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Mancato raggiungimento delle soglie di punibilità previste dai reati tributari ed innalzate a seguito di ius supeveniens; relative problematiche processuali e di diritto intertemporale

Mancato raggiungimento delle soglie di punibilità previste dai reati tributari ed innalzate a seguito di ius supeveniens; relative problematiche processuali e di diritto intertemporale
Mancato raggiungimento delle soglie di punibilità previste dai reati tributari ed innalzate a seguito di ius supeveniens; relative problematiche processuali e di diritto intertemporale

Indice

1. Introduzione al tema

2. Soglie di punibilità: elementi costitutivi dei reati tributari o condizioni obiettive di punibilità?

3. L’orientamento della giurisprudenza di legittimità

4. Ricadute della questione sul piano processuale e del diritto intertemporale

5. Il peculiare caso della revoca della sentenza di condanna in sede di esecuzione

6. Conclusioni e proposte (risolutive?)

 

ABSTRACT: Il presente lavoro si propone di analizzare in via sintetica uno dei temi di maggiore interesse nello sviluppo del diritto penale tributario: quello della natura giuridica delle soglie di punibilità dei reati previsti dal decreto legislativo n. 74/2000. Le recenti riforme, difatti, avendo comportato un innalzamento quantitativo delle predette soglie, hanno riportato in auge uno dei temi più dibattuti nella giurisprudenza di merito e di legittimità. L’interesse che ne sorge non investe peraltro profili solamente sostanziali, comportando la discussione sul tema importanti ricadute sul profilo del diritto processuale e dell’efficacia della legge penale nel tempo.

 

1. Introduzione al tema

Il decreto legislativo n. 158/2015 ha operato un’importante riforma, diretta a mitigare l’interesse penale per fatti  ritenuti privi  di  rilevante offensività in  materia di  reati  tributari  (d.lgs.  n. 74/2000), che ha comportato un significativo sforzo della giurisprudenza nel valutare l’impatto anche processuale delle innovazioni poste dalla revisione normativa intervenuta.

La seguente analisi si propone di prendere il via, in modo da esemplificare la trattazione del tema, dalla lettura del testo dell’articolo 10-bis del decreto legislativo n. 74/2000 (fattispecie di omesso versamento di ritenute certificate), interessato, a seguito della sentenza n. 80/2014 della Corte Costituzionale, da un intervento riformatore che ha innalzato l’ammontare delle soglie annuali di imposta non versata, ai fini della punibilità del reato, da euro 50.000 a euro 150.000. Tale intervento ha reso nuovamente attuale la questione della natura delle soglie di punibilità, ed ha, in particolare riportato alla luce il dibattito circa la loro qualificazione come elementi costitutivi dei reati tributari ovvero come condizioni obiettive di punibilità. Il dibattito, che nell’ambito complessivo del diritto penale ha da sempre impegnato gli interpreti sotto più fronti, non è di interesse solo teorico, essendo anzi estremamente rilevanti le conseguenze della tesi sposata sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato, sia sotto quello del diritto intertemporale.

2. Soglie di punibilità: elementi costitutivi dei reati tributari o condizioni obiettive di punibilità?

La Suprema Corte si è per lo più espressa a favore della qualificazione delle soglie di punibilità come elementi costitutivi dei reati tributari, sostenendo che per integrare gli stessi sia necessaria la coscienza e volontà del mancato versamento all’erario delle ritenute certificate nel periodo interessato, dovendo tale coscienza e volontà investire anche il superamento della soglia di punibilità, contribuendo la stessa a definire il contenuto offensivo ed il disvalore del fatto.

La Suprema Corte ha, inoltre, spesso richiamato, in proposito, la propria giurisprudenza circa il delitto di cui all’articolo 316-ter del codice penale, in particolare in merito agli effetti del superamento della soglia quantitativa oltre la quale l’illecito amministrativo diviene reato, considerando tale soglia come un elemento costitutivo della fattispecie, in quanto tale necessariamente oggetto di rappresentazione e volontà.

Non sono, tuttavia, mancate opinioni di segno opposto, dirette a qualificare le soglie quantitative nei

reati tributari come condizioni obiettive di punibilità: secondo tale impostazione il superamento delle stesse, infatti, nulla aggiunge al disvalore del fatto, di talché tale superamento non dovrebbe ritenersi imputabile soggettivamente al soggetto agente. Nel prevedere la soglia di punibilità, l’intenzione  del  legislatore  sarebbe  stata  quella  di  riservare  la  sanzione  penale  alle  ipotesi  di evasione più gravi, proprio perché superiori a un determinato valore. Valore che, dunque, non può rappresentare un elemento costitutivo del reato, bensì unicamente operare al fine di delimitare dall’esterno la punibilità di un fatto già completo quanto al proprio disvalore.1

3. L’orientamento della giurisprudenza di legittimità

All’esito di una complessiva analisi, in ogni caso, risulta certamente prevalente il primo degli orientamenti esposti2, il quale merita dunque un maggiore – seppur breve – approfondimento in questa sede.

