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I sistemi giuridici italiano e belga rispettano l’articolo 6 della CEDU?

Prospettiva
Ph. Enrico Gusella / Prospettiva

Abstract

Secondo recenti pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, l’Italia e altri Stati devono riformare i loro sistemi giuridici. Per mezzo delle sue pronunce, questa Corte sta cercando di fermare le continue violazioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e, in particolar modo, del suo articolo 6, da parte di alcuni Stati.

In questa breve dissertazione, si cercherà di comparare il rispetto dell’articolo 6 della Convezione medesima da parte dell’Italia e di un altro Stato firmatario, il Belgio.

Ma cosa dice, in realtà, l’articolo 6? Si possono considerare le riforme, messe in atto da parte dell’Italia e del Belgio, in linea con ciò che prescrive l’articolo 6?

Se le riforme non risultano adeguate, di che tipo di riforme giuridiche necessitano entrambi gli Stati?

According to the European Court of Human Rights, Italy and other Countries have to reform their judicial systems. Through its judgements, this Court is trying to stop the repeated breaches of the European Convention of Human Rights and, in particular, of its Article 6, committed by some Countries.

In this discussion, we have to compare the respect of the article 6 of the Convention by Italy and another signatory Country, Belgium.

What does the Article 6 say? Have Italy and Belgium’s reforms been adequated to comply with the Article 6?

If we really need judicial reforms, what kind of judicial reforms do we need?

 

Indice:

1. L’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo

2. Tribunale indipendente e imparziale

3. Cosa significa “ragionevole durata”?

4. Il diritto a un processo equo nel sistema giuridico italiano

5. Il rispetto dell’articolo 6 da parte del sistema giuridico belga

6. La diretta applicazione delle norme della CEDU nei sistemi giuridici italiano e belga

7. Come si può garantire la ragionevole durata del processo?

8. Le riforme dei distretti giudiziari e della corte d’assise

9. Conclusioni

 

1. L’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo

L’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo affronta il tema dell’equo processo, della ragionevole durata, della presunzione di innocenza e delle garanzie processuali dell’imputato in relazione al principio del contraddittorio.

Secondo il testo originale, “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge.

Questo articolo introduce i requisiti minimi che un processo deve rispettare al fine di ottemperare alle prescrizioni enunciate dall’articolo 6. Bisogna focalizzare l’attenzione sui termini “tribunale indipendente e imparziale” e “termine ragionevole del processo” perché, secondo le statuizioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, le ripetute violazioni dell’articolo 6 medesimo, commesse da parte dell’Italia e del Belgio, riguardano questi due principi.

 

2. Tribunale indipendente e imparziale

Un equo processo presuppone un tribunale indipendente e imparziale. I termini “indipendente e imparziale” sono collegati; si riferiscono all’indipendenza del potere giudiziario da tutti gli altri poteri dello Stato.

Il concetto di “tribunale imparziale” implica non solo che il giudice non deve avere alcun interesse particolare nella risoluzione della controversia, ma che il processo deve anche essere risolto sulla base dell’unica legge applicabile da parte del giudice per quel dato caso.

Si deve affermare che il principio di legalità è il collegamento tra l’indipendenza e l’imparzialità del tribunale perché “il giudice è soggetto soltanto alla legge”; in altre parole, la legge applicabile costituisce non solo un limite positivo per il giudice, dato che assicura la sua indipendenza dagli altri poteri dello Stato, ma anche uno negativo, essendo obbligato a decidere quel dato caso sulla base dell’unica legge applicabile.  

 

3. Cosa significa “ragionevole durata”?

Risulta difficile rispondere a questa domanda ma, secondo consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per stabilire se sussiste o meno violazione della ragionevole durata di un processo, sancita dall’articolo 6, è sufficiente esaminare la complessità del caso e la condotta delle parti e del giudice durante il processo medesimo.

Il rispetto della ragionevole durata del processo è un problema che tutti gli Stati devono risolvere, essendo risaputo che trascorrono molti anni tra le fasi iniziali del processo e la statuizione finale emanata dal giudice.

“Giustizia ritardata è giustizia negata”, sancisce un’importante massima. Probabilmente, rendere ragionevole la durata del processo sarà un obiettivo da raggiungere da parte di molti Stati.

 

4. Il diritto a un processo equo nel sistema giuridico italiano

Gli articoli 24, 25, 101 e 111 della Costituzione Italiana e l’articolo 101 del Codice di Procedura Civile riguardano il principio di legalità nel sistema giuridico italiano. Le norme richiamate assicurano a tutti il diritto di accesso ad un tribunale al fine di tutelare i propri diritti civili e, inoltre, la separazione del potere giudiziario da ogni altro potere dello Stato italiano.

Per assicurare l’imparzialità del giudice durante l’esercizio delle sue funzioni pubbliche, il sistema giuridico italiano conferisce ad ogni parte il potere, durante il processo, di ricusare il giudice quando lo stesso presenta un particolare interesse, oppure quando ha il dovere di astenersi dall’emettere una sentenza.

La Costituzione italiana sancisce che i giudici, nell’esercizio delle loro funzioni, devono motivare le sentenze al fine di garantire la loro imparzialità.

 

5. Il rispetto dell’articolo 6 da parte del sistema giuridico belga

La Costituzione belga, come quella italiana, assicura l’indipendenza del potere giudiziario, per mezzo dell’articolo 151, comma 1, e il principio di legalità, sancito dagli articoli 146 e 159.

