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Udienza predibattimentale: osservazioni critiche ricostruttive

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Udienza predibattimentale: osservazioni critiche ricostruttive

Sommario

1. Udienza predibattimentale e udienza preliminare: una distinzione non semplice
2. Alcune analisi critiche sulla disciplina positiva
2.1 La dichiarazione di apertura del dibattimento è il limite per porre le questioni preliminari?
2.2 Nell’udienza predibattimentale, si possono solo sollevare questioni relative all’invalidità dell’imputazione oppure si può sindacare nel merito la fondatezza dell’accusa anche nel caso si avanzino istanze di definizione alternativa?    3
2.3 Nell’udienza predibattimentale, si possono sentire le parti?
2.4 Che cosa significa “ragionevole previsione di condanna”?
2.5 Sulla revoca della sentenza di NLP emessa in sede predibattimentale
3. Su alcuni dubbi inconsistenti
4. Osservazioni conclusive e de iure condendo

 

1. Udienza predibattimentale e udienza preliminare: una distinzione non semplice

Tra le principali innovazioni (qualcuno direbbe: “rivoluzioni”) introdotte dalla c.d. “Riforma Cartabia”, un ruolo preminente, almeno sotto il profilo processuale, è assunto dalla nuova udienza predibattimentale avanti al Tribunale in composizione monocratica.

Sinteticamente concepito, il procedimento in questione, fino alla fase – appunto – “predibattimentale” può essere così sinteticamente descritto ed indicato:

  1. predisposizione ed emissione della citazione diretta da parte del PM con fissazione della data dell’udienza predibattimentale;
  2. notifica all’imputato, al difensore ed alla persona offesa della citazione diretta;
  3. formazione fascicolo dibattimento e invio atti indagini al giudice dell’udienza predibattimentale da parte del PM;
  4. quindi, svolgimento dell’udienza predibattimentale in camera di consiglio, dove nella sostanza si procede:
  • all’accertamento della costituzione parti;
  • alle decisioni su questioni preliminari (art. 491 cpp) oltre alla verifica di una possibile remissione querela nonché alla decisione su questioni nullità imputazione;
  • alla verifica della correttezza dell’imputazione contestata dal PM con eventuale contestazione supplettiva;
  • richiesta e definizione del procedimento mediante riti alternativi, MAP od oblazione nonché a sostituire la pena detentiva mediante pena sostitutiva;
  • quindi, a decidere sulle conclusioni delle parti in merito al proseguimento del giudizio: sentenza di non doversi procedere (NPD) oppure fissazione udienza dibattimentale.

L’attenzione del presente contributo si concentrerà naturalmente per lo più in merito alle problematiche inerenti alla vera e propria fase “pre-dibattimentale”; se non che è il caso di evidenziare che in ogni caso, con l’udienza in questione rimane intatta l’idea che si è ormai a “giudizio”, sicché – salvo i casi connessi alla verifica della corretta contestazione dell’imputazione o di eventuali nullità – di per sé non è prevista alcuna possibilità di una “regressione” alla fase delle indagini preliminari.

Questa è una prima differenza non di poco conto con l’udienza preliminare. E ciò perché la finalità delle due udienze in questione è ontologicamente diversa, benché affine: nell’udienza preliminare, si verifica la necessità del giudizio (e del dibattimento) anche sulla scorta di una verifica della completezza delle indagini compiute dall’accusa; nell’udienza preliminare, si verifica la necessità del dibattimento essenzialmente in ragione della correttezza (formale e sostanziale) dell’accusa mossa.

Certamente tanto in un caso, quanto nell’altro, il giudice si esprimerà su una “ragionevole previsione di condanna”, ma è solo nell’udienza preliminare che il giudice può in qualche modo supplire a carenze investigative o a lacune oppure vagliare “prove decisive difensive”, evidentemente non acquisite agli atti.

Ma perché di questa distinzione apparentemente cavillosa? Essenzialmente per la maggiore gravità e complessità dei reati contestati per i quali è prevista l’udienza preliminare e per i quali l’obbligo di esercizio dell’azione penale risulta essere particolarmente stringente così come la necessità di tutela degli interessi sottostanti alla repressione penale.

Ciò può sembrare un elemento a prima vista secondario, quasi ovvio, ma – così almeno si crede – non del tutto marginale specie per comprendere le differenze “sostanziali” rispetto al prototipo – sicuramente preso in considerazione per delineare l’udienza in questione – fornito dall’udienza preliminare.