La tesi maggioritaria muove essenzialmente da due ordini di argomenti: in primo luogo, le soglie non presentano la struttura tipica delle condizioni obiettive di punibilità, che presuppongono un reato già perfetto in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, rispetto al quale il verificarsi di un evento futuro ed incerto condiziona esclusivamente la punibilità. L’integrazione delle soglie, ovvero il raggiungimento del valore fissato dalla legge in euro 150.000, non dipende da un evento futuro ed incerto, ma dallo stesso comportamento dell’agente che, nella dichiarazione annuale, sottrae all’imposizione, non versandola, una quantità di ritenute. Ecco che se tale quantità raggiunge la soglia fissata dal legislatore, allora si realizza il fatto tipico descritto dalla norma incriminatrice. In caso contrario, viene meno uno degli elementi costitutivi del reato, che risulterà non perfezionato.

In estrema sintesi, dato che è l’agente con la sua condotta a determinare il superamento o meno della soglia, deve ritenersi che tale superamento debba essere investito anche dall’elemento soggettivo.

In secondo luogo, le soglie consistono in eventi che rendono attuale l’offesa al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice: il legislatore ha voluto fissare una quota di rilevanza quantitativa del fatto tipico (come avviene peraltro quando vengono fissati dei limiti tabellari per qualificare la tossicità degli alimenti, oppure nel reato di usura, nel quale l’usurarietà del tasso di interesse non esiste ex se, ma deriva da precedenti calcoli), con la conseguenza che, quando la soglia non viene raggiunta, è il legislatore stesso a ritenere che quel fatto non risulti lesivo del bene giuridico tutelato. Ritenere che le soglie rappresentino degli elementi costitutivi del reato significa insomma rispettare il principio di offensività, dato che alla soglia di punibilità è affidato il compito di delimitare la rilevanza penale del fatto descritto dalla norma incriminatrice, riservando la sanzione alle sole condotte in grado di compromettere l’interesse dello Stato alla percezione dei tributi.

Per ultimo non deve tralasciarsi di evidenziare come la stessa Corte Costituzionale, espressasi con la sentenza n. 241/2004 riguardo alle soglie precedentemente contemplate dall’articolo 2621 del codice civile, che avevano la stessa funzione di quelle previste nelle norme tributarie, le aveva definite “requisiti essenziali di tipicità del fatto”.

 

4. Ricadute della questione sul piano processuale e del diritto intertemporale

La questione della quale si tratta non è rilevante solo dal punto di vista teorico, comportando essa alcune importanti ricadute sul piano processuale ed, in particolare, su quello del diritto intertemporale. In particolare, si è assistito ad un contrasto giurisprudenziale riguardante il caso in cui venga contestata una condotta integrante il superamento della soglia di punibilità prevista dalla norma incriminatrice ma, a seguito dell’accertamento processuale, sia invece risultato mancante il raggiungimento della predetta soglia, poiché essa è stata elevata per ius superveniens.

In particolare, in merito alla formula assolutoria, quella giurisprudenza incline a considerare le soglie come condizioni obiettive di punibilità ritiene l’imputato debba essere mandato assolto “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” e non “perché il fatto non sussiste”: quest’ultima  formula  postula  infatti  l’assenza  di  uno  degli  elementi  costitutivi  del  reato,  e presuppone che non si sia verificato un fatto storico suscettibile di essere sussunto all’interno di una fattispecie incriminatrice.

Un  orientamento  più  recente3,  richiamando  l’insegnamento  delle  Sezioni  Unite  Orlando4,  ha

invece ritenuto che la corretta formula assolutoria sia rappresentata da quella per cui “il fatto non sussiste”, poiché, nel caso in cui manchi un elemento costitutivo del reato, il fatto storico non è idoneo ad essere sussunto all’interno della fattispecie astratta proprio per la mancanza di uno dei suoi elementi fondamentali. La formula “il fatto non è previsto dalla legge come reato” è da utilizzarsi, invece, quando il fatto storico non rientra in alcuna fattispecie astratta perché essa non è mai esistita oppure è stata abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima. In altre parole, nel caso in cui non venga superata la soglia di punibilità poiché essa è stata innalzata per ius superveniens, la fattispecie astratta esiste, cioè la legge prevede il fatto come reato, ma essa non è completamente integrata perché risulta mancate uno degli elementi costitutivi.

