x

x

L’obbligatorietà dell’azione penale

Parigi
Ph. Simona Balestra / Parigi

L’obbligatorietà dell’azione penale: “Non esiste né mai è esistita. Da anni si racconta una favola” parole di un magistrato. L’azione penale è esercitata secondo criteri soggettivi, diversi tra i vari uffici giudiziari, senza l’attribuzione di alcuna responsabilità. I pubblici ministeri non sono suscettibili di alcuna sanzione disciplinare per ritardi o omissioni nelle iscrizioni delle notizie di reato, secondo la giurisprudenza costante della sezione disciplinare del CSM.

 

Il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, contenuto nell’articolo 112 della Costituzione, è un feticcio dietro il quale si nascondono prassi quotidiane di esercizio soggettivo e senza effettivi controlli dell’azione penale.

Per dirla con le parole di un magistrato, l’obbligatorietà dell’azione penale: “Non esiste né mai è esistita. Da anni si racconta una favola che prevede il seguente svolgimento … il magistrato venuto a conoscenza di una notizia di reato deve compiere ogni atto di indagine utile per valutare la fondatezza” per poi chiedere il giudizio nei confronti del presunto autore del reato se la ritiene fondata o l’archiviazione.

Dunque – eccolo il senso di questa favola – non esiste discrezionalità da parte del magistrato … ogni notizia di reato che istruisce non è frutto della sua volontà ma di un procedimento meccanico: io ricevo, dunque agisco. Bene, questa storia è una simpatica barzelletta, un giochino da salotto. La verità è che in ogni ufficio giudiziario ci sono, e non possono non esserci delle scelte prioritarie, anche formalizzate. E il motivo è banale: la macchina della giustizia non riesce ad affrontare milioni di processi. Deve sempre scegliere quali consegnare alla prescrizione e quali no” Piero Tony, Io non posso tacere, Einaudi.

L’affermazione di Piero Tony potrebbe apparire un paradosso ma è, purtroppo, una verità amara sotto gli occhi di tutti ed è fotografata dal dato delle prescrizioni che maturano nella fase delle indagini preliminari.

Secondo gli ultimi dati disponibili il 58% delle notizie di reato si prescrivono nelle silenziose stanze delle procure della Repubblica: Link.

La verità è che in ogni ufficio giudiziario ci sono delle scelte di priorità ed allora perché continuare nel raccontare la favola dell’obbligatorietà dell’azione penale?

L’azione penale è di fatto ampiamente discrezionale ed è lasciata alla “sensibilità” del pubblico ministero. Altrimenti non è spiegabile come si possano prescrivere il 58% delle notizie di reato sui tavoli degli uffici inquirenti.

La tipologia dei reati prescritti nella fase delle “indagini” è variegata e non sono solo reati inerenti all’abusivismo edilizio o in materia ambientale (ci sono un buon numero di furti, ricettazioni, calunnie e truffe) come dettagliatamente elencati nella scheda sopra richiamata.

L’enorme mole di reati prescritti nella fase delle indagini pone l’interrogativo di fondo, se il principio dei nostri Costituenti è di fatto una mera utopia o più prosaicamente una “favola” che è stato aggirato da prassi che sfuggono ad un controllo che “deve investire l’organo della giurisdizione dell’esame del contenuto dell’azione penaleGiovanni Leone pagina 2548 seduta del 27 novembre 1947 Assemblea Costituente.

Nel leggere i lavori preparatori alla Costituzione, in particolare la seduta del 27 novembre del 1947 (Assemblea Costituente 27.11.1947), con gli interventi di Bettiol e Leone si evince che lo scopo primario dell’obbligatorietà dell’azione penale era di contrastare due principi: “quello di discrezionalità, da un lato, per cui il pubblico ministero è arbitro di potere esercitare o non l’azione penale, e il principio di obbligatorietà o di legalità, per cui il pubblico ministero, quando ricorrano i presupposti di fatto e di diritto, deve esercitare l’azione penale stessa” Bettiol, pagina 2547 seduta del 27 novembre 1947 Assemblea Costituente.

In corrispondenza a Giovanni Leone e Giuseppe Bettiol ricordiamo la celebre “Circolare Maddalena” del 10 gennaio 2007 che individuava i “procedimenti inutili” e la più recente circolare Pignatone che indicava le priorità dei procedimenti a Roma.