Basti in proposito semplicemente osservare che, diversamente dall’udienza preliminare, non vi è – nell’udienza predibattimentale – alcuna possibilità per il giudice di procedere:

  • ad una integrazione d’indagine prima della decisione;
  • a rilasciare autorizzazione a nuove indagini;
  • all’interrogatorio dell’imputato;
  • all’assunzione di prove.

Quanto sopra, poi, spiega perché non sia prevista per l’accusa:

  • un’attività integrativa d’indagine;
  • una riapertura delle indagini per l’acquisizione di nuovi elementi di prova;
  • alcuna possibilità di definire il procedimento con una archiviazione (derivante a seguito dell’espletamento di nuove indagini aperte).

Una ulteriore differenza (non di poco conto sul piano pratico) tra l’udienza preliminare e l’udienza predibattimentale risulta evidente nel considerare (almeno nel testo vigente) i termini entro i quali si possono avanzare richieste di definizione “alternativa”, soprattutto mediante abbreviato o applicazione pena su richiesta delle parti.

Nell’udienza preliminare, i procedimenti speciali in questione possono essere chiesti solo prima che le parti avanzino le loro conclusioni in merito al rinvio a giudizio; nell’udienza predibattimentale, non pare che si possa escludere che gli stessi vengano avanzati “contestualmente” alle conclusioni, posto che il termine di decadenza è fissato “fino alla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere” (di seguito “NLP”).

A tal proposito, non può non segnalarsi una certa ambiguità del legislatore, poiché è ben possibile che non venga emessa sentenza di NLP, potendo essere emesso provvedimento che fissa l’udienza dibattimentale: si potrebbe pensare che in questo caso non vi sarebbe alcun termine di decadenza, ma evidentemente ciò sarebbe “pretendere troppo”, almeno de iure condito, anche se un chiarimento legislativo in merito sarebbe opportuno.

Per quanto riguarda, invece, la messa alla prova (MAP) è indicato che la stessa possa essere richiesta “fino alla conclusione dell’udienza predibattimentale” (art. 464bis comma 2 cpp) oppure prima dell’emissione della sentenza di NLP: vi è un’evidente dissonanza, figlia dei tempi legislativi contemporanei, nei quali “pare” conti solamente l’intenzione inespressa del legislatore, essendo il linguaggio legislativo privo di effettivo valore o di particolare importanza, con buona pace del principio millenario secondo cui bisogna innanzi tutto attribuire alle parole il loro significato secondo il loro senso “ordinario”.

Inoltre, non può non destare qualche perplessità la disciplina nel caso in cui la Corte d’appello (ove venga impugnata la sentenza di NLP) non confermi la sentenza e proceda a fissare udienza dibattimentale: qui nulla si dice sulla possibilità di avanzare (come per il caso di revoca della sentenza di NLP emessa in sede predibattimentale) le richieste sui giudizi speciali, MAP oblazione od altro prima dell’apertura del dibattimento.

Questa impostazione ha un senso nell’udienza preliminare, laddove il termine di decadenza per le definizioni alternative matura prima della formulazione delle conclusioni delle parti; nell’udienza predibattimentale, invece, è ben possibile che vi sia una sovrapposizione di richieste tempestivamente avanzate ma non vagliate.

Verosimilmente si potranno (anche sulla scorta degli insegnamenti della Consulta) recuperare nel dibattimento le richieste relative alle definizioni alternative (dovendosi considerare come “ingiustamente” respinte): ma questa è solo una possibilità e non è data alle parti alcuna facoltà a priori di definire anticipatamente il dibattimento; il che in una prospettiva deflattiva non può che destare – come accennato - qualche perplessità.

Ma ciò detto ritengo sia il caso di analizzare alcuni aspetti “pratici” della disciplina.

 

2. Alcune analisi critiche sulla disciplina positiva


2.1 La dichiarazione di apertura del dibattimento è il limite per porre le questioni preliminari?


No, si decade se non vengono proposte immediatamente dopo la verifica della costituzione delle parti.

