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L’obbligo di iscrizione immediata della notizia di reato, la proposta della Commissione Lattanzi

...e qualche malumore
Palo Bianco, Donnalucata - Scicli
Ph. Simona Loprete / Palo Bianco, Donnalucata - Scicli

Lo scorso 24 maggio la Commissione di studio nominata dalla Ministra della Giustizia allo scopo di “elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato, attraverso la formulazione di emendamenti al Disegno di legge A.C. 2435, recante Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello”, ha presentato la sua relazione finale.

La Commissione è partita dall’articolato originario del DDL 2435 e vi ha innestato le sue proposte, distinguendole con l’attribuzione dei suffissi bis, ter etc.

Si vuole focalizzare l’attenzione sull’art. 3, rubricato “Indagini preliminari e udienza preliminare”, nella parte in cui è riferito alla procedura, attualmente disciplinata dall’art. 335 c.p.p., per l’iscrizione nell’apposito registro della notizia di reato e del nome della persona cui è attribuito.

La lettera l) del testo originario prevedeva di “precisare i presupposti per l’iscrizione nell’apposito registro della notizia di reato e del nome della persona cui lo stesso è attribuito, in modo da soddisfare le esigenze di garanzia, certezza e uniformità delle iscrizioni”.

La Commissione ha aggiunto tre specificazioni:

l-bis) prevedere che il giudice, su richiesta motivata dell’interessato, accerti la tempestività dell’iscrizione nell’apposito registro della notizia di reato e del nome della persona alla quale lo stesso è attribuito e la retrodati nel caso di ingiustificato ed inequivocabile ritardo; prevedere un termine a pena di inammissibilità per la proposizione della richiesta, a decorrere dalla data in cui l’interessato ha facoltà di prendere visione degli atti che imporrebbero l’anticipazione dell’iscrizione della notizia a suo carico; prevedere che, a pena di inammissibilità dell’istanza, l’interessato che chiede la retrodatazione della iscrizione della notizia di reato abbia l’onere di indicare le ragioni che sorreggono la richiesta;

l-ter) prevedere che il giudice per le indagini preliminari, anche d’ufficio, quando ritiene che il reato è da attribuire a persona individuata, ne ordini l’iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale, se il pubblico ministero ancora non vi ha provveduto;

l-quater) prevedere che la mera iscrizione del nominativo della persona nel registro delle notizie di reato non determini effetti pregiudizievoli sul piano civile e amministrativo.

Ha anche spiegato perché:

La proposta sottolinea l’importanza di definire dei parametri, attraverso il decreto delegato, per delineare i profili che impongono l’iscrizione della notizia di reato nel registro, facendo decorrere il termine di durata massima delle indagini. La prospettiva generale è quella di introdurre forme di controllo, intrinseco ed estrinseco, sulla gestione dei tempi delle indagini, al fine di permettere alla difesa una efficace interazione.

L’operazione si basa sulla presa d’atto della particolare delicatezza di un passaggio troppo spesso considerato un mero atto dovuto e sul rischio che si proceda a un’iscrizione esclusivamente formale di fatti, ma soprattutto di soggetti – coinvolti, ad esempio, in organismi ed équipe di lavoro – la cui posizione sia quasi certamente estranea a profili di responsabilità penale. Per un verso, infatti, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo fa discendere le garanzie dell’art. 6 CEDU dalla ‘soggettivizzazione’ dell’indagine, quando questa si polarizzi, da un quadro ad ampio raggio, su specifici soggetti; per altro verso, gli effetti negativi indiretti, correlati all’iscrizione, possono costituire grave nocumento per soggetti comunque destinati a fuoriuscire presto dal quadro investigativo (peraltro, per mitigare tale effetto, si prevede altresì che il legislatore delegato riveda, rimuovendole, le ipotesi normative in cui dalla mera iscrizione nel registro delle notizia di reato discenda un effetto pregiudizievole per l’interessato). Si propone pertanto di introdurre una definizione di notizia di reato e di precisare i presupposti per l’iscrizione, tanto di natura oggettiva, quanto soggettiva, come del resto già sottolineato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (cfr. in particolare Cass., sez. un., 21.6.2000, n. 16, Tammaro), la quale richiede “specifici elementi indizianti” e non “meri sospetti” per l’iscrizione a modello 44. Al contempo, però, l’aggancio dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato ad una solida base fattuale e soggettiva non deve prestarsi ad operazioni di ingiustificato ritardo nell’attivazione delle garanzie riconosciute alla persona sottoposta alle indagini. Sempre nel senso di un controllo oggettivo sulla gestione della notizia di reato si inseriscono le previsioni, rispettivamente, di un meccanismo di controllo giurisdizionale, attivabile anche dalla difesa, sull’effettiva datazione dell’iscrizione della notizia di reato, cui può conseguire la retrodatazione dell’inizio del periodo investigativo, con correlata inutilizzabilità degli atti compiuti dopo la scadenza del termine e il potere del giudice per le indagini preliminari di imporre al pubblico ministero l’iscrizione del nome della persona cui le indagini sono riferite, laddove l’inquirente non vi abbia provveduto”.