5. Il peculiare caso della revoca della sentenza di condanna in sede di esecuzione

In materia di revoca della sentenza di condanna in sede di esecuzione, un importante precedente è rappresentato dalla sentenza del Tribunale di Udine del 1 febbraio 2016, caso nel quale il giudice dell’esecuzione ha appunto disposto la revoca ex articolo 673 del codice di procedura penale di una sentenza di condanna definitiva per il reato di omesso versamento di ritenute certificate ex articolo 10-bis d.lgs. n. 74/2000.

In particolare, in tal caso, si è ritenuto che la soglia di punibilità rappresentasse un elemento costitutivo del reato, in quanto elemento fattuale di cui si compone la situazione tipica e della quale contribuisce a definire il disvalore. Si è, inoltre, affermato che l’innalzamento della soglia a 150.000 euro non può che determinare il venir meno della rilevanza penale di una parte delle condotte che non comportano il superamento la predetta soglia, e che dinanzi ad un simile mutamento della fisionomia della fattispecie penale astratta deve parlarsi di abolitio criminis parziale, fenomeno che soggiace alle regole generali di applicazione della legge penale nel tempo di cui all’articolo 2, comma 2, del codice penale (“nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato”).

Il Tribunale di Udine, pur considerando le soglie di punibilità come elementi costitutivi del fatto, effettua una distinzione tra la formula da utilizzare quando il procedimento è ancora in corso e quella opportuna in sede di esecuzione, prendendo doverosamente in considerazione il dettato dell’articolo 673 del codice di procedura penale, che statuisce che “nel caso di abrogazione della norma incriminatrice, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza di condanna dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato”. La Corte giunge, dunque, a ritenere che, evidentemente, le considerazioni della prevalente  giurisprudenza  in  merito  alla  formula  assolutoria  da  utilizzare  -  cioè  “il  fatto  non sussiste” - si riferiscono ai procedimenti in corso, essendo invece per i procedimenti definiti con sentenza irrevocabile doveroso - poiché imposto dalla legge - l’uso della formula “il fatto non è previsto dalla legge come reato”, imposta dallo stesso articolo 673 del codice di procedura penale.

 

6. Conclusioni e proposte (risolutive?)

Da quanto seppur brevemente evidenziato può apprezzarsi la presenza di numerosi contrasti giurisprudenziali in materia di reati tributari, laddove le norme incriminatrici prevedano, per l’integrazione del fatto di reato, il superamento di una soglia di punibilità. Di certo, aderire alla tesi secondo cui le predette soglie rappresentano non delle condizioni obiettive di punibilità, ma degli elementi costitutivi della fattispecie, giocherà, in una prospettiva processuale, a favore dell’imputato, essendo lo stesso chiamato ad instillare un ragionevole dubbio circa la mancanza dell’elemento soggettivo richiesto dalla norma. D’altra parte, tuttavia, chi scrive si permette di constatare come il fatto di considerare le soglie in parola come condizioni obiettive di punibilità possa, in prospettiva concreta, favorire un’applicazione del dettato normativo maggiormente aderente ai bisogni della realtà concreta, data la evidente difficoltà di dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo all’imputato; senza contare che, a ben vedere, il profilo del superamento della soglia risulta, in molte ipotesi, rivelarsi più un dato fattuale che un dato realmente ascrivibile alla precisa coscienza e volontà, in tal senso, del soggetto agente.

[1] Vedasi in tal senso la sentenza n. 25213/2011, rv. 250656 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, secondo la quale il superamento della soglia costituisce una vera e propria condizione obiettiva di punibilità, perché non fa parte del contenuto offensivo della fattispecie e non integra un elemento costitutivo dell’offesa, bensì attiene ad un limite quantitativo dell’evento e non all’evento stesso dell’omesso versamento.

[2] Ex multis, Cass., sez. III pen., n. 3098/2015, rv. 265938, Cass., sez. III pen., n. 9936/2016, rv. 266631, Cass., sez. III pen.,n. 35611/2016, rv. 268007.

[3] Cass., sez. III pen., n. 6105/2015, Cass. Sez. III pen., n. 18692/2016.

[4] Cass., SS.UU., n. 37954/2011, rv. 250975