Possono delle circolari “accantonare” o “congelare” delle notizie di reato in barba al principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale?

La regolazione dell’esercizio concreto del potere dell’azione penale è di esclusiva competenza normativa della legge ordinaria.

Come si può lasciare ad un organo giudiziario, in particolare al pubblico ministero, un potere discrezionale libero di stabilire quali reati vadano perseguiti e quali no?

Dietro la vigenza del feticcio dell’obbligatorietà dell’azione penale, finisce col celarsi quindi di fatto la “favola” richiamata all’inzio del contributo e l’assoluta discrezionalita` con cui ogni ufficio o singolo pubblico ministero decide quali reati perseguire, col risultato pratico di avere un’altrettanto assoluta non uniformita` nell’applicazione della legge sul territorio italiano e rilevanti difficolta` di perseguimento dei reati che per ambito territoriale superano la competenza della singola circoscrizione giudiziaria.

Lasciare all’arbitrio del singolo pubblico ministero quali reati perseguire crea le vistose discrepanze della prescrizione nella fase delle indagini registrate dal Ministero della Giustizia che le indica nel linguaggio asettico:” nella fase prima del giudizio si conferma l’ampia variabilità del fenomeno tra le diverse sedi, senza che si rilevino particolari, o quanto meno sistematiche, coerenze territoriali. Sono presenti, inoltre, forti oscillazioni tra un anno e l’altro anche se da questo punto di vista, l’analisi più corretta sarà quella tra annualità solari intere”.

Quanto è fuori dalle regole costituzionali e ordinarie la fotografia che emerge dagli stessi dati del Ministero della Giustizia?

Il potere giudiziario che di fatto ha assunto compiti di governo della società che non spettano ai magistrati.

Il magistrato che sceglie quali reati perseguire e quali priorità indicare nel quadro delle norme incriminatrici si assume un ruolo e una funzione che travalica e destabilizza il suo statuto giuridico. Come acutamente scrisse Oreste Dominioni: “… diventa soggetto politico, si impone come interprete di dinamiche sociali a cui non è legittimato né attrezzato”.

Il potere di determinare il destino di una persona con l’esercizio o meno dell’azione penale ha creato la situazione attuale ben rappresentata dalla vicenda “Palamara”. La lotta tra le correnti della magistratura e della politica per controllare le nomine è il termometro del potere assunto dalla magistratura inquirente.

L’importanza di influire sulle nomine apicali nelle procure e il potere che hanno assunto i pubblici ministeri nell’ambito dell’ordinamento giudiziario sono il conseguente corollario del libero arbitrio che sostanzialmente godono nell’esercizio dell’azione penale.

Un arbitrio che prosegue indisturbato nonostante i richiami del Ministero di Giustizia che in più circolari ha tentato, fin ora inutilmente, di mettere ordine e uniformità nel delicato campo delle iscrizioni delle notizie di reato. Un altro campo non esente di anomalie e discrepanze e di sostanziale gestione di un potere senza particolari verifiche.

Nella circolare dell’11 novembre 2016 (Link) il Ministero della Giustizia richiama l’attenzione su diverse “criticità”: “Nel contempo, è emersa la necessità di affrontare alcuni aspetti critici dell’attività di iscrizione della notitia criminis e del suo aggiornamento, alcuni dei quali già affrontati in circolari precedenti e sui quali si è tuttavia ritenuto opportuno ritornare per propiziare prassi uniformi di registrazione, nei settori in cui l’analisi statistica rivela maggiori disomogeneità.

Le raccomandazioni formulate a tale riguardo sono improntate al massimo rispetto per l’autonomia e le prerogative processuali dell’autorità giudiziaria connesse all’attività di iscrizione delle notizie di reato; ma sono anche ispirate dall’intento di valorizzare le potestà di direzione e organizzazione assegnate ai dirigenti degli uffici requirenti di primo grado e dei poteri di vigilanza dei procuratori generali presso le corti d’appello e del Procuratore generale presso la Corte di cassazione (art. 6 d. lgs. n. 106 del 2006)”.

