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Art. 407 - Termini di durata massima delle indagini preliminari

1. Salvo quanto previsto all’articolo 393 comma 4, la durata delle indagini preliminari non può comunque superare diciotto mesi.

2. La durata massima è tuttavia di due anni se le indagini preliminari riguardano:

a) i delitti appresso indicati:

1) delitti di cui agli articoli 285, 286, 416-bis e 422 del codice penale, 291-ter, limitatamente alle ipotesi aggravate previste dalle lettere a), d) ed e) del comma 2, e 291-quater, comma 4, del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43;

2) delitti consumati o tentati di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630 dello stesso codice penale;

3) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo;

4) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma e 306, secondo comma, del codice penale;

5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall’articolo 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110;

6) delitti di cui agli articoli 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80, comma 2, e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni;

7) delitto di cui all’articolo 416 del codice penale nei casi in cui è obbligatorio l’arresto in flagranza;

7-bis) dei delitti previsto dagli articoli 600, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-bis nelle ipotesi aggravate previste dall’articolo 609-ter, 609-quater, 609-octies del codice penale, nonché dei delitti previsti dall’art. 12, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.

b) notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l’elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese;

c) indagini che richiedono il compimento di atti all’estero;

d) procedimenti in cui è indispensabile mantenere il collegamento tra più uffici del pubblico ministero a norma dell’articolo 371.

3. Salvo quanto previsto dall’articolo 415-bis, qualora il pubblico ministero non abbia esercitato l’azione penale o richiesto l’archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati.

3-bis. In ogni caso il pubblico ministero è tenuto a esercitare l’azione penale o a richiedere l’archiviazione entro il termine di tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui all’articolo 415-bis. Nel caso di cui al comma 2, lettera b), del presente articolo, su richiesta presentata dal pubblico ministero prima della scadenza, il procuratore generale presso la corte di appello può prorogare, con decreto motivato, il termine per non più di tre mesi, dandone notizia al procuratore della Repubblica. Il termine di cui al primo periodo del presente comma è di quindici mesi per i reati di cui al comma 2, lettera a), numeri 1), 3) e 4), del presente articolo. Ove non assuma le proprie determinazioni in ordine all’azione penale nel termine stabilito dal presente comma, il pubblico ministero ne dà immediata comunicazione al procuratore generale presso la corte di appello.

Rassegna giurisprudenziale

Termini di durata massima delle indagini preliminari (art. 407)

Ai fini del computo della durata massima delle indagini preliminari, l’iscrizione per un nuovo reato a carico del medesimo indagato, individua il “dies a quo” da cui decorre il termine, ferma restando l’utilizzabilità degli elementi emersi prima della nuova iscrizione nel corso di accertamenti relativi ad altri fatti, attesa l’assenza di preclusioni derivanti dall’art. 407; inoltre qualora il PM acquisisca nel corso delle indagini preliminari elementi in ordine ad ulteriori fatti costituenti reato nei confronti della stessa persona già iscritta nel registro di cui all’art. 335, deve procedere a nuova iscrizione ed il termine per le indagini preliminari, previsto dall’art. 405, decorre in modo autonomo per ciascuna successiva iscrizione nell’apposito registro, senza che possa essere posto alcun limite all’utilizzazione di elementi emersi prima della detta iscrizione nel corso di accertamenti relativi ad altri fatti (Sez. 3, 32998/2015).

Il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il PM ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al GIP sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall’art. 407, comma 3, fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del PM che abbia ritardato l’iscrizione (SU, 40538/2009).

Sulla base della prospettiva ermeneutica così avanzata anche dalle Sezioni Unite, la Corte di Cassazione ha ripetutamente affrontato e disatteso i dubbi di costituzionalità da più parti avanzati in ordine a tale disciplina, muovendo dal rilievo che, nella citata pronuncia, pur essendo stata rimarcata la totale mancanza di discrezionalità del PM nell’apprezzamento, sotto il profilo oggettivo e quello soggettivo, della notizia di reato e del nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito  notizia e nome che vanno immediatamente iscritti nell’apposito registro  si è sottolineato che, per rimediare a possibili “patologie” derivanti da ritardi del PM rispetto all’obbligo di procedere immediatamente alle iscrizioni delle notizie di reato, sarebbe necessaria l’individuazione “di un giudice e di un procedimento che consentisse l’adozione di un qualche provvedimento surrogatorio”, che possono essere previsti soltanto per legge, risultando indispensabili sia la precisa indicazione di attribuzioni processuali di tale giudice, sia una disciplina del “rito secondo il quale inscenare un simile accertamento incidentale. Basti pensare, ad esempio, all’esigenza di rispettare il contraddittorio, non solo tra i soggetti necessari, ma anche in riferimento agli altri eventuali partecipanti della indagine o del processo.

Se s’introducesse, infatti, un controllo ex post sul merito della tempestività delle iscrizioni, con possibilità di retrodatazione tale da compromettere l’utilizzazione di atti d’indagine, il relativo ius ad loquendum non potrebbe non essere riconosciuto anche agli eventuali altri indagati o persone offese, che dalla postuma dichiarazione d’inutilizzabilità di atti d’indagine potrebbero soffrire una grave compromissione, ove quegli atti fossero favorevoli alla loro posizione”.

Nè un siffatto rimedio può essere individuato dalla Corte Costituzionale, in mancanza di soluzioni procedimentali costituzionalmente obbligate, cosicché il prospettato incidente di costituzionalità risulta manifestamente infondato ed inevitabilmente destinato a una declaratoria di manifesta inammissibilità da parte del giudice delle leggi, essendo invece compito, ormai indilazionabile, del legislatore intervenire con “un innesto normativo per portare a soluzione i problemi, da tempo avvertiti, che scaturiscono dall’assenza di effettivi rimedi per le ipotesi di ritardi nell’iscrizione nel registro delle notizie di reato”.

Si tratta di orientamento giurisprudenziale ormai consolidato e pienamente condivisibile, che non appare superabile dalle argomentazioni difensive volte a sostenere la sindacabilità del ritardo nell’iscrizione della notizia di reato e, quindi dell’asseritamente conseguente utilizzabilità o meno degli atti di indagine, da parte di “tutti i giudici nel momento in cui devono emettere una decisione in base ad atti a vocazione probatoria”, atteso che tale prospettiva ermeneutica, invece, non considera le argomentazioni sopra esposte, ed in particolare prescinde sia dalla considerazione che il codice di rito non prevede alcuna procedura volta a riconoscere tale inutilizzabilità, sia dalla valutazione dei pregiudizi che potrebbero derivare ad altri indagati o persone offese dalla postuma dichiarazione d’inutilizzabilità di atti d’indagine eventualmente favorevoli alla loro posizione, senza che il codice di rito preveda un procedimento che consenta loro di interloquire sul punto (Sez. 2, 38348/2016).

Il decorso del termine per il compimento delle indagini non può comportare l’invalidazione dell’atto di indagine compiuto dopo la scadenza, ma soltanto la inutilizzabilità – ad istanza di parte – della prova acquisita attraverso tale atto (Sez. 6, 40791/2007).