Questa proposta non è piaciuta a Nello Rossi, al punto da indurlo a scrivere su Questione Giustizia di cui è direttore un articolo critico[1] la cui tesi di fondo è che essa “introdurrebbe un elemento di permanente incertezza e di squilibrio soprattutto nei procedimenti penali più complessi per la natura dei reati, la complessità delle indagini ed il numero degli indagati”.

Il cahier de doléances è assai lungo.

Rossi contesta in partenza un peccato d’omissione, non avendo la Commissione né definito la notizia di reato né precisato i presupposti per la sua iscrizione, peccato aggravato dalla codardia perché, se ci avesse provato, avrebbe dovuto “misurarsi a fondo con il fascio di problemi propri delle iscrizioni e dei loro tempi e apprezzare la fluidità e le incertezze che accompagnano – inevitabilmente – le valutazioni e le determinazioni del pubblico ministero”. 

La critica essenziale sta però altrove e Rossi sente il bisogno di sottolinearla con un apposito paragrafo che ricalca il titolo dello scritto.

Che succederà – si chiede l’Autore – se la riforma passerà?

Beh, è chiaro. All’affacciarsi di un nuovo procedimento ogni PM avrà ben presente che “le sue eventuali valutazioni discrezionali sui tempi più corretti per effettuare le iscrizioni e i suoi riflessivi indugi potranno essere (e di fatto saranno molto spesso) sottoposti ad un controllo del giudice, dagli esiti incerti e difficili da prevedere. E poiché nella fase iniziale delle indagini l’organo inquirente ignora ancora quale potrà essere la complessità e la durata delle investigazioni sarà indotto, per non dire costretto, a iscrivere “tutto e subito” per scongiurare l’esito catastrofico della parziale inutilizzabilità dei risultati investigativi acquisiti […] A contatto con la realtà effettuale delle indagini più rilevanti, non di rado incandescenti e magmatiche, il nuovo congegno processuale rischia di produrre effetti opposti a quelli desiderati, dissuadendo il pubblico ministero dalle più meditate valutazioni sulle iscrizioni che a parole tutti dicono di preferire”.

Come se non bastasse: si istituisce l’ennesimo procedimento incidentale sul tronco del processo penale e si rallenta un processo già lento di suo; non si pensa alla “possibilità che vi siano richieste plurime e di segno discordante in ordine alla nuova datazione sia da parte degli stessi imputati (che potrebbero avere interessi divergenti in merito) sia delle parti civili e dei responsabili civili”; si sottovalutano le esigenze dei procedimenti in progress “che rischierebbero di essere amputati da possibili letture formalistiche dell’iscrizione della notizia di reato”; si affida al giudice una decisione difficile la cui correttezza dipende dalla sua capacità di compiere una valutazione ex ante, “ricollocandosi idealmente nella posizione nella quale si trovava l’organo inquirente al momento delle sue scelte in materia di iscrizioni”, difficolta alla quale i PM sarebbero costretti a reagire con iscrizioni “pressoché immediate ed automatiche”.