Come ben segnalato anche dal Massimario della Corte di cassazione, il terzo comma dell’art. 554-bis cpp conferma la rigidità di tale scansione, stabilendo in termini inequivoci che le questioni aventi natura preliminare sono precluse se non proposte subito dopo compiuto – per la prima volta – l’accertamento della costituzione delle parti in giudizio e non possono essere riproposte in sede dibattimentale

Ciò implica che il termine preclusivo non possa essere superato neanche se i presupposti per proporre la questione siano emersi in momento successivo salvo che per le questioni contemplate dal secondo comma dell’art. 491 cpp, le quali possono essere sollevate anche nel corso del dibattimento, quando solo in questa fase sia sorta la possibilità di proporle.

Tali questioni vanno decise all’esito di una discussione contenuta nei limiti di tempo strettamente necessari alla loro illustrazione, con unica ordinanza motivata che non è autonomamente impugnabile, ma può essere censurata unitamente alla sentenza conclusiva del grado di giudizio, come tutte le ordinanze che intervengano nel corso del giudizio, ai sensi dell’art. 586 cpp.
 

2.2 Nell’udienza predibattimentale, si possono solo sollevare questioni relative all’invalidità dell’imputazione oppure si può sindacare nel merito la fondatezza dell’accusa anche nel caso si avanzino istanze di definizione alternativa?
 

Nessun dubbio che si possa eccepire la nullità di ordine generale a tutela del diritto di difesa sulla completezza, definizione e qualificazione del fatto.

Tuttavia, è ben possibile “contestare” sia la corrispondenza dell’imputazione con quanto emerge dagli atti d’indagine ed alle fattispecie legale invocata, sia per vagliarne la “fondatezza” nei termini di una ragionevole prognosi di condanna.

Si tratta, quindi, dell’introduzione di uno strumento estremamente efficace contro indagini “sommarie” o comunque a contestazioni “sovradimensionate” rispetto agli atti di causa: questo sarà indubbiamente un terreno di confronto notevole, in quanto detta disciplina permetterà, se sapientemente utilizzata, di costituire un reale freno ad imputazioni “azzardate” o “mal formulate” o “capziosamente formulate” in termini di fatto e/o diritto.

Occorre peraltro osservare che tale compito pare essere affidato d’ufficio al giudice. Sicché si pone una questione non di poco conto e precisamente se il giudice possa limitarsi a ratificare le richieste delle parti in tema di riti alternativi oppure debba in effetti innanzi tutto considerare la correttezza e completezza dell’imputazione. Si crede debba propendersi per quest’ultima soluzione, atteso che il giudice deve procedere d’ufficio in merito (art. 554bis comma 6 cpp).

Da qui la conclusione (perfettamente compatibile con la struttura dell’udienza predibattimentale e con il dato normativo) che si possano avanzare richieste da parte dell’imputato in via principale ed in via subordinata, in quest’ultimo caso chiedendo la definizione secondo modalità alternative al dibattimento. Del resto, la fissazione dell’udienza dibattimentale può essere disposta solo se non sussistono le condizioni per pronunciare la sentenza di NLP e non vi sono richieste di definizione alternativa (art. 554ter comma 3 cpp).
 

2.3 Nell’udienza predibattimentale, si possono sentire le parti?

Certamente vi è la possibilità di sentire le parti prima della decisione: trattandosi di udienza che richiede la presenza necessaria del PM e del difensore non vi è dubbio che queste abbiano possibilità di interloquire sulla res iudicanda così come gli altri soggetti che hanno diritto di partecipare all’udienza. Tuttavia, come accennato, non vi è possibilità per un “interrogatorio” in senso stretto o per un esame delle parti.
 

2.4 Che cosa significa “ragionevole previsione di condanna”?

Sul punto si è già molto scritto e i criteri offerti – in verità – non appaiono del tutto chiari.

Sicuramente, così come in precedenza disposto per la sentenza di NLP in sede di udienza preliminare, quando gli elementi acquisti sono contraddittori, insufficienti o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio, la sentenza di NLP può essere emessa.

Nella formulazione in questione, tuttavia, il riferimento è alla “condanna”: il che significa che il giudice potrà emettere la sentenza di NLP quando riterrà, appunto, che non vi è ragionevole previsione di condanna sulla base degli atti messi a sua disposizione.

Concretamente ciò non significa (visto l’intento deflattivo) che il dibattimento possa essere disposto nei casi di “dubbio” sulla colpevolezza, ma più propriamente solo quando sulla base degli elementi potrà essere emessa una “condanna al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Si tratta ovviamente di un giudizio discrezionale e dotato di margini sostanziali di insindacabilità, ma chiaro nella sua funzione, specie per i casi di “dubbi sulla colpevolezza”, poiché “in dubio pro reo”.

