condividere l’obbligo restitutorio degli enti locali in quanto testimonia una maggiore partecipazione e controllo da parte dei cittadini contribuenti alla vita politica del comune impositore.

Se condividiamo, dal punto di vista teorico, le modifiche relative all’imposta di scopo, il nostro auspicio non può essere che sperare che i comuni si servano di tale forma di autofinanziamento delle proprie opere da realizzare, nel rispetto dei contribuenti e della normativa che a quest’ultimi garantisce poteri di controllo.

Quali saranno i futuri scenari relativi all’imposta di scopo? I comuni assumeranno un atteggiamento diverso nei confronti di tale imposta?

Letture consigliate

Principi e Nozioni di Diritto Tributario, Amatucci, Aprile 2018, l’imposta di scopo

Equilibrio finanziario e prospettive di riforma della finanza locale tra fiscalità di prossimità e neocentralismo, Uricchio Antonio Felice

Legge 27 dicembre 2006, n. 296

Decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23