Le disomogeneità si concretizzano in dati preoccupanti che registrano prassi difformi tra uffici e tra magistrati degli stessi uffici inquirenti: “Da una recente indagine della Direzione Generale Statistica (Analisi statistica della varianza delle iscrizioni nei registri 21 e 45- Confronto anni 2008-2014) emerge la significativa variabilità dei rapporti percentuali tra le iscrizioni operate dai diversi uffici di procura nel registro delle notizie di reato relative a soggetti identificati (mod. 21) e le iscrizioni operate nel registro degli atti non costituenti notizia di reato (mod. 45).

Il dato nazionale, che misura nel 24% il rapporto tra le iscrizioni nel modello 45 e il numero complessivo delle iscrizioni effettuate, costituisce la media di percentuali assai differenziate su base locale: in alcuni uffici le iscrizioni nel registro degli atti non costituenti notizia di reato rappresentano una percentuale molto ridotta (pochi punti percentuali); in altri esse rappresentano il 40% del totale.

Tra i diversi fattori che possono spiegare il fenomeno, non può escludersi l’incidenza di una certa disomogeneità delle prassi di iscrizione seguite dai diversi uffici e, talvolta, dai diversi magistrati del medesimo distretto”.

Il Ministero è preoccupato dei dati raccolti ed invita gli uffici inquirenti ad essere omogenei nei criteri di iscrizione delle notizie di reato, rispettivamente nei modelli 21 e 45.

Il Ministero è ben consapevole delle possibili criticità e opacità che derivano dalla scelta in mano agli uffici inquirenti.

In via preliminare, non pare superfluo richiamare l’attenzione sulla delicatezza dell’attività di iscrizione delle notizie di reato e sulle sottese esigenze di garanzia dei diritti delle parti private.

Si tratta di atto processuale, pienamente espressivo della funzione giudiziaria, come hanno ritenuto le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione (sentenza n. 21094/2004), sgombrando il campo da una tesi dottrinaria che lo inquadrava, invece, come atto amministrativo impugnabile davanti al giudice amministrativo.

Atto di impulso delle indagini preliminari, l’iscrizione è funzionale al controllo del rispetto dei termini di durata previsti dall’art. 405 c.p.p., la cui violazione trova sanzione processuale nell’inutilizzabilità degli atti compiuti dopo la scadenza (artt. 405 c. 2 e 407 c. 3 c.p.p.); ma anche al controllo della tempestività di alcune forme di esercizio dell’azione penale, quali la richiesta di giudizio immediato (da presentare entro 90 giorni dall’iscrizione) e la richiesta di decreto penale (entro 6 mesi dall’iscrizione).

Gli artt. 335 c.p.p. e 109 artt. c.p.p. affidano, in esclusiva, questo compito al Pubblico ministero che, in quanto titolare del “monopolio della domanda penale” (artt. 50 c.p.p. e 112 Cost.), non può che avere dominio esclusivo sull’adempimento che della domanda rappresenta un po’ la fase embrionale.

Al pubblico ministero non è però conferito un potere discrezionale, quanto piuttosto un obbligo giuridico indilazionabile, che deve essere adempiuto senza soluzione di continuità rispetto al momento in cui sorgono i relativi presupposti e che non comporta possibilità di scelta né in relazione all’an né rispetto al quid e al quando dell’iscrizione. Il pubblico ministero dovrà soltanto riscontrare l’esistenza dei presupposti normativi che impongono l’iscrizione e il suo aggiornamento (Cass., sez. un., n. 40538/2009).

Ricorrono però, nella struttura e nella disciplina dell’atto di iscrizione, elementi di inevitabile fluidità, che rendono lo scrutinio dei suoi presupposti meno meccanica di quanto i predicati di doverosità presenti nella disposizione dell’art. 335 c.p.p. potrebbero, a prima vista, suggerire.

L’iscrizione è atto a struttura complessa, nel quale simbioticamente convivono una componente “oggettiva”, qual è la configurazione di un determinato fatto (“notizia”) come sussumibile nell’ambito di una determinata fattispecie criminosa; e una componente “soggettiva”, rappresentata dal nominativo dell’indagato, dalla cui individuazione soltanto i termini cominciano a decorrere.

Il codice non definisce la “notizia di reato”. L’art. 109 att. c.p.p. poi stabilisce che la segreteria del pubblico ministero annota sugli atti “che possono contenere notizia di reato” la data e l’ora in cui sono pervenuti, e li “sottopone immediatamente” al pubblico ministero “per l’eventuale iscrizione nel registro delle notizie di reato”.

