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Arresta e premio: un binomio pericoloso

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Arresta e premio: un binomio pericoloso

I premi e gli encomi per chi arresta di più sono una pagina misconosciuta delle nostre forze dell’ordine.

Diceva Umberto Saba: “I premi letterari sono una crudeltà. Soprattutto per chi non li vince”.

Questa frase andrebbe bene tale e quale per i premi che è consuetudine attribuire agli appartenenti delle forze dell’ordine che si siano distinti positivamente.

Giova ricordare che a Piacenza è stata dimostrata una situazione che coinvolgeva tutti indistintamente in merito alla facilità di ricevere encomi.

La stazione Levante di Piacenza e i sei carabinieri che la componevano, nel 2018 ricevettero un encomio solenne. Alla festa dei Carabinieri il comandante della Legione Emilia-Romagna li premiò “per essersi distinti per il ragguardevole impegno operativo ed istituzionale e per i risultati conseguiti soprattutto nell’attività di contrasto al fenomeno dello spaccio di sostanze stupefacenti”.

Eppure, stando ai risultati delle indagini del procedimento Odysseus istruito dalla Procura di Piacenza e asseverati dalla sentenza di primo grado, proprio in quella caserma i militari che vi prestavano servizio avevano costruito un sistema fondato su arresti illegali e su pestaggi. Il GUP che ha emesso la sentenza di condanna a seguito del rito abbreviato ha tra l’altro collegato quel sistema ad un preciso input istituzionale. Così ne parla Giuseppe Baldessarro, nell’edizione bolognese del quotidiano La Repubblica, in un articolo del  20 novembre 2021: “La giudice però critica anche la logica dei numeri, che impone alle forze dell'ordine di fare quanti più arresti possibile: "Il dato statistico da perseguire a ogni costo (...) da sciorinare in occasioni istituzionali, per avanzamenti di carriera e per avere piccoli benefici è stato e resta la vera aberrazione che il sistema dovrebbe emendare, per restituire una risposta effettiva della presenza dello Stato, indispensabile al reale contrasto dei fenomeni criminali”.

Si comprendono bene adesso le parole, pronunciate il 29 luglio 2020 dal nuovo comandante dei carabinieri di Piacenza all’atto della sua presentazione: “Non guarderò statistiche di arresti. Ma chiederò ai miei uomini di applicare le norme”.

Naturalmente queste parole sono scivolate via. Il nostro è un Paese dove tutto si dimentica – anzi, ricordare è un vizio - e a distanza di due anni nulla è cambiato nella prassi generalizzata di “premiare” con encomi a pioggia le nostre forze dell’ordine.

Alcuni anni fa, il comandante generale dei carabinieri il generale Nistri indicò l’Arma come un “modello di prossimità”. Si riferiva alla dislocazione capillare sul territorio della Penisola delle tenenze e stazioni che sono presenti in 7.416 comuni.

In buona parte di questi “modelli di prossimità” si svolge una gara che non risulta ufficialmente in nessuna statistica: la gara degli arresti mensili.

Si, vince chi arresta più persone, ed è una sfida alla quale si può immaginare che i comandanti delle stazioni CC trovino piuttosto difficile sottrarsi.

Nel corso di una diretta dell’associazione Errorigiudiziari.com, il 17 novembre 2020 (a questo link:

https://www.facebook.com/errorigiudiziari66/videos/1091673937912423), mentre si parlava degli “innocenti invisibili”, è intervenuto Gerardo de Sapio, ex brigadiere dei carabinieri ed ha scritto: “grandissime parole, si devono togliere le statistiche dalle caserme è una piaga che coinvolge tutti coloro che operano fanno a gara chi arresta di più anche se... “.

“Anche se …” parole dure come pietre.

Qualcuno si è chiesto quanti sono gli arresti “facili” e quante persone hanno conosciuto il carcere perché numeri in una gara? Quanti errori giudiziari seguono a questa folle corsa?

Riportiamo un caso esaminato dalla Suprema Corte, sezione 5 n. 13810/2019: “Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Brescia, in accoglimento dell'appello proposto ai sensi dell'art. 310 c.p.p. dal pubblico ministero, ha applicato a M. G. e S. L., militari dell'Arma dei Carabinieri, la misura interdittiva della sospensione dal servizio per la durata di dodici mesi in relazione ai reati loro contestati di falso ideologico in atto pubblico, violenza privata aggravata e calunnia, commessi ai danni di O. C. O..

La vicenda riguarda l'accompagnamento di quest'ultimo in caserma da parte dei due indagati perché, nel corso di un controllo, veniva trovato senza documenti. Nella ricostruzione dell'accusa accolta dal provvedimento impugnato, qui l'O. veniva, sotto minaccia di arresto e con percosse, costretto a spogliarsi ed a consegnare il danaro di cui era in possesso, mentre successivamente i due indagati provvedevano a redigere un verbale nel quale falsamente prospettavano la sussistenza dei presupposti per procedere alla perquisizione ai sensi dell'art. 4 I. n. 152/1975, nonchè un'annotazione nella quale, altrettanto falsamente, accusavano la persona offesa di aver attivamente resistito alla perquisizione colpendo i due militari. In merito ai gravi indizi di colpevolezza, il Tribunale, oltre alle dichiarazioni della persona offesa ed alla registrazione audio di quanto accaduto effettuata dalla stessa all'insaputa degli indagati con il proprio cellulare e già valutate dal G.i.p., ha motivato fondandosi anche sulle dichiarazioni di D. A., altro militare presente in caserma al momento in cui si svolgevano i fatti descritti”.

Riflettiamo sulla prassi della classifica, degli arresti eseguiti, che ogni mese "interessa" le caserme territoriali dei carabinieri. 

Suggeriamo ai vertici delle forze dell'ordine di procedere ad una semplice verifica dei risultati processuali conseguiti a seguito delle "premiate" operazioni.