In questi ultimi casi (cioè nei casi in cui vi è dubbio), legittimamente il giudice potrà emettere sentenza di NLP: la possibilità di superare lacune e/o di chiarire alcuni punti “accusatori” in dibattimento di per sé non dovrebbe impedire l’emissione di tale sentenza, che è fondata – stando al tenore letterale della disposizione – proprio sulla “cristallizzazione” degli atti.

In termini pragmatici, si può dire che vi è “ragionevole previsione di condanna”, tutte le volte che il giudice ritenga che, ove gli elementi d’accusa siano in effetti confermati nel dibattimento, sarebbe necessaria una difesa probatoria da parte dell’imputato in sede dibattimentale, al fine di evitare una condanna altrimenti assolutamente prevedibile sulla base degli atti.

In una logica accusatoria, ciò sarebbe del resto del tutto ragionevole: il dibattimento si renderebbe necessario in concreto proprio per vagliare l’affidabilità effettiva degli elementi d’accusa e, quindi, confermarne il valore secondo i principi del contraddittorio probatorio e per dare all’imputato le più ampie garanzie in termini di prova e di allegazioni probatorie.

Da qui si comprende come in realtà non vi è un giudizio “sul merito” in senso proprio, ancorché sia indubbio che il giudice dell’udienza predibattimentale esprima un “suo giudizio” sulla res iudicanda, così da renderlo ex se incompatibile con le funzioni del giudice della sentenza di merito.

Volendo, quindi, schematizzare si potrebbe affermare che la fissazione dell’udienza dibattimentale dovrebbe essere disposta quando il giudice ritenga che solo il venir meno della piena affidabilità delle fonti di prova d’accusa e/o l’allegazione e acquisizione al dibattimento di elementi difensivi potrebbero portare ad una assoluzione; in tutti gli altri casi potrà e dovrà emettere sentenza di NLP.

Per cui il criterio adottato è in qualche modo ribaltato rispetto a quanto avveniva in precedenza per l’udienza preliminare: la sentenza di NLP non è più considerata come accidentale o meramente possibile, ma come del tutto fisiologica e normale, poiché in questo caso tale decisione discenderà ogni qual volta il giudice riterrà non idonei in senso lato gli elementi d’accusa o, per essere più precisi, allorché avrà un qualunque dubbio ragionevole sulla colpevolezza dell’imputato.

In altri termini, in precedenza il giudice non doveva di per sé porsi il problema della consistenza degli elementi d’accusa: poteva e doveva emettere la sentenza di NLP se ed in quando ritenesse di per sé non idonei gli elementi in questione a sostenere – appunto – l’accusa in giudizio anche alla luce di eventuali altre emergenze processuali.

Ora, invece, il giudice deve innanzi tutto domandarsi se ed in che termini potrebbe essere emessa sentenza di condanna al di là di ogni ragionevole dubbio sulla sola base di quanto risulta dal fascicolo a sua disposizione. Se la risposta è negativa o dubbiosa, allora si dovrà emettere sentenza di NLP.

Se non che – come ben si sa – il provvedimento di fissazione dell’udienza dibattimentale non solo non è sindacabile, ma sostanzialmente non motivato e non motivabile in merito alle ragioni per le quali il giudice sarebbe giunto a tale conclusione.

In ciò vi è tanto un favor per l’accusa, ma essenzialmente l’esigenza di evitare una “prima condanna” allo stato degli atti.

Ma è anche vero che l’assenza di una spiccata sensibilità giurisdizionale ed alta cultura di ascolto delle argomentazioni difensive sul punto potrebbero portare ad un sostanziale svuotamento dei capisaldi della riforma in questione.
 

2.5 Sulla revoca della sentenza di NLP emessa in sede predibattimentale

La Sentenza di NLP è revocabile in ogni tempo sol che si rinvengano nuove fonti di prova che solo o congiunte con quelle già individuate negli atti possano portare ad un utile svolgimento del giudizio.

In caso di revoca (da decidersi secondo le forme dell’art. 127 cpp) tutte le attività previste dall’art. 554ter comma 2 cpp (relative ai giudizi alternativi, MAP e pene sostitutive) sono riproposte al dibattimento, prima della sua formale apertura

E’ possibile che la richiesta di revoca venga respinta.  La motivazione non necessariamente deve essere immediata (art. 127 comma 7 cpp); per la sua impugnazione (ex art. 437 cpp) in cassazione si procederà secondo i criteri ordinari.