Rossi conclude con una parte propositiva. Nella sua opinione, l’unico modo per ovviare allo sfacelo che inevitabilmente si creerebbe se la riforma passasse, è che “il punto di approdo della giurisprudenza di legittimità in materia di iscrizioni debba essere tenuto fermo: il pubblico ministero deve essere chiamato a rispondere in sede disciplinare e/o penale di eventuali abusi compiuti nel ritardare arbitrariamente un’iscrizione inequivocabilmente dovuta o nel compiere, prima dell’iscrizione, significativi atti di indagine che perciò solo saranno arbitrari e inutilizzabili. Ma se davvero si vogliono superare le cattive prassi delle iscrizioni frettolose e indiscriminate (in sostanza dell’iscrivere “tutto e tutti”, sempre e comunque) occorrerà lasciare all’organo inquirente uno spazio temporale e mentale di ricognizione, di analisi, di riflessione, di ponderazione, di selezione. Uno spazio che il procedimento incidentale in discussione avrà l’effetto di comprimere o di annullare per via dei ragionevoli timori suscitati dal congegno della retrodatazione e della inutilizzabilità”. 

Una costernata preoccupazione, non c’è che dire, che in un solo colpo colloca Rossi in conflitto sia col pensiero di cui è espressione il DDL 2435 (concepito dal precedente Guardasigilli Bonafede cui certo non si possono attribuire tentazioni lassiste) sia con l’opinione della Commissione (nella quale non si trovano tracce di pericolosi estremismi o di atteggiamenti di ostilità pregiudiziale verso la magistratura inquirente).

Serve adesso ricordare cosa dice la giurisprudenza di legittimità riguardo al tema in discussione.

Il messaggio è chiaro e arriva direttamente dalle Sezioni unite penali.

La sentenza 16/2000 chiarì che “L’iscrizione dell’indagato nel relativo registro è attività non sindacabile e l’omessa annotazione della “notitia criminis” nel registro previsto dall’art. 335, con l’indicazione del nome della persona raggiunta da indizi di colpevolezza e sottoposta ad indagini “contestualmente ovvero dal momento in cui esso risulta”, non determina l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti sino al momento dell’effettiva iscrizione nel registro, poiché, in tal caso, il termine di durata massima delle indagini preliminari, previsto dall’art. 407, al cui scadere consegue l’inutilizzabilità degli atti di indagine successivi, decorre per l’indagato dalla data in cui il nome è effettivamente iscritto nel registro generale delle notizie di reato, e non dalla presunta data nella quale il PM avrebbe dovuto iscriverla. L’apprezzamento della tempestività dell’iscrizione, il cui obbligo nasce solo ove a carico di una persona emerga l’esistenza di specifici elementi indizianti e non di meri sospetti, rientra nell’esclusiva valutazione discrezionale del PM ed è sottratto, in ordine all’“an” e al “quando”, al sindacato del giudice”.

Concetti sovrapponibili si devono alla sentenza 40538/2009 secondo la quale “Il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il PM ha iscritto nel registro generale delle notizie di reato il nome della persona cui il reato è attribuitosenza che al giudice sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall’art. 407, comma 3, c.p.p., fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del PM che abbia ritardato l’iscrizione.

È stata anche tentata la strada dell’eccezione di incostituzionalità degli artt. 335 e 407, commi 2 e 3, c.p.p., per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost.