Gli sforzi di perimetrazione della giurisprudenza, coordinando dette disposizioni con le previsioni degli artt. 332 e 347 c.p.p., ritagliano uno spazio intermedio tra l’indefinita ipotesi di reato (il semplice sospetto, insufficiente a giustificare l’iscrizione) e la base fattuale già sufficiente a elevare l’imputazione.

Si richiedono specifici elementi indizianti, ovvero una piattaforma cognitiva che consente l’individuazione degli elementi essenziali di un fatto di reato e l’indicazione di fonti di prova (Cass., sez. un., n. 16/2000).

E’ così individuata, per imporre l’iscrizione, “un’area tutta da perscrutare sul piano contenutistico”, nella quale sono inevitabili margini di variazione, efficacemente esemplificati dalla Corte (Sez. un., n. 40538/2009), con riferimento sia alla componente oggettiva (“è evidente che la configurabilità, anche solo in termini di notizia di reato, di una complessa fattispecie associativa, evoca un “lavorio” definitorio che può comportare spazi temporali non comparabili rispetto a quelli che, invece, consuetamente richiedono fatti ictu oculi sussumibili nell’ambito di una determinata fattispecie di reato”); sia, e ancor più, con riferimento alla componente soggettiva (“al punto che è lo stesso legislatore, stavolta, ad aver espressamente previsto che l’obbligo di iscrizione del relativo nominativo debba avvenire soltanto “dal momento in cui esso risulta”).

La consapevolezza della potenziale complessità dello scrutinio ha condotto la Corte (Sez. un., n. 40538/2009) a escludere la configurabilità di un potere del giudice di verificare la tempestività dell’iscrizione, per farne conseguire effetti sanzionatori di inutilizzabilità degli atti compiuti dopo la scadenza del termine decorrente, anziché dal momento della formale iscrizione, dal momento in cui la notitia criminis avrebbe potuto e dovuto essere annotata, ciò che esalta le prerogative processuali del pubblico ministero a fini di garanzia

In un quadro siffatto deve collocarsi la questione del corretto esercizio dell’opzione tra le iscrizioni da effettuare nel registro degli atti non costituenti notizia di reato (mod. 45) e quelle da effettuare nel registro delle notizie di reato relative a soggetti noti (mod. 21) ovvero ignoti (mod. 44).

Occorre misurarsi con due rischi contrapposti, entrambi suscettibili di ripercussioni sulle garanzie processuali.

Da un lato, un’iscrizione affrettata nel registro delle notizie di reato a carico di noti può comportare immediati pregiudizi, in termini di tranquillità, onorabilità, affidabilità contrattuale delle persone e degli enti interessati. Dall’altro, l’iscrizione nel mod. 45 di un soggetto compiutamente identificato, per fatti già sussumibili in una specifica fattispecie di reato, può atteggiarsi come meccanismo elusivo del controllo giurisdizionale sulle scelte conclusive della fase delle indagini (azione/inazione), posto l’ormai pacifico riconoscimento al pubblico ministero del cd. potere di cestinazione, e cioè del potere di trasmettere direttamente in archivio le annotazioni non contenenti notizie di reato, senza passare per la procedura prevista dagli artt. 408 ss. (Cass., Sez. un., n. 34/2001).

Potere di cestinazione, una espressione densa di significati opachi. Cestinare senza alcuna verifica è questa la sostanza.

Il potere che esercita il pubblico ministero nella scelta da compiere al momento della ricezione di una qualsiasi “notizia”,  si sostanzia nella possibilità concreta e senza appello di eludere il vaglio giurisdizionale sulla valutazione della “notitia criminis” e sull’esito infruttuoso delle indagini, secondo la previsione dell’art. 112 della Costituzione (in forza del quale devono essere rimesse al giudice le determinazioni in merito all’insussistenza delle condizioni richieste dalla legge per l’esercizio dell’azione penale).

Le raccomandazioni delle circolari del Ministero della Giustizia certificano la discrezionalità dell’obbligatorietà dell’azione penale che emerge dallo studio dei dati e delle statistiche pubblicati.