Sul contenuto essenziale di tale ordinanza, il tutto deve coordinarsi con la disposizione che prevede la revoca della sentenza in questione: per cui il giudizio sulla non ragionevole prevedibilità non potrà non considerare opportunamente il compendio probatorio acquisito.

Ad ogni modo, è da considerare che in questo caso (diversamente da quanto avviene ex art. 554ter cpp) si fa espresso riferimento all’ordinanza che deve essere necessariamente “motivata” a pena di nullità ed all’art. 127 cpp, ordinanza per la quale, almeno per l’imputato, si prevede la possibilità di ricorrere in cassazione senza preclusioni con riferimento ai casi ex art. 606 cpp.

Ora, è evidente che se la motivazione si intende soddisfatta perché vengono semplicemente indicati gli elementi “processuali”, che hanno portato alla fissazione dell’udienza dibattimentale, non sorgono particolari problemi, poiché in questi casi il giudice nei fatti ripercorrerà quanto avvenuto (istanza di revoca, sua ammissibilità; udienza camerale; sussistenza di elementi che possono determinare l’utile svolgimento del giudizio).

E’ da escludere invece – alla luce del compendio normativo e dalla struttura processuale in questione – che il giudice debba in qualche modo analiticamente spiegare la sopravvenuta utilità o, meglio, necessità del dibattimento: qui si crede sia sufficiente una motivazione “minima e sintetica”, tranne che sul punto relativo alla rilevanza dei nuovi elementi presi in considerazione in ragione di quanto “argomentato” nella revocanda sentenza di NLP o comunque di una rivalutazione complessiva dei dati acquisiti.

Nel testo normativo, si riferisce di nuove “fonti di prova” ma anche di “atti relativi”, sicché (diversamente dall’udienza preliminare) non pare sia necessaria un’autorizzazione a svolgere le indagini preliminari in un termine pre-definito.

Ciò sembra porre non pochi problemi di raccordo con le garanzie di difesa e protese a evitare un uso abnorme e strumentale della sentenza di non luogo a procedere per poter in qualche modo “superare” i termini delle indagini e le conseguenti garanzie difensive.

Se non che, alla luce della giurisprudenza consolidata in materia con riguardo all’art. 434 cpp, ciò è da escludersi poiché il requisito della “casualità” della nuova fonte di prova viene rafforzato, dal momento che deve essere evidentemente già stata assunta in altro procedimento o fornita del tutto spontaneamente, per cui – almeno in linea astratta – non dovrebbe porsi alcuna necessità di svolgere ulteriori indagini con riguardo al fatto per cui è intervenuta la sentenza di cui si chiede la revoca.

Qui basti ricordare la seguente massima (Cassazione penale sez. un. - 23/02/2000, n. 8) secondo cui “i nuovi elementi di prova acquisiti dal p.m. successivamente alla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere possono essere utilizzati ai fini della revoca della sentenza …, a condizione che essi siano stati acquisiti "aliunde" nel corso di indagini estranee al procedimento già definito o siano provenienti da altri procedimenti, ovvero reperiti in modo casuale o spontaneamente offerti, e comunque non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica ed all'approfondimento degli elementi emersi”.
 

3. Su alcuni dubbi inconsistenti

Vi sono alcune questioni di principio, che possono sorgere in merito alla disciplina qui considerata.

Si potrebbe, infatti, ritenere che vi sia un contrasto col modello accusatorio: ma ciò è assolutamente da escludere. Si tratta anzi della necessità di una verifica oggettiva e super-partes della effettiva necessità di esercitare l’azione penale.

Si potrebbe allora ritenere che all’esito dell’udienza predibattimentale vi sia una sorta di presunzione di colpevolezza “atipica”: anche qui la risposta è certamente negativa non solo dal punto di vista normativo.

In effetti, si potrebbe prospettare una simile “presunzione di colpevolezza” solo dal punto di vista fattuale, come una sorta di “pressione” psicologica sul giudice del dibattimento; ma in tal modo dovrebbe pure ammettersi che quest’ultimo non solo non conosce gli atti di indagine ma neppure le motivazioni che hanno escluso l’emissione della sentenza di NLP (e ciò spiega ancor di più perché l’ordinanza di fissazione dell’udienza dibattimentale a seguito di revoca della sentenza di NLP non debba essere “analiticamente motivata”).