La risposta di Cass. Pen., Sez. VI, 2261/2010, è stata che "pur essendo stata rimarcata la totale mancanza di discrezionalità del P.M. nell'apprezzamento, sotto il profilo oggettivo e quello soggettivo, della notizia di reato e del nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito, notizia e nome che vanno immediatamente iscritti nell'apposito registro - si è sottolineato che, per rimediare a possibili "patologie" derivanti da ritardi del pubblico ministero rispetto all'obbligo di procedere immediatamente alle iscrizioni delle notizie di reato, sarebbe necessaria l'individuazione "di un giudice e di un procedimento che consentisse l'adozione di un qualche provvedimento surrogatorio", che possono essere previsti soltanto per legge, risultando indispensabile sia la precisa indicazione di attribuzioni processuali di tale giudice, sia una disciplina del "rito secondo il quale inscenare un simile accertamento incidentale. Basti pensare, ad esempio, all'esigenza di rispettare il contraddittorio, non solo tra i soggetti necessari, ma anche in riferimento agli altri eventuali partecipanti della indagine o del processo. Se s'introducesse, infatti, un controllo ex post sul merito della tempestività delle iscrizioni, con possibilità di retrodatazione tale da compromettere l'utilizzazione di atti d'indagine, il relativo ius ad loquendum non potrebbe non essere riconosciuto anche agli eventuali altri indagati o persone offese, che dalla postuma dichiarazione d'inutilizzabilità di atti d'indagine potrebbero soffrire una grave compromissione, ove quegli atti fossero favorevoli alla loro posizione". Né un siffatto rimedio può essere individuato dalla Corte costituzionale, in mancanza di soluzioni procedimentali costituzionalmente obbligate, cosicché il prospettato incidente di costituzionalità si appalesa manifestamente infondato, essendo destinato a una declaratoria di manifesta inammissibilità da parte del giudice delle leggi, essendo invece compito, ormai indilazionabile, del legislatore intervenire con "un innesto normativo per portare a soluzione i problemi, da tempo avvertiti, che scaturiscono dall'assenza di effettivi rimedi per le ipotesi di ritardi nell'iscrizione nel registro delle notizie di reato". Pertanto, il motivo proposto dalla difesa del ricorrente è inammissibile per difetto di rilevanza della questione di costituzionalità proposta; si deve ribadire che spetta al Parlamento la scelta di prevedere sanzioni per l'inosservanza di una norma processuale ed è quindi assoggettata al giudizio di legittimità costituzionale solo a fronte di scelte palesemente arbitrarie del legislatore che, per la loro manifesta irragionevolezza, evidenzino un uso distorto della discrezionalità a esso spettante”.

Del resto su questioni connesse si era già pronunciata la stessa Corte costituzionale.

Lo fece in particolare con l’ordinanza 306/2005 con cui dichiarò la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 335, comma 1, 405, comma 2, e 191 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, comma 2, e 111, commi 1, 2 e 3, Cost. poiché il giudice rimettente aveva omesso di svolgere qualsiasi considerazione in ordine alle ragioni per le quali, alla luce del dato normativo, non risultasse possibile una diversa ricostruzione ermeneutica delle disposizioni impugnate, tale da sottrarre le stesse al contrasto ipotizzato con i parametri invocati.

La Corte aggiunse che “il giudice – quanto meno in assenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, nella specie non ravvisabile, stante la presenza di indicazioni interpretative fra loro difformi, evocate dalla difesa della parte privata, sia in ordine alla concreta sindacabilità del dies a quo, dal quale far decorrere il termine di durata delle indagini preliminari; sia in ordine ai riflessi suscettibili di derivarne, quanto all’inutilizzabilità degli atti di indagine – ha il dovere di ricercare e di seguire l’interpretazione da lui ritenuta più adeguata ai principi costituzionali: configurandosi, altrimenti, la questione di costituzionalità quale improprio strumento volto ad ottenere l’avallo della Corte a favore di una determinata interpretazione della norma”.

In sintesi: chiusura interpretativa da un lato, improduttività dall’altro della chiamata in causa della Consulta dall’altro a fronte del mancato assolvimento del dovere del giudice di cercare soluzioni più adeguate ai principi costituzionali e comunque, verosimilmente, dell’impossibilità per il giudice delle leggi di dar vita a una pronuncia additiva a fronte di più soluzioni astrattamente applicabili.

In mezzo, il riconoscimento, pur timido, di “problemi da tempo avvertiti”.

Esposta la cornice giurisprudenziale e tornando alla querelle innescata dal direttore di Questione Giustizia, si coglie un aspetto che accomuna l’accusatore e gli accusati: le rispettive opinioni sono espresse di per se stesse e non sono accompagnate da dati che consentano di comprendere l’esistente, inteso come ciò che succede attorno all’obbligo immediato di iscrizione delle notizie di reato e delle persone cui il reato è attribuito.