Anche la legge 23 giugno 2017, n. 103, recante "Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario", pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 154 del 4 luglio 2017 non ha inciso in maniera risolutiva sulle problematiche relative alla tempistica e alla scelta di iscrizione della “notizia” nei registri modello 21 e 45 e sull’effettività dell’azione penale senza discrezionalità o prassi distortive.

Le norme sono una dichiarazione di mero auspicio. In sostanza si demanda al procuratore della Repubblica “di assicurare” il corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale, l’osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione delle notizie di reato ed il rispetto delle norme sul giusto processo da parte del suo ufficio. L’inottemperanza alle disposizioni sarebbe suscettibile di procedimento disciplinare ma può essere sufficiente il condizionale per garantire prassi consolidate e reiterate nel tempo?

Alla domanda retorica possiamo con scienza e coscienza rispondere che balenare il rischio di una sanzione disciplinare è un mero auspicio che non si realizza nella realtà della giustizia disciplinare del CSM..

L’esame degli unici dati oggettivi disponibili, cioè quelli desumibili dalla giustizia disciplinare del CSM, attingendo ai massimari compilati annualmente dall’organo di autogoverno ci dicono che non sono mai state comminate sanzioni disciplinari per ritardi o omissioni nelle iscrizioni di reato.

Sulla questione si rimanda all’articolo di Vincenzo Giglio, L’obbligo di iscrizione immediata notizia di reato…. (L’obbligo di iscrizione immediata della notizia di reato, la proposta della Commissione Lattanzi di Vincenzo Giuseppe Giglio).

Si avverte preliminarmente che la ritardata iscrizione è astrattamente inquadrabile come illecito funzionale per violazione del dovere di diligenza (artt. 1 e 2, D. lgs. 109/2006 contenente la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati).

Si avverte ancora che dal massimario delle decisioni assunte nell’anno 2019, cioè il più recente tra quelli disponibili, risulta che le attività connesse all’obbligo di immediata iscrizione sancito dall’art. 335 c.p.p. sono state prese in considerazione a fini disciplinari solo tre volte.

Seguono i riferimenti, le motivazioni e gli esiti:

Ordinanza 47/2019

Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni la condotta del Sostituto Procuratore della Repubblica che abbia omesso di iscrivere nel registro delle notizie di reato il nominativo di una persona sentita a sommarie informazioni, nei cui confronti erano emersi elementi indizianti, laddove tale scelta sia fondata su un’interpretazione giuridica non condivisibile ma non del tutto implausibile o macroscopicamente errata, considerando anche che l’attività interpretativa sottesa all’applicazione dell’art. 335 c.p.p. è estremamente delicata e i margini di opinabilità in materia possono essere in concreto estremamente elevati.

Ord. 56/2019

Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni la condotta del Sostituto Procuratore della Repubblica che svolga un’attività istruttoria approfondita, ma non invasiva, nell’ambito di un procedimento iscritto a mod. 45 e proceda all’iscrizione a mod. 21 della notizia di reato ex art. 323 c.p. e del nominativo della persona a cui questo è attribuito solo a seguito dell’acquisizione dell’ultimo elemento di indagine, allorquando solo all’esito dell’attività istruttoria compiuta emergano elementi sufficienti per l’individuazione del reato di abuso d’ufficio, fattispecie delittuosa complessa e di difficile ricostruzione.

Ord. 82/2019

Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni la condotta del Sostituto Procuratore della Repubblica che abbia omesso di iscrivere nel registro delle notizie di reato il nominativo di una persona compiutamente identificata nella informativa di polizia e indicata in querela quale autore del reato laddove, pur trattandosi di una condotta “giuridicamente discutibile” e non plausibile, l’incolpato, professionalmente inesperto, si sia trovato a gestire una enorme mole di lavoro. Dinanzi a tale evenienze l’illecito deve ritenersi di scarsa rilevanza.

 In sostanza, secondo la Sezione disciplinare del CSM non c’è nulla di male ad omettere l’iscrizione sulla base di un’interpretazione non condivisibile, a compiere indagini approfondite (ma non invasive, ci mancherebbe) senza iscrizione, ad omettere l’iscrizione di una persona compiutamente identificata dalla PG e indicata in querela come autrice del reato.

Giudichino da soli i lettori se decisioni come queste costituiscono oppure no un’adeguata barriera contro comportamenti scorretti.