Peraltro, una simile “pressione” potrebbe in effetti concretamente darsi solo se il giudice del dibattimento fosse “onorario”, poiché – supponendo che il giudice predibattimentale debba essere un giudice “togato” – potrebbe sentirsi confortato (nel condannare) da un improprio giudizio “sommario” precedente emesso in sede predibattimentale: ma anche qui, dovrebbe ammettersi che una simile presunzione “negativa” si fonderebbe su un’altrettanta presunzione “negativa” in merito alla buona fede ed alle capacità del giudice del dibattimento: il che – onestamente – non pare possa sostenersi, salvo rivoluzionare completamente il sistema processuale oggi vigente.

Inoltre, vi possono essere questioni preliminari rilevanti anche nel giudizio ingiustamente escluse nel corso dell’udienza predibattimentale.

Più di tutto, però, dovrebbe riconoscersi che l’imputato non ha voluto definire il processo secondo modalità alternative pur essendovi l’alto rischio di una non emissione di una sentenza di NLP. Qui non si può semplicemente far riferimento (come pure molti commentatori hanno fatto) sull’utilità di una prescrizione quasi sicura: si tratta anche in questo caso di una oggettiva mortificazione delle funzioni e delle scelte difensive oltre che di un pregiudizio inaccettabile.

Più delicato sarebbe il problema relativo all’applicazione di misure cautelari da parte del giudice dell’udienza predibattimentale, ma in tal caso non si avrebbe una questione dissimile da quelle oggi in essere allorché il giudice del dibattimento si trova a conoscere “delle questioni cautelari”.
 

4. Osservazioni conclusive e de iure condendo

La nuova struttura processuale chiama ad una specializzazione delle funzioni e rivitalizzazione del controllo giurisdizionale sull’azione penale e, dunque, sul valore del diritto di difesa, poiché indubbiamente richiedere lo svolgimento di indagini effettive da parte del PM ed una verifica degli elementi d’accusa prima delle determinazioni inerenti all’azione penale.

Si ha, dunque, una rivitalizzazione del filtro “giurisdizionale” sull’azione penale: il che, sinceramente, deve essere salutato con favore.

All’inizio – quando fu approvato il “nuovo codice di procedura penale” - si aveva timore di far ciò anche per evitare di evocare la figura del giudice istruttore appena abrogata, ma è anche vero che si era anche in presenza di una diversa struttura dell’organizzazione giudiziaria penale (all’epoca vi era ancora il “pretore”, il tribunale era “trino” e non anche “unico” come oggi, e non vi era il Giudice di pace penale) e la magistratura onoraria costituiva l’eccezione.

Negli anni si è assistito ad una sempre maggiore mortificazione dell’utilità dell’udienza preliminare in quanto tale e ciò per l’ovvia ragione che il punto essenziale era incentrato sulla utilità astratta del dibattimento e non sulla necessità concreta dell’esercizio dell’azione penale: un po’ sarcasticamente, nella prassi era in voga il detto: “un rinvio a giudizio non si nega a nessuno”.

Ecco che allora, spostando l’accento su quest’ultimo aspetto (concreta necessità dell’esercizio dell’azione penale), in ipotesi ogni processo necessita di un filtro “giurisdizionale”, di un filtro capace cioè di verificare caso per caso l’effettiva necessità di procedere nel dibattimento penale e dunque di dare “sostegno giuridico” effettivo all’azione penale.

Non dobbiamo dimenticarci, infatti, che l’azione penale è espressione dell’esercizio di un potere sovrano, che non può mai essere arbitrariamente esercitato.

Anche nei sistemi di common law, è indispensabile che l’azione penale trovi il sostegno di un altro soggetto istituzionale, che non sarà mai chiamato a giudicare nel merito il caso: il pre-trail judge o il grand jury americano.

Si tratta, in fondo, della trasposizione in termini accusatori di un principio di garanzia (oggi onestamente spesso mal invocato dalle corti nostrane) espresso dalla “doppia conforme” e cioè dal principio secondo cui qualunque decisione, che ha effetti sulla vita e la libertà di un uomo, per essere pienamente efficace necessita di essere in qualche modo convalidata e condivisa almeno da un altro soggetto terzo ed indipendente rispetto a colui che ha per primo manifestato la decisione in questione.

