Obbligo vaccinale: no alla sospensione dal lavoro

La garanzia fornita dal tampone è senz’altro relativa; ma quella data dal vaccino è pari a zero
Obbligo vaccinale
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Obbligo vaccinale: no alla sospensione dal lavoro

Il 28 aprile 2022 con ordinanza del Giudice Roberto Beghini – resa in via cautelare – il Tribunale di Padova – Sezione Lavoro ha ordinato all’azienda sanitaria “di far riprendere immediatamente il lavoro alla ricorrente, a condizione che ella si sottoponga a proprie spese, per la rilevazione di SARS-COV-2, al test molecolare, oppure al test antigenico da eseguire in laboratorio, oppure infine al test antigenico rapido di ultima generazione, ogni 72 ore nel primo caso ed ogni 48 negli altri due”.

Riportiamo di seguito i passaggi principali della pronuncia:

“È quindi assodato che il mero fatto che un lavoratore si sia sottoposto al vaccino, non garantisce che egli non contragga il virus e che quindi, recandosi sul luogo di lavoro, non infetti le persone con cui ivi viene a contatto, nella specie gli ospiti della struttura sanitaria. Di qui, come detto, il dubbio sulla ragionevolezza dell’imposizione dell’obbligo vaccinale in questione: imposizione non idonea “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”.

“Sempre come dimostra la comune esperienza, il metodo attualmente più sicuro per impedire che un lavoratore contagi le altre persone presenti sul luogo di lavoro, è invece quello di avere la ragionevole certezza che egli non sia infetto: ragionevole certezza che, come visto, non può essere data dalla vaccinazione, bensì dalla sottoposizione periodica del lavoratore al “tampone”, che garantisce, sia pure solo temporaneamente, che egli, nei successivi 2-3 giorni in cui si reca al lavoro, non abbia contratto il virus”.

“Non sembra allora condivisibile quella giurisprudenza secondo cui “il tampone non protegge dal virus ma al più lo rileva, ed anche la rilevazione è comunque dubbia, perché il contatto col virus potrebbe avvenire anche un minuto dopo l’effettuazione del tampone e la rilevazione del virus richiede comunque un tempo di latenza; senza considerare lo stress cui le strutture sanitarie sarebbero sottoposte se si richiedesse una sistematica verifica a mezzo tampone di tutti i lavoratori, sulla premessa della inefficacia della vaccinazione”. La tesi non persuade perché resta il fatto che la persona vaccinata, che non si sia sottoposta al tampone, può essere ugualmente infetta e può quindi ugualmente infettare gli altri: la garanzia che la persona vaccinata non sia infetta, è pari a zero. Invece la persona che, pur non vaccinata, si sia sottoposta al tampone, può ragionevolmente considerarsi non infetta per un limitato periodo di tempo. In tal caso, la garanzia che ella non abbia contratto il virus, non è assoluta, ma è certamente superiore a zero. Nessun dubbio che il tampone accerti l’inesistenza della malattia solo alla data in cui viene effettuato; ma ciò costituisce un dato comune a tutti gli accertamenti diagnostici e tale è il motivo per cui esso deve essere ripetuto periodicamente. La garanzia fornita dal tampone, ripetesi, è senz’altro relativa; ma quella data dal vaccino è pari a zero”. 

Ancora:

… “non appare manifestamente infondato il dubbio che l’introduzione dell’obbligo vaccinale per i lavoratori del settore in esame, costituisca una misura inidonea - e quindi irragionevole ex cit. art. 3 Cost. - a raggiungere lo scopo che si prefigge: evitare la diffusione del virus nell’ambiente di lavoro, precisamente alle persone fragili, ospiti della struttura. La norma censurata pertanto, sembra violare l’art. 3 Cost., poiché, allo scopo di evitare la diffusione del virus, impone al lavoratore un obbligo inutile e gravemente pregiudizievole del suo diritto all’autodeterminazione terapeutica ex art. 32 Cost., nonché del suo diritto al lavoro ex artt. 4 e 35 Cost., prevedendo la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale: obbligo che non si pone in necessaria correlazione con la finalità di evitare il contagio e di tutelare la salute dei terzi, vale a dire la salute pubblica. Sembra quindi doversi concludere che il bilanciamento tra i diritti costituzionali coinvolti, sia stato operato dal legislatore, che pure gode di ampia discrezionalità, in maniera manifestamente irragionevole rispetto alla finalità perseguita.”

Inoltre:

“Nella specie, la disciplina italiana, che sospende drasticamente dal lavoro e dall’intera retribuzione il lavoratore che non intende vaccinarsi, senza prevedere alcuna soluzione alternativa o intermedia, sembra violare il principio di proporzionalità – secondo la giurisprudenza della UE, ndr – sotto tutti e tre i profili, perché, come visto, non è necessaria né raggiunge lo scopo di evitare il contagio, ed impone al lavoratore un sacrificio all’evidenza completamente insostenibile, privandolo integralmente e drasticamente dell’unico mezzo che consente a lui ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Infine:

“l’obbligo vaccinale, oltre ad apparire irragionevole e sproporzionato, sembra anche contrario all’art. 32 Cost., poiché, come visto, non previene il contagio e non tutela quindi la collettività (nella specie, i soggetti fragili), finendo quindi col violare il diritto all’autodeterminazione terapeutica sancito da tale precetto costituzionale”.