Eppure, la loro utilità è palese: come è stato rimarcato dalla Corte Suprema, le uniche reazioni istituzionali possibili nei confronti del magistrato del pubblico ministero che ritardi indebitamente l’iscrizione nel registro delle notizie di reato sono quelle penali o disciplinari.

Nel tentativo di rimediare a questa lacuna e in assenza di evidenze sull’uso dello strumento penale, si menzionano gli unici dati oggettivi disponibili, cioè quelli desumibili dalla giustizia disciplinare del CSM, attingendo ai massimari compilati annualmente dall’organo di autogoverno.

Si avverte preliminarmente che la ritardata iscrizione è astrattamente inquadrabile come illecito funzionale per violazione del dovere di diligenza (artt. 1 e 2, D. lgs. 109/2006 contenente la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati).

Si avverte ancora che dal massimario delle decisioni assunte nell’anno 2019, cioè il più recente tra quelli disponibili, risulta che le attività connesse all’obbligo di immediata iscrizione sancito dall’art. 335 c.p.p. sono state prese in considerazione a fini disciplinari solo tre volte.

Seguono i riferimenti, le motivazioni e gli esiti:

 

Ordinanza 47/2019

Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni la condotta del Sostituto Procuratore della Repubblica che abbia omesso di iscrivere nel registro delle notizie di reato il nominativo di una persona sentita a sommarie informazioni, nei cui confronti erano emersi elementi indizianti, laddove tale scelta sia fondata su un’interpretazione giuridica non condivisibile ma non del tutto implausibile o macroscopicamente errata, considerando anche che l’attività interpretativa sottesa all’applicazione dell’art. 335 c.p.p. è estremamente delicata e i margini di opinabilità in materia possono essere in concreto estremamente elevati.

 

Ord. 56/2019

Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni la condotta del Sostituto Procuratore della Repubblica che svolga un’attività istruttoria approfondita, ma non invasiva, nell’ambito di un procedimento iscritto a mod. 45 e proceda all’iscrizione a mod. 21 della notizia di reato ex art. 323 c.p. e del nominativo della persona a cui questo è attribuito solo a seguito dell’acquisizione dell’ultimo elemento di indagine, allorquando solo all’esito dell’attività istruttoria compiuta emergano elementi sufficienti per l’individuazione del reato di abuso d’ufficio, fattispecie delittuosa complessa e di difficile ricostruzione.

 

Ord. 82/2019

Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni la condotta del Sostituto Procuratore della Repubblica che abbia omesso di iscrivere nel registro delle notizie di reato il nominativo di una persona compiutamente identificata nella informativa di polizia e indicata in querela quale autore del reato laddove, pur trattandosi di una condotta “giuridicamente discutibile” e implausibile, l’incolpato, professionalmente inesperto, si sia trovato a gestire una enorme mole di lavoro. Dinanzi a tale evenienze l’illecito deve ritenersi di scarsa rilevanza.

 

In sostanza, secondo la Sezione disciplinare del CSM non c’è nulla di male ad omettere l’iscrizione sulla base di un’interpretazione non condivisibile, a compiere indagini approfondite (ma non invasive, ci mancherebbe) senza iscrizione, ad omettere l’iscrizione di una persona compiutamente identificata dalla PG e indicata in querela come autrice del reato.

Giudichino da soli i lettori se decisioni come queste costituiscono oppure no un’adeguata barriera contro comportamenti scorretti.

E giudichino anche se sia giusta o sbagliata la proposta della Commissione Lattanzi, se sia un bene o un male sottoporre al controllo del giudice un potere fin qui incontrollato e incontrollabile i cui effetti si riverberano direttamente sul termine di decorrenza delle indagini.

 

[1] N. Rossi, Iscrivere tempestivamente le notizie di reato. Il pm in bilico tra precetti virtuosi e potenti remore?, in Questione Giustizia, 18 giugno 2021. Il testo è consultabile a questo link.