L’articolo 146 adempie all’articolo 6, comma 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo perché statuisce che un tribunale, al fine di poter esercitare le sue funzioni, deve essere stabilito dalla legge.

Inoltre, l’articolo 159 chiarisce il ruolo della legge, confrontandolo con le altre fonti del diritto, stabilendo che le corti e i tribunali non potranno applicare i decreti e i regolamenti generali, provinciali e locali se non saranno conformi alle leggi.

Al fine di garantire l’imparzialità del giudice, la Costituzione belga e il Codice giudiziario prevedono il rispetto del principio del contraddittorio e della motivazione della sentenza.

Il primo dei due principi è un diritto per le parti e un dovere da rispettare per il giudice.

Come il sistema giuridico italiano, il Codice giudiziario belga prevede, in conformità al suo articolo 774, il dovere del giudice di dar vita ad un contraddittorio tra le parti se decide di emettere sentenza basata su presupposti di fatto o di diritto non sollevati dalle parti.

La sentenza, inoltre, deve contenere, come già affermato, le ragioni su cui si fonda. Si può affermare che l’articolo 149 della Costituzione belga riflette il significato dell’articolo 111 della Costituzione italiana.

Al termine di questo confronto, si può affermare che entrambi gli ordinamenti, quello italiano e quello belga, formalmente rispettano le prescrizioni contenute nell’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

 

6. La diretta applicazione delle norme della CEDU nei sistemi giuridici italiano e belga

In conformità all’articolo 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo, il Belgio ha riconosciuto la diretta applicazione della Convenzione medesima nel suo ordinamento giuridico.

La giurisprudenza italiana, invece, ha riconosciuto la subordinazione gerarchica delle norme della Convenzione alla Costituzione italiana e la loro supremazia sulle norme ordinarie.

Infatti, una violazione dell’articolo 6 da parte di una norma ordinaria viene valutata per mezzo dell’articolo 117 della Costituzione italiana, come sancito dalla sentenza n.349/2007 del 22 ottobre 2007.

 

7. Come si può garantire la ragionevole durata del processo?

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tramite le sue sentenze, ha condannato i due Stati per le continue violazioni del diritto a un equo processo; in particolare, nel Case Fasan and Others vs Italy viene segnalata la violazione da parte del processo italiano del principio della ragionevole durata, essendo intrapresa un’azione legale in primo grado nel 1981 e essendo stata emanata una sentenza di secondo grado soltanto nel 2009.

Al fine di ridurre la lentezza dei tempi del processo, quindi, il Legislatore ha introdotto la mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente sui diritti disponibili, ai sensi del Decreto Legislativo 4 marzo 2010, n. 28, e gli speciali procedimenti, ai sensi della Legge n. 69 del 18 giugno 2009.

Inoltre, è stata emanata non solo la Legge Pinto, che garantisce il diritto di ricevere un’equa riparazione per il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito per l’irragionevole durata del processo ma è stato riformato anche l’articolo 111 della Costituzione per adempiere il rispetto dell’articolo 6 della CEDU.

 

8. Le riforme dei distretti giudiziari e della corte d’assise

Certamente, anche il Parlamento belga ha riformato il suo sistema giuridico al fine di assicurare la ragionevole durata del processo, di semplificare e di esaltare il ruolo del giudice durante il processo, garantendone imparzialità e indipendenza.

Come l’Italia, anche il Belgio ha riscontrato il problema del carico di lavoro delle Corti e ha cercato di risolverlo introducendo il tribunale della famiglia e dei minori e riformando i distretti giudiziari. Queste riforme sono state ispirate dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e, in particolar modo, della Corte di Cassazione belga; quest’ultima, infatti, ha enfatizzato la responsabilità del Parlamento belga per non aver preso in precedenza misure volte al contenimento del carico di lavoro arretrato delle Corti medesime, come sancito nella sentenza del 28 settembre 2006, J.T., 2006, pag. 594.

Pur avendo i Paesi firmatari della Convenzione la libertà di organizzare i loro sistemi giuridici, un’importante decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo assunta nei confronti del Belgio, Taxquet v. Belgium del 16 Novembre 2010, ha ispirato le riforme delle Corti d’Assise; non a caso, nel punto 92 della sentenza appena richiamata, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo afferma che, al fine di adempiere le prescrizioni dell’articolo 6 della CEDU, è necessario valutare la presenza di garanzie sufficienti per evitare qualsiasi rischio di arbitrarietà dei componenti laici della Corte d’Assise e per consentire all’accusato di comprendere le ragioni della sua condanna.

 

9. Conclusione

La dottrina maggioritaria italiana considera queste riforme come ulteriori limiti di accesso alla Corte e, inoltre, che l’equa riparazione sancita dalla Legge Pinto potrebbe essere inadeguata.

In disaccordo, la Corte Costituzionale italiana, nei punti 11, 12 e 13 della sentenza n. 272/2012 del 6 dicembre 2012, ha affermato che la mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale non limita l’accesso alla Corte.

Si potrebbe condividere la tesi esposta dalla dottrina maggioritaria anche perché il procedimento di mediazione non riduce il numero di processi instaurati davanti al giudice.

Probabilmente, a differenza delle riforme italiane, quelle emanate da parte del Legislatore Belga hanno cercato di risolvere finalmente le continue violazioni dell’articolo 6. Come anticipato in precedenza, il Legislatore belga ha apportato delle modifiche relative all’organizzazione dei distretti giudiziari, delle Corti d’Assise e alla riduzione dell’arretrato giudiziario delle Corti.

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