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Magistrati e Politica: indipendenti fino al prossimo incarico

Magistrati
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L’indipendenza della Magistratura è un cardine del nostro sistema costituzionale e democratico. L’articolo 104 della Carta Costituzionale recita: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”.

Gli argini alle influenze della politica sulla magistratura sono garantiti

dall’impossibilità di determinare la carriera dei togati, articolo 105 Costituzione, e

dal principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, articolo 112 Costituzione, che rende autonomo e indipendente dal ministro il pubblico ministero.

Leggendo i lavori preparatori alla Costituzione si percepisce tutto il pathos per la ricerca delle garanzie di indipendenza ed autonomia e di conseguenza di rendere alla “… magistratura la piena garanzia per le nomine, per l’inamovibilità, per l’assoluta autonomia dei giudici di fronte al potere esecutivo” il presidente della Commissione, on. Ruini, nella sua relazione al progetto.

La magistratura si è sempre dichiarata soddisfatta delle garanzie previste dalla Carta ed anzi se ne fatta scudo ogni volta che si è parlato di responsabilità civile dei magistrati, di responsabilità disciplinare, di modifiche all’obbligatorietà dell’azione penale ecc.

Ma la tanto amata indipendenza dal potere politico come si concilia con gli incarichi extragiudiziari ricevuti?

Gli ambitissimi posti presso la Presidenza della Repubblica, i Ministeri, le Commissioni parlamentari, la Corte Costituzionale e le miriadi di Autorità Garanti, sono tutti incarichi dove la politica gioca un ruolo determinante.

La magistratura in questi casi non ha mai manifestato insofferenza alle blandizie della politica, i collocamenti fuori ruolo sono centinaia e le chiamate a ricoprire i ruoli di esperti, consigliori sono giuste e legittime aspirazioni di una categoria, da sempre gelosa della sua “indipendenza”.

Se taluni continuano ad indicare la torre d’avorio come unica sede possibile per il magistrato, altrove si afferma invece che la magistratura deve essere protagonista della società, far sentire la sua voce, partecipare al dibattito pubblico o addirittura provocarlo.

Capita così di frequente che nei curricula di figure prestigiose della magistratura figurino periodi di collocamento fuori ruolo per l’assolvimento di incarichi interni o internazionali di nomina governativa.

Questa tendenza si associa altrettanto spesso a percorsi di associazionismo giudiziario e si verifica in più di un caso che leader o esponenti prestigiosi di questa o quella corrente, forti del consenso elettorale connaturale alla loro posizione, si candidino vittoriosamente per l’elezione al CSM e, una volta completata la consiliatura, siano presi in considerazione ai fini di importanti nomine giudiziarie o extragiudiziarie.

Tutto questo appare una zona d’ombra nella ricerca della indipendenza dalla politica.

Tali “ombre”, erano state avvertite dai Padri Costituenti. Nel leggere i lavori di preparazione ci si imbatte nella proposta di Giovanni Leone e Costantino Mortati che avevano presentato il seguente articolo: “I magistrati, anche all’infuori dei casi per i quali la legge disponga una incompatibilità, non possono accettare dal Governo funzioni retribuite, a meno non le esercitino gratuitamente. Lo Stato assicura, con legge speciale, l’indipendenza economica dei magistrati”.

Gli intenti nobili dei proponenti erano: “da una parte garantire l’indipendenza del magistrato di fronte alle possibili pressioni che potrebbero venire dal Governo attraverso il conferimento di incarichi retribuiti, e nello stesso tempo assicurare, con legge speciale l’indipendenza economica, che viene a costituire una specie di compenso alla diminuzione di proventi, che potrebbero derivare dall’esclusione degli incarichi retribuiti”.

La proposta venne respinta e trasformata in un ordine del giorno.

Naturalmente l’indipendenza economica è garantita dalle retribuzioni di cui godono i togati: le più alte della pubblica amministrazione.

Recentemente su “Giustizia Insieme”, il magistrato Alfonso Amatucci, nel corso di una intervista, ha ribadito a domanda: “Pensi che rispetto agli incarichi extragiudiziari si opportuno promuovere la gratuità come modello virtuoso per recuperare credibilità?”

No, non è quello della gratuità l’aspetto determinante. Gli incarichi extragiudiziari possono essere utili alla società ed a chi li svolge, ma non possono e non devono essere il criterio di valutazione decisivo per il conferimento di incarichi direttivi. Sia perché nulla più dell’attività giurisdizionale ben svolta può determinare l’idoneità a continuare a svolgerla, sia perché va frenata la corsa dei magistrati … a non fare i magistrati! Quella corsa esiste (talora anche solo per riavvicinarsi alla città di provenienza o per interporre una pausa a ritmi di lavoro insostenibili), ma non va invogliata con una sorta di assicurazione a chi smette per qualche tempo di fare il mestiere che aveva scelto in origine di avere migliori probabilità di tornare poi a farlo a livelli più alti. Questo non significa affatto, sia chiaro, che chi sia per qualche tempo collocato fuori ruolo vada addirittura penalizzato quando rientra: un’eccellenza resta spesso un’eccellenza, dovunque svolga il suo lavoro. Significa, piuttosto, che non bisogna consentire che le conoscenze acquisite e i rapporti instaurati “fuori” abbiano poi un peso determinante “dentro”.

Un ragionamento che dice tutto e niente e che sostanzialmente lascia le cose come stanno.

La magistratura dovrebbe comprendere che il “guado è stato superato. Non si può far finta che nulla sia successo, risorgere dalle proprie ceneri con la toga verginea richiederebbe una presa di coscienza degli errori commessi.

Scriveva Stanislaw Jerzy Lech: “Non tutte le fenici che sorgono dalle ceneri ammettono il proprio passato”. Sembra calzante con l’aria che si respira a Palazzo dei Marescialli e nelle sedi della ANM.

L’indipendenza della magistratura non è solo richiamarsi all’aureo principio della separazione dei poteri, ma ora serve ai togati procedere alla eliminazione, in concreto, delle “occasioni di contaminazione” che possono degradarsi in relazioni personali non sempre trasparenti e in potenziali conflitti d’interesse.

Come argutamente ha scritto da Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della sera il 4 luglio: “... la degenerazione del CSM, nel suo inevitabile precipitare nella palude dell’intrallazzo correntizio e della collusione con la politica. Inevitabile perché è proprio il Consiglio superiore che ogni volta ha il potere di concedere o di negare al singolo magistrato l’autorizzazione necessaria per accedere a un incarico extragiudiziario, di fatto per concedergli o no il grande salto d’immagine e di potere verso l’empireo sociale. Con l’ovvia – inevitabile appunto – conseguenza di trasformarsi in un luogo di scambi, di reciproche concessioni, di do ut des, per accedere al quale diviene di fatto obbligatoria per ogni candidato a un incarico importante l’ascrizione a un gruppo, a una corrente in grado di prendere le sue parti nel sinedrio al momento della decisione. Il rimedio? Uno solo, quello indicato da Mortati oltre settanta anni fa”. 

In questo momento la magistratura dovrebbe far tesoro di un pensiero di Sandro Pertini: non solo deve essere ma deve anche apparire indipendente.