x

x

L';ordinamento statale e l'ordinamento sportivo in pillole

Ai fini di un più esaustivo e adeguato inquadramento della specifica tematica, non si può omettere un sintetico e preliminare richiamo ai principi fondamentali che la presidiano.

L’art. 1, D.L. n. 220 del 19 agosto 2003, convertito con L. n. 280 del 17 ottobre 2003, dispone, al comma 2, che «i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo».

Invero, detta disposizione disciplina il delicato rapporto tra l’ordinamento statale e quello sportivo, garantendo due diverse esigenze costituzionalmente rilevanti: da un lato, quella dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, cui ampia tutela è riconosciuta dagli artt. 2 e 18 della Costituzione, dall’altro, quella di non pregiudicare la pienezza della tutela di situazioni giuridiche soggettive che, sebbene connesse all’ordinamento sportivo, rilevino in ogni caso per l’ordinamento giuridico statale.

Ebbene, se l’art. 1, c. 2, D.L. n. 220/2003 ha inteso preservare l’autonomia dell’ordinamento sportivo, la richiamata disposizione legislativa, nel contempo, ha espressamente sancito che detta autonomia non sussiste nella misura in cui emergano situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico della Repubblica.

In applicazione dei suddetti principi, il successivo art. 2, D.L. n. 220/2003 dispone che «è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto:

a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive;

b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive».

Inoltre, ai sensi e per gli effetti di cui al successivo art. 3, D.L. n. 220/2003, è stato stabilito che «esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano – C.O.N.I. – o delle Federazioni Sportive Nazionali – F.S.N. – non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2, D.L. n. 220/2003, è disciplinata dal Codice del processo amministrativo».

Ora, come è noto, la Corte Costituzionale, in base alla storica, per così dire, sentenza n. 49 dell’11 febbraio 2010, ha chiarito che le richiamate prescrizioni legislative prevedono tre forme di tutela:

a) una prima forma, limitata ai rapporti di carattere patrimoniale tra le società sportive, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati), demandata alla cognizione del giudice ordinario;

b) una seconda, relativa ad alcune delle questioni aventi ad oggetto le materie di cui all’art. 2, D.L. n. 220/2003, non apprestata da organi dello Stato, ma da organismi interni all’ordinamento settoriale in virtù di disposizioni regolamentari domestiche, secondo i canoni della c.d. “giustizia associativa”;

c) una terza, tendenzialmente residuale e devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, afferente a tutte le questioni che per un verso esulano dai rapporti patrimoniali fra le società, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati) – demandati al giudice ordinario –, per altro verso non sono contemplate tra le materie riservate, ex art. 2, D.L. n. 220/2003, all’esclusiva cognizione degli organi della giustizia sportiva.

La stessa Corte Costituzionale, nel dichiarare non fondata la questione relativa alla legittimità costituzionale dell’art. 2, c. 1, lett. b), D.L. n. 220/2003 e, in parte qua, c. 2, D.L. n. 220/2003 nella parte in cui riserva al solo giudice sportivo la decisione di controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche, inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e società sportive, sottraendole al sindacato del giudice amministrativo (questione sollevata con ordinanza del T.A.R. Lazio, Roma, sez. III ter, n. 241 dell’11 febbraio 2010), ha posto in rilievo che la mancata praticabilità della tutela impugnatoria non impedisce che eventuali situazioni di diritto soggettivo o di interesse legittimo siano adeguatamente tutelabili innanzi al giudice amministrativo mediante una forma di tutela risarcitoria.

Quanto sopra, fermo restando che «all’art. 2, c. 1, D.L. n. 220/2003 è stato previsto, peraltro dando veste normativa ad un già affermato orientamento giurisprudenziale, che è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni concernenti, oltre che l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie finalizzate a garantire il corretto svolgimento delle attività sportive, cioè di quelle che sono comunemente note come regole tecniche, anche i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari (Corte Cost. n. 49/2010)».

In sostanza, nel condividere l’impostazione ricostruttiva elaborata dal C.d.S., Sez. VI, n. 5872 del 25 novembre 2008, la Corte Costituzionale ha interpretato l’art. 1, D.L. n. 220/2003 in un’ottica costituzionalmente orientata, nel senso che ove il provvedimento assunto dalle Federazioni Sportive Nazionali o dal C.O.N.I. incida anche in ordine a situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, la domanda volta ad ottenere non la caducazione dell’atto, ma il conseguente risarcimento del danno, debba essere proposta innanzi al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, non operando alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere.

Il giudice amministrativo, quindi, nonostante la riserva prevista a favore della “giustizia sportiva”, può senz’altro conoscere delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni ed atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione.

La Corte Costituzionale ha dunque ampiamente chiarito che pur in assenza di un giudizio di annullamento, il principio di effettività della tutela, previsto dall’art. 24 Cost., non viene affatto compromesso, essendo comunque consentita una diversificata modalità di tutela giurisdizionale.

Alla stregua dell’illustrato percorso ricostruttivo seguito dalla Corte Costituzionale, è evidente che l’impugnazione di una sanzione disciplinare sportiva dinanzi al giudice amministrativo non può essere da questi conosciuta, potendo invece il medesimo giudice conoscere la sola domanda di tipo risarcitorio rientrante nella sua sfera di giurisdizione.

Una giurisdizione che, tuttavia, indipendentemente dalla rilevanza dell’appena richiamato principio, in alcuni casi i ricorrenti (tesserati) rivendicano comunque; e ciò, in ragione di dimissioni intervenute prima della conclusione del procedimento disciplinare endofederale, di talché, si assume, venendo meno in capo agli interessati lo status soggetto appartenente all’ordinamento sportivo, verrebbe di conseguenza parimenti meno la possibilità di rivolgersi, ai fini specifici, agli organi della giustizia sportiva.

Tale conclusione, invero, non persuade affatto, atteso che i momenti rilevanti da tenere in considerazione sono quelli in cui si verifica il fatto contestato all’interessato e quello in cui si materializza la relativa contestazione, con attivazione del procedimento disciplinare.

Si potrà certamente convenire che l’esercizio del potere sanzionatorio trova i suoi presupposti su tali circostanze, non potendosi comunque ragionevolmente ammettere che un tesserato rassegni strumentalmente le proprie dimissioni al fine precipuo di impedire o interrompere il procedimento disciplinare.

Ebbene, il principio per cui resta sanzionabile in via disciplinare il soggetto che, appartenendo all’ordinamento sportivo al momento del fatto, si dimetta prima dell’esaurimento del procedimento disciplinare, non può non assumere rilievo nella soluzione del profilo processuale connesso alla giurisdizione, dovendo la medesima radicarsi avendo riguardo alla sola natura (disciplinare) del provvedimento in contestazione, non già certo tenendo conto dello status del ricorrente e della sua appartenenza o meno, al momento in cui attiva lo strumento rimediale, all’ordinamento sportivo.

Ai fini di un più esaustivo e adeguato inquadramento della specifica tematica, non si può omettere un sintetico e preliminare richiamo ai principi fondamentali che la presidiano.

L’art. 1, D.L. n. 220 del 19 agosto 2003, convertito con L. n. 280 del 17 ottobre 2003, dispone, al comma 2, che «i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo».

Invero, detta disposizione disciplina il delicato rapporto tra l’ordinamento statale e quello sportivo, garantendo due diverse esigenze costituzionalmente rilevanti: da un lato, quella dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, cui ampia tutela è riconosciuta dagli artt. 2 e 18 della Costituzione, dall’altro, quella di non pregiudicare la pienezza della tutela di situazioni giuridiche soggettive che, sebbene connesse all’ordinamento sportivo, rilevino in ogni caso per l’ordinamento giuridico statale.

Ebbene, se l’art. 1, c. 2, D.L. n. 220/2003 ha inteso preservare l’autonomia dell’ordinamento sportivo, la richiamata disposizione legislativa, nel contempo, ha espressamente sancito che detta autonomia non sussiste nella misura in cui emergano situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico della Repubblica.

In applicazione dei suddetti principi, il successivo art. 2, D.L. n. 220/2003 dispone che «è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto:

a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive;

b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive».

Inoltre, ai sensi e per gli effetti di cui al successivo art. 3, D.L. n. 220/2003, è stato stabilito che «esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano – C.O.N.I. – o delle Federazioni Sportive Nazionali – F.S.N. – non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2, D.L. n. 220/2003, è disciplinata dal Codice del processo amministrativo».

Ora, come è noto, la Corte Costituzionale, in base alla storica, per così dire, sentenza n. 49 dell’11 febbraio 2010, ha chiarito che le richiamate prescrizioni legislative prevedono tre forme di tutela:

a) una prima forma, limitata ai rapporti di carattere patrimoniale tra le società sportive, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati), demandata alla cognizione del giudice ordinario;

b) una seconda, relativa ad alcune delle questioni aventi ad oggetto le materie di cui all’art. 2, D.L. n. 220/2003, non apprestata da organi dello Stato, ma da organismi interni all’ordinamento settoriale in virtù di disposizioni regolamentari domestiche, secondo i canoni della c.d. “giustizia associativa”;

c) una terza, tendenzialmente residuale e devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, afferente a tutte le questioni che per un verso esulano dai rapporti patrimoniali fra le società, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati) – demandati al giudice ordinario –, per altro verso non sono contemplate tra le materie riservate, ex art. 2, D.L. n. 220/2003, all’esclusiva cognizione degli organi della giustizia sportiva.

La stessa Corte Costituzionale, nel dichiarare non fondata la questione relativa alla legittimità costituzionale dell’art. 2, c. 1, lett. b), D.L. n. 220/2003 e, in parte qua, c. 2, D.L. n. 220/2003 nella parte in cui riserva al solo giudice sportivo la decisione di controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche, inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e società sportive, sottraendole al sindacato del giudice amministrativo (questione sollevata con ordinanza del T.A.R. Lazio, Roma, sez. III ter, n. 241 dell’11 febbraio 2010), ha posto in rilievo che la mancata praticabilità della tutela impugnatoria non impedisce che eventuali situazioni di diritto soggettivo o di interesse legittimo siano adeguatamente tutelabili innanzi al giudice amministrativo mediante una forma di tutela risarcitoria.

Quanto sopra, fermo restando che «all’art. 2, c. 1, D.L. n. 220/2003 è stato previsto, peraltro dando veste normativa ad un già affermato orientamento giurisprudenziale, che è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni concernenti, oltre che l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie finalizzate a garantire il corretto svolgimento delle attività sportive, cioè di quelle che sono comunemente note come regole tecniche, anche i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari (Corte Cost. n. 49/2010)».

In sostanza, nel condividere l’impostazione ricostruttiva elaborata dal C.d.S., Sez. VI, n. 5872 del 25 novembre 2008, la Corte Costituzionale ha interpretato l’art. 1, D.L. n. 220/2003 in un’ottica costituzionalmente orientata, nel senso che ove il provvedimento assunto dalle Federazioni Sportive Nazionali o dal C.O.N.I. incida anche in ordine a situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, la domanda volta ad ottenere non la caducazione dell’atto, ma il conseguente risarcimento del danno, debba essere proposta innanzi al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, non operando alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere.

Il giudice amministrativo, quindi, nonostante la riserva prevista a favore della “giustizia sportiva”, può senz’altro conoscere delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni ed atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione.

La Corte Costituzionale ha dunque ampiamente chiarito che pur in assenza di un giudizio di annullamento, il principio di effettività della tutela, previsto dall’art. 24 Cost., non viene affatto compromesso, essendo comunque consentita una diversificata modalità di tutela giurisdizionale.

Alla stregua dell’illustrato percorso ricostruttivo seguito dalla Corte Costituzionale, è evidente che l’impugnazione di una sanzione disciplinare sportiva dinanzi al giudice amministrativo non può essere da questi conosciuta, potendo invece il medesimo giudice conoscere la sola domanda di tipo risarcitorio rientrante nella sua sfera di giurisdizione.

Una giurisdizione che, tuttavia, indipendentemente dalla rilevanza dell’appena richiamato principio, in alcuni casi i ricorrenti (tesserati) rivendicano comunque; e ciò, in ragione di dimissioni intervenute prima della conclusione del procedimento disciplinare endofederale, di talché, si assume, venendo meno in capo agli interessati lo status soggetto appartenente all’ordinamento sportivo, verrebbe di conseguenza parimenti meno la possibilità di rivolgersi, ai fini specifici, agli organi della giustizia sportiva.

Tale conclusione, invero, non persuade affatto, atteso che i momenti rilevanti da tenere in considerazione sono quelli in cui si verifica il fatto contestato all’interessato e quello in cui si materializza la relativa contestazione, con attivazione del procedimento disciplinare.

Si potrà certamente convenire che l’esercizio del potere sanzionatorio trova i suoi presupposti su tali circostanze, non potendosi comunque ragionevolmente ammettere che un tesserato rassegni strumentalmente le proprie dimissioni al fine precipuo di impedire o interrompere il procedimento disciplinare.

Ebbene, il principio per cui resta sanzionabile in via disciplinare il soggetto che, appartenendo all’ordinamento sportivo al momento del fatto, si dimetta prima dell’esaurimento del procedimento disciplinare, non può non assumere rilievo nella soluzione del profilo processuale connesso alla giurisdizione, dovendo la medesima radicarsi avendo riguardo alla sola natura (disciplinare) del provvedimento in contestazione, non già certo tenendo conto dello status del ricorrente e della sua appartenenza o meno, al momento in cui attiva lo strumento rimediale, all’ordinamento sportivo.