Così inquadrato il tutto, è agevole considerare che con l’esercizio dell’azione penale – almeno nello stato attuale delle cose – il PM esprime il proprio convincimento che vi è una ragionevole previsione di condanna e che con l’attuale udienza predibattimentale (così come per l’udienza preliminare) il giudice è chiamato a verificare tale punto non già per anticipare una condanna, ma più precisamente per vagliare l’effettiva necessità per l’imputato di sottoporsi a giudizio e di difendersi e, dunque, di assoggettarsi a giudizio.

E’ chiaro che oggi il paradigma – rispetto ai criteri originari per l’esercizio dell’azione penale – è più ristretto: ma ciò – per quanto possa sembrare paradossale – è proprio un elemento tipico del processo accusatorio, che vede il dibattimento come eventualità non necessaria e quale extrema ratio per definire la res iudicanda.

Ciò porterà – si spera – ad una rivitalizzazione dell’attività forense sotto il profilo non tanto della specializzazione, ma della capacità professionale dell’avvocato accorto e serio, poiché sin dall’indagini si potranno far emergere elementi capaci per poter manifestare l’inutilità del dibattimento, con conseguenti vantaggi per l’imputato e per la difesa della libertà: dopo tutto, ciò non è altro che un riflesso del principio secondo cui la pena “come sofferenza” e che limita diritti considerati come inviolabili è e deve essere extrema ratio.

Ma così – si potrebbe pensare – non si determina la morte del dibattimento e dell’attività tipica forense?

Assolutamente no: anzi, la decisione di procedere al dibattimento sarà e dovrà sempre più essere incentrata nella consapevolezza di poter far emergere ragioni d’innocenza e, dunque, di ragioni protese a garantire la libertà e la dignità dell’imputato.

Del resto, in qualunque serio sistema accusatorio, una volta che si procede al processo, ogni massima garanzia deve essere riconosciuta all’accusato senza alcun pregiudizio e con massima accortezza e ciò perché di fronte ad una imputazione (comunque all’apparenza ben formulata), lo stesso si dichiara “innocente”.

Con l’estensione ad ogni procedimento penale avanti a magistrato (si spera ad ogni modo che ciò venga esteso anche al giudice di pace) di un vaglio preliminare della consistenza dell’accusa e della mancanza di volontà difensiva di definire “anticipatamente” il processo, è evidente che il dibattimento si fa e si deve comunque fare con le massime garanzie specie a tutela della difesa e del ruolo del difensore, proprio perché – seppur indirettamente – l’imputato si dichiara innocente.

Ovvio che ciò presuppone un rapporto stretto tra avvocato e assistito; ovvio che ciò richiede una difesa d’ufficio non estemporanea ma semmai un ufficio della difesa d’ufficio; ovvio che ciò presuppone l’effettiva partecipazione (e non anche una formale presenza) dell’accusato al suo processo; ovvio che ciò presuppone comunque la possibilità di estendere in qualche modo, anche dopo l’apertura del dibattimento, la possibilità di “definire” anticipatamente ed in maniera alternativa il giudizio magari col consenso delle parti; ovvio che se tutto ciò non sussiste, il sistema processuale appare incoerente e poco efficiente.

E’ chiaro che tutto ciò è ancora da essere: del resto, appare sinceramente non comprensibile perché mai – per esempio - il “patteggiamento a tutto tondo e senza limiti di tempo” sia così tanto osteggiato sotto il profilo “ideologico” e normativo, mentre risultano assolutamente da incentivarsi consistenti sconti di pena in caso di ingiustificato disaccordo del PM o di rinuncia a priori o a posteriori all’impugnazione da parte dell’imputato.

Ma, come accennato, tutto ciò presuppone la definitiva acquisizione dei principi del processo accusatorio che, onestamente è al di là da venire.

E che ciò possa essere alla luce delle altre disposizioni introdotte dalla Riforma Cartabia, qualche forte dubbio sussiste … ed il soffermarsi su questo aspetto ci porterebbe oltre … essendo questa tutta un’altra storia.

Del resto, quando il processo penale è visto prevalentemente sotto il profilo dell’efficienza amministrativa e, quindi, economica, scade e si riduce sempre più il senso della giurisdizione, che è giustizia nel caso singolo.

E quando la giurisdizione perde il primato nel processo, con ciò decade il senso di giustizia. Senza giurisdizione vera, non vi